Articolo del 16/03/2007
"Genitori, in questo paese straniero aiutateci a capire chi siamo"
Ad una lettera di quattro giovani immigrati alla ricerca di integrazione, risponde la Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale

Stranieri in Italia di "seconda generazione": sono il futuro, la nuova frontiera, giovani immigrati alla ricerca di integrazione. Ragazzi di diverese etnie, culture e religioni nati in Italia o giunti sul territorio italiano quando avevano pochi anni. Pienamente inseriti nel tessuto sociale, frequentano scuole, ambienti e hanno amici italiani mantenendo vive, in famiglia, tradizioni regole e riti del loro paese di origine.
E' a loro che la Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale si rivolge, in risposta ad una lettera pubblicata sul quotidiano "La Repubblica" e scritta da quattro ragazzi del Bangladesh che vivono a Roma.
Un unico interrogativo: "Genitori, in questo paese straniero aiutateci a capire chi siamo"



Consulta giovanile
per il pluralismo religioso e culturale

Egregio Direttore,
la lettera con cui quattro ragazzi di “2 generazione” chiedevano “Genitori, in questo paese straniero aiutateci a capire chi siamo” mi ha spinto a rendere pubblica una riflessione che va maturando all´interno della Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale, istituita dal Ministro Melandri e dal Ministro Amato ed incaricata di riflettere su un “modello italiano di integrazione interculturale”.
Dalle righe da voi pubblicate ieri, emergeva chiaro un grido disperato di chi si sente confuso tra due età, tra due storie, tra due vite.
La circostanza drammatica della morte violenta della loro giovane amica E. è stata la goccia che ha colmato la misura, la molla che ha spinto questi giovani ad urlare i loro “Perché?” in una realtà che non può più esimersi dall´interrogarsi sulla propria sordità.
Due spunti, allora, mi sembra opportuno meditare: uno relativo a noi stessi, l´altro alla condizione di questi giovani immigrati.
Dietro a quegli occhi che nell´età dell´adolescenza e della giovinezza “cominciano ad aprirsi e a vedere la vera bellezza di vivere” si legge la speranza, l´ottimismo di ogni ragazzo, da qualunque paese provenga e a qualunque cultura o fede appartenga. Una forza che è più grande di ogni educazione e che si scontra, genuinamente, con le strutture e le convenzioni di ogni società. Le mette alla prova, le verifica e pone questioni di senso: su se stessi, su Dio, sulla propria origine…
Ma, in questo caso, dietro a quegli stessi occhi si avverte chiara la delusione e la rabbia di chi si scopre fuori dal gioco.
L´appello lanciato da questi ragazzi alle loro famiglie e, in qualche modo, a tutti noi non può non essere colto anche dalle Istituzioni dello Stato, dalla c.d. Società civile e dalla coscienza di ogni cittadino.
Ogni giorno assistiamo a programmi e prendiamo parte a discussioni che ci ricordano quanto la nostra società stia cambiando, divenendo plurale e più complessa. La nostra stessa esperienza quotidiana ci fa incontrare con persone diverse da noi che vestono e mangiano in modo differente e che, altrettanto differentemente, parlano e pregano, ma che condividono il nostro stesso spazio: l´autobus, la scuola, il supermercato, la città. Le città e, dunque, la comunità dei cittadini.
Proviamo a riflettere, allora, su quante volte i nostri occhi si incrociano o i nostri corpi si urtano e quante volte, invece, non ci soffermiamo a pensare che i nostri problemi possano essere gli stessi loro problemi. La lettera di questi giovani rompe gli indugi e ce lo racconta con disarmante sincerità. Ci parla di nuovi sentimenti che, come per TUTTI i giovani, nascono improvvisi e nuovi, di sguardi furtivi raccolti, di turbamenti interiori e del desiderio forte di condividerli con chi vorremmo sentire accanto; ma che spesso non c´è.
Quel posto che resta vuoto è l´assenza di tutti noi. Quella solitudine è quella creata dal nostro distacco e dal nostro sospetto, dalla nostra scarsa propensione a metterci in gioco per venire incontro, davvero, a chi arriva in casa o nostra (o magari ci è nato!) e, chiedendo di condividere il nostro spazio, ci invita a ripensare tutte le nostre abitudini culturali, religiose e sociali. E´ l´ipocrisia di una società che non sa farsi percepire come propria da chi ne fa parte, magari dalla nascita, e che continua a sentirsi “in questo paese straniero”.
La sfida dell´integrazione, allora, non può più essere solo la risposta alla paura di essere travolti o alla minaccia di perdere le proprie radici. Deve, invece, essere la proposta che emerge dal profondo senso di solidarietà sociale di cui parla l´articolo 2 della Costituzione, l´affermazione di quei principi di libertà e di rispetto della persona umana (rispetto che vuol dire anche ascolto, accoglienza, condivisione delle scelte di ogni persona) che sono la grande conquista della nostra storia.
E´ di questi valori che abbiamo bisogno per orientarci nel difficile cammino di integrazione con culture diverse ed è su questi valori fondamentali che dobbiamo condurre il confronto con chi è portatore di sensibilità differenti dalla nostra.
 Ma questi stessi valori di solidarietà, di libertà e di rispetto della persona sono anche ciò di cui dobbiamo farci garanti per ognuno: cittadino o immigrato, uomo o donna, giovane o anziano.
Su questo, allora, vorrei dire ai giovani che hanno scritto la lettera, che niente renderà ragione alla morte della loro amica – caduta da una finestra di casa – ai suoi sogni, alla sua ansia legittima di libertà, al suo desiderio di vivere con pienezza e serenità la propria giovinezza, quanto il loro impegno in una battaglia che non può essere più rimandata.
Come loro stessi dicono il loro “silenzio deriva dal rispetto verso – i genitori – oppure…dalla paura o per non deludere oppure forse perché …cresciuti mantenendo una certa distanza”.
Rompere questo silenzio non significa insorgere contro una tradizione o contro un´educazione o una cultura. Tanto meno vuol dire mancare del dovuto rispetto ai propri genitori o ai loro sacrifici ammirevoli se non, talvolta, eroici.
Significa, invece, capire che affermare la propria individualità, vivere con pienezza e con senso di responsabilità la propria libertà, cercare di concretizzare i propri desideri di studio, di lavoro è un diritto assoluto di ogni essere umano che nessuno può cancellare.
 In una realtà che si scopre plurale, allora, è necessario lanciare un patto generazionale in cui siano proprio i giovani provenienti da differenti storie e culture a fare squadra, per arrivare ad affermare un modello di società basata sul rispetto e sull´accoglienza.
Questo è quello a cui stanno lavorando i giovani della Consulta giovanile per il pluralismo religioso: contribuire a costruire una comunità civile veramente integrata che, fondandosi sui diritti fondamentali dell´uomo e nutrendosi del rispetto per ogni coscienza e per ogni cultura, riesca ad armonizzare tutti gli ambiti della complessità umana (odierna).
Questa è la vera battaglia della Civiltà, questa è la battaglia della nostra generazione attuale; prima, seconda o terza che la si voglia chiamare.  
 La nostra società, come ogni società, può essere contestata da molti punti di vista, ma la garanzia dell´eguale valore di ogni essere umano ed il rispetto sacrosanto per la sua libertà sono il risultato di secoli di lotte e di conquiste, e sono il contributo più prezioso che il nostro mondo può offrire nella comune partita della vera integrazione.

La Consulta giovanile
per il pluralismo religioso e culturale

 Roma, 16/3/2007