Immigrazione e identit europea 

 

 

  1. Vi ringrazio di avermi invitato a ragionare con voi di immigrazione. Un tema che attraversa tutti i meridiani e i paralleli delle esistenze personali e risulta di particolare complessit perch limmigrazione un fenomeno sociale di natura globale. E come tale esso raggiunge lintimit dei popoli e ne lavora lincoscio collettivo. Un fenomeno che, per i numeri e gli enjeux che mette in campo, sicuramente destinato a giocare un ruolo cruciale nelle societ europee. Mettere a tema un argomento come questo significa  convocare passato e presente, ma soprattutto ipotecare lavvenire. Luomo, avvertiva A. Smith nella sua opera Sulla ricchezza delle nazioni, la merce pi difficlile da trasportare. Detto questo, vorrei succintamente precisare da dove parlo. Durante 30 anni, ho lavorato con gli immigrati di Bruxelles, una citt che di immigrati ne conta davvero tanti. Dal 1970 al 2000 ho cercato di dare vita a nuove modalit di intervento e ho contribuito a trasformare le categorie di analisi che cercavano di interpretarne i dati. Un cambiamento di marcia che, lungi allessere concluso, continua ad accompagnare i molteplici lavori in corso con i quali si cerca di rendere limmigrazione solubile nelle nostre societ che sul fenomeno portano uno sguardo pi preoccupato che attento alle sue potenzialit. Durante 30 anni ho fequentato, come ricercatore e come attore sociale, i marciapiedi e gli incroci, gli snodi e le derive del quotidiano di molti immigrati, osservandone nel tempo successi e insuccessi. Non vi meraviglier, dunque, se il mio sar un intervento appassionato.

 

  1. Jacques Lacan, uno dei maestri del pensiero psicanalitico europeo, amava dire che le parole ci precedono, esse ci parlano prima che noi le parliamo. Ebbene, nel titolo che mi stato assegnato ci sono tre parole che ci parlano forte e, ne sono convinto, in modo fortemente diverso: immigrazione, identit, Europa.

Partiamo dalla prima. Quando inciampamo nella parola immigrazione ciascuno di noi ha sicuramente una sua personale rappresentazione. Le rappresentazioni sono come le belle donne, ciascuno ama naturalmente la propria. Eppure sappiamo che la bellezza in s non sta tutta in una sola persona, ma sintesi di tutto il bello del mondo. Anche limmigrazione fa sintesi di tutte le nostre personali rappresentazioni e in quanto sintesi qualcosa di pi completo di quello che percepiamo a partire dal nostro piccolo osservatorio. Nonostante lEuropa conosca il fenomeno migratorio da molti decenni, essa non ha ancora finito di regolare i conti con le sue migrazioni. E questo nonostante molti ritengano che rappresenter uno degli appuntamenti pi problematici del nuovo secolo. Se per il passato utile ricordare laffermazione dello scrittore svizzero Max Frisch: aspettavamo delle braccia e ci sono arrivati degli uomini e delle donne, il presente si pu riconoscere nel titolo del capolavoro di Marcel Proust  Alla ricerca del tempo perduto. Limpegno di ricuperare il tempo perso interpreta bene, mi pare, la reale situazione dellEuropa nei confronti dei suoi immigrati. Sempre pi numerosi, ma per lo pi parcheggiati nel limbo di una mera presenza funzionale alleconomia e additati spesso come un pericolo potenziale, gli immigrati chiedono una integrazione equilibrata, dove il rispetto delle differenze non significhi condanna alla marginalit. Se non vogliamo che le nostre societ si trasformino in un campo di guerra di tutti contro tutti, fare sintesi pertinenti diventer la patria dei nostri comuni destini. Va aggiunto che anche a proposito di questo fenomeno cՏ un albero che nasconde la foresta. Immigrazione non sono solo gli sbarchi di clandestini a Lampedusa e alle Canarie e neppure le furbizie di qualche profittatore che nel sottobosco delinque, ma soprattutto i milioni di immigrati che lavorano e creano imprese e i milioni di studenti che le nostre scuole preparano ad essere i nostri concittadini di domani. A proposito della delinquenza di alcuni immigrati, che non certo da passare sotto silenzio, sar il caso di non dimenticare che fa pi rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Ma soprattutto che in un mondo diventato troppo in fretta villaggio globale, i milioni di immigrati regolari ci mettono sotto i piedi i tacchi giusti per collocarci allaltezza del mondo ed essere in grado dare del tu al processo della sua rapida evoluzione.

