Rassegna della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dellĠuomo

relativa ai richiedenti asilo

 

                                                                                                         Veljko Mikelic, ASGI

 

Introduzione

 

Leggendo il testo della Convenzione Europea dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (CEDU) in cui non vi  nessuna referenza al diritto dĠasilo e dove i riferimenti sugli stranieri sono pi che limitati[1], la domanda naturale che ci si pone  per quale ragione un solo articolo di questa Convenzione (art. 3)  diventato uno strumento efficace in grado di offrire protezione e tutela ai richiedenti asilo a livello regionale.

 

Per dare una risposta bisognerebbe considerare alcuni fattori, materiali e procedurali, contenuti in questa Convenzione, primariamente, lĠorgano con il compito di sorvegliare lĠeffettiva applicabilitˆ della CEDU da parte degli stati contraenti  la Corte Europea dei diritti dellĠuomo (CtEDU) dunque un organo giurisdizionale che in caso di accertate violazioni della CEDU emette sentenze che hanno un potere vincolante per gli stati contraenti. Inoltre, la CEDU consente il riscorso individuale, dove ogni persona, a determinate condizioni, pu˜ rivendicare la violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione stessa.

 

Parlando dellĠart. 3 va ricordato che lĠimportanza dei diritti fondamentali della persona contenuti in questo articolo hanno valore assoluto e come tali non possono subire limitazioni, esclusioni o deroghe. Tale valore assoluto obbliga (obbligazione positiva) lo stato contraente della CEDU a non esporre lĠindividuo al rischio di trattamenti degradanti ed inumani, conseguentemente questo obbligo limita anche il potere dello stato di eseguire lĠespulsione degli stranieri in certi casi.

 

Inoltre lĠinterpretazione degli articoli della Convenzione tramite la giurisprudenza della CtEDU ha valorizzato il significato dei valori fondamentali della persona contenuti nellĠart.3.

 

Per quanto riguarda la giurisprudenza  possibile notare il percorso evolutivo della giurisprudenza della  CtEDU dove i valori protetti dallĠarticolo 3 hanno gradualmente trovato applicabilitˆ per i  casi di deportazione, di espulsione e di rimpatrio fino allĠaffermazione che i valori contenuti nellĠart.3 offrono un livello di protezione superiore a quello contenuto nella Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951. Di seguito saranno esposti i casi ritenuti pi significativi.

 

Il punto di partenza nella rassegna dei casi pi importanti discussi dinanzi alla CtEDU  rappresentato dal caso Soering c. GB, sentenza del 7 luglio1989, che non solo ha definito lĠimportanza della difesa dei valori della persona protetti dallĠart. 3, ma  anche diventato un imperativo morale. In questo caso il ricorrente, un cittadino tedesco, poteva rischiava di essere estradato dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti dove poteva essere soggetto alla pena capitale con lĠaccusa di duplice omicidio. Dopo aver valutato le condizioni di detenzione dello stato federale USA (la Virginia) dove i giudicati alla pena capitale trascorrono il periodo prima dellĠesecuzione, c.d. Òdead row phenomenonÓ, in condizioni estreme tra cui la sorveglianza permanente, la permanenza in stanze strette ed inadeguate, etc, la CtEDU ha ritenuto che questo trattamento procurasse sofferenze fisiche ed psichiche, risultando in tal modo contrario ai valori protetti dallĠart. 3. Di conseguenza, la CtEDU ha ritento che nel presente caso se il ricorrente fosse stato estradato avrebbe soddisfatto tutti i criteri per essere definito un trattamento inumano o degradante, come confermato dalla giurisprudenza della Corte precedente[2]. LĠimportanza di questa sentenza  che sancisce anche lĠeffetto extraterritoriale della Convenzione europea dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (CEDU) in quanto lĠart. 3 non solo vieta di procurare trattamenti degradanti ed inumani nella giurisdizione degli stati sottoscriventi della CEDU ma anche obbliga gli stati contraenti a non espellere la persona verso quegli stati in cui potrebbe essere soggetto a trattamenti inumani e degradanti.

 

Applicabilitˆ dellĠartĠ3 nei casi dei richiedenti asilo

 

Per quanto concerne la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che riguarda lĠapplicazione dellĠart. 3 nei casi dei richiedenti asilo,  possibile notare un percorso evolutivo da parte della CtEDU, in quanto i primi casi presentati dinanzi alla Corte venivano considerati non contrari allĠart. 3.

 

Nel caso Crus Varas e altri c. Svezia, sentenza del 20 marzo 1991, la CtEDU, pronunciandosi su questo ricorso, ha esteso lĠapplicabilitˆ dellĠart. 3 (il reale rischio di essere esposti a trattamento degradante ed inumano) non solo ai casi di estradizione come nel caso precedente ma anche ai casi di espulsione degli stranieri[3], categoria che comprendere anche i richiedenti asilo.

Il caso riguardava il ricorso del gruppo familiare di un cittadino cileno a cui era stata negata la richiesta di asilo politico nel 1988 in Svezia. Il ricorrente principale basava la sua richiesta sul timore di essere perseguitato in Cile a causa della sua attivitˆ politica svolta negli anni 70; egli riteneva che il diniego della domanda dĠasilo e il rientro nel suo paese di origine avrebbe esposto lui e il suo nucleo familiare al rischio di subire un trattamento proibito dallĠart 3. La polizia svedese non valut˜ la sua domanda come credibile e prosegu“ con lĠespulsione del ricorrente principale nel 1988, mentre per gli altri ricorrenti (il resto del nucleo familiare rimasto in Svezia) la decisione finale di allontanamento era ancora pendente dinanzi alle autoritˆ svedesi.

 

Dal momento che  il ricorrente principale dopo il suo ritorno in Cile riteneva di essere perseguitato, lasci˜ nuovamente il Cile. La CtEDU prima di esprimersi sul caso dei ricorrenti ha deciso di applicare dei provvedimenti sospensivi previsti dallĠart. 39[4] del regolamento della Corte chiedendo alle autoritˆ svedesi di autorizzare il rientro e la permanenza nel paese del ricorrente principale e di non eseguire lĠespulsione per il resto del nucleo familiare rimasto in Svezia prima che la Corte stessa si pronunci in merito nella sua prima seduta fissata.

La CtEDU ritenne che la misura di allontanamento emanata dalle autoritˆ svedesi non esponeva i ricorrenti al rischio di subire i trattamenti proibiti dalĠ art. 3 non trovando le basi sostanziali per credere allĠesistenza di un reale rischio.

