NEWSLETTER N. 10
20 OTTOBRE 2007

 

SERVIZIO DI SUPPORTO GIURIDICO

 

 

SOMMARIO

 

 

ATTUALITA’ INTERNAZIONALE

 

1. Risoluzione del  Parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE che attua il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. La relazione di accompagnamento alla risoluzione muove appunti  e rilievi critici anche alla normativa italiana.

 

2. Raccomandazione della Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI)  sulla lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale nelle attività della polizia (ethnic profiling)

Raccomandazione ECRI n. 11 adottata il 29 giugno 2007.

 

 

SCHEDE PRATICHE / IL CONTRASTO ATTIVO ALLE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI –  L’USO DEI TEST SITUAZIONALI

 

Schede n. 1- 2 : Come organizzare un testo situazionale?

Scheda n. 3:       Raccomandazioni generali sul comportamento e caratteristiche dei tester

Scheda n. 4:       Studio di caso- Il caso “Moulin Rouge” (SOS Racisme et Marea c/Beuzit et

                            Association du Moulin, Tribunale di Parigi 17.10.2002; Tribunale di Appello di Parigi,

                            22.11.2002, Francia).

 

 

ATTUALITA’ NAZIONALE - ADVOCACY

 

Discriminazione nell’accesso dei cittadini stranieri a borse di studio e sussidi sociali concessi da una Fondazione privata. L’intervento del  Servizio di Supporto Giuridico contro le Discriminazioni dell’ASGI.

 

PUBBLICAZIONI

 

DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE

 


 

ATTUALITA’ INTERNAZIONALE

 

 

 

1. Lo scorso 27 settembre  il Parlamento europeo  adotta una risoluzione sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE che attua il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. La relazione illustrativa di accompagnamento della risoluzione muove  appunti  e rilievi critici  anche  alla normativa italiana .

 

 

 

Il 27 settembre scorso il Parlamento Europeo ha adottato con 500 voti a favore, 46 contro e 24 astensioni, una risoluzione sull’applicazione della Direttiva 2000/43/CE che attua il principio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dall’origine etnica e razziale. La risoluzione è basata su un rapporto di accompagnamento redatto dall’europarlamentare Kathalijne Maria Buitenweg (Gruppo parlamentare dei Verdi). Il Parlamento ritiene che molto deve essere ancora fatto per implementare la direttiva pienamente, specialmente su questioni quali i rimedi legali, l’onere della prova nei casi di discriminazione razziale, la crescita della consapevolezza, la raccolta dei dati e l’indipendenza delle Autorità Nazionali per la parità di trattamento.

Il Parlamento ha sottolineato l’importanza della direttiva, ricordando che essa costituisce uno standard di trattamento minimo e, di conseguenza,  deve costituire un fondamento sul quale erigere un sistema complessivo di tutela anti-discriminatoria. Nella risoluzione, il Parlamento europeo rimprovera alla Commissione di non avere fornito una dettagliata descrizione di come la direttiva 2000/43/CE è stata incorporata nella legislazione nazionale degli Stati membri. Il Parlamento europeo ha espresso il suo disappunto perché solo parte degli Stati membri hanno trasposto pienamente le previsioni della direttiva, mentre talune previsioni concernenti le definizioni di discriminazione diretta, indiretta, molestia e onere della prova, non sono state trasposte correttamente da tutti gli Stati. Il Parlamento europeo, in particolare, richiama ad uno stretto controllo sull’applicazione della regola della parziale inversione dell’onere probatorio, di importanza decisiva nei contenziosi relativi all’ambito dell’occupazione. A tale riguardo, la relazione illustrativa della Relazione esplicitamente cita l’Italia tra i paesi che non hanno adeguatamente trasposto nel loro ordinamento interno le norme della direttiva in materia di inversione parziale dell’onere probatorio.

Il Parlamento europeo ha voluto rivolgere alla Commissione e agli Stati membri una serie di raccomandazioni, ponendo una particolare enfasi su una adeguata e credibile raccolta dei dati statistici. Questi ultimi, a detta dal Parlamento, sono uno strumento essenziale nella lotta contro la discriminazione, in quanto dati statistici disaggregati per appartenenza etnico-razziale possono essere essenziali nella prova dell’esistenza di forme di discriminazione indiretta, nella formulazione di politiche e nello sviluppo di  azioni positive. Tuttavia, la raccolta di dati statistici fondati sull’etnicità pone una serie di delicate questioni etiche e giuridiche. Il Parlamento europeo  ha quindi chiesto alla Commissione di analizzare le diverse questioni giuridiche connesse alla raccolta di dati statistici e di avanzare  proposte per migliorare la documentazione statistica dei casi di discriminazione, assicurandosi nel contempo che ciò non vada a violare il diritto alla  privacy, rivelando le identità individuali, o possa poi servire a fondare strategie di “ethnic” o “racial profiling”. Il Parlamento europeo ha pure chiesto agli Stati membri di implementare piani nazionali di azione per combattere il razzismo e la discriminazione, includendovi componenti in grado di raccogliere e monitorare i dati statistici in aree strategiche quali l’inclusione sociale, la coesione sociale, l’integrazione, l’istruzione e l’impiego, le politiche di genere.

Nello specifico, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione:

-        di richiedere agli Stati membri di analizzare l’efficacia e l’effettività della legislazione anti-discriminatoria nel contrasto a modelli di discriminazione e segregazione sistematica delle minoranze e delle donne, in particolare nel settore dell’istruzione, dell’accesso al mercato del lavoro, alla salute, ai beni e servizi, incorporando una prospettiva di genere nella stesura dei rapporti;

-        di aumentare il livello di consapevolezza dei soggetti passivi della discriminazione sull’esistenza di pratiche discriminatorie e sulle normative di contrasto. Il Parlamento europeo in particolare considera che la comunità Rom necessita di una protezione sociale  particolare, poiché i problemi di sfruttamento, esclusione e discriminazione si sono ulteriormente aggravati in conseguenza dell’allargamento.

-        Di adottare una serie di standard minimi al fine di garantire ai minori appartenenti alle minoranze etniche l’accesso ad un’istruzione avanzata, costringendo gli Stati membri a porre fine alle pratiche segregazioniste nelle scuole e a tutti quei piani e previsioni normative che fondano sistemi scolastici separati e di qualità inferiore per i minori appartenenti alle minoranza etniche.