Per ascoltare con seriet la domanda di sicurezza dellopinione pubblica, che non sempre capisce da dove le viene loscuro sentimento di insicurezza di natura multifattoriale che la attraversa, bisogner accettare la crescente richiesta degli immigrati di prendere parte attiva alla scrittura di un nuovo patto sociale che li prenda in considerazione come soggetti di civile convivenza. Presenza di lungo periodo e ormai riconosciuta come strutturale, limmigrazione aspetta lapertura di un dialogo di cui lEuropa stenta a trovare la grammatica e la sintassi. Abituata da secoli a coniugare il verbo migrare pi al passivo che allattivo, lEuropa prova qualche difficolt a portare su di s uno sguardo diverso. Anche se lItalia detiene il record europeo delle partenze, non cՏ, a ben guardare, un solo paese in Europa che non abbia avuto una lunga e dolorosa consuetudine col verbo emigrare.

In Europa, lanalisi dellimmigrazione stata a lungo viziata da uninterpretazione di natura congiunturale.Tutto il dramma delle seconde/terze generazioni trova la sua origine in questa lettura del fenomeno secondo cui i migranti erano un semplice epifenomeno del pieno impiego e sarebbero ripartiti appena realizzato un piccolo gruzzolo. In questo errore sono trascorsi decenni e i figli, sovente i figli dei figli, sono diventati grandi con addosso una serie impressionante di fallimenti scolastici, di discriminazioni e limpossibilit radicale di definirsi figli di una terra, di una nazione e di una cultura. Sono restati dei figli di nessuno. Se nellimmediato dopoguerra, le immigrazioni erano dirette verso i settori della produzione in perdita di competitivit e avvenivano per contingenti regolati da convenzioni tra gli Stati, a partire dagli anni 80 le migrazioni si muovono verso paesi dalle frontiere chiuse, sono quasi sempre illegali, pi esposte al traffico di esseri umani, sono pi di prima femminili, di scolarit pi alta e finiscono nelle pieghe delleconomia informale. Non difficile prevedere che tutto questo continuer ad approfondire la  tensione tra un sistema produttivo che domanda pi immigrati e lo Stato e la societ che li rifiutano. Una situazione che rende pi complicato lesercizio della solidariet anche per quelli che, con una bella espressione inglese, compongono ladvocacy coalition. E come sempre, quando viene meno la solidariet, avanza la complicit. Gli stessi immigrati, abbandonati a un improvvisato fai da te, incontrano enormi difficolt a creare delle reti proprie, quelle che nella storia del migrare hanno sempre rappresentato un valore aggiunto estremamente positivo. Nonostante questa precaria situazione e pur tra mille difficolt dovute, non da ultimo, alla complessa congiuntura internazionale che viviamo, il tempo fa la sua opera e anche in Europa limmigrazione conosce una relativa stabilizzazione. LEuropa si abitua a poco a poco ai suoi immigrati, gli immigrati si abituano alla loro Europa e il futuro comincia a poter essere immaginato insieme, sulla trama di una comunit di destini. Se questo vero, diventa urgente invitare coloro che credono possibile non essere toccati dal fenomeno migratorio a non assentarsi dalla storia e dalla geografia. Tutti i parametri economici e demografici concordano nel prevedere che le migrazioni in Europa sono destinate a crescere. Posti nellincapacit di evitarle, diventa determinante renderle omeopatiche. Omeopoatiche non vuol dire omogenee, n fatte a nostra immagine e somiglianza, ma semplicemente immuni da violenza – la nostra e la loro -  e non suscettibili di innescare una deflagrazione sociale a catena. Ma diventa altres importante ricordare a quanti sognano frontiere aperte e incontrollate che questo sogno si trasforma facilmente in un incubo. Violentare lintimit dei popoli porta sempre a reazioni non solo incontrollate ma incontrollabili. Se limmigrazione un fatto sociale globale, le reazioni che pu suscitare sono sempre di natura emozionale e di carattere sistemico. Quando un fatto sociale globale suscita rigetto, il rigetto finisce per essere inevitabilmente globale.

 