 

EĠ importante notare che in questa sentenza la CtEDU stabil“ il criterio per accertare la responsabilitˆ se uno stato abbia violato o meno lĠart. 3 della CEDU nellĠesecuzione della misura di espulsione che potrebbe esporre la persona al rischio di subire i trattamenti proibiti dallĠart 3; lĠesistenza di tale rischio deve essere valutata in base a fatti e circostanze note agli stati contraenti nel momento dellĠespulsione[5]. Nel caso specifico, la CtEDU per poter valutare meglio il timore dei ricorrenti di non subire trattamenti degradanti, doveva valutare ed esaminare i fatti che accadevano anche dopo lĠespulsione del ricorrente principale. In questo caso la CtEDU riafferm˜ anche la propria discrezione di ricercare ed esaminare fatti e circostanze relative a quel periodo[6].

 

Anche nel caso Vilvarajah ed altri c. Gran Bretagna, sentenza del 30 ottobre 1991, la CtEDU non trov˜ violazione dellĠart. 3 per il gruppo di cittadini cingalesi di etnia Tamil che ritenevano di essere sottoposti ad un reale rischio di subire un trattamento inumano e degradante in caso di un loro ritorno in Sri Lanka a causa della loro attivitˆ politica contro lo stato. In questo caso la CtEDU ha applicato lo stesso criterio come nel caso precedente Crus Varaz secondo cui lĠesistenza del rischio di subire un trattamento contrario allĠart 3 deve essere valutata in base ai fatti e alle circostanze note agli stati contraenti nel momento dellĠespulsione.

La CtEDU ha riconosciuto che i ricorrenti avevano subito alcune forme di maltrattamenti da parte delle autoritˆ cingalesi al loro rientro in Sri Lanka tuttavia la CtEDU ha ritenuto che tale trattamento non soddisfacesse i requisiti per essere considerato un trattamento severo ai sensi dellĠart. 3 della CEDU[7] in quanto n il background nŽ la posizione personale dei ricorrenti poteva essere considerata peggiore rispetto alla posizione personale di altri membri della comunitˆ Tamil o di giovani membri di questa etnia di sesso maschile che facevano rientro in Sri Lanka[8].

 

Dunque, lĠassenza di una differentia specifica tra la posizione personale dei ricorrenti e altri membri dellĠetnia Tamil nel contesto specifico di tensioni interetniche in Sri Lanka. non hanno convinto la CtEDU che i ricorrenti potessero essere esposti al rischio di subire i trattamenti proibiti dallĠart. 3.

 

Questo atteggiamento della CtEDU viene affermato anche nelle due sentenze pi recenti Venkadajalasarma c. Paesi Bassi e Thampibillai c. Paesi Bassi, entrambe sentenze del 17 febbraio 2004, in cui la CtEDU ha ritenuto che la situazione generale in Sri Lanka, valutata in base ai fatti e alle circostanze relative al momento dellĠespulsione, non rappresentava per se il rischio che i ricorrenti potessero essere esposti a trattamenti proibiti dallĠart. 3 nel paese ricevente.

 

La differenza principale tra il caso HLR c. Francia, sentenza del 27 aprile 1997, e i casi precedenti si basa solamente sul fatto che il rischio di subire il trattamento inumano o degradante per il ricorrente veniva non dalle autoritˆ dello stato (in questo caso colombiano) ma dai gruppi armati dei narcotrafficanti in quanto le autoritˆ domestiche non sarebbero state in grado di prevenire tale rischio e di proteggere il ricorrente in maniera adeguata.

 

Il ricorrente era stato arrestato e giudicato colpevole in Francia per possesso di droga; durante lĠinterrogatorio rivel˜ alle autoritˆ francesi alcuni nomi di narcotrafficanti successivamente arrestati in Europa. Il ricorrente riteneva che a causa di questa ÒcollaborazioneÓ la sua deportazione in Colombia lo avrebbe esposto al rischio di subire i trattamenti proibiti dallĠart. 3.

Anche in questo caso la CtEDU non ha riscontrato la violazione dellĠart. 3 in quanto il ricorrente non ha dimostrato lĠesistenza di un rischio reale di subire il maltrattamento delle autoritˆ non statali, e non ha neppure dimostrato che le autoritˆ statali non erano in grado di prevenire tale rischio offrendogli una protezione adeguata[9].

La situazione personale del ricorrente venne considerata non peggiore rispetto alla posizione di altri cittadini colombiani, tenendo in considerazione la realtˆ colombiana, in cui le autoritˆ domestiche incontrano difficoltˆ nel contenere la violenza e assicurare la presenza delle istituzioni sul territorio.

 

Interpretazione estensiva dellĠart. 3 nei casi di espulsione -casi Chahal e Ahmed

 

Come si vedrˆ in seguito, la prassi giurisdizionale della CtEDU ha adottato una interpretazione estensiva dellĠart.3 nei casi di espulsione che  stata sancita con due note sentenze: Chahal c. Gran Bretagna, e Ahmed c. Austria. Queste due sentenze per la tutela contro lĠallontanamento degli stranieri sono di particolare rilievo in quanto hanno sancito un livello pi ampio di protezione del principio di non refoulement rispetto alla Convenzione di Ginervra del 1951 sullo status del rifugiato.

 

Nel caso Chagal c. Gran Bretagna, sentenza del 15 novembre 1996, le autoritˆ britanniche volevano deportare il ricorrente di etnia Sikh nel suo paese di origine (India) a causa dalla sua militanza contro il governo indiano, la polizia britannica considerava infatti il ricorrente come una minaccia per la propria sicurezza nazionale, in quanto, secondo le autoritˆ britanniche, sarebbe stato coinvolto in attivitˆ terroristiche.

La CtEDU ha riscontrato la violazione dellĠart. 3 da parte delle autoritˆ britanniche in quanto lĠeventuale deportazione avrebbe esposto il ricorrente ad un reale rischio di essere sottoposto a trattamenti proibiti dallĠart. 3 in India. Per valutare tale rischio la CtEDU ha esaminato le prove delle parti e quelle raccolte di propria iniziativa.

 

La posizione della CtEDU si basa sullĠimportanza e il valore assoluto dellĠart.3 che ritiene gli stati sottoscriventi della CEDU responsabili per la protezione dellĠindividuo contro il trattamento proibito dallĠart. 3, il che impone lĠobbligo dello stato di non espellere lĠindividuo verso quel paese.[10] Dunque nelle circostanze in cui viene accertata lĠesistenza di un reale rischio di subire trattamenti inumani e degradanti contrari allĠart. 3, la CtEDU ha ritenuto che il valore assoluto di questo articolo non necessita il confronto con la giustificazione per lĠespulsione (sicurezza nazionale), in quanto lĠart.3 offre una protezione assoluta anche nel caso la condotta del ricorrente sia Ò non desiderata e pericolosaÓ, per la CtEDU non Òcostituisce oggetto di una considerazione materialeÓ[11].

