LĠintegrazione degli immigrati: lĠesperienza italiana a confronto con quella tedesca

 

a cura di Franco Pittau e di Luca Di Sciullo

con la collaborazione della Redazione Centrale Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes

 

 

Roma, Auditorium del Goethe Institut Rom, Via Savoia 15, 00198 Roma

Luned“, 11 giugno 2007

Conferenza sullĠintegrazione degli immigrati, delle loro famiglie e dei giovani

 

 

 

 

 

            1. Partire dai dati statistici per evitare i pregiudizi

            Siamo soliti partire dai dati statistici perchŽ questa  la nostra specializzazione nella lettura del fenomeno migratorio.

Pensiamo anche che questo tipo di lettura sia in grado di assicurare vantaggi consistenti: innanzi tutto perchŽ i numeri, correttamente utilizzati, sono un efficace antidoto contro i pregiudizi e i modelli del passato, che, come ha sottolineato il vescovo presidente di Caritas Italiana, mons. Montenegro, non sono stati inutili ma non sono pi allĠaltezza dei tempi; in secondo luogo, le statistiche hanno il vantaggio di favorire lĠindividuazione degli aspetti strutturali che caratterizzano il caso italiano.

Il CNEL si  adoperato per far assurgere questa impostazione ad una metodologia organica e cura da cinque anni un Rapporto sugli indici di inserimento degli immigrati, nel quale, sulla base di molteplici indicatori statistici, si mette in evidenza come le potenzialitˆ di integrazione siano differenziate tra le diverse Regioni e le diverse Province.

Questa metodologia favorisce anche il confronto tra i diversi Stati membri e, in particolare, risulta molto funzionale per evidenziare differenze e somiglianze tra Italia e Germania. Il confronto verrˆ fatto, in questo contesto, in maniera sommaria, mentre uno specifico progetto permetterebbe di pervenire a risultati ben pi soddisfacenti.

Il compito di questa relazione consiste, per lĠappunto, nel presentare lo stato dellĠintegrazione degli immigrati in Italia in una maniera che sia confrontabile con quanto avviene in Germania.

            Come redattori del Dossier Statistico Immigrazione non siamo solo studiosi ma anche operatori della rete Caritas/Migrantes e perci˜, grazie alla collaborazione dellĠAmbasciata tedesca e della Friedrich Ebert Stiftung, non solo abbiamo proceduto ad una comparazione delle statistiche dei due paesi e curato una rassegna delle ricerche fatte nel passato, ma abbiamo anche condotto unĠindagine a proposito dello stato dellĠintegrazione, facendo intervistare 60 testimoni privilegiati, scelti tra la popolazione immigrata a Roma, lĠarea urbana con il pi alto numero di immigrati.

            Il tutto, compreso questa premessa metodologica,  stato condensato in 10 punti, una sorta di decalogo comparativo sullĠintegrazione, che speriamo aiuti noi e gli amici tedeschi a giungere ad una visione europea dellĠintegrazione degli immigrati.

 

  1. LĠItalia  simile alla Germania per essere un grande paese di immigrazione

In Italia gli immigrati sono allĠincirca la metˆ di quelli della Germania (6.751.002 al 31.12.2006): circa 3.500.000 e unĠincidenza del 6% secondo le nostre stime (Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2006, edizioni Idos, Roma, 2006). Ogni 10 anni, inoltre, la popolazione immigrata  raddoppiata: cos“  avvenuto negli anni Ġ70, negli anni Ġ80 e negli anni Ġ90. Dal 2000 in poi per il raddoppio sono bastati appena 5 anni. In Germania gli immigrati superarono la soglia di 7 milioni nel 1993 e si mantennero a tale livello per 10 anni, per scendere nel 2004 di 250 mila unitˆ e ridimensionare lĠincidenza dallĠ8,9% allĠ8,1%.