-        Di monitorare il funzionamento indipendente delle Autorità nazionali di contrasto alla discriminazione razziale, sulla base dei “principi di Parigi”. A tale riguardo, la relazione illustrativa della Risoluzione fa un esplicito riferimento alla necessità che le Autorità nazionali contro la discriminazione (“equality bodies”) siano collocate al di fuori degli organismi governativi, affinchè possano essere percepite come indipendenti, citando  espressamente l’Italia e la Spagna quali cattivi esempi sull’argomento. Sempre con riferimento alle Autorità nazionali contro la discriminazione, il Parlamento europeo richiede agli Stati membri  di assegnare loro risorse finanziarie adeguate allo svolgimento dei compiti assegnati e di estendere le buone prassi riscontrate in quei paesi membri ove a tali organi è stata assegnata la legittimazione diretta ad agire in giudizio per conto della vittima della discriminazione; possibilità  attualmente non prevista nell’ordinamento italiano, ove l’UNAR può solo attivarsi informalmente per assistere la vittima di discriminazioni, contattando il suo legale  e può fornire al giudice, su istanza di parte, informazioni ed osservazioni orali e scritte ai sensi dell’art. 425 c.p.c..

 

Il Parlamento europeo ha  poi chiesto alla Commissione di monitorare attentamente eventuali forme di discriminazione “dissimulate” fondate sui criteri dei “genuini e specifici requisiti occupazionali”, ovvero sull’impatto  delle esenzioni al divieto di discriminazione per motivi religiosi contenute nella Direttiva 2000/78/CE a favore delle organizzazioni di tendenza .

Il Parlamento europeo ritiene anche che sia di vitale importanza che gli appartenenti alla Pubblica Amministrazione  ricevano un’adeguata formazione sugli scopi e le previsioni della Direttiva, al fine di rimuovere e prevenire forme di razzismo istituzionale.

Il Parlamento europeo ha infine reiterato il desiderio che venga posta fine alla discrasia nei livelli di protezione  assegnati dalle diverse direttive a seconda dei motivi di discriminazione, con l’estensione del campo di applicazione fissato dalla direttiva 2000/43/CE a tutti i motivi di discriminazione, ivi compreso quello fondato sulla nazionalità oltrechè naturalmente a quelli contemplati nella direttiva 2000/78/CE. A tale riguardo, il Parlamento sostiene il proposito della Commissione europea di inserire tale punto nel suo programma legislativo per l’anno 2008.

 

 

Pubblichiamo di seguito il testo nella traduzione in lingua italiana della Risoluzione del Parlamento europeo, nonché della relazione esplicativa di accompagnamento. Entrambi i testi, nonché il resoconto dei lavori preparatori, possono essere scaricati dal sito:

 

http://www.europarl.europa.eu/oeil/file.jsp?id=5479662

 

 

 

Risoluzione del Parlamento europeo del 27 settembre 2007 sull'applicazione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (2007/2094(INI))

Il Parlamento europeo ,

–   visto l'articolo 45 del suo regolamento,

–   visti la relazione della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e i pareri della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere e della commissione per l'occupazione e gli affari sociali (A6-0278/2007),

Lotta contro la discriminazione

A.   considerando che l'UE è un progetto politico basato su valori comuni quali la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, come affermato all'articolo 6 del trattato UE e nella Carta dei diritti fondamentali, e promuove l'uguaglianza e la non discriminazione attraverso le sue politiche e leggi, anche in base all'articolo 13 del trattato CE,

B.   considerando che è importante che le dichiarazioni politiche sulla lotta contro la discriminazione siano accompagnate dal progressivo sviluppo e dalla piena e corretta applicazione delle politiche e delle leggi, in particolare delle direttive antidiscriminazione e dei progetti che promuovono l'uguaglianza, come l'Anno europeo delle pari opportunità per tutti,

C.  Attuazione della direttiva sulla parità razziale

C. considerando che la relazione annuale relativa al 2006 dell'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia conferma che la discriminazione resta un serio problema negli Stati membri,

D.   considerando che una recente inchiesta di Eurobarometro dimostra che 64% dei cittadini dei 25 Stati membri sottoposti ad inchiesta pensano che la discriminazione sulla base dell'origine etnica sia ancora ampiamente diffusa,

E.   considerando che l'adozione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica(1) può considerarsi una tappa fondamentale nel miglioramento del livello di protezione per le vittime della discriminazione in base all'origine razziale o etnica e nel miglioramento delle possibilità di giustizia,

Onere della prova

F.   considerando che la norma sull'onere della prova costituisce un aspetto fondamentale della direttiva, in quanto contribuisce all'attuazione effettiva della protezione da essa fornita,

G.   considerando che la giurisprudenza sull'onere della prova mostra che esistono ancora considerevoli differenze tra Stati membri per quanto riguarda ciò che è accettato come prova non manifestamente infondata dai giudici, e che sarebbe quindi auspicabile incoraggiare gli Stati membri a scambiare opinioni al proposito per contemplare le possibilità esistenti di ravvicinamento delle procedure giudiziarie,

H.   considerando che l'attuazione effettiva del principio di parità sarebbe facilitata se le norme sull'onere della prova nelle cause civili e amministrative fossero estese alle disposizioni giurisdizionali contro la vittimizzazione,

Organi di parità

I.   considerando che quasi tutti gli Stati membri dispongono attualmente di organi di parità o hanno assegnato le funzioni corrispondenti a organi esistenti,

J.   considerando che tutti gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a prendere l'iniziativa molto positiva di ampliare il mandato dei loro organismi incaricati di promuovere la parità, in modo che questi ultimi possano occuparsi anche della discriminazione basata su motivi diversi dall'origine razziale o etnica,

K.   considerando che gli organismi incaricati di promuovere la parità dovrebbero disporre di risorse adeguate in termini sia di personale che di finanziamenti,

L.   considerando che gli organismi incaricati di promuovere la parità dovrebbero essere in grado di funzionare indipendentemente dal governo e dovrebbero essere percepiti come indipendenti, cioè non far parte del governo,

M.   considerando che, nonostante esistano organismi specializzati contro la discriminazione e organismi incaricati di promuovere la parità, il numero di ricorsi registrati rimane modesto in molti Stati membri,

