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Interventi e interviste

Interventi - Sottosegretario Marcella Lucidi

11.10.2007

Relazione introduttiva del convegno 'Gli immigrati: chi sono, come ci vedono, come li vediamo'



Un anno e mezzo fa, muovendo i primi passi di governo in materia di immigrazione, abbiamo chiesto a Makno di elaborare e di curare per il Ministero dell’interno una specifica ricerca sociale che ci aiutasse a cogliere, attraverso l’esperienza degli italiani e degli stranieri, la percezione diffusa di questo fenomeno.
Tanto perché non è possibile, oggi, adottare una strategia di governo dell’immigrazione, che è necessariamente strategia complessa e di lungo periodo, senza avere le antenne sempre orientate verso la società per ascoltare e per conoscere i riflessi che il fenomeno in sé continuamente produce.
E’ come dire che se le dinamiche migratorie attuali sono continuamente e rapidamente in evoluzione, e stanno incidendo nella struttura delle società occidentali, lo sono altrettanto le dinamiche sociali che in relazione ad esse si producono. E non c’è progetto che possa svilupparsi nel tempo che non debba proporsi di intercettare ed orientare entrambi, non solo per riuscire ad impedire i “rigurgiti”, non solo per riuscire a gestire il disordine ma per provare a realizzare un nuovo ordine.
Intercettare ed orientare le dinamiche migratorie e le conseguenti dinamiche sociali presuppone che né l’una né l’altra vengano negate ed anzi, sia l’una che l’altra vengano riconosciute e vengano rappresentate come due questioni strettamente connesse e di difficile gestione. Non impossibile, ma sicuramente difficile. Sebbene sembri necessario oggi giungere a guadagnare consenso attraverso la semplificazione dei problemi e delle soluzioni, ha piuttosto ragione chi sostiene che andrebbe fatta in questa materia un operazione di verità o, per meglio dire, un operazione di realtà.
Cominciando, come suggerisce la ricerca, con il dare dell’immigrazione una maggiore e più articolata rappresentazione. E’ importante rinviare impressioni o ragionamenti alla conoscenza di quei percorsi migratori attraverso i quali l’80% degli intervistati è giunto in Italia direttamente dal suo Paese di origine, mette in cima alle sue motivazioni una possibilità di lavoro o alle sue delusioni l’assenza di questa possibilità (è interessante come nella percezione diffusa degli italiani l’aspettativa di lavoro degli immigrati venga riconosciuta).
L’immigrazione è una risorsa per gli italiani e una risorsa per gli immigrati. Il lavoro degli immigrati è quindi un affare per entrambi che si può accettare se avviene dentro le regole. Purtroppo, finora, le regole non sono state chiare né sulla carta né nel rapporto di lavoro e se ciò può avere fatto comodo ad entrambi non è comodo per la società. (La gestione delle quote di entrata, la mancanza di organizzazione economica e di strutture ricettive- la casa).
E se questa conoscenza passa molto, sicuramente, dal rapporto personale, non c’è dubbio che ancora, oggi, è in grande parte affidata ai media ( e anche a ciò che i politici dicono attraverso i media, ma di questo dirò dopo).
E’ ben noto dell’immigrato ciò che ci fa paura, che ci disturba, che ci mette a distanza. E non c’è dubbio che ci siano in riferimento a questo questioni assai stringenti che interessano il senso civico, i principi condivisi e il rispetto delle leggi. E’ meno noto, invece, ciò che può avvicinarci, che sta in molti aspetti motivazionali, nelle esigenze e nei problemi quotidiani o nelle aspettative quotidiane che si legano al lavoro, alla casa, al bilancio domestico, alla crescita dei figli, al tempo libero. Questa dimensione, meno esplorata, ha oggi una forte rilevanza sociale e interpella la politica quanto la prima. Per due ragioni. Perché riguarda da vicino il percorso di integrazione dell’immigrato. E perché affianca l’istanza dell’immigrato di riconoscimento sociale e dei suoi diritti a quella analoga che viene avanzata dal cittadino. E, in questo, produce tensione sul terreno della giustizia sociale, della sostenibilità di politiche inclusive che, come la ricerca rileva, allargano la platea dei destinatari mentre le risorse sembrano diminuire.
Ci si può domandare quanto convenga, allora, descrivere di più “la vita vera” degli immigrati che vivono con noi, lavorano, hanno qui le loro famiglie e i loro figli. La risposta sta in quell’esigenza di orientare le dinamiche sociali che dicevo all’inizio. Dinamiche che è preferibile governare anziché subire e che sono subite dal momento in cui vengono ignorate. Dinamiche che rischiano di alimentarsi del risentimento degli italiani oggi, delle giovani generazioni di immigrati domani.
Durante il Convegno di Firenze, è ricorso l’invito a de-ideologizzare il confronto politico. Lo scorso anno, la Caritas, presentando il proprio dossier, invitava ad andare “oltre l’alternanza”. Non serve molto per dire che non c’è clima politico perché oggi questo avvenga. C’è, tuttavia, una responsabilità da assumere perché per gli immigrati, ma così per le imprese, per le famiglie presso cui essi lavorano il percorso di integrazione non sia fatto di ostacoli ma di opportunità.
A questo punto del nostro lavoro, abbiamo portato in Parlamento le riforme su cui ci eravamo impegnati in materia di immigrazione. Sono riforme che riguardano gli immigrati e non solo. Riforme che guardano avanti e invitano a guardare avanti. Già la legge Bossi-Fini appartiene al passato. Ed anche la Turco-Napolitano. Servono regole anche severe, ma fruibili. Con questo spirito il Ministero dell’Interno ha prodotto un opuscolo informativo a cui hanno lavorato il Dipartimento delle Libertà civili e dell’immigrazione e il Dipartimento della Pubblica sicurezza.
L’approvazione di una nuova legge sull’immigrazione deve essere una priorità. Ma ancora di più è oggi urgente intervenire sul permesso di soggiorno: per ridurre i tempi del rilascio, aumentare i tempi della durata, cambiare l’interlocutore prevalente che non può che essere l’ente locale. La ricerca ci dice che è andato bene prevedere nel disegno di legge sulla cittadinanza la verifica dell’integrazione dell’immigrato che la chiede. Occorre a riguardo fare attenzione perché se è vero come ha sostenuto a Firenze Alain Touraine che l’integrazione dipende unicamente dall’impegno dell’immigrato, lo è anche che la verifica richiama una doppia responsabilità: quella dell’immigrato chiamato ad integrarsi e quella dello Stato, tenuto ad offrirgli le relative opportunità e ad accompagnarlo lungo il percorso.





   
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