 

La CtEDU in questa sentenza, dunque ha riconosciuto in termini espliciti che il livello della protezione garantito dallĠart. 3  pi larga rispetto agli articoli 32 e 33 della Convenzione sullo status del rifugiato del 1951[12].

Questa protezione pi ampia contiene due differenze sostanziali; la prima consiste nel fatto che la minaccia dellĠindividuo per la sicurezza nazionale non ostacolerebbe lo stato ospitante di eseguire lĠespulsione ai sensi dellĠ art. 32 della Convenzione sullo status dei rifugiato del 1951, mentre lĠart.3  inflessibile a questo riguardo, la proibizione del trattamento contrario allĠart. 3, qualora accertata lĠesistenza di un tale rischio, offre protezione contro lĠespulsione anche nei casi considerati minaccia per la sicurezza nazionale.

Seconda, a differenza dellĠart 33 della Convenzione del 1951, lĠart. 3 non stabilisce nessuna qualifica per non espellere il rifugiato politico dove la sua vita o la liberta sarebbe  minacciata, come la razza, la nazionalitˆ, la religione , lĠopinione politica o lĠappartenenza ad un gruppo politico.

 

Nel caso Ahmed c. Austria, sentenza del 27 novembre 1996, il ricorrente ha ottenuto lĠasilo politico, che gli  stato successivamente revocato a causa della sentenza penale che lĠha trovato colpevole per tentata rapina. Il governo austriaco in seguito alla sentenza voleva deportarlo nel suo paese di origine, la Somalia.

La CtEDU, esaminando il caso, ha ritenuto che lĠeventuale deportazione del ricorrente nel paese di origine avrebbe costituito una violazione dellĠart.3, nonostante il ricorrente avesse commesso un reato di particolare rilievo.

La Commissione[13] valutando di propria iniziativa lĠattuale situazione in Somalia ha concluso che la situazione in quel paese, caratterizzata da una guerra civile tra vari clan per il controllo del territorio,  ulteriormente peggiorata dal 1992, anno in cui il ricorrente ottenne lĠasilo, e non vi  attualmente alcuna indicazione che il timore e il pericolo al quale il ricorrente sarebbe stato esposto nel 1992 sia cessato di esistere. La CtEDU, come nel caso Chahal ha affermato esplicitamente che il livello di protezione dellĠart. 3  pi largo di quello contenuto nel art. 33 della Convenzione di Ginevra 1951 a causa del valore assoluto dellĠart3[14]. che vieta di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, e che qualora venisse accertata lĠesistenza di un rischio reale di essere sottoposti a tali trattamenti, la condotta dellĠindividuo, per la CtEDU, non rappresenta oggetto di considerazione.

 

Nel caso Ahmed c. Austria si pu˜ notare anche una particolaritˆ in pi che la CtEDU ha ritenuto di evidenziare, ovvero lĠimpossibilitˆ di deportare il ricorrente in Somalia, dove a causa della guerra civile tra i vari clan che combattevano per il controllo del proprio territorio, ha causato una Òmancanza effettiva dellĠ autoritˆ dello statoÓ in Somalia[15].

 

Si pu˜ notare dunque lĠorienamento dalla CtEDU che estende la protezione dellĠ individuo contro i rischi di subire i trattamenti proibiti dallĠart. 3 non solo da parte delle autoritˆ statali ma anche dai soggetti non statali (gruppi paramilitari) che hanno presenza sul territorio dello stato ricevente.

Questo atteggiamento deriva dal fatto che i valori protetti dallĠart. 3 impongono allo stato sottoscrivete della CEDU una responsabilitˆ positiva (positive obligations) di prevenire che un individuo sia sottoposto a trattamenti contrari allĠart.3 nello stato ricevente.

 

Un altro caso in cui la CtEDU ha evidenziato lĠimportanza dei valori fondamentali della persona protetti dallĠart. 3 eĠ rappresentato dal caso Jabari c. Turchia, sentenza dellĠ11 luglio 2000, dove lĠimportanza dellĠart. 3 ha coinvolto anche la violazione dellĠ art.13 (diritto del ricorso effettivo) della CEDU. La ricorrente, una cittadina iraniana, fu arrestata e incarcerata nel suo paese con lĠaccusa di avere una relazione con un uomo sposato. Immediatamente dopo il suo rilascio dalla detenzione la ricorrente ha deciso di lasciare lĠIran e di emigrare in Canada usando un passaporto falso, percioĠ durante il transito aeroportuale le autoritˆ francesi lĠhanno respinta verso la Turchia, paese da cui aveva iniziato il viaggio.

Dopo lĠarresto in Turchia per lĠuso del passaporto falso, la ricorrente ha richiesto asilo politico in Turchia che venne pero` rigettato in prima e seconda istanza in quanto non richiesto entro i limiti previsti della legge (5 giorni). Nonostante cio`, lĠufficio ACNUR in Turchia  decise di concedere lo status protettivo a causa dellĠesistenza di un reale rischio di persecuzione in caso di un suo ritorno in Iran (lĠadulterio eĠ punito con la lapidazione), lĠinteressata era in attesa dellĠespulsione in Iran quando ha inoltrato il ricorso a Strasburgo.

La sentenza della CtEDU ha affermato la violazione di entrambi gli articoli (3 e 13) della CEDU a causa della negligenza delle autoritˆ turche di valutare attentamente tutte le motivazioni della ricorrente, qualora nelle dichiarazioni della ricorrente in cui si poteva riscontrare una possibile violazione dellĠart. 3.

La violazione dellĠart. 3  stata accertata in quanto le autoritˆ turche non hanno valutato con la dovuta attenzione un pi che reale rischio della ricorrente di subire trattamenti degradanti ed inumani nel caso di un suo rientro in Iran, dove lĠadulterio femminile  punito con la lapidazione, pratica  che costituirebbe una flagrante violazione dellĠart. 3.

 

In questo caso si pu˜ notare che la protezione dei valori contenuti nellĠart. 3 puo coinvolgere anche la violazione dellĠart.13. La CtEDU in questa sentenza ha messo in evidenza che il valore assoluto dellĠ3 e il rischio di violare il suo contenuto possono causare un danno irreparabile alla persona,

mentre, nel presente caso lĠorientamento delle autoritˆ turche era del tutto contrario.

La violazione dellĠart.13 viene accertata in quanto le autoritˆ turche, nellĠ esame del ricorso, hanno prestato attenzione esclusivamente agli aspetti formali della normativa domestica in vigore sullĠ asilo (hanno rigettato la domanda in quanto non presentata entro il termine previsto di 5 giorni).

 

In questo modo applicando meccanicamente la normativa[16] in vigore, le corti turche non hanno mai prestato unĠaccurata attenzione e valutazione indipendente del ricorso dellĠindividuo esaminando le motivazioni della ricorrente sullĠevidente rischio di subire un trattamento contrario allĠart. 3.