N.   considerando che, in realtà, gli organismi incaricati di promuovere la parità presentano purtroppo soltanto un esiguo numero di cause dinanzi ai tribunali per mancanza di risorse finanziarie e umane, e che sono spesso le ONG che aiutano le vittime di discriminazione fino alla fine dei procedimenti,

O.   considerando che la formazione dei pubblici ufficiali prescritta dalla direttiva è di importanza fondamentale a causa delle responsabilità che essi hanno per la sua attuazione,

Campo di applicazione

P.   considerando che non è sempre possibile distinguere tra discriminazioni in base all'origine razziale o etnica e discriminazioni sulla base della religione, dell'opinione o della nazionalità,

Q.   considerando che non è sempre facile stabilire se la discriminazione è basata sul genere, sull'appartenenza etnica, sulla razza, sulle condizioni sociali, sull'orientamento sessuale o su altri fattori,

Diffusione dell'informazione e campagna di sensibilizzazione

R.   considerando che la recente inchiesta Eurobarometro conferma che la consapevolezza dell'esistenza di una normativa antidiscriminazione nell'Unione europea è minima e che in media solo un terzo dei cittadini dell'Unione dichiarano di conoscere i propri diritti in caso fossero vittime di discriminazione o di molestie,

S.   considerando tuttavia che alcuni Stati membri hanno preso molte iniziative di informazione e di sensibilizzazione (siti web, campagne, pubblicità televisiva, annunci sui giornali),

T.   considerando che alcuni Stati membri hanno preso l'importante iniziativa di incorporare nella legislazione nazionale un obbligo per i datori di lavoro di informare i loro impiegati sulla normativa antidiscriminazione,

U.   considerando che alcuni organismi specializzati negli Stati membri hanno creato linee telefoniche che forniscono informazioni e sostegno alle vittime di discriminazioni,

V.   considerando inoltre che alcuni Stati membri hanno svolto attività piuttosto limitate in materia di informazione e di sensibilizzazione e che in alcuni paesi non si sono viste campagne di sensibilizzazione,

W.   considerando specialmente nel contesto dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti che sia le Istituzioni dell'Unione europea che gli Stati membri dovrebbero compiere sforzi sostanziali al fine di informare i cittadini sui loro diritti, e che gli Stati membri dovrebbero nel 2008, Anno europeo del dialogo interculturale, garantire continuità alle azioni iniziate nel 2007,

Raccolta di dati

X.   considerando che la raccolta di dati è fondamentale nella lotta contro la discriminazione e che dati statistici ripartiti per origine etnica possono essere essenziali per dimostrare discriminazioni indirette, per informare sulla politica da seguire e per sviluppare strategie d'azione positive, ma che allo stesso tempo solleva molte questioni etiche e giuridiche,

Y.   considerando che tale raccolta di dati non deve violare la privacy della persona rivelando identità dei singoli o costituire una base per la creazione di un profilo etnico o razziale,

Accesso alla giustizia

Z.   considerando che procedure alternative di risoluzione delle controversie non dovrebbero impedire l'accesso ai tribunali,

AA.   considerando che moltissime vittime di discriminazioni non presentano denuncia dinanzi a un giudice per diverse ragioni, fra cui i costi e il timore di subire conseguenze negative,

AB.   considerando che gli obiettivi della lotta alla discriminazione possono essere raggiunti soltanto se le misure giuridiche sono affiancate da azioni positive a livello di UE e di Stati membri,

AC.   considerando che l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali ha il compito di raccogliere e analizzare le informazioni rilevanti, affidabili e comparabili nonché i dati relativi ai diritti fondamentali,

1.   ribadisce l'importanza della direttiva 2000/43/CE;

2.   ricorda che la direttiva 2000/43/CE costituisce uno standard minimo e dovrebbe quindi costituire la base su cui costruire una politica antidiscriminatoria complessiva;

3.   accoglie con favore la comunicazione della Commissione sull'applicazione della direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (COM(2006)0643), la quale mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica al fine di garantire il consolidamento del principio dell'uguaglianza di fronte alla legge, delle pari opportunità e della parità di trattamento negli Stati membri, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà e conformemente alle rispettive tradizioni e prassi nazionali; nell'apprezzare il lavoro di sintesi effettuato nella comunicazione della Commissione sull'applicazione della direttiva, rileva che sarebbe utile disporre anche della descrizione dettagliata del recepimento delle disposizioni della direttiva 2000/43/CE nel diritto nazionale, così come previsto nella direttiva stessa; a questo fine ricorda anche che la Commissione si era impegnata non solo a raccogliere dettagliate informazioni, ma anche a riferirne al Parlamento e al Consiglio e che il Parlamento, nella sua risoluzione del 14 giugno 2006 su una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti(2) , ha già chiesto alla Commissione "di esaminare con urgenza la qualità e il contenuto delle leggi di attuazione delle direttive antidiscriminazione";

4.   sollecita gli Stati membri a trasporre quanto prima tutta la legislazione antidiscriminazione comunitaria e ad utilizzare tutte le disposizioni che comprendano azioni positive per garantire l'uguaglianza nella pratica;

5.   sottolinea che la direttiva va oltre l'accesso all'occupazione, al lavoro autonomo e all'impiego, ma si applica anche a settori quali l'istruzione, la protezione sociale compresa la previdenza sociale e la sanità, i vantaggi sociali e l'accesso e la fornitura di beni e servizi al fine di salvaguardare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che permettano la partecipazione di tutti indipendentemente dall'origine razziale o etnica;

6.   nota con soddisfazione che la maggior parte degli Stati membri hanno agito al fine di attuare la direttiva, ma manifesta delusione riguardo al fatto che soltanto alcuni abbiano adeguatamente trasposto in pieno tutte le sue disposizioni;

7.   nota in particolare che in molti Stati membri numerose disposizioni della direttiva come le definizioni di discriminazione diretta e indiretta, le molestie e l'onere della prova non sono state trasposte correttamente;

8.   chiede, in particolare, un controllo stringente sull'applicazione della regola dell'inversione parziale dell'onere della prova, particolarmente efficace qualora la controversia riguardi l'occupazione;

9.   esprime preoccupazione sul fatto che gli Stati membri abbiano esentato dal campo di applicazione della direttiva molti più settori di attività di quanto sia auspicabile o giustificabile;