In Italia, dal 1970, quando gli immigrati erano solo 144.000, lĠaumento  stato di ben 25 volte. Tutto lascia prevedere che tra 10 anni in Italia gli immigrati saranno 7 milioni, tanti quanti se ne contano oggi in Germania. Avvicinandoci alla metˆ del secolo e continuando questo andamento, senzĠaltro gli immigrati supereranno i 10 milioni, in pratica 1 ogni 5 residenti. Non  escluso che lĠItalia diventi il paese dellĠUnione con il maggior numero di immigrati. Questo afflusso  determinato da un trend demografico pi negativo rispetto a quanto avviene nellĠUnione e negli altri paesi del mondo: basti pensare che, secondo le pi recenti previsioni (Istat 2006), tra il 2005 e il 2020 gli italiani tra i 19 e i 44 anni diminuiranno di 4 milioni e mezzo di unitˆ.

La Germania risulta statisticamente un paese di pi antica immigrazione, in cui un quinto degli stranieri  nato sul posto (e ben il 30% degli italiani residenti, e cio 160.144 persone). 

LĠanzianitˆ dellĠimmigrazione si rileva anche dagli anni medi di permanenza: 16,8 per la totalitˆ degli immigrati e ben 24,3 per gli italiani, preceduti peraltro dagli immigrati di Olanda, Austria, Slovenia e Spagna. é sorprendente constatare che lĠ84% degli immigrati vive sul posto da pi di 5 anni (e tra di essi il 72% da pi di 10 anni), mentre in Italia lĠanzianitˆ di 5 anni di residenza  maturata a stento dalla metˆ della popolazione immigrata.

Vi  un curioso parallelismo allĠinverso tra Germania e Italia. La Germania, in mezzo secolo, dal 1951 al 2001, ha accolto 31 milioni di immigrati (compresi gli oriundi tedeschi nati in altri paesi, circa la metˆ del totale) e ne ha visto ripartire 22 milioni. LĠItalia dal 1861 ad oggi ha visto emigrare 28 milioni di cittadini, dei quali, ad esclusione di quelli che sono rimpatriati o che hanno acquistato la cittadinanza del posto o che sono morti, 3 milioni conservano la cittadinanza italiana (Cfr. Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2006, edizioni Idos, Roma 2006). E per˜, seppure con un ritardo di almeno 30 anni rispetto alla Germania, lĠItalia  diventata un paese di immigrazione e si caratterizza per un ritmo di aumento che non ha lĠuguale in Germania, con un fabbisogno di 200.000 lavoratori e 100.000 ricongiungimenti familiari allĠanno. In Germania nel 2004 il saldo tra entrate e uscite  stato positivo, ma solo di 55.216 unitˆ; in Italia i rientri sono molto pochi e il saldo positivo  ben pi consistente. Anche il flusso di richiedenti asilo, che in Germania superava le 100.000 unitˆ fino al 1997,  sceso a 35.000 nel 2004 (comunque tre volte di pi rispetto allĠItalia, che invece, come paese di frontiera, registra flussi pi elevati di immigrati irregolari).

Attualmente Italia e Germania, per il fatto di essere due grandi paesi di immigrazione, sono sollecitate al varo di grandi politiche di integrazione, trattandosi di una dimensione strutturale della societˆ attuale e del futuro, e quindi da prendere seriamente in considerazione. LĠimmigrazione, insomma,  una questione con la quale bisogna per forza misurarsi.

 

  1. LĠItalia si distingue dalla Germania per una composizione pi policentrica dei suoi immigrati

La Germania  nota per la netta supremazia numerica del primo gruppo nazionale, quello turco, pari ad un quarto del totale, e cio 1.764.000 persone. LĠItalia , invece, un paese da noi definito ÒpolicentricoÓ, che conta numerose collettivitˆ di una certa consistenza: per arrivare a un terzo del totale bisogna mettere insieme le prime tre collettivitˆ: romeni, albanesi e marocchini. Segue un gruppo di altri paesi, dalla presenza non cos“ numerosa ma comunque consistente, alcuni di vecchia data e altri no: Ucraina, Cina, Filippine, Tunisia, India, Per, Ecuador, Egitto, Senegal, Moldavia e Sri Lanka.

In questo gruppo di testa sono inclusi quattro continenti (Europa, Africa, Asia e America), diverse aree subcontinentali, numerose lingue e tradizioni culturali, le pi grandi religioni del mondo (cattolici, ortodossi, protestanti, musulmani, induisti, buddisti, sikh, seguaci delle religioni tradizionali). Un gruppo, che nel processo di integrazione volesse assolutizzare i suoi tratti linguistici, culturali e religiosi, non troverebbe il supporto in questa realtˆ di base, per cui si pu˜ ritenere che la molteplicitˆ, se ben gestita nonostante la sua complessitˆ, diventa garanzia di democraticitˆ e un baluardo contro gli unilateralismi.

Notevole  la differenza delle provenienze continentali. In Germania si registrano questi valori: Europa 79,6% (tra gli europei, i comunitari sono 2 milioni su 5.375.000 e gli italiani 535.000), Africa 4,0%, America 3,2%, Asia 12,1%, Australia e altri paesi 1,1%.

In Italia, invece, lĠimmigrazione  meno europea e pi terzomondiale: Europa 48,8%, Africa 23,1%, Asia 17,4%, America 10,6%, Oceania e altri paesi 0,1%. 

 

 

 

  1. LĠItalia, a differenza della Germania,  ha preso coscienza pi velocemente di essere un paese di insediamento stabile

LĠimmigrazione  iniziata in Italia nei primi anni Ġ70, quando nei paesi europei, a seguito della crisi petrolifera e del ristagno dello sviluppo, si determinarono le prime chiusure ai flussi migratori.

Nella prima fase della sua storia di immigrazione, durata per tutti gli anni Ġ80, lĠItalia  stata in buona misura unĠarea di passaggio per immigrati che si sono diretti verso lĠarea francofona o anglofona, di curdi e turchi interessati a recarsi in Germania, come anche di richiedenti asilo desiderosi di stabilirsi definitivamente oltreoceano, specialmente nel Nord America.

Con la legge Martelli del 1990 e a seguito dei flussi di tutti gli anni Ġ90, avvenuti in maniera preponderante al di fuori delle ridotte quote ufficiali,  maturata la consapevolezza che lĠItalia  un paese di insediamento stabile. Per giungere a questa conclusione gli italiani hanno impiegato minor tempo rispetto alla Germania, anche perchŽ nel frattempo in tutta lĠUnione si era resa pi evidente la tendenza di lunga durata dei flussi migratori.

Questa presa di coscienza trova un riflesso nelle norme italiane sullĠimmigrazione, che si sono succedute: basti pensare a quanto dice la prima legge sullĠimmigrazione (del 1986) sulla paritˆ dei diritti e sullĠaccesso ai servizi sociali e a quanto dispone la legge del 1998 in materia di politiche dĠintegrazione e di aperture interculturali.

Oggi la Germania e lĠItalia, nonostante lĠalto numero di disoccupati (in Germania 3,9 milioni, pi del doppio rispetti allĠItalia), sono coscienti che gli immigrati senza lavoro non sono in grado di coprire tutti i posti vacanti: in Germania si punta molto sui lavoratori qualificati, in Italia si  coscienti che, in una certa misura, servono anche lavoratori non qualificati.

In Italia si riscontra maggiormente la tendenza allĠinsediamento stabile, non solo dallĠalto numero dei ricongiungimenti familiari (sui 100.000 lĠanno rispetto ai 76.000 della Germania), ma anche dalla sostanziale paritˆ tra i sessi (in Germania, invece, i maschi immigrati sono il 52%) e dallĠincidenza dei minori (pari in Germania al 18,2% e in Italia al 21,9%). In Italia sono anche pi elevate le nascite da entrambi i genitori stranieri (52.000 nel 2005), pari al 9,4% del totale delle nascite, mentre in Germania sono state nel 2004 appena 36.214 (un terzo rispetto alle 100.000 nascite degli anni Ġ90) su un totale di 755.622, ma questo avviene anche perchŽ molti dopo la nuova legge sulla cittadinanza nascono giˆ come cittadini tedeschi.

Il tallone di Achille, tipicamente italiano, consiste nelle prassi amministrative insoddisfacenti, nelle coperture finanziarie insufficienti e nella eccessiva contrapposizione dei partiti sul tema dellĠimmigrazione, contrapposizione che ha esercitato un pesante effetto negativo sulla popolazione, dividendola tra favorevoli e contrari agli immigrati.

 

  1. La difficoltˆ della politica italiana consiste nel dover rispondere contemporaneamente alle esigenze degli immigrati giˆ insediati stabilmente e a quelle differenziate degli immigrati arrivati da poco

In sintesi, lĠItalia  chiamata a continuare a farsi carico dei compiti di emergenza, a causa delle elevate quote di ingresso e della pressione migratoria anche irregolare, e nello stesso tempo deve concentrarsi sempre pi sullĠintegrazione della popolazione giˆ insediata.

Per i nuovi arrivati, che in Italia sono molto pi numerosi rispetto a quelli che si registrano in Germania, servono misure in grado di superare le emergenze tipiche di chi  spaesato in un nuovo contesto in cui la lingua, la mentalitˆ, il funzionamento degli uffici, le normative sono differenti. A questo scopo sono indispensabili, innanzi tutto, uffici pubblici pi funzionali, obiettivo ancora lontano che si sta cercando di raggiungere attraverso una sperimentazione di ampia portata. Inoltre, i nuovi arrivati hanno bisogno di essere aiutati per il disbrigo delle pratiche amministrative, con lĠorientamento, le traduzioni, lĠinterpretariato, lĠassistenza.

Vi sono poi quelli che, vivendo in Italia da almeno cinque anni, sono ormai soggiornanti di lunga durata: si tratta di circa la metˆ della popolazione straniera, una percentuale che nel passato era ancora pi alta ed  stata ridimensionata dalla frequenza degli arrivi. Questi ÒlungosoggiornantiÓ, salvo casi particolari, non hanno pi bisogno di aiuti di emergenza bens“ di un sostegno per unĠintegrazione non superficiale. Pur essendo portatori di culture diverse, essi sono intenzionati a inserirsi armoniosamente e stabilmente nella societˆ italiana e, per questo, chiedono spazi adeguati per una dignitosa partecipazione: sotto questo aspetto la situazione italiana  analoga a quella riscontrabile in Germania e in altri Stati membri, ma non contempla in maniera organica corsi di integrazione e di lingua.

In Italia  molto diffusa la figura del mediatore culturale e molto apprezzata la funzione della mediazione culturale, che, rispetto a strutture tradizionali di tutela come i patronati,  meno tecnica e pi culturale. In concreto, poichŽ la societˆ odierna si compone di diversitˆ una volta neppure immaginabili, il concetto di ÒmediazioneÓ sottolinea che gli immigrati devono essere aiutati ad adattarsi agli italiani e alle loro norme fondamentali e che gli italiani, a loro volta, devono essere aiutati a conoscere le specificitˆ socio-culturali degli immigrati e, quindi, a rispettarle. In prospettiva, lĠintera societˆ  chiamata ad essere intrinsecamente interculturale: nelle sue leggi, nei suoi uffici, nella mentalitˆ dei suoi cittadini.

 

  1. Per lĠintegrazione, anzichŽ modelli da seguire, vi sono ormai solo piste operative da sperimentare

LĠItalia, pervenuta alla consapevolezza di essere un paese di immigrazione stabile,  diventata un laboratorio molto meno condizionato dalle esperienze del passato, come invece  il caso non solo della Germania, ma anche della Francia, della Gran Bretagna e di altri Stati membri, che hanno dovuto constatare i limiti dei loro modelli, ciascuno dei quali contiene per˜ elementi positivi da salvaguardare, per cui  fondato affermare che non si parte dallĠanno zero.

Questi, ad esempio, sono alcuni dei punti fermi emersi nellĠesperienza europea:

    1. Non sono assolutamente ammissibili deroghe alle norme fondamentali che regolano la vita del paese di accoglienza. Con altrettanta risoluzione non si devono confondere le consuetudini particolari di un paese occidentale con aspetti fondamentali, quali il concetto di societˆ laica, lĠuguaglianza dei sessi di fronte alla legge e anche lĠuguaglianza delle religioni, per limitarci ad alcuni esempi significativi.
    2. Il fatto che alcuni paesi abbiano incentivato le acquisizioni di cittadinanza,  positivo per lĠampliamento dello spazio di identificazione e di partecipazione che cos“ viene offerto specialmente ai figli degli immigrati, ma ancora non  determinante per una pacifica convivenza societaria, se in precedenza non si  lavorato per costruire una societˆ pienamente inclusiva e aperta al pluralismo.
    3. Diversi fattori, in grado di favorire una convivenza fruttuosa, pi che essere ancorati alla normativa, dipendono dallo sforzo di capirsi a vicenda, cercando cio di adattarsi gli uni agli altri. La storia, che impone a noi e agli immigrati di convivere stabilmente, esige da tutti una mentalitˆ di reciproco adattamento.

Siamo, quindi, di fronte ad un concetto di integrazione diverso rispetto a quello proposto nel passato. Si pu˜ dire che siamo tutti apprendisti. Tanto i vecchi  paesi di immigrazione che quelli di nuova immigrazione, tanto gli Stati membri del Nord e Centro Europa che gli Stati membri del Mediterraneo: siamo chiamati a costruire, anche con il contributo degli immigrati, un nuovo modello di convivenza, pi europeo e comunitario che calibrato sulle esigenze del singolo Stato membro.

 

  1. LĠItalia  riuscita abbastanza bene con le prime generazioni, mentre resta da accertare cosa avverrˆ con le seconde generazioni

Sono tanti i fattori che hanno consentito un inserimento relativamente positivo delle prime generazioni: il carattere comparativamente aperto della normativa; lo schieramento favorevole delle forze sociali ed ecclesiali; il supporto assicurato dal mondo del lavoro, tanto da parte dei sindacati che degli imprenditori; il forte fabbisogno di manodopera aggiuntiva; il basso tasso di conflittualitˆ tra culture e religioni. Non tutto per˜  andato per il verso giusto e il processo risulta ora rallentato, perchŽ persistono le discriminazioni, sono stati ridotti gli spazi di partecipazione in ambito pubblico, societario e nel mondo del lavoro e una quota considerevole della popolazione locale si mostra o chiusa o quanto meno titubante di fronte allĠimmigrazione.

Qualche esempio pu˜ essere illuminante. Il 60% dei lavoratori immigrati segnala lĠesistenza di discriminazione da parte dei colleghi e solo il 35% dichiara di aver ottenuto avanzamenti nellĠinquadramento professionale, percentuale che scende allĠ11,4% per le donne (Ires-Cgil 2005).

Nonostante il rifiuto di fornire un alloggio agli immigrati regolari rientri tra le forme di discriminazione sanzionate da un risarcimento e da una reclusione fino a 3 anni, nei giornali di annunci economici (ÒPorta PorteseÓ a Roma e ÒSecondamanoÓ a Milano) le inserzioni di questo tipo sono ricorrenti (Indagine della testata www.stranieriinitalia.it pubblicata nel mese di aprile 2005). LĠindisponibilitˆ ad affittare agli immigrati  stata confermata anche da unĠindagine condotta su 10.000 iscritti (su un totale di 60.000) allĠAssociazione Piccoli Proprietari di Case in 5 cittˆ del Nord Italia e in 7 del Sud: il 57% degli intervistati non  disponibile.

            Resta, poi, da decifrare quale sarˆ il nostro atteggiamento verso le seconde generazioni, che iniziano ad essere di numero consistente (i minori hanno superato le 600 mila unitˆ). La scuola italiana, che nel passato si  rivelata una grande agenzia di inserimento dei figli degli immigrati, inizia a mostrare segni di fatica per la diversitˆ di orientamenti impartiti dai diversi schieramenti politici al governo e anche per lĠesiguitˆ delle risorse finanziarie disponibili.

Al momento  molto preoccupante (e anche poco studiata) la ridotta partecipazione dei giovani immigrati ad attivitˆ in comune con gli italiani e ancora non  stata superata la rigiditˆ dellĠattuale percorso di attribuzione della cittadinanza. Tornerebbe sommamente utile riflettere su quanto  stato realizzato in altri Stati membri e segnatamente in Germania. In base alla nuova legge tedesca sulla cittadinanza, in vigore dal 1Ħ gennaio 2001, per gli adulti il requisito di residenza per ottenere la naturalizzazione  stato ridotto da 15 a 8 anni e presuppone la conoscenza della lingua tedesca. Per i minori lĠaccesso alla cittadinanza  spianato quando almeno uno dei genitori ha da 8 anni il permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Nel 2004 i casi di naturalizzazione sono stati 127.000 (sei volte di pi rispetto allĠItalia).