 

La violazione dellĠart. 13 connesso allĠart. 3 si pu˜ notare nel recentissimo caso Gebremedhin c. Francia, sentenza del 27 aprile 2007, in cui un cittadino eritreo, fuggito dal proprio paese, privo di documenti allĠaeroporto di Parigi ha presentato la domanda dĠasilo in data 1 luglio 2005.

Le autoritˆ francesi allĠaeroporto sei giorni dopo hanno considerato la sua richiesta infondata, non consentendogli di entrare nel territorio francese, e hanno predisposto il suo allontanamento  in Eritrea o in un altro paese dove Òpotrebbe essere legalmente ammessoÓ. Il suo ricorso inoltrato dinanzi al tribunale amministrativo, riunitosi in procedura dĠurgenza, dopo due giorni ha rigettato il ricorso come infondato.

 

Quando il caso  stato presentato dinanzi alla CtEDU,  stato richiesto alla Francia di adottare il provvedimento sospensivo e di non espellere il ricorrente fino alla decisone della CtEDU, che fu accettato dalla Francia.

 

Durante lĠesame del caso dinanzi alla CtEDU, la Corte ha riscontato delle lacune nella legislazione francese che disciplina lĠingresso degli stranieri e dei richiedenti asilo nel territorio.

Secondo la legislazione attuale un richiedente asilo per poter presentare la domanda di riconoscimento dello status deve essere presente sul territorio, quindi un potenziale richiedente asilo non ha diritto a presentare la domanda alla frontiera a meno che non possieda un titolo per entrare. Dunque, se il richiedente asilo si presenta senza documenti viene semplicemente trattenuto nellĠarea dĠattesa per il tempo necessario a verificare se la sua richiesta dĠasilo risulta manifestamente infondata. Se la domanda (o meglio dire la Òverifica preliminareÓ) dĠasilo  considerata manifestamente infondata si procede allĠallontanamento, in quanto il potenziale richiedente non possiede nessun titolo di entrare sul territorio, e viene privato della possibilitˆ di inoltrare la richiesta dĠasilo dinanzi allĠorgano competente sul territorio francese secondo la procedura del riconoscimento dĠasilo.

La decisione contro il diniego di entrare nel territorio si pu˜ presentare dinanzi al giudice amministrativo, ma questo organo non  in grado di adottare provvedimenti sospensivi; il potenziale richiedente asilo pu˜ dunque in conformitˆ alla legislazione essere espulso prima che il giudice si pronunci definitivamente.

 

Considerando lĠimportanza che la giurisprudenza della CtEDU conferisce allĠart. 3 specialmente quando il rischio di esporre lĠindividuo a trattamenti proibiti dallĠart. 3 diventa reale e gli potrebbe causare un danno grave e irreparabile, la CtEDU ritiene che il Òricorso effettivoÓ ai sensi dellĠart.13 si debba riferire anche ai richiedenti asilo nellĠ Òarea dĠattesaÓ che devono aver diritto al ricorso con effetto sospensivo.

Non essendo prevista tale possibilitˆ dalla legislazione francese attuale la CtEDU ravvisa la violazione del combinato disposto degli 13 e 3 della CEDU.

 

Il recente caso Muslim c. Turchia, sentenza del 26 aprile 2005, riguardava lo status di un cittadino iracheno richiedente asilo soggiornante in Turchia dal 1998. Le domande sono state respinte a tutte le istanze, e il ricorrente era stato autorizzato a soggiornare temporaneamente in Turchia in attesa dellĠesito del ricorso contro il diniego della sua domanda dĠasilo. Le autoritˆ turche hanno informato il ricorrente che lĠesito negativo del ricorso della domanda dĠasilo avrebbe significato la sua deportazione dalla Turchia in Iraq. Al momento della presentazione del caso dinanzi alla CtEDU di Strasburgo, lĠesito finale del suo ricorso era sconosciuto e il ricorrente non era stato soggetto al provvedimento di espulsione, il ricorrente riteneva che la sua deportazione in Iraq lĠavrebbe esposto al rischio di subire un trattamento contrario allĠart. 3.

Esaminando le circostanze del caso e la situazione reale in Iraq dopo il rovesciamento del regime di Saddam Hussein, da cui lĠinteressato dichiarava di subire persecuzioni, la CtEDU ha adottato  un orientamento simile a quello del caso Vilvarajah ed altri c. UK, ovvero pur riconoscendo la serietˆ della situazione ha ritenuto che la probabilitˆ per il ricorrente di ottenere un trattamento meno favorevole dello status esistente nelle condizioni del paese caratterizzato da generale instabilitˆ non costituirebbe per se un trattamento proibito ai sensi dellĠart. 3.

 

Hilal c. GB, sentenza del 6 marzo 2001, in cui il ricorrente, membro del partito di opposizione in Zanzibar, ha  richiesto asilo in Gran Bretagna a causa del maltrattamento di particolare natura (tortura) subito durante la sua detenzione nel paese dĠorigine. La domanda venne ritenuta non sufficientemente fondata in tutte le istanze e le autoritˆ britanniche volevano proseguire con la deportazione. La CtEDU ha ritenuto invece che Òla deportazione nel paese di origine avrebbe esposto il ricorrente al rischio di subire i trattamenti proibiti dallĠart. 3Ó. Di particolar rilievo  la posizione della Corte che, nellĠesame delle circostanze specifiche del caso, ha invitato le autoritˆ britanniche a considerare due fattori (simile al caso Chahal c .GB) quali lĠappartenenza ad un gruppo politico o etnico e la presenza del gruppo etnico o partito politico in una nella specifica area geografica fanno una differenza specifica per concludere che la sicurezza personale del ricorrente sarebbe stata oggetto di particolare rischio da parte delle autoritˆ del suo paese[17].

 

LĠorientamento della CtEDU si basa sugli stessi criteri come per il caso precedente che fa riferimento La necessitˆ di condurre un esame approfondito di propria iniziativa per comprendere le circostanze personali del ricorrente al fine di determinare se una persona potrebbe essere soggetta o meno al rischiosi subire trattamenti vietati dallĠart.3  emersa anche nel caso N c. Finlandia, sentenza del 27 luglio 2005, il ricorrente, un cittadino della Repubblica Democratica del Congo (DRC) ricoprente un ruolo vicino al destituito presidente Moboutu -secondo le proprie dichiarazioni- fuggito in Filanda dopo il rovesciamento del regime di Moboutu, present˜ la richiesta dĠasilo temendo di essere perseguitato dal nuovo regime. Il caso comport˜ notevoli difficoltˆ per verificare la credibilitˆ delle informazioni fornite del ricorrente[18].

Le autoritˆ finlandesi basandosi sulle informazioni disponibili da varie fonti che descrivevano lĠattuale situazione in Congo ritennero che nel momento i soggetti a rischio fossero gli alti ufficiali militari del regime destituito, e non gli ufficiali amministrativi di basso livello come il ricorrente. Il governo finlandese ha ritenuto che la stessa appartenenza tribale del ricorrente a quella dellĠex presidente Moboutu non rappresentasse per se un motivo particolare per considerare il ricorrente come persona a rischio in caso di rientro in Congo. Di conseguenza la sua domanda dĠasilo fu considerata infondata e rigettata da entrambi i livelli in Filanda.

Dopo il diniego della domanda dĠasilo, le autoritˆ filnaldesi hanno deciso di rimpatriarlo ma hanno accettato di sospendere lĠespulsione richiesta dalla CtEDU (ai sensi dellĠart. 39 del regolamento interno) e di concedere il provvedimento sospensivo finchŽ il caso fosse deciso dinanzi alla CtEDU. La Corte ritenne che la particolaritˆ del caso necessitava di un esame approfondito per verificare se il ricorrente potesse essere considerasi persona a rischio di subire un trattamento contrario allĠart. 3 nel caso di una sua espulsione in Congo. La CtEDU ha deciso di andare oltre alle dichiarazioni delle parti e di investigare di iniziativa propria consultando numerose fonti credibili (ACNUR) e incaricando professionisti specializzati. In base a cioĠ, la CtEDU ha concluso che le condizioni specifiche in Congo nel periodo post Mobutu risultano credibili e che quindi il ricorrente in caso di rimpatrio rischierebbe di essere soggetto a trattamenti vietati dallĠart. 3. La posizione della CtEDU si basa principalmente sul fatto che la sua etnia, e i forti legami con i vertici dellĠex regime sono dĠimportanza rilevante pi del suo formale grado militare, non alto, secondo il quale le autoritˆ finlandesi si basarono per rigettare la domanda.

Per la CtEDU eĠ risultato decisivo il fatto che il ricorrente aveva svolto attivitˆ di spionaggio per lĠex regime come agente segreto infiltrato per il dipartimento speciale di sicurezza, subordinato direttamene agli ufficiali di pi alto rango vicini allĠex presidente Moboutu, in base a questa attivitˆ le CtEDU ha ritenuto che il ricorrente poteva ancora considerarsi persona a rischio di subire trattamenti inumani e degradanti ai sensi dellĠart. 3 in caso di espulsione in Congo. Viene dunque riscontrata la violazione di questo articolo da parte della Finlandia.

 

Dougoz c. Grecia, sentenza del 6 marzo 2001. Il ricorrente, cittadino siriano che grazie allo status di protezione sotto il mandato dellĠACNUR ha ottenuto il permesso di soggiornare in Grecia. Tale permesso che gli  stato successivamente revocato a causa di diversi reati commessi per i quali ha scontato una pena detentiva. Il ricorrente Òin attesa di espulsioneÓ eĠ stato detenuto nel carcere per diversi mesi, la CtEDU ha trovato violazione dellĠart. 3 a causa delle condizioni carcerarie che costituivano un trattamento degradante e inumano. Tale trattamento comprendeva il livello di severitˆ secondo i criteri stabiliti nella giurisprudenza[19] (la mancanza di acqua calda e di letti disponibili, e il sovraffollamento), inoltre viene riscontrata anche la violazione dellĠ art. 5 paras. 1 e 4 della CEDU per cui il ricorrente Òin attesa di espulsioneÓ risultava privo di garanzie legali di ricorso effettivo contro lĠarbitrarietˆ dei provvedimenti (mancata riserva giurisdizionale).

 

Said c. Olanda, sentenza del 5 luglio 2005. Un cittadino eritreo, disertore dallĠesercito eritreo sotto mobilitazione, e fuggito in Olanda dove ha chiesto asilo che gli  stato successivamente respinto. Il ricorrente riteneva che in caso di un suo rimpatrio in Eritrea sarebbe stato soggetto ai trattamenti vietati dallĠart. 3 della CEDU. Quando il ricorso venne esaminato dinanzi alla CtEDU, la corte riscontr˜ la particolaritˆ del caso e la difficoltˆ di ricostruire dettagli della storia del ricorrente a causa della mancata documentazione di supporto. Tenendo conto che lĠeventuale espulsione del ricorrente dallĠOlanda invocava lĠart. 3, ancora una volta si eĠ rilevata lĠimportanza dellĠautonomia delle CtEDU come nei casi precedenti[20] nel raccogliere informazioni di propria iniziativa per poter considerare tutte le circostanze del caso.

Dopo aver consultato alcuni esperti indipendenti specializzati in quella determinata area geografica e dopo aver sentito il parere di alcune associazioni autorevoli, la CtEDU ha ritenuto che in caso di rientro in Eritrea, il ricorrente avrebbe potuto subire il rischio di un trattamento contrario allĠart. 3, ravvisando quindi la violazione dellĠart. 3 da parte dellĠOlanda.

 

Il caso particolare Bader e altri c. Svezia, sentenza del 8 febbraio 2006, riguarda il cambio delle circostanze durante lĠesame della domanda dĠasilo. In questo caso il cittadino siriano di origini curde present˜ la richiesta dĠasilo a causa delle persecuzioni a cui erano sottoposti lui e membri della sua famiglia da parte delle autoritˆ siriane.

La domanda fu valutata come non credibile in quanto le autoritˆ svedesi ritenevano che in Siria la situazione generale nei confronti delle persone appartenenti allĠetnia curda non rappresentasse un motivo specifico per il riconoscimento dĠasilo. Il ricorrente non aveva presentato particolari evidenze di supporto alla sua storia personale.

La domanda dĠasilo venne rigettata su tutte le istanze e lĠordine dĠespulsione emanato. Il ricorrente presentoĠ una nuova domanda dĠasilo evidenziando il fatto che la corte siriana aveva pronunciato la sentenza di pena capitale in absentia nei suoi confronti a causa della sua complicitˆ in un omicidio commesso da suo fratello nel 1998 contro il genero. Dopo le verifiche sullĠautenticitˆ della sentenza e delle informazione raccolte dalla CtEDU di propria iniziativa sul funzionamento della giustizia, specialmente  riguardante le garanzie processuali nei casi per cui eĠ prevista la pena capitale in Siria, la CtEDU ha concluso che i processi penali in Siria non si possono qualificare come processi Ògiusti e imparzialiÓ (fair trial). In pi la CtEDU ha notato che il governo svedese non ha ottenuto nessuna garanzia di riapertura del processo e che la pena capitale non sarˆ applicata. Sulla base di cioĠ la CtEDU ha accertato lĠesistenza di rischio reale per il ricorrente se deportato, avrebbe infatti potuto essere soggetto a trattamenti contrari agli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 della CEDU, ravvisando la violazione di tali articoli da parte della Svezia.

 

 

 

 

 

Interruzione delle cure mediche a causa dellĠespulsione e violazione dellĠart. 3

 

La CtEDU  stata chiamata ad esprimersi in numerosi casi quando lĠordine di espulsione emanato rappresenta lĠinterruzione del trattamento medico essenziale, e tale misura pu˜ invocare la violazione dellĠart.3 da considerarsi come trattamento inumano e degradante.

 

Dunque, la situazione specifica in questi casi riguarda le situazioni in cui non vi  nessuna intenzione da parte delle autoritˆ nel paese ricevente di esporre lĠindividuo al rischio di subire i trattamenti proibiti dallĠart. 3, ma esistono fattori oggettivi che potrebbero peggiorare significantemente lo stato di salute dellĠindividuo in caso di esistenza di malattie particolari, come per esempio lĠinadeguato livello delle strutture mediche nello stato ricevente, a tal punto da essere considerato trattamento inumano e degradante.

Dunque la CtEDU si eĠ trovata obbligata a prestare unĠ accurata attenzione e valutare se i fattori oggettivi interferiscono con il valore assoluto dellĠart.3.

 

Nel valutare i casi relativi a questa situazione specifica la CtEDU ha stabilito dei criteri secondo cui lĠallontanamento dellĠindividuo con la conseguente interruzione delle cure possa costituire un trattamento inumano e degradante. Riassumendo, si puoĠ dire che sono di importanza essenziale il tipo e lo stato della malattia, il livello delle strutture mediche nel paese ricevente, e i legami con il paese ricevente, etc..

LĠorientamento pi progressivo della CtEDU in questi casi si pu˜ evincere dalla sentenza D. c. GB, sentenza del 2 maggio 1997, in cui le autoritˆ britanniche, dopo che il ricorrente scontoĠ la metˆ della pena detentiva, volevano deportarlo nel suo paese di origine (St. Kitts). Pronunciandosi nel merito la CtEDU ha ritenuto che lĠespulsione del ricorrente, gravemente malato di AIDS, in un paese che non possiede le strutture mediche adeguate avrebbe drasticamente compromesso il suo attuale precario stato di salute e ridotto la sua aspettativa di vita  (il rincorrente era giaĠ in stato avanzato di questa malattia terminale ed incurabile).

 

Pur riconoscendo lĠeccezionalitˆ del caso, dopo una accurata valutazione del livello delle strutture mediche e il trattamento a cui il ricorrente sarebbe stato sottoposto nel paese di origine, la CtEDU ha ritenuto che questo trattamento avrebbe provocato una sofferenza mentale e fisica al ricorrente e di conseguenza ha ravvisato la violazione dellĠart 3 da parte della Gran Bretagna.

 

LĠimportanza di questa sentenza  che rispecchia lĠapproccio pi progressivo della CtEDU che ha ritenuto che neanche le condizioni obbiettive non possono ridurre il valore assoluto e gli standard previsti dallĠart. 3. Dalle sentenze emanate successivamente si pu˜ notare un notevole ridimensionamento di questo approccio, presumibilmente dovuto allĠeccezionalitˆ del caso sopraccitato.

 

Nel caso S.C.C. c. Svezia, sentenza del 15 febbraio 2000, la CtEDU ritenne che lĠespulsione del ricorrente affetto da AIDS in stato iniziale nel paese di origine che possiede adeguate strutture mediche per questo tipo di malattia, con stretti legami con il paese di origine non costituisce trattamento degradante.

Un simile approccio si pu˜ riscontrare nel caso di Bensaid c. GB sentenza del 21 febbraio 2000, la CtEDU ha trovato che lĠespulsione del ricorrente affetto da schizofrenia nel paese di origine (Algeria) non rappresenta sufficientemente un rischio reale di subire un trattamento degradate dopo il suo rientro in Algeria.

Nonostante le prove prodotte dal ricorrente, quali il fatto che il suo villaggio si trova in zona dove sono diffuse attivitˆ terroristiche, che il pi vicino ospedale si trova a 70 km, la CtEDU pur riconoscendo la serietˆ della situazione, ha accertato la disponibilitˆ dei medicinali e delle strutture in grado di offrire il supporto medico al ricorrente, ritenendo che ricevere un trattamento medico meno favorevole rispetto a quello in GB non costituisce violazione dellĠart. 3.

 

BB c. Francia, sentenza del 7 settembre 1998,  rivalut˜ le condizioni personali del ricorrente nello stato espellente per verificare se lĠallontanamento dallo stato ospitante interferiva con il contenuto dellĠart. 3.

In questo caso il ricorrente, cittadino congolense, era soggetto al provvedimento di espulsione a seguito della pena detentiva per possesso di droga e violazione della normativa sullĠimmigrazione. Per il ricorrente, ammalato di AIDS e bisognoso di continue cure, tra cui un trattamento specifico disponibile solo in America del Nord e in Europa, la Commissione[21] nella sua opinione preliminare ha ritenuto che lĠallontanamento del ricorrente costituirebbe violazione dellĠ art. 3 [22].

 

Provvedimento sospensivo, la base per la protezione effettiva dellĠart 3

 

Per lĠeffettiva protezione dellĠindividuo di non subire i trattamenti proibiti dallĠart.3  essenziale che la misura sospensiva richiesta dalla CtEDU sia applicata dallo stato contraente pr evitare di causare un grave danno irreparabile per lĠindividuo nel caso del suo allontanamento. Il provvedimento sospensivo  essenziale per rendere possibile ÒlĠesercizio effettivoÓ del diritto di ricorso individuale, previsto dellĠart. 34 della CEDU che rappresenta uno dei suoi pilastri.

 

Nella giurisprudenza delle CtEDU non sempre eĠ stato chiarito questo ÒobbligoÓ degli stati di conformarsi con la richiesta della Corte. Il problema principale deriva dal fatto che lĠesistenza e il potere degli organi giurisdizionali internazionali come la CtEDU si basa sui trattati internazionali (CEDU) dove in mancanza di norme esplicite che inducono gli stati contraenti ad adattarsi a questa richiesta, lasciano un certo margine interpretativo[23].

 

Va ricordato tuttavia che anche in assenza di una indicazione, la prassi delle CtEDU  di richiedere allo stato contraente di adottare dei provvedimenti sospensivi solo in casi limitati dove si denota lĠesistenza di un grave danno irreparabile delle presunte violazioni degli articoli pi importanti della CEDU, quali lĠart. 2 (diritto alla vita), lĠart. 3 (proibizione della tortura e trattamenti inumani e degradanti), e lĠart. 8 (diritto della vita privata e familiare).

 

In questo senso, di particolar rilevo eĠ lĠinterpretazione della CtEDU sullĠimportanza degli stati contraenti di conformarsi con i provvedimenti sospensivi espressa nella sentenza Mamatkulov e Askarov c. Turchia, sentenza del 4 febbraio 2005, che riguardava lĠestradizione di due cittadini dellĠUzbekistan arrestati in Turchia su cui pendeva il mandato dĠarresto internazionale.

LĠUzbekistan ha chiesto la loro estradizione basandosi su un accordo bilaterale esistente tra questi due paesi. I due ricorrenti erano sospettati per omicidio politico e tentato attentato contro il presidente dellĠUzbekistan.

 

La CtEDU, vista la particolaritˆ della situazione, ha chiesto alla Turchia lĠapplicazione dei provvedimento sospensivi, ai sensi dellĠart.39 del regolamento interno, quindi di non estradare i ricorrenti prima che la CtEDU si fosse espressa sul caso.

Le autoritˆ turche, nonostante questa indicazione, dopo aver ottenuto la garanzia che i ricorrenti non sarebbero stati sogetti nŽ alla pena capitale nŽ ai trattamenti inumani ha deciso di estradare i ricorrenti. Un volta tornati in Usbekistan, durante il processo sono stati trovati colpevoli e giudicati alla pena  detentiva di 20 e 11 anni rispettivamente.

La CtEDU pur non riscontrando la violazione dellĠart. 3 a causa della mancata esistenza di prove sufficienti e  comprovanti che i ricorrenti abbiano subito trattamenti proibiti dallĠart. 3 dopo il loro rientro in Uzbekistan, evidenzi˜, in termini molto espliciti, che il mancato rispetto di adozione dei  provvedimenti sospensivi da parte della Turchia provoc˜ un grave danno per la CtEDU di esercitare il suo lavoro procedurale[24], in particolare il suo diritto di valutare lĠesistenza per i ricorrenti di un rischio reale subire i trattamenti contrari allĠart. 3.

La CtEDU ha chiesto alla Turchia di adottare il provvedimento sospensivo in quanto in base alle informazioni disponibili, quando il caso siĠ present˜ non era in grado di valutare lĠesistenza di un tale rischio in base alle informazioni disponibili.

 

La Turchia invece estradando il ricorrente ha impossibilitato la Corte ad esaminare la posizione dei ricorrenti, e ha privato i ricorrenti dellĠesercizio del loro diritto effettivo del ricorso individuale garantito dallĠart 34 delle CEDU.

La CtEDU riscontrando la violazione dellĠart. 34 ha fatto notare che lo scopo di tale articolo obbliga gli stati contraenti a non interferire con lĠeffettivo esercizio di tale diritto.

 

Altri casi relativi alla violazione dellĠart.34 della CEDU

 

Aoulimi c. Francia, sentenza del 17 aprile 2006, cittadino algerino residente in Francia per pi di 40 anni al quale le autoritˆ francesi hanno predisposto lĠespulsione definitiva a causa delle condanne penali riportate. La CtEDU aveva richiesto, ai sensi dellĠart.39 del regolamento della Corte, allo stato francese di sospendere lĠordine di espulsione fino alla decisione finale, in quanto si trattava di presunta violazione dellĠart. 3. La CtEDU ha evidenzi˜ in particolare che il ricorrente si trovava in precario stato di salute (epatite cronica) e che lĠesecuzione dellĠordine di espulsione in un  paese in cui  non potesse beneficiare di cure adeguate avrebbe potuto compromettere il suo attuale stato di salute. Le autoritˆ francesi, invece hanno deciso di eseguire lĠordine di espulsone nel 1999. Un anno dopo il tribunale francese di secondo grado ha annullato lĠordine di espulsione emesso, ma le autoritˆ algerine non hanno permesso al ricorrente di lasciare il paese. La posizione della CtEDU chiamata ad esprimersi su presunte violazione dellĠart. 3 e dellĠart 34 (diritto del ricorso individuale e obbligo degli stati contraenti di non ostacolare tale diritto). Per quanto concerne la violazione dellĠart. 3 la CtEDU ha ritenuto in base alle circostanze del caso che il rischio legato alle condizioni di salute del ricorrente non costituisca una violazione dellĠart. 3. Ben diversa la posizione delle CtEDU per quanto riguarda la violazione dellĠart. 34. per cui la CtEDU ha ritenuto che la Francia non conformandosi con la richiesta della CtEDU (art.39 del regolamento della Corte) di non espellere il ricorrente dal proprio territorio ha violato lĠart. 34 della CEDU.

 

LĠimportanza dellĠ osservazione dei provvedimenti sospensivi per gli stati contraenti  stata affermata anche nella pi recente sentenza Cahuas c Spagna, sentenza del 10 agosto 2006, dove le autoritˆ spagnole, agendo su richiesta di estradizione del ricorrente in Peru, non hanno osservato la richiesta della CtEDU di accorare le misure provvisorie al ricorrente fino alla decisone finale. Pur non trovando al violazione dellĠart. 3, la CtEDU ha affermato come nella precedente sentenza che il rifiuto di accordare il provvedimento sospensivo richiesto dalla CtEDU ai sensi dellĠart. 39 del regolamento della Corte rappresenta un grave ostacolo allĠesercizio effettivo del diritto di ricorso secondo lĠart. 34 della CEDU.

 

Il complesso caso Shamayev e altri c Russia e Georgia, sentenza del 12 aprile 2005, dove la CtEDU per ricostruire tutte le rilevanti circostanze del caso che indicavano presunte serie violazioni degli articoli della CEDU: art. 2 (diritto alla vita), art. 3 (proibizione della tortura e trattamenti e punizioni inumani e degradanti), art. 13 (diritto al ricorso effettivo), art. 34 (diritto, senza ostacoli al ricorso individuale) ha organizzato la visita sul campo in Georgia e Russia.

In breve, le autoritˆ georgiane hanno arrestato un gruppo di 16 persone, in maggioranza cittadini russi di origini cecene per lĠingresso illegale in Georgia e detenzione di armi. La Russia ha chiesto lĠestradizione di tali persone in quanto le riteneva coinvolte nelle attivitˆ terroristiche in Cecenia. La Georgia ha estradato cinque membri in Russia, che sono successivamente stati incarcerati.

 Alcune persone sono state liberate in Georgia dopo il processo, mentre le rimanenti sei persone in detenzione in Georgia hanno chiesto alla CtEDU di adottare il provvedimento sospensivo (art.39 del regolamento interno) per non essere estradate in Russia finchŽ la CtEDU si esprima in merito, temendo di rischiare di subire un trattamento contrario allĠart. 3.

