Razzismo di stato, disinformazione e violenze della polizia dopo il rogo di Piazza Vittorio.

 

Qualcosa non quadrava già nei primi servizi mandati in onda dalle emittenti televisive dopo il rogo di Piazza Vittorio a Roma, dove sono morti una madre ed il suo bambino, costretti a gettarsi dal balcone del loro appartamento per l’incendio appiccato alla stanza nella quale dormivano. La lucida denuncia dell’altro figlio della donna accusava una vicina italiana, già responsabile di precedenti episodi di aggressione, che avrebbe dato fuoco alla stanza occupata dalla famiglia bengalese.

Non si sa nulla degli interrogatori a cui questa donna sarebbe stata sottoposta dalla polizia. Nulla su altre indagini in corso. Di certo, nei giorni precedenti, la stessa donna aveva aggredito la madre bengalese sfregiandole il volto. Un episodio che riporta alla luce la tensione mai sopita che si vive nel quartiere Esquilino di Roma, dove opera da tempo un comitato di cittadini che protesta contro la presenza degli immigrati.

In qualche ora i Vigili del fuoco, poi i carabinieri, infine i mezzi di informazione, hanno accreditato la tesi dell’incendio accidentale,legato al sovraffollamento, quasi che la responsabilità fosse anche di chi occupava in quattro una sola stanza. Prima ancora che le indagini fossero avviate, già si tiravano le conclusioni.

 

Tra le cause del rogo, addirittura, è stata indicata anche la merce da vendere, ammucchiata nel corridoio. Un incendio accidentale, ma conseguenza del tipo di lavoro che si ritiene tipico dei bengalesi o dell’emergenza casa che caratterizza le più grandi città italiane. Un incendio accidentale, accidentale come gli incendi appiccati a diversi campi rom nei mesi passati, nell’indifferenza generale, qualche volta con gli attentatori che vantavano in piazza davanti alla polizia ed ai giornalisti le loro imprese incendiarie. E poi, gli altri letti vuoti nell’appartamento andato a fuoco a Piazza Vittorio non potevano che fare pensare alla presenza di clandestini, insomma di senza nome, di persone che, come i rom relegati nei campi nomadi delle periferie italiane, non avrebbero dovuto stare in quel luogo, persone fuori dal tempo e dallo spazio, ed anche dal diritto.

 

Dopo la strage di Erba, anche in questo caso tutti gli stereotipi che riassumono gli atti ed i discorsi razzistici e la xenofobia a danno dei migranti sono stati riproposti senza alcuno scrupolo per la doverosa ricerca della verità, che andrebbe proseguita sino in fondo con i mezzi ed i tempi necessari, senza facili scorciatoie. Ancora una volta è prevalsa la considerazione dello straniero come un diverso, i cui diritti non sono esattamente definiti, neppure il diritto alla vita, considerato come un problema o una minaccia per i cittadini, se occupa appartamenti superaffollati. Nessuno ha affermato che prima di tirare le conclusioni sulla responsabilità del caso sarebbe stato meglio attendere un quadro completo della scena del delitto, siglato, magari, proprio dalla polizia scientifica. Solo parenti ed amici delle vittime, rappresentanti dei movimenti di lotta per la casa, alcuni antirazzisti romani sono andati a manifestare a Piazza Vittorio il loro sdegno, anche per chiedere un rigoroso accertamento dei fatti.

 

La polizia ha disperso con i manganelli la folla dei manifestanti giungendo a colpire violentemente alla testa anche parenti delle vittime. Qualcuno, dopo le manganellate della polizia,  è stato persino ricoverato in ospedale. Insomma, alla menzogna si è aggiunta la violenza, tutti componenti classici delle manifestazioni definite come “razzismo di Stato”. Non crediamo possibile stabilire a questo punto se quanto successo all’Esquilino sia frutto dell’emergenza abitativa, ovvero di un vero e proprio rigurgito razzista. Né interessa più di tanto stabilire se la responsabilità sia di una legge nazionale come la Bossi-Fini, che rende precaria persino la condizione degli immigrati regolari, o di mancati interventi delle amministrazioni locali che non avrebbero saputo affrontare le questioni di convivenza e di cittadinanza sociale degli immigrati. Di certo il governo Berlusconi ha ridotto la possibilità di intervento degli enti locali in questa materia. Ma non si tratta solo di questo. Vorremmo che i comportamenti degli agenti istituzionali siano caratterizzati da un rigoroso rispetto della verità e dei diritti delle persone coinvolte, in questo caso incluso il diritto di manifestare solidarietà alle vittime. E che i vertici delle amministrazioni coinvolte esercitino sino in fondo i loro poteri di controllo sanzionando ogni genere di abuso.

 

Non sappiamo quanti esponenti del centrosinistra sentiranno adesso il dovere di mobilitarsi stringendosi attorno alla comunità bengalese. Finora soltanto Giovanni Russo Spena ha annunciato un’interrogazione parlamentare. A Piazza Vittorio si è giunti persino a caricare i parenti delle vittime che protestavano insieme con la Rete antirazzista. I vertici delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco potranno dormire ancora facendo sonni tranquilli? Dopo le violenze di Napoli e di Genova, dal 2001 ad oggi, tutto sembra permesso. Ed i processi, rapidissimi quanto riguardano migranti e antirazzisti, diventano improvvisamente lenti, fino alla prescrizione, o si concludono con condanne simboliche, quando coinvolgono rappresentanti delle forze di polizia o gestori dei centri di permanenza temporanea. Sarà così anche in questo caso?

 

Caro Kibria, amici bengalesi , ricordo le tante manifestazione con la vostra comunità negli anni passati. Oggi, per cambiare la situazione dei migranti a Roma, non basterà la nomina dei consiglieri aggiunti nel consiglio comunale. Di fronte a questo ennesimo episodio di violenza, se non di razzismo istituzionale, quali che siano le cause effettive del rogo,quello che è successo dopo il rogo dimostra quanto sia ancora necessario ricostituire un forte movimento unitario antirazzista, composto da immigrati ed italiani, capace di operare in Italia ed a livello internazionale. Occorre tornare a manifestare per i diritti degli immigrati senza farsi ingabbiare dalle logiche e dai tempi di chi governa . E non solo per rendere giustizia alle vittime del rogo di Piazza Vittorio.

 

Occorre una iniziativa politica forte, coraggiosa, che segni una discontinuità netta rispetto alla legislazione ed alle prassi applicative del governo Berlusconi. Quella discontinuità di cui si parlava nel programma elettorale di Prodi e che stenta oggi a realizzarsi tanto nelle prassi quotidiane delle questure che in politiche comunitarie e in scelte legislative che abroghino la legge Bossi-Fini e riconoscano pienamente i diritti sociali e di cittadinanza degli immigrati. A partire da una regolarizzazione permanente di tutti coloro che hanno visto precluso ogni canale di ingresso legale per lavoro, o che si sono ritrovati senza lavoro e senza permesso di soggiorno. Ritorniamo nelle strade delle città, riprendiamo la pratica delle assemblee e della contrattazione continua con le istituzioni, tentiamo tutti insieme, italiani ed immigrati, di dare un senso alla democrazia partecipativa, come quando anni fa ci mobilitavamo con Dino Frisullo e la comunità bengalese, tra le meglio organizzate della Rete antirazzista. Riprendiamo la strada segnata da Dino, il nostro grande compagno di strada che non c’è più e che tanto sarebbe stato prezioso oggi, e non solo a Piazza Vittorio, per difendere i diritti dei migranti, anche contro contraddizioni e ritardi dei c.d “governi amici”.

A presto

 

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo