Articolo
pubblicato su Il Manifesto, mercoled 20 giugno 2001
di
Dino Frisullo
Loro
malgrado, quei miseri naufraghi hanno scritto una pagina di storia. Storia
minore, scomoda e rimossa. Storia che rischia di scivolare via sull'onda dello
scoop giornalistico, che rivestir quei corpi di effimera carta nella doppia
sepoltura del mare e del cinismo.
Vorrei
raccontarla, quella storia, per chi non considera la memoria un lusso.
In
quell'inverno del '96 gli amici e i parenti dei naufraghi, anch'essi clandestini,
erano in sciopero della fame "per il diritto di esistere" in piazza
Colonna. La notizia del naufragio rimbalz in un attimo fra due continenti a
partire dalle frasi smozzicate dei superstiti, detenuti dai trafficanti in
un'isola greca.
Nella
comunit pakistana, a cui apparteneva la maggioranza delle vittime, andarono in
corto circuito i mille fili di complice omert che coprono chi specula sul
proibizionismo di stato. Le famiglie si organizzarono. Il loro rappresentante,
l'anziano Zabiullah che aveva perso un figlio su quella nave, a rischio della
vita ricostru insieme a noi, in Grecia e poi in Italia, la catena del
traffico, fino alle squadre che in Italia recludono gli immigrati per ottenere
sin l'ultimo spicciolo pattuito.
Ne
emerse (e fu pubblicata anche su Narcomafie) la prima fotografia della catena
imprenditorial-criminale, con testa turca, armatori greci e tentacoli protesi
dai villaggi del Kurdistan e del subcontinente indiano fino alle coste
italiane, che mercifica i fuggitivi dalla miseria dell'India e del Pakistan e
dalle guerre del Kurdistan, dello Sri Lanka, del Kashmir.
Quei
nomi, quelle mappe, insieme al rosario amoroso delle foto dei naufraghi,
giunsero nelle mani del giudice Billet a Reggio Calabria, dov'era sotto
sequestro (c' ancora) la nave assassina Yohan, tornata come nulla fosse con un
altro carico umano. Fu individuato con una certa precisione, con la deposizione
del giovane superstite Shaqur, il luogo in cui oggi sceso il batiscafo di
Repubblica.
Prese
avvio l'inchiesta, passata poi a Siracusa quando scovammo, in un angolo di
cronaca nera, la notizia di un cadavere ripescato presso Gela. La nostra
ricostruzione coincideva con quella fatta da Livio Quagliata sul Manifesto,
anche lui in base ai resoconti della comunit srilankese a Milano.
L'ambasciata
pakistana si mosse; quelle dell'India e dello Srilanka no, o almeno non subito,
perch quei morti erano rispettivamente sikh e tamil, concittadini scomodi.
Profughi, che avrebbero avuto diritto all'asilo - se esistesse in Italia una
legge decente sull'asilo.
Alcuni
dei naufraghi, come i due parenti del leader pakistano a Roma Shabir Khan,
avevano in tasca la ricevuta della richiesta di soggiorno in base al
"decreto Dini", la semi-sanatoria di quegli anni. Stanchi di
attendere, colpiti da lutti familiari, erano andati a casa e rifacevano il
viaggio della speranza. Dja-vu, nevvero? penso ai trentamila che da tre anni
ancora attendono il soggiorno, negato dall'ultimo governo di centrosinistra
Fu
alla porta del primo centrosinistra, in quell'inverno del '97, che bussammo
insieme a Zabiullah, a Shabir Khan e ai tamil giunti da Palermo. Forse ingenui
(gli immigrati non avevano festeggiato anche loro, danzando in piazza Venezia,
la fine del governo Berlusconi-Gasparri?), chiedevamo il recupero della nave e
del suo carico umano, ma anche un ripensamento delle politiche di chiusura.
Restammo
di sasso. Dal Viminale alla Farnesina, ad eccezione di pochi singoli
parlamentari, trovammo una totale assenza non dico di solidariet, ma di umana
piet. Ammettere la strage equivaleva a rimettere in discussione la linea della
fermezza, che di l a poco avrebbe colpito e affondato la Kater-i-Radesh.
Data
da allora il disamore per l'esperienza governativa di centrosinistra, non certo
condiviso da tutto quello che allora si definiva movimento antirazzista. Ci
presero per pazzi e "acchiappafantasmi" non solo ministri e
sottosegretari, ma anche i rappresentanti dell'associazionismo che affollava le
anticamere del "governo amico" di Napolitano e Livia Turco. Ricordo
sorrisi di compatimento anche nel tessuto della grande scommessa di quegli
anni, la Rete antirazzista - e forse l andrebbe ricercata una delle ragioni,
poi, della sua crisi.
In
quel momento, con i trafficanti messi in mora e denunciati dalle vittime, con
un'opinione pubblica non ancora resa xenofoba, con un governo ai primi passi,
quei poveri corpi riemergendo avrebbero potuto motivare una scelta coraggiosa:
una nuova politica dell'immigrazione e dell'asilo, che sostituisse legalit e
certezza del diritto all'illegalit, alla soggezione, alla morte.
Non
fu cos. Furono abbandonati al loro strazio quei corpi ed i loro parenti, come
rimasero soli i loro amici appena pi fortunati, nel gelo di piazza Colonna e
nella marcia di Natale '96, in diecimila a digiuno fino al Vaticano.
L'inchiesta prosegu stancamente, senza risalire la catena assassina oltre gli
ultimi esecutori, senza discendere nel mare di Sicilia.
Ora
gli scheletri riemergono. Ciascuno guardi nel suo armadio. Se quei corpi
saranno affidati a coloro che si sono battuti in questi anni per la verit e la
giustizia, se si dar la parola a loro e non solo all'effimero sensazionalismo
delle immagini, se saremo capaci di memoria e di rispetto - forse il loro
sacrificio non sar stato vano. Forse siamo in tempo a cambiare strada,
ciascuno per la sua parte. Forse.
Dino
Frisullo