  1. Ma cՏ una seconda parola che chiede di essere aperta e interpretata ed identit. Lenorme fortuna di cui gode attualmente questa parola dipende in larga misura dalla crisi delle societ in cui circola. In ogni situazione di crisi, lidentit rischia di diventare un valore rifugio al quale ci si aggrappa allorquando si ha limpressione che le cose vadano male. Da valore rifugio, lidentit si trasforma subito dopo in una prigione che nel difendere rinchiude e col proteggere toglie respiro e spegne il gusto di vivere. E cos che crescono quelle che il libanese Amin Maalouf chiama le identit assassine. Le tradizioni in buona salute non hanno mai avuto paura di dialogare e di prendere linfa da ogni incontro. E cos che tutte le civilt sono cresciute e si sono arricchite. Ogni civilt il prodotto di un ininterrotto processo di import/export culturale. LEuropa stessa sta crescendo dal momento in cui lodio e il sospetto reciproco si sono assopiti, sono state bandite le guerre e i popoli hanno cominciato a guardarsi come partner e non come nemici. E questo sguardo fraterno che adesso ci viene domandato di portare su antiche e gloriose tradizioni culturali che, durante millenni, la storia ci aveva dato di conoscere solo da lontano, sovente con diffidenza e stereotipi superficiali. Anni fa ho lanciato uno slogan che vedo ormai tradotto in molte lingue e che qui ripeto: le societ del futuro sono quelle che sapranno unire senza confondere e distinguere senza separare. Le societ dellascolto, del dalogo, della sintesi e dellunit rispettosa delle differenze. Quelle cicatrici della storia che chiamiamo frontiere, sono diventate ormai una cresta donda mobile e interattiva. E giunto il momento di riconoscere i prestiti culturali di cui ogni cultura il risultato, di valorizzare quello che ci unisce e non di considerare solo quello che ci divide. E tempo di capire che cՏ molto di noi negli altri e molto degli altri in noi. Il binomio noi/gli altri ormai da declinare con altre modalit, perch tra i due termini sta cambiando la relazione. E urgente dotarsi – e tutti - di un noi ospitale. Oggi pi di ieri diventa chiaro che il futuro potr essere costruito solo con gli altri, mai senza, e ancor meno contro. Pi che nel passato, il futuro sar da scrivere a pi mani. Come sostiene lo storico Rudolf von Thadden, non si far Europa – n mondo pacificato - senza la presenza dellaltro. Lo Shock delle civilt, di cui si parla tanto, non probabilmente che uno shock di reciproche ignoranze. Osservando la terra ripresa dalla sonda Voyager dallesterno del sistema solare, lastronomo Carl Sagan ebbe a scrivere: il nostro pianeta solo un solitario puntino nel grande ventre del buio cosmico. Un puntino che fa tenerezza e insegna lumilt. Questa fragile immagine ci rammenta tutta la nostra responsabilit e ci invita ad occuparci con pi benevolenza di tutti gli altri per preservare con cura questo puntino di pallida luce azzurra che il nostro granello di polvere sospeso ad un raggio di sole.

 

  1. E infine la terza parola messa a tema: lEuropa. Delle tre quella in cui, nonostante il difficile periodo che attraversa, ho limpressione di trovarmi a casa. LUnione europea un autentico piccolo, grande miracolo che Germania e Italia hanno il vanto di avere dallinizio contribuito a creare. Un laboratorio che non mai stato di gestione semplice, ma che ha gi dato dei solidi risultati: 50 anni di pace in un subcontinente che, dalla caduta dellimpero romano, ha conosciuto mediamente una guerra ogni 20 anni. Ma anche un sostenuto e ininterrotto trend di benessere senza precedenti. Aveva ragione Thomas More quando diceva che nessuna carta geografica completa se non contiene un fazzoletto di terra che si chiama utopia. E utopia sembrava a molti il sogno europeo immaginato da Adenauer, De Gasperi e Schuman sulle macerie ancora fumanti di quella guerra civile europea che fu la seconda guerra mondiale. Per quel poco che vale, sono profondamente convinto che unidentit europea esista e pi profonda di quanto si disposti a credere. E questo non solo perch lEuropa si presenta come la terra dei campanili e il suo territorio un capolavoro creato dal lavoro umano che ha curato ogni zolla di terra con unattenzione da manicure, ma soprattutto per il pensiero di alto spessore che ha regalato allumanit, nonch per la filosofia sociale che ha podotto i diritti delluomo e la diffusione di un livello di Welfare che non ha luguale nel mondo. Nonostante i gravi errori che hanno macchiato la sua storia, lEuropa stata un faro di civilt e negli ultimi decenni diventata un laboratorio dove pensare il futuro dellumana condizione. Con alle spalle una tradizione impressionante come quella che vengo di evocare, il difficile diventa restare degni del proprio passato e lavorare il presente perch segni laurora di una nuova ingegneria del futuro. Il problema dellEuropa sar anche, come dicono gli americani, che non ha un numero di telefono, ma soprattutto quello di sapere restare allaltezza del suo incredibile patrimonio. I temi di cui abbiamo parlato sono senza ombra di dubbio una sfida da vincere pena non essere pi degni del nostro passato e scivolare nellinsignificanza. Firmare un patto di umanit con i nuovi venuti, definire una nuova identit che li implichi e non li escluda, renderli compagni di viaggio allinterno del continente uomo un impegno dal quale non possiamo assentarci senza perdere lorgoglio di essere stati europei. Essere europei oggi ci impegna a proporci come umili, ma decisi architetti di un villaggio-mondo costruito sulle differenze che lo abitano e navigatori discreti del viaggio verso uninedita unit plurale. 

 

 

Bruno Ducoli

                       Presidente del Centro europeo di promozione interculturale di Gargnano (Bs)