Quando il caso  stato presentato a Strasburgo (come materia dĠurgenza anche la Russia eĠ stata informata), la CtEDU ha annunciato una missione sul campo in Georgia e in Russia, questĠultima  stata cancellata a causa della mancata cooperazione delle autoritˆ russe.

 

La delegazione della CtEDU ha avuto lĠopportunitˆ di ascoltare le rimanenti 6 persone in Georgia. La CtEDU, esprimendosi nel merito del caso sulla presunta violazione dellĠart 3 ha sostenuto che Òoltre il ragionevole dubbioÓ nel momento in cui le autoritˆ georgiane decisero di estradarli non cĠera un rischio di subire un trattamento contrario allĠart.3, mentre per le persone rimanenti in Georgia la CtEDU dichiar˜ il ricorso inammissibile in quanto su loro non pendeva nessuna richiesta di estradizione, e per alcuni membri lĠestradizione era inapplicabile a causa della loro cittadinanza georgiana. Per un detenuto, per˜ su cui pendeva la decisione da due anni di estradarlo (Gelogayev), la CtEDU ha ritenuto che eseguire lĠestradizione avrebbe rappresentato  violazione dellĠart.3 in quanto numerose fonti imparziali operanti in difesa dei diritti umani hanno affermato che le persone di origine cecene, ricorrenti dinanzi alla CtEDU sono Òparticolare oggetto di persecuzioniÓ da parte delle autoritˆ russe.

Quando il governo georgiano ha deciso successivamente (dopo la visita CtEDU) di estradare le rimanenti 5 persone dalla Giorgia alla Russia, che avevano chiesto il provvedimento sospensivo e che era stato accordato dalla CEDU, ma non applicato dalla Georgia, viene ravvisata la violazione degli articoli 34 (ricorso individuale e obbligo dello stato di non ostacolarlo) e art. 13 (ricorso effettivo) della CEDU. Da parte russa la CtEDU ha riscontrato anche le violazioni dellĠarticolo 38, para.1 (a) (obbligo di cooperazione a fornire le strutture per condurre lĠesame con gli interessati) della CEDU.

 



[1] Art. 4 Protocollo. n. 4, si riferisce al divieto di espulsioni collettive degli stranieri e art. 1 Prot. n.7 riguarda le garanzie contro lĠespulsione per gli stranieri regolarmente soggiornanti.

[2] Si vedano le decisioni della Corte Irlanda c. Gran Bretagna, sentenza del 18 gennaio 1978 para 162; e sentenza ,Tyrer c. Gran Bretagna, sentenza del 25 aprile 1978, paras. 29 e 30 che hanno stabilito che il trattamento inumano o degradante da considerarsi ai sensi dellĠ art. 3. deve avere un minimo livello di severitˆ, va infatti valutata in particolare la natura, il contesto e la durata del trattamento o della punizione, la maniera e il metodo della punizione, gli effetti psichici e fisici del trattamento e in certi casi anche lĠetˆ della vittima e il suo stato mentale e fisico.

[3] Crus Varas e altri c. Svezia, para.70.

[4] LĠart. 39 del regolamento si applica nei casi in cui lĠapplicazione del provvedimento (in questo caso lĠespulsione) possa provocare un danno grave e irreparabile al ricorrente; generalmente la prassi della CtEDU tende a prestare particolare attenzione a queste misure (estradizione, espulsione) quando sono eminenti e possono causare un trattamento contrario ai diritti della persona contenuti negli art. 2 (diritto alla vita), art.3 (proibizione della tortura e trattamenti inumani e degradanti), art 8. (rispetto per la vita privata e familiare) della CEDU. SullĠimportanza dellĠart. 39 del regolamento si veda il caso Mamatkulov e Askarov c. Turchia incluso.in questa rassegna.

[5]Crus Varas e altri c. Svezia. sentenza del 20 marzo 1991, para. 76

[6] Questo principio, ovvero la discrezionalitˆ delle CtEDU di condurre delle ricerche per raccogliere informazioni di iniziativa propria viene affermato in numerosi casi, si veda  infra 20.

[7] Sui criteri di valutazione di essere esposti al rischio contrario allĠart.3 della CEDU si veda  supra 2.

[8] Vilvarajah ed altri c. UK, la sentenza del 30 ottobre, para. 11.

[9] HLR c. Francia, sentenza del 27 aprile 1997, para. 40.

[10]Chagal c. Gran Bretagna , sentenza  15 novembre 1996, para.74.

[11]Ibid, para .80.

[12]Ibid..

[13] Commissione diritti umani fu abolita con lĠentrata in vigore del Protocollo n. 11 (1 novembre 1998) lasciando lĠesclusivo potere alla CtEDU di pronunciarsi sulle violazioni della CEDU.

[14] Ahmed c. Austria, sentenza del 27 novembre 1996, para 41.

[15] Ibid, para. 44.

[16] La corte turca in secondo grado ha ritenuto che lĠeventuale deportazione sarebbe stata pienamente  legittima,  Jabari c. Turchia, sentenza dal 11 luglio 2000, para. 49.

[17] Hilal c. GB, sentenza del 6 marzo 2001, para. 67.

[18] Questo si riferisce al primo caso in cui il controllo delle impronte digitali ha rivelato che il ricorrente avesse giˆ chiesto asilo in Olanda nel 1993 sotto falso nome presentatosi come cittadino dellĠAngola. La domanda per le autoritˆ olandesi fu considerata manifestamente infondata. Il ricorrente giustificava questa richiesta come una copertura per il suo lavoro di agente segreto per  individuare gli oppositori del regime di Mobutu residenti in Olanda.

[19]  Irlanda c. GB sentenza del 18 gennaio 1978, para 162, supra 2.

[20] Si vedano: Vilvarajah e altri c. Gran Bretagna, sentenza del 30 ottobre  1991, para. 107, and H.L.R. c. Francia, sentenza del 29 aprile 1997, para. 37. N c. Finlandia, sentenza del 27 luglio 2005, para.152.

[21] Supra, 13.

[22] BB c. Francia, sentenza del 7 settembre 1998, paras. 36, 37. Lo stato francese ha informato la CtEDU sui nuovi dettagli, che lĠordine di espulsione contro il ricorrente  stato annullato e gli  stato imposto solo lĠobbligo di dimora, a seguito di queste condizioni la CtEDU ha ritenuto che il ricorrente non correva nessun pericolo di espulsione e ha deciso, se non per nuove circostanze di cancellare il caso, sulle ingerenze delle Commissione i diritti umani si veda supra 13.

[23] Si veda ad.es: Crus Varas e altri c. Svezia, sentenza del 20 marzo 1991.

[24] Mamatkulov and Abdurasulovic c. Turchia, sentenza del 6 febbraio 2003, para 75.