In Italia il tasso di accesso alla cittadinanza  tre volte inferiore alla media europea, per cui la societˆ italiana al suo interno conta solo poche centinaia di migliaia di cittadini di origine straniera, in grado di rappresentare le esigenze delle diverse collettivitˆ ai vari livelli della vita associata (parlamento, uffici pubblici, scuola, strutture religiose ecc.) e di svolgere una funzione di mediazione.

 

  1. LĠatteggiamento degli immigrati nei confronti dellĠItalia , tutto sommato, non negativo.

LĠanalisi delle principali indagini condotte nellĠultimo triennio consente di evidenziare un atteggiamento fondamentalmente positivo della popolazione immigrata insediatasi in Italia.

I rapporti di vicinato con gli italiani solitamente vanno bene e sono caratterizzati dalla reciproca disponibilitˆ, e per˜ per il 30% degli intervistati si tratta di una cordiale indifferenza; sono invece pi rari i casi di manifesta ostilitˆ e di rifiuto/intolleranza (Progetto Inte.Mi.gra 2004). UnĠaltra ricerca, limitata alla Toscana, ha evidenziato che nei due terzi dei casi in cui le cose vanno bene le tonalitˆ sono differenziate e per il 35% del campione si tratta di rispetto e per il 29% di tolleranza. Sono 8 su 10 gli immigrati che dichiarano che la loro vita  migliorata a seguito dellĠarrivo in Italia e pi del 60%  certo di restare in Italia in maniera stabile: ci˜ non  sinonimo di ingenuitˆ e gli stessi intervistati conoscono i lati deboli del ÒSistema ItaliaÓ ed esprimono una forte richiesta di servizi di base (trovare casa e lavoro, imparare lĠitaliano, praticare il proprio culto). AllĠinizio i problemi maggiori sono legati alla sopravvivenza e si  aiutati dai connazionali e sempre pi anche dagli amici immigrati, mentre in un secondo tempo emergono la nostalgia, la solitudine e la mancanza di partecipazione (Ricerca Iref-Acli, dicembre 2005-marzo 2006, su un campione di 1.000 famiglie di 31 nazionalitˆ).

            Nel loro cammino di inserimento gli immigrati devono fare i conti con una diffusa insensibilitˆ degli italiani. In unĠindagine su un campione di 3.000 immigrati, condotta nel 2003 dallĠOsservatorio Immigrati della UIL di Roma e del Lazio, un terzo degli immigrati si  dichiarato insoddisfatto della capacitˆ di accoglienza e di tolleranza mostrata dagli italiani e ben il 40%  scontento nei confronti dei pubblici impiegati.

Non mancano, come si  accennato, le vere e proprie discriminazioni. A telefonare maggiormente allĠUNAR-Ufficio Antidiscriminazioni Razziali sono persone che hanno pi anni di permanenza vissuta in condizione di regolaritˆ e quindi anche unĠetˆ media sui 40 anni e una situazione di stabilitˆ lavorativa e relazionale, che li rende pi coscienti dei propri diritti e doveri. Come attesta lĠanalisi di 3.438 telefonate pervenute al numero verde dellĠUnar nel 2005, a lamentarsi maggiormente sono gli africani. Le lamentele riguardano pi spesso il lavoro e la casa e, in misura minore, la convivenza quotidiana e lĠaccesso ai servizi, (Ministero Pari Opportunitˆ/Ufficio Nazionale Andiscriminazioni Razziali, ÒUn anno di attivitˆ contro la discriminazione razzialeÓ, Rapporto 2005, Roma 2006, Demetra).

Nonostante tutto, gli immigrati sono pi ottimisti degli italiani, riescono a risparmiare di pi, si mostrano pi disposti ad affrontare rischi e sfide e, generalmente, sono anche propensi ad indebitarsi per migliorare il loro standard di vita (Ricerca Censis per il Gruppo Delta su un campione di 800 immigrati, novembre-dicembre 2005).

 

  1. Il comportamento degli italiani  contrassegnato da diverse ombre, accentuate dal confronto con altri paesi europei.

Da un sondaggio di Eurobarometro del 2005  risultato che il 54% dei tedeschi, contro il 40% degli italiani, ritiene che gli immigrati lavorino pi duramente degli autoctoni, eppure  noto che proprio in Italia sono moltissimi i diplomati e i laureati che sono occupati come manovali o, comunque, in mansioni non qualificate. Sempre tra gli italiani, il 41% ritiene che gli immigrati siano maggiormente coinvolti in attivitˆ criminali, mentre solo il 14% pensa il contrario.

LĠimmigrato, quindi, ha un pi elevato tasso di criminalitˆ? Lo pensa addirittura il 58% degli intervistati in unĠaltra indagine, in cui lĠopinione espressa  che la violenza  in crescita a causa principalmente degli immigrati, la cui presenza avrebbe causato la diminuzione dei livelli di sicurezza (Sondaggio SWG per lĠEspresso, luglio 2005).

Un altro sondaggio di Eurobarometro (gennaio 2004), realizzato in 31 cittˆ dellĠUE a 15, mostra che il 42,3% dei torinesi  critico circa lĠintegrazione degli immigrati nella propria cittˆ, a fronte di una media europea del 30,5% e di punte negative molto pi alte a Stoccolma, Rotterdam e Amsterdam. (http:/europa.eu.int/comm/public_opinion/flash/fl_156_en.pdf). I pi fiduciosi in un buon livello di inserimento si mostrano i romani (46,5%) e, specialmente, con il 49,3% delle risposte, i napoletani.

Comunque, in confronto con gli altri Stati membri, lĠItalia ne esce abbastanza bene. Nella ricerca Challenge of Europe 2005 dellĠIstituto Gfk di Norimberga, i francesi, i tedeschi e gli italiani risultano essere i popoli pi tolleranti e meno xenofobi dellĠUE e si mostrano, nellĠordine, meno preoccupati rispetto allĠimmigrazione (www.gfk.com).

Si riscontra un buon grado di flessibilitˆ rispetto alle altre culture e alle altre religioni. Su un campione di 1.000 intervistati dal Cirm nel 2004 a Milano, Bologna, Roma, Napoli e Palermo, il 55%  dĠaccordo che gli immigrati mantengano le proprie usanze: la percentuale delle risposte positive  ancora pi alta per le coppie miste e per il velo islamico, rispettivamente il 63% e il 69%.

Il pregiudizio risulta pi marcato nei confronti di musulmani, ebrei e immigrati extracomunitari: quasi il 50% degli intervistati ritiene che essi debbano tornare a casa loro (Ricerca su un campione di 22.000 giovani tra i 14 e i 18 anni residenti in pi di 100 comuni di tutte le dimensioni condotta dallĠUniversitˆ Roma La Sapienza, Dipartimento di ricerca sociale G. Statera, ricerca coordinata dal prof. Campilli presentata il 28 aprile 2004).

Sulla consistenza del pregiudizio influisce anche la classe di etˆ. Gli studenti sembrano avere una mentalitˆ pi aperta: su un campione di 4.000 giovani tra i 15 e i 25 anni, il 56% ritiene che gli studenti stranieri consentano di conoscere altre culture, a fronte del 19% che rimane del tutto indifferente alla loro presenza e del 7% che li ritiene una minaccia per la societˆ italiana (www.studenti.it).

Venendo infine agli aspetti progettuali, gli strumenti per favorire lĠintegrazione sono per gli italiani la creazione di posti di lavoro, la diffusione di coppie miste e la concessione del voto amministrativo, voto accettato dal 63% degli intervistati per gli immigrati che hanno maturato 10 anni di residenza previa (Indagine del 2005 della Societˆ Dinamiche su un campione di 1.000 persone a Milano, Bologna, Roma, Napoli e Palermo).

 

  1. La cittˆ del futuro, per essere accogliente, deve essere internazionale, interculturale e interreligiosa.

 

Riprendiamo lĠidea di cittˆ dalle Ò3 IÓ dal terzo rapporto dellĠOsservatorio Romano sulle Migrazioni, pubblicato nel 2007 dalla Caritas di Roma con il supporto del Comune e della Provincia e della Camera di Commercio di Roma, come anche di altre strutture pubbliche, per presentare sotto unĠangolatura unitaria il punto di vista del mondo istituzionale e di quello sociale.

