SENATO DELLA
REPUBBLICA
———– XV LEGISLATURA
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d'iniziativa della senatrice
EMANUELA BAIO ,
BINETTI PAOLA, NEGRI MAGDA, THALER
HELGA, DE PETRIS LOREDANA, RUBINATO SIMONETTA, RAME FRANCA
Modifica
alla legge 22 maggio 1975 n.152
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7 MARZO 2007
Onorevoli
Colleghi, il dibattito relativamente all'utilizzo del velo ,che si aperto in
Italia e ha visto protagoniste
soprattutto le donne di origine musulmana, relativamente all'utilizzo del velo,
che sia o meno integrale, necessita di un approfondimento, anche di tipo
legislativo.
Il
disegno di legge vuole ribadire tre principi fondamentali per la convivenza:
-
il rispetto profondo e sostanziale delle
scelte religiose, culturali e politiche di ogni persona;
-
l'incontro delle diversit a partire da
quella che accomuna tutta l'umanit, la differenza tra uomini e donne;
-
la politica responsabile di sicurezza e
rispetto dei cittadini.
L'art.
3 della Costituzione sancisce il principio di uguaglianza, a prescindere dal
sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione ecc., che trova sia nello
Stato liberale di diritto sia nello Stato sociale ed interventista, il garante
atto a rimuovere gli ostacoli che possano pregiudicare la libert e la dignit
della persona.
L'art.
8 contempla il pluralismo confessionale, eliminando le ostilit verso culti
differenti da quello cattolico, in ottemperanza al seguente articolo 19 che
ammette la libert di professare liberamente la propria religione
Lo Stato italiano riconosce e promuove il principio di
libert religiosa e rimuove gli ostacoli che impongono un'identit
precostituita alle persone che siano nate o risiedono nel nostro Paese. La
Costituzione garantisce pari dignit sociale e per tutelare la sicurezza dei
cittadini, prescrive il divieto
"di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della
persona" in luogo pubblici "senza giustificato motivo" (art. 5
della legge 152/75, e successive modifiche). Inoltre il R.D. 18 giugno 1931 n. 773, all'art.85, vieta di comparire
mascherato in luogo pubblico, ma la
giurisprudenza ha chiarito la non equiparazione della maschera all'utilizzo di
indumenti celanti il volto, quali segni esteriori di una tipica fede religiosa.
La circolare
del 24 luglio 2000 del Ministero dellInterno ha precisato che il turbante, il chador
e il velo, imposti da motivi religiosi, sono parte integrante degli
indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li
indossa, naturalmente purch mantenga il volto scoperto. Tali accessori sono ammessi, in virt del principio costituzionale
di libert religiosa, ma i tratti del viso devono essere ben visibili. Questo
significherebbe, che il burqa,
che nasconde volto e persona di chi lo indossa, vietato. L'applicazione
di tale norma , per, incerta, delegata ai singoli Sindaci e Comuni e
comunque, anche nel caso di identificazione da parte degli operatori
dell'ordine pubblico, deve essere conseguente ad una motivazione oggettiva di
urgenza e di pericolo. Infatti, il Ministero dell'Interno, in data 9 dicembre
2004, nel rispondere ad un quesito posto da un comando di polizia municipale,
chiariva: "nei confronti della persona che circoli in luogo pubblico
coperta da burqa, l'attivazione dei poteri di identificazione da parte del
personale di polizia sembrerebbe potersi validamente esplicare, alla luce di circostanze
ambientali, tali da costituire giustificato motivo di allarme. Un accertamento
condotto in assenza di un concreto interesse pubblico alla conoscenza
dell'identit della persona stessa potrebbe, infatti, apparire come inutilmente
vessatorio.".
Il quesito, oggetto di diatribe interpretative della norma,
se l'appartenenza ad una religione possa o meno essere un "giustificato
motivo" per circolare con il
volto coperto, cos come prescrive l'art. 5 della legge del 1975. Per le donne
musulmane il coprirsi il viso una connotazione identitaria, simbolo dell'
affermazione del proprio credo. Nei versetti del
Corano in cui compare, la parola hijab (Q. 7:46, 18:45, 19:17, 33:53, 38:32,
41:5, 42:51) non si indica un oggetto quale il velo, ma lazione di velarsi, di
tirare una tenda dietro cui pregare e avere la rivelazione divina. In sostanza,
non si ravviserebbe nel Corano alcuna traccia esplicita del hijab o chador come
indumento con cui le donne debbano coprirsi obbligatoriamente il capo o il
volto. Questa osservanza nasce da un versetto del Corano che dice: O Profeta!
D alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di chiudere su di
esse i loro indumenti! Questo sar il mezzo pi semplice perch esse siano
riconosciute e non siano offese (Q. 33:59). Ma in questo testo, come in un
altro simile (Q. 24:31), il Corano sembra riferirsi pi in generale al senso
del pudore.
L' hijab, l'abaya, il buibui,
simboleggiano la purezza, la riservatezza, ma anche il rispetto che si deve ad
una donna, la sua integrit morale, ai quali coloro che risiedono in Italia,
come del resto tutti gli emigranti, restano ancorati per timore di perdere il
passato e la propria cultura. Tuttavia non cos pacifico il riconoscimento
del velo come oggetto del credo religioso, su questo tema c' ancora una
diatribe in corso.
Al contrario il burqa merita una riflessione particolare. Esso, in realt non di
tradizione musulmana e nemmeno araba, ma sembrerebbe un indumento tradizionale
delletnia pashtun, diffuso in Afghanistan e in Pakistan: non si pu
quindi ritenere un simbolo
religioso, ma lo si deve classificare come un semplice abito tradizionale.
Se per le donne dell'occidente mostrare il volto,
l'esteriorit simbolo di libert, l'espressione di se e della propria
personalit, per le musulmane diverso: il coprirsi impone il rispetto e, chi
rispettato, , a sua volta,
libero.
Una visione cos diversa sull'abbigliamento, una scissione
cos netta tra il corpo e l'immagine, pu portare ad una ricchezza sociale, spesso
trascurata. L'incontro e l'integrazione di culture, se realizzata, implica la
compenetrazione di valori differenti.
L'Europa si
interroga su questo punto. La Corte Europea sempre
pi spesso chiamata a decidere sulla convivenza tra la laicit delle istituzioni
e lo statuto personale del credente.
Di recente, il 28 febbraio 2007, stato
presentato a Roma, il quarto rapporto del programma delle Nazioni Unite per lo
sviluppo umano nei Paesi arabi, attraverso la lente del ruolo delle donne in
queste regioni (Arab human development
report 2005. Towards rise of women in the arab wold). Si tratta
di un rapporto ampio che sottolinea la complessit di questo mondo. Molte delle
societ arabo-musulmane non sono democratiche, con violazioni sistematiche dei
diritti umani, della libert di opinione, della libert di formare opposizioni
politiche, con repressioni di ogni genere. In questi difficili contesti sono
discriminati tutti i cittadini, uomini e donne, ma il peso maggiore viene
pagato da queste ultime, che troppo spesso non hanno istruzione e non hanno
fonti di reddito. Il percorso di modernizzazione, emancipazione,
democratizzazione di queste societ passa attraverso il lavoro congiunto di
uomini e donne, che solo insieme possono ottenere risultati e favorire
cambiamenti.
Sono
le donne musulmane che hanno cominciato a porre nuove sfide allinterno della
societ, contestando le tradizionali politiche religiose e luso della
religione per fini discriminatori. Sono le donne ad avere il coraggio di
spingere per le riforme nellIslam e nelle societ islamiche. Il quarto
Rapporto Undp dimostra che ci sono stati passi avanti, anche se ancora molta
la strada da fare per rafforzare il ruolo delle donne a cominciare dai Paesi
arabi. La discriminazione nei loro confronti frena lo sviluppo economico. E
lagenzia dellOnu per lo sviluppo invita i Paesi compresi tra la Mauritania e
lArabia Saudita a scoprire il valore della donna per raggiungere il benessere.
Se per la donna araba difficile riuscire a raggiungere
l'emancipazione e quindi l'uguaglianza sostanziale e formale con l'uomo nel
proprio Paese, la situazione delle donne emigrate ancora pi controversa.
Essa oltre ad essere ancorata alla sua storia e cultura, deve fronteggiare la
difficile situazione di integrazione in un Paese che ha presupposti storici,
sociali e culturali differenti.
Nel testo di legge si fa riferimento
anche agli istituti scolastici e quindi alla possibilit per le minori di poter
indossare liberamente il velo, durante le ore scolastiche. Secondo i principi dell'islam
una ragazza inizia a prendere il velo dall'et della pubert, l'et in cui si
sviluppa il corpo e in cui anche lo spirito conosce cambiamenti importanti. In
questo senso il velo anche il frutto di un percorso di maturazione, della
scelta di non voler risaltare il corpo che fiorisce, ma di volerlo
"velare" appunto, proteggerelo da sguardi indiscreti. Al di l del
significato per le adolescenti di indossare il velo, si ritiene sia giusto
poter affermare i propri principi religiosi anche nel contesto prettamente
educativo, come quello scolastico, purch non ci sia offesa al decoro pubblico
e alle leggi dello Stato.
Questo processo non potr mai avverarsi attraverso
l'imposizione. Le nostre leggi sono rispettose della pluralit, basta ricordare
l'art.3 della Costituzione, e si basano su un dialogo profondo. L'integrazione
delle donne islamiche non passa per l'assunzione passiva dei modelli
occidentali, ma attraverso l'istruzione, la reciproca conoscenza delle diverse
culture religiose e dei testi sacri, quali la bibbia, i vangeli e il corano e,
ancora, con la reinterpretazione critica della propria tradizione culturale e
religiosa.
In questo testo di legge si vuole ribadire l'orientamento
italiano al multiculturalismo, costituzionalmente garantito, la libert di
professare la propria religione e di esplicitarla anche con indumenti che
palesino il proprio culto, ma nel rispetto della sicurezza di uno Stato laico,
consapevole di una integrazione possibile e necessaria, oggi pi di ieri, a cui
l'Italia non deve e non vuole rinunciare.
Art. 1
1. Allart. 5 della legge 22 maggio 1975 n.152, dopo il primo comma aggiunto il seguente:
Negli istituti scolastici pubblici e/o parificati, di ogni ordine e grado, in tutti i luoghi pubblici o aperti al pubblico, i segni e gli abiti che, liberamente scelti, manifestino palesemente lappartenenza religiosa dei soggetti, devono ritenersi parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, a condizione che la persona mantenga il volto scoperto e riconoscibile.