10.   ricorda che la direttiva è stata adottata nel giugno 2000 e che gli Stati membri erano tenuti ad attuarla prima del giugno 2003, il che dava loro tempo sufficiente per adottare le misure necessarie di attuazione; invita la Commissione ad adottare un'impostazione più attiva, ad esempio emanando comunicazioni interpretative e orientamenti di applicazione per garantire la piena e corretta attuazione da parte degli Stati membri; chiede alla Commissione di proseguire nel controllo vigile della corretta attuazione della direttiva, di pubblicare quanto prima uno studio di valutazione e di avviare procedure di infrazione quando necessario, tempestivamente e comunque entro il 2007;

11.   ribadisce che le sanzioni applicabili alle violazioni di disposizioni nazionali adottate conformemente alla direttiva 2000/43/CE devono essere effettive, proporzionate e dissuasive;

12.   sollecita l'adozione di piani d'azione nazionali integrati al fine di affrontare efficacemente tutte le forme di discriminazione;

13.   chiede agli Stati membri di sviluppare e attuare piani d'azione nazionali volti a combattere il razzismo e la discriminazione, che comprendano una parte concernente la raccolta e il controllo dei dati in settori politici fondamentali quali la parità e la non-discriminazione, l'inclusione sociale, la coesione comunitaria, l'integrazione, il genere, l'istruzione e l'occupazione;

14.   chiede alla Commissione di presentare al Parlamento e al Consiglio un piano d'azione specifico sui meccanismi e i metodi di osservazione e descrizione dell'impatto delle misure di attuazione nazionali; sottolinea l'importanza di sviluppare meccanismi per la raccolta di dati sulla discriminazione particolarmente per quanto concerne i rapporti di lavoro, ponendo l'enfasi sul lavoro clandestino, non dichiarato, scarsamente retribuito e non assicurato, in linea con la legislazione sulla protezione dei dati, quale strumento efficace per individuare, controllare e riesaminare le politiche e le prassi di lotta contro la discriminazione, nel rispetto dei modelli nazionali di integrazione; invita la Commissione ad elaborare standard comuni di dati, al fine rendere efficacemente confrontabili le informazioni trasmesse; invita a tener conto dell'importanza di considerare non solo i contenuti della normativa di recepimento, ma anche la sua efficacia;

15.   invita la Commissione a chiedere che gli Stati membri, nelle loro relazioni annuali, sull'attuazione della direttiva 2000/43/CE, analizzino l'efficacia della legislazione anti-discriminazione nella lotta alla segregazione sistematica delle minoranze e delle donne, in particolare nell'ambito dell'istruzione e per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro, all'assistenza sanitaria, ai beni e ai servizi, e inoltre a incorporare una prospettiva di parità di genere nelle proprie relazioni al fine di alleviare le molteplici discriminazioni cui sono confrontate molte persone;

16.   ricorda alla Commissione il fatto che il Parlamento vorrebbe ricevere un documento che elenchi le esenzioni attuate nella legislazione degli Stati membri, così che si possa avviare un dibattito su tali esenzioni;

17.   ricorda che gli Stati membri dovrebbero avviare inchieste indipendenti sull'impatto delle scadenze nazionali e l'efficacia della protezione contro la vittimizzazione;

18.   esprime preoccupazione per lo scarso livello di sensibilizzazione sulla normativa antidiscriminazione tra i cittadini negli Stati membri e invita la Commissione e gli Stati membri a intensificare i loro sforzi per migliorare tale livello di sensibilizzazione;

19.   ritiene che la comunità Rom, insieme ad altre comunità etniche riconosciute, necessiti di una protezione sociale particolare soprattutto in seguito all'allargamento, poiché si sono riacutizzati i problemi di sfruttamento, discriminazione ed esclusione nei suoi confronti;

20.   sottolinea che le norme sono efficaci soltanto quando i cittadini sono consapevoli dei loro diritti ed hanno un accesso facile ai tribunali, poiché il sistema di protezione fornito dalla direttiva dipende dall'iniziativa dei cittadini;

21.   ricorda che l'articolo 10 della direttiva impone agli Stati membri un obbligo di diffondere fra il pubblico l'informazione sulle norme rilevanti della direttiva con tutti i mezzi appropriati;

22.   sollecita gli Stati membri ad adottare una serie di standard minimi nel quadro del metodo aperto di coordinamento, in modo da garantire l'accesso dei minori appartenenti a minoranze etniche - soprattutto le ragazze - all'istruzione di elevata qualità e a pari condizioni, ed inoltre ad approvare una legislazione positiva che renda obbligatorio porre fine alla segregazione nelle scuole e a redigere programmi dettagliati per porre fine all'istruzione separata e di qualità inferiore impartita a ragazzi e ragazze appartenenti a minoranze etniche;

23.   ricorda agli Stati membri il loro obbligo di diffondere tra i cittadini le informazioni pertinenti e di incoraggiare e promuovere campagne di diffondere in merito alla legislazione nazionale vigente e agli organismi attivi nella lotta contro la discriminazione;

24.   invita gli Stati membri a garantire che tutte le persone appartenenti a minoranze etniche - in particolare le donne - abbiano accesso ai servizi sanitari di base, preventivi e d'urgenza, organizzando e attuando politiche che garantiscano che anche le comunità più emarginate abbiano pieno accesso al sistema sanitario ed organizzando corsi di formazione e di sensibilizzazione per gli operatori sanitari, per porre fine ai pregiudizi esistenti;

25.   sollecita i governi degli Stati membri a garantire pari trattamento e opportunità nel quadro delle politiche occupazionali e di inclusione sociale, ad affrontare la questione dei tassi estremamente elevati di disoccupazione che si registrano soprattutto tra le donne appartenenti a minoranze etniche eliminando in particolare i gravi ostacoli posti dalla discriminazione diretta nelle procedure di assunzione;

26.   crede fermamente che sia di vitale importanza che gli ufficiali pubblici siano formati sulle finalità e le disposizioni della direttiva, vista la loro responsabilità nella sua attuazione all'interno della società nel suo insieme e per eliminare tutti i rischi di razzismo istituzionale all'interno degli organi governativi stessi; invita gli Stati membri a impegnarsi in tale formazione e incoraggia gli Stati membri e la Commissione a istituire programmi europei di scambio tra i vari organi amministrativi nazionali;

27.   invita gli Stati membri a raccogliere, compilare e pubblicare annualmente statistiche globali, precise, affidabili e disaggregate per genere concernenti il mercato del lavoro, gli alloggi, l'istruzione e la formazione, la sanità e la previdenza sociale, il pubblico accesso a beni e servizi, la giustizia penale e la partecipazione civile e politica, nonché a stabilire obiettivi e indicatori precisi e quantitativi nell'ambito degli orientamenti sull'occupazione e sull'inclusione sociale che consentano loro di misurare l'evoluzione della situazione dei migranti e/o delle minoranze;

28.   raccomanda che gli Stati membri dotino di risorse e di poteri gli organismi incaricati di promuovere la parità così che possano adempiere in maniera efficace alle loro importanti funzioni e, ove dispongano di notevoli poteri, possano esercitarli in pieno;

29.   raccomanda che gli Stati membri dotino di risorse e di poteri le ONG che operano per informare i cittadini e fornire loro assistenza legale in caso di discriminazione;

30.   sottolinea che sulle ONG che informano i cittadini e forniscono assistenza legale grava una parte sproporzionata dell'onere senza che esse godano dei finanziamenti e di una posizione corrispondenti da parte delle autorità degli Stati membri;

31.   raccomanda che la Commissione controlli con cura il funzionamento indipendente degli organismi incaricati di promuovere la parità, utilizzando a tal fine quale riferimento i principi relativi allo status delle istituzioni nazionali ("i principi di Parigi") adottati dalla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite 48/134 del 20 dicembre 1993, che includono principi sull'adeguato finanziamento di tali organi;

32.   ricorda alla Commissione la posizione del Parlamento secondo cui gli Stati membri devono garantire che gli organismi indipendenti ricevano adeguate risorse finanziarie al fine di essere in grado almeno di assicurare l'esame gratuito dei ricorsi nel caso in cui i ricorrenti non dispongano di risorse finanziarie, e invita la Commissione a discutere con gli Stati membri le modalità per raggiungere tale obiettivo;

33.   raccomanda agli Stati membri di utilizzare le migliori pratiche degli altri Stati membri, quale quella di permettere agli organismi incaricati di promuovere la parità di avviare procedimenti giurisdizionali o parteciparvi in veste di "amicus curiae ";

34.   raccomanda che i dati sui ricorsi e sui risultati dei relativi procedimenti dinanzi ai giudici, agli organismi specializzati, ad altri organismi o tribunali siano disaggregati in base al livello di discriminazione, cosa che migliorerebbe la valutazione dell'efficacia dell'attuazione della normativa, specialmente nei paesi in cui organismi specializzati e/o tribunali si occupano di tutte le cause di discriminazione;

35.   invita gli Stati membri ad accordare ai loro organismi incaricati di promuovere la parità risorse finanziarie e umane sufficienti affinché siano in grado di svolgere in maniera efficace la loro funzione, ivi compresa un'assistenza adeguata alle vittime di discriminazioni; ritiene che tali organismi dovrebbero altresì essere dotati dei poteri necessari ad indagare sui casi di discriminazione;

36.   incoraggia gli Stati membri a potenziare il dialogo con le ONG che lottano contro tutte le forme di discriminazione associandole strettamente alle politiche attuate per promuovere il principio della parità di trattamento;

37.   sottolinea che le vittime di discriminazioni dovrebbero essere assistite nei procedimenti giurisdizionali e ricorda a tale proposito che organizzazioni statutarie e non statutarie possono essere di grande aiuto per le vittime;

38.   invita gli Stati membri a raccogliere e fornire informazioni e dati pertinenti, affidabili e comparabili all'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (l'Agenzia per i diritti fondamentali);

39.   raccomanda che gli Stati membri garantiscano a tali organizzazioni statutarie e non statutarie adeguate risorse;

40.   chiede alla Commissione di studiare con attenzione le varie questioni giuridiche e i parametri sulla questione della raccolta di dati e di presentare proposte per migliorare la registrazione dei casi di discriminazione garantendo che tale raccolta di dati non violi la privacy personale rivelando le identità dei singoli o costituendo la base di attività di profiling etnico o razziale; occorre fare in modo che tutti gli Stati membri mettano a disposizione serie comparabili di dati. Attualmente questo tipo di dati non è disponibile per tutti gli Stati membri mentre dati comparabili sono essenziali per formare una piattaforma solida sulla quale articolare la politica necessaria;

41.   sottolinea quanto sia delicato trattare dati relativi alla razza e all'appartenenza etnica e ricorda l'applicabilità delle direttive sulla protezione dei dati ai dati trattati in applicazione della direttiva stessa; sottolinea che garanzie addizionali dovrebbero essere fornite per i dati sulla razza e sull'appartenenza etnica, in quanto i dati suddetti potrebbero essere distolti e utilizzati per altri fini nel settore della giustizia e degli affari interni, ad esempio per attività di profiling etnico; ribadisce la sua richiesta di approvare una decisione quadro sulla protezione dei dati, per garantire che qualsiasi interazione di dati fra il primo e il terzo pilastro rientri nelle rigide norme per la protezione dei dati;

42.  42 si raccomanda che gli Stati membri esaminino la rilevazione di dati statistici, utilizzando le adeguate salvaguardie sulla protezione dei dati personali in modo da escluderne l'uso per attività di profiling etnico, relativamente alla rappresentazione di gruppi razziali ed etnici in vari settori della società, incluso il settore pubblico e quello privato, e elaborino politiche sulla base di questi dati volte a garantire pari accesso all'occupazione, al lavoro indipendente, all'istruzione, alla protezione sociale e alla sicurezza sociale, ai benefici sociali e all'accesso e alla fornitura di beni;

43.   invita la Commissione a svolgere uno studio che esamini quali Stati membri godano di disposizioni in merito ad azioni positive, quali test debbano essere superati, come dette disposizioni siano state applicate in pratica da enti governativi e non governativi e quale sia stata la loro efficacia;

44.   invita gli Stati membri a rendere disponibili al pubblico statistiche dettagliate su reati di stampo razzista e ad elaborare indagini sulla criminalità e/o sulle vittime della criminalità che consentano la raccolta di dati quantitativi e comparabili sulle vittime di reati di stampo razzista;

45.   invita la Commissione a studiare e a fornire dati riguardanti le discriminazioni multiple;

46.   chiede alla Commissione di controllare con attenzione la discriminazione occulta basata su "criteri occupazionali genuini e determinanti", sull'interazione fra le discriminazioni basate sull'applicazione di questa esenzione per motivi religiosi nel quadro della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006 , riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)(3) e le sue conseguenze per la razza e l'appartenenza etnica, prestando particolare attenzione alla discriminazione nel campo dell'istruzione;

47.   reitera l'opportunità politica, sociale e giuridica di porre fine alla gerarchia di protezione in base ai diversi motivi di discriminazione, e accoglie con favore a tale riguardo l'intenzione della Commissione di presentare una proposta di estendere il campo di applicazione della direttiva 2000/43/CE a tutti gli altri motivi di discriminazione, come dichiarato nel suo Programma legislativo annuo per il 2008; prevede quindi che la Commissione avvii i lavori preparatori già quest'anno per formulare le sue proposte quanto prima, in ogni caso prima della fine del 2008;

48.   accoglie con favore l'interesse della Commissione nei confronti della discriminazione multipla, anche mediante l'avvio di uno studio su questo tema; invita la Commissione ad accogliere una definizione ampia della discriminazione multipla, in grado di tener conto dell'esposizione a più di un fattore di rischio di discriminazione;

49.   invita gli Stati membri ad attribuire maggiore importanza alla prova della discriminazione; raccomanda che essi seguano gli orientamenti relativi alla prova della discriminazione redatti dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro, come proposto dall'Agenzia per i diritti fondamentali e che formino personale che produca prove nei settori chiave dell'occupazione, del lavoro, dell'istruzione, dell'alloggio e dell'abitazione, della sanità, dell'accesso a beni e servizi e della violenza razzista;

50.   invita la Commissione a coinvolgere l'Agenzia per i diritti fondamentali, in funzione delle sue competenze, nel quadro legislativo comunitario esistente nella lotta contro le discriminazioni, in modo che quest'ultima svolga un ruolo importante fornendo regolarmente informazioni precise e aggiornate, pertinenti per l'elaborazione della futura legislazione;

51.   esorta le Istituzioni dell'Unione europea a continuare ad utilizzare, quale criterio fondamentale per valutare la preparazione dei paesi candidati all'adesione all'Unione europea, la situazione delle minoranze etniche e in particolare delle donne e dei minori in tali paesi;

o
o   o

52.   incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione, nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

 

 

 

<TitreType>RELAZIONE</TitreType>

<Titre>sull'applicazione della direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica</Titre>

<DocRef>(2007/2094(INI))</DocRef>

<Commission>{LIBE}Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento Europeo</Commission>

Relatrice: <Depute>Kathalijne Maria Buitenweg

 

 

Introduzione

 

Nel 1997 il trattato di Amsterdam integrava l'articolo 13 sulla non discriminazione al trattato che istituisce la Comunità europea. Tale articolo funge da base per due direttive, quella sulla parità in materia di occupazione (1) e quella sull'uguaglianza razziale (2). Quest'ultima doveva essere attuata dagli Stati membri entro il 19 luglio 2003.

 

La relazione della Commissione europea (3) fornisce un'analisi sull'applicazione della direttiva sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. In una fase successiva dell'anno in corso, la Commissione europea cercherà di fornire informazioni su eventuali procedure di infrazione.

 

La relatrice ritiene che la direttiva sull'uguaglianza razziale (2000/43/CE) sia una parte significativa della legislazione: essa ha rappresentato un notevole progresso nella protezione degli individui contro la discriminazione e ha offerto loro l'opportunità di ottenere una riparazione. Da segnalare è anche il fatto che tale direttiva si applica a tutte le persone, a prescindere dalla cittadinanza o dalla residenza.

 

Resta molto lavoro da svolgere per una corretta applicazione della direttiva. La relatrice invita la Commissione non solo a controllare la corretta trasposizione giuridica delle direttive, ma anche a considerare gli impedimenti presenti. Molti individui non conoscono i propri diritti o incontrano difficoltà nell'adire la giustizia. Occorre attribuire un'importanza prioritaria alle informazioni in materia di leggi antidiscriminazione e diritto di riparazione.

 

Nonostante i progressi compiuti in termini di trasposizione delle direttive antidiscriminazione, il razzismo non è diminuito, al contrario. All'interno dell'Unione europea il numero di atti razzisti è aumentato drasticamente. A ciò si accompagnano prove di una maggiore tolleranza verso tali atti discriminatori, soprattutto se rivolti a immigrati e musulmani. Il razzismo è contrario ai principi dell'Unione europea, ne mina la coesione sociale e impedisce l'emancipazione dell'individuo. È fondamentale che il Parlamento europeo conferisca maggiore slancio alla volontà politica di affrontare il tema.

 

Per quanto concerne l'attuazione della direttiva, la relatrice ha esaminato campo di applicazione, riparazione giuridica, onere della prova, organismi per la promozione della parità di trattamento, diffusione delle informazioni e sensibilizzazione.

 

 

 

 

1. Campo di applicazione

 

Ai tempi della sua approvazione, la direttiva sull'uguaglianza razziale appariva rivoluzionaria, poiché non circoscriveva la protezione contro la discriminazione all'area del mondo del lavoro. L'articolo 3 include nel campo di applicazione materiale, tra l'altro, sicurezza sociale, istruzione e accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio.

 

Il campo di applicazione più ampio della direttiva 2000/43/CE non trova corrispondenza in quella in materia di occupazione (2000/78/CE), che vieta ogni forma di discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali, ma solo nell'area lavorativa e occupazionale. La relatrice accoglie favorevolmente il fatto che alcuni Stati membri abbiano adottato il campo di applicazione ampio della direttiva sull'uguaglianza razziale per tutti i tipi di discriminazione, spingendosi in tal modo oltre le disposizioni della direttiva stessa.

 

La relatrice ritiene che la direttiva in materia di occupazione debba essere modificata, affinché abbia lo stesso campo di applicazione della direttiva sull'uguaglianza razziale. Ciò è necessario al fine di evitare sia la creazione di una gerarchia nelle forme di discriminazione sia i problemi in caso di discriminazione multiple.

 

Inoltre, dato che il razzismo è interconnesso alla discriminazione fondata su nazionalità e/o religione o convinzioni personali, un adeguamento del campo di applicazione della direttiva potrebbe rivelarsi necessario per aumentare le possibilità di accedere a un'effettiva riparazione.

 

Per quanto la maggior parte dei paesi sembri rispettare il campo di applicazione materiale della direttiva sull'uguaglianza razziale, permangono ancora carenze significative che occorre prendere in esame. Cinque Stati membri, ad esempio, non hanno ancora trasposto adeguatamente la direttiva negli ambiti esterni al mondo del lavoro. (4)

 

Inoltre, in alcuni Stati membri la trasposizione si è limitata al settore privato. In due paesi il servizio militare viene escluso dal campo di applicazione delle disposizioni di recepimento (5). Il settore pubblico non è incluso adeguatamente in molti Stati membri e in un paese l'applicazione della direttiva è addirittura limitata al settore privato (6). Dato che sia gli enti pubblici sia quelli privati rientrano nel campo di applicazione materiale della direttiva, è necessario individuare le ragioni per cui certi settori ne sono rimasti esclusi.

 

La relatrice desidera inoltre che la Commissione chiarisca se la direttiva sia applicabile anche alle attività delle autorità di polizia degli Stati membri, ad esempio al profiling etnico.

 

 

2. Riparazione giuridica

 

Ogni Stato unisce procedimenti giudiziali e procedimenti non giudiziali. È necessario segnalare tale aspetto poiché nei procedimenti civili l'onere della prova non ricade solo sulla vittima e quest'ultima non dipende dal pubblico ministero per sporgere denuncia.

 

In termini generali, la giurisprudenza disponibile in materia di discriminazione è limitata. Alcuni potrebbero dedurre che il razzismo non è un gran problema, ma le ricerche ci mostrano una realtà diversa. La presenza di molti ostacoli alla giustizia sembra essere una motivazione più vicina alla realtà. La lunghezza e la complessità delle procedure possono fungere da deterrente per le vittime. (7)

Al contrario, per quanto riguarda la presentazione della denuncia, i tempi sono talvolta troppo stretti. Per esempio, le vittime hanno a disposizione solamente 30 giorni in Ungheria o 2 mesi nei Paesi Bassi e in Irlanda per adire la giustizia.

 

In alcuni Stati membri l'insufficienza dei mezzi finanziari può realmente ostacolare l'avvio di una causa. (8)

 

Le associazioni possono rappresentare un aiuto concreto per le vittime. Ciononostante, molti Stati membri non prevedono regole specifiche per la loro partecipazione ai procedimenti nei casi di discriminazione (9). Pochi Stati permettono alle associazioni di avviare i procedimenti "a nome" delle vittime di discriminazione. Ci sono alcuni esempi positivi, come Spagna o Lettonia, dove soggetti giuridici autorizzati legalmente alla difesa di diritti e interessi legittimi e collettivi possono partecipare a nome del denunciante a ogni procedimento giudiziale (previa autorizzazione dello/a stesso/a) per dare effetto al principio della parità di trattamento fondato sulla razza e sull'origine etnica.

 

L'infrazione delle leggi antidiscriminazione deve essere oggetto di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive. Sono tuttavia pochi, in questa fase, i paesi le cui sanzioni possono considerarsi appropriate.

 

 

3. Onere della prova

 

Provare una discriminazione è notoriamente difficile. Soprattutto nel mondo dell'impiego il datore di lavoro si trova in una posizione decisamente più forte rispetto al dipendente, poiché le informazioni riguardanti una presunta decisione discriminatoria sono normalmente nelle mani del primo e i testimoni spesso si mostrano riluttanti a testimoniare contro di lui. Per questo motivo, l'articolo 8 prevede un cosiddetto test a due fasi. Nella prima fase, gli individui che ritengono essere stati oggetto di discriminazione devono esporre dei fatti da cui si può presumere che ci sia stata una discriminazione diretta o indiretta. L'onere della prova passa quindi all'imputato, che deve provare come non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento. Tale procedura non si applica alle cause penali.

 

Molti degli Stati membri non hanno trasposto (adeguatamente) le disposizioni sull'onere della prova (10). Inoltre, in molti Stati membri le disposizioni di recepimento relative all'onere della prova non possono essere messe alla prova a causa della mancanza di giurisprudenza.

 

Le prime indicazioni di giurisprudenza sembrano suggerire che anche la prova di una causa prima facie rimane un ostacolo difficile da superare per i denuncianti. Ottenere statistiche risulta spesso complicato e i test situazionali devono soddisfare delle condizioni rigorose.

 

La raccolta di dati sensibili, che dovrebbero essere necessari per stabilire la discriminazione indiretta o per valutare la diffusione della discriminazione nella società, continua ad alimentare preoccupazioni e timori in molti Stati membri.

 

 

4. Organismi per la promozione della parità di trattamento

 

La quasi totalità degli Stati membri (11) ha oggi istituito degli organismi per la promozione della parità di trattamento o ne ha delegato le funzioni a organismi già esistenti, quali gli istituti nazionali per i diritti umani. Proporzionalmente sono molti gli organismi competenti in materia di discriminazione, fondata non solo su razza o origine etnica ma anche su altri motivi. I rispettivi enti offrono assistenza alle vittime di discriminazione in diversi modi, avviando un'azione legale (12) o fornendo opinioni non vincolanti sulle denunce che vengono loro presentate (13). Alcuni organismi specializzati possono aprire un'inchiesta sulle denunce in materia di discriminazione e generalmente possono obbligare tutte le persone coinvolte a adeguarsi ai risultati delle indagini. (14)

 

Resta da vedere se tutti gli organismi saranno in grado di proseguire il loro lavoro in maniera indipendente come richiesto dalla direttiva. (15) Per esempio, sia in Italia sia in Spagna, gli enti per la parità di trattamento si trovano all'interno dei ministeri.

 

In alcuni paesi, i mezzi finanziari a disposizione degli organismi sono insufficienti per lo svolgimento delle loro funzioni.

 

 

5. Diffusione dell'informazione e sensibilizzazione

 

I diritti servono poco a coloro che non li conoscono. Pertanto, l'articolo 10 della direttiva obbliga gli Stati membri a portare all'attenzione del pubblico le disposizioni pertinenti della direttiva con qualsiasi mezzo appropriato.