            La prima ÒIÓ sta per internazionale. Roma lo  in una maniera peculiare per la storia romana, quella della chiesa cattolica, la sua arte e anche per essere, come capitale, la sede delle rappresentanze diplomatiche e consolari e una delle cittˆ pi importanti per numero di agenzie delle Nazioni Unite. La capitale ha accentuato, con il radicarsi dellĠimmigrazione, il suo carattere internazionale per il fatto che sono rappresentati 193 paesi del mondo, con pi di 250.000 immigrati soggiornanti nella metropoli e pi di 100.000 nei comuni della Provincia. Si pu˜ dire che con lĠimmigrazione tutte le cittˆ italiane, seppure in diversa misura, siano contrassegnate dallĠinternazionalizzazione. La globalizzazione non  pi un concetto astratto bens“ un insieme di legami culturali e sociali, destinati ad aumentare sempre pi.

            La seconda ÒIÓ sta per interculturale. La diversitˆ, che nel contesto italiano risulta ancora pi forte rispetto ad altri contesti nazionali, non si tramuta in confusione quando sussiste la disponibilitˆ al confronto, allo scambio e alla sintesi, favorendo forme di convivenza, nello stesso tempo, pi complesse e pi ricche. Roma e tante altre cittˆ italiane, per chi frequenta i luoghi e le manifestazioni in cui tutto ci˜ viene sperimentato,  unĠopportunitˆ eccezionale. Il diverso, quando si fa a noi vicino, perde i suoi connotati di ostilitˆ e mantiene quelle tonalitˆ differenziate, che attraggono e stimolano. La vita delle persone, che si sono lasciate catturare da queste prospettive,  molto pi avanzata rispetto alla rappresentazione che ne fanno solitamente i politici e le strutture e per˜ bisogna che questi due livelli vadano di pari passo, per evitare che lĠimmigrazione, da risorsa indubbiamente demografica e lavorativa e potenzialmente anche culturale, sociale e religiosa, si tramuti in una miriade di realtˆ ingovernabili.

            La terza ÒIÓ sta per interreligioso. é scandaloso che Dio che, comunque venga inteso,  una realtˆ assoluta in cui si crede come forza unificante dellĠesperienza mondana, si tramuti in uno stimolo alla contrapposizione societaria. Vi sono responsabilitˆ specifiche delle singole religioni e vi una responsabilitˆ in solido di tutti i credenti, la cui testimonianza non riesce a far breccia in chi ritiene che senza religioni il mondo sarebbe pi pacifico. Bisogna ritornare allĠessenza unificante di ciascun messaggio religioso, che per natura sua deve essere libero da ogni costrizione, e imparare ad essere rispettosi degli altri messaggi. Gli Stati, da parte loto, hanno il compito di evitare ogni forma di prevaricazione. Sotto questo aspetto lĠesperienza migratoria pu˜ essere, con il tempo, unĠopportunitˆ che pu˜ far cambiare il mondo, facendo veramente delle religioni una forza di pace. Le cittˆ europee, grazie al concetto di societˆ laica e di rispetto delle coscienze, possono adoperarsi molto al riguardo e non solo Roma, come sede del papato, ma lĠItalia tutta, devono sentire in maniera del tutto particolare questa vocazione.

            Questi sono i 10 punti, nei quali lĠŽquipe del ÒDossier Statistico Immigrazione Caritas/MigrantesÓ ha voluto condensare le sue riflessioni sullĠintegrazione, mentre per quanto riguarda il pensiero dei leader degli immigrati a Roma sullo stesso argomento,  illuminante la scheda che alleghiamo, destinata ad essere ampiamente commentata quando verranno pubblicati gli atti di questo convegno. Ci piace ricordare che unĠampia indagine sugli italiani residenti in Germania e negli altri paesi europei  stata condotta, con riguardo agli aspetti socio-previdenziali, dal Patronato Inas-Cisl. é stato evidenziato che il 70% valuta positivamente la propria situazione, mentre il restante 30% si dichiara insoddisfatto e di essi un terzo non esclude lĠipotesi di un rientro in patria (Fondazione Giulio Pastore, Il patronato Inas in Europa. Qualitˆ dei servizi e soddisfazione degli utenti. Sintesi dei risultati, Roma, gennaio 2005).

 

 

Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes

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