 

Sia la Commissione europea sia la Rete di esperti giuridici indipendenti rilevano che molti Stati membri, da questo punto di vista, hanno fallito. Anche il recente sondaggio Eurobarometro conferma che la consapevolezza dell'esistenza di una legislazione antidiscriminazione è limitata. Solamente il 35% degli intervistati ritiene che nel loro paese sia in vigore una legge che proibisce la discriminazione basata sull'origine etnica. E solamente un terzo dei cittadini UE afferma di sapere come agire quando è vittima di discriminazioni o molestie. In particolare, i livelli di sensibilizzazione più bassi si sono registrati nei dieci nuovi Stati membri.

 

Ciononostante la direttiva ha alimentato il dibattito pubblico sulla lotta alla discriminazione e ha portato a molte iniziative significative. Alcuni Stati membri, tra cui Malta, Polonia e Portogallo, hanno integrato nelle rispettive legislazioni nazionali l'obbligo, da parte dei datori di lavoro, di informare i propri dipendenti sulle leggi antidiscriminazione. Particolare successo ha avuto l'iniziativa promossa dalla Finlandia, che ha realizzato un volantino sulla legge antidiscriminazione in braille e lo ha reso disponibile, sia in versione cartacea sia on-line, in finlandese, svedese, inglese, sami, russo, arabo e spagnolo.

 

Nel contesto dell'anno europeo per le pari opportunità, rimane tuttavia l'imperativo per le istituzioni dell'UE e per gli Stati membri di garantire che qualsiasi individuo in Europa sia a conoscenza dei propri diritti.

 

Note

 

[1] Direttiva 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

2 Direttiva 2000/43/CE, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.

3 COM(2006) 643 def./2, del 15 dicembre 2006.

4 Malta, Lettonia, Estonia, Polonia, Repubblica Ceca.

5 Lettonia, Malta.

6 Ungheria.

7 È il caso, ad esempio, di Portogallo e Slovenia, dove sussistono preoccupazioni riguardo alcuni procedimenti giudiziari che potrebbero richiedere anche più di cinque anni.

8 Repubblica Ceca, Lettonia, Slovacchia.

9 Danimarca, Finlandia, Lituania, Svezia o Regno Unito.

10 Austria, Italia, Lettonia, Polonia, Estonia, Lituania, Lussemburgo, Germania. Si veda la "Rete di esperti indipendenti", pag. 73.

11 Le eccezioni sono Repubblica ceca, Lussemburgo, Malta e Germania.

12 Organismi finlandesi, belgi, ungheresi, irlandesi, britannici e svedesi.

13 Tale è la situazione in Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Cipro, Ungheria, Lettonia, Lituania, Grecia e Slovenia.

14 In Austria, Cipro, Francia, Ungheria, Irlanda, Lituania e Svezia.

15 Si veda la relazione "Developing anti-discrimination law in Europe; the 25 Member States compared", Rete europea di esperti indipendenti nel campo dell'antidiscriminazione, novembre 2006.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI) adotta una raccomandazione  sulla lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale nelle attività della polizia.

Raccomandazione ECRI n. 11 adottata il 29 giugno 2007.

 

La Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), l’organo indipendente del Consiglio d’Europa specializzato nella lotta al razzismo e alla discriminazione razziale, ha presentato lo scorso 4 ottobre la sua raccomandazione  di politica generale n. 11, dedicata al tema del contrasto alle forme di razzismo e di discriminazione razziale nelle attività degli organi di pubblica sicurezza, cioè di quel fenomeno che  in lingua inglese viene definito come “ethnic” o “racial profiling”, un’espressione difficilmente traducibile in italiano.

Nella raccomandazione viene innanzitutto definito il “racial profiling” come l’uso da parte della polizia di certe categorie quali l’appartenenza o l’origine razziale o etnica, il colore della pelle, la nazionalità, nelle attività di controllo, sorveglianza e investigazione, senza un obiettiva e ragionevole giustificazione. In sostanza, il “racial profiling” è principalmente la conseguenza  dell’uso di stereotipi diffusi all’interno degli appartenenti alle agenzie di pubblica sicurezza, per cui le persone appartenenti ad una determinata razza, etnia, nazionalità, religione, provenienza geografica, si presumono maggiormente inclini di altre al compimento di attività e atti criminosi e pertanto sono sottoposte ad una più intesa sorveglianza o a misure specifiche di controllo e investigazione, a prescindere dal  comportamento individuale o dall’esistenza di informazioni di intelligence che motivino tali misure. Tanto per fare alcuni esempi, può costituire una forma di “racial profiling”, l’attività di ispezione e perquisizione a tappeto compiuta dalle autorità di polizia in tutti i ristoranti e rosticcerie di kebab di una città, a seguito di una segnalazione di possibili attentati terroristici di matrice islamica sul territorio nazionale, senza che vi sia alcuna informazione di intelligence che possa collegare

alcuno di tali esercizi pubblici alla presenza o frequentazione da parte di persone sospette; oppure l’attività di fermo e controllo indiscriminato di tutti i cittadini stranieri di una determinata nazionalità residenti in  una città, a seguito di un’offesa compiuta da un cittadino di quella nazionalità, senza che vi siano elementi obiettivi che possano fondare un possibile legame tra la persona rea e le persone fermate; oppure  controlli ed ispezioni da parte dei vigili urbani sui negozi di proprietà di appartenenti della comunità cinese, condotti in misura sproporzionata rispetto a quelli praticati su commercianti di nazionalità italiana e fondati sulla presunzione di una più marcata illegalità o violazione di norme amministrative e fiscali nell’operato dei primi; ovvero i controlli d’identità operati da un’ unità di polizia ferroviaria nei locali di  una stazione ferroviaria, aventi per oggetto esclusivamente o prevalentemente le persone di colore, sulla presunzione che il colore della pelle possa essere di per sé un indice di una possibile condizione di irregolarità sul territorio.

L’ECRI, nella relazione esplicativa di accompagnamento alla raccomandazione (scaricabile in lingua inglese o francese dal sito: http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/ ) sottolinea come le attività di controllo, sorveglianza e investigazione delle autorità di pubblica sicurezza  dovrebbero essere sempre basate su criteri legati strettamente ed unicamente alla valutazione concreta del comportamento individuale e/o su informazioni di intelligence piuttosto che su generalizzazioni e stereotipi etnici, razziali o religiosi. L’”ethnic profiling” va invece combattuto innanzitutto perché viola i diritti umani, limitando indebitamente le libertà individuali; in secondo luogo perché rafforza i pregiudizi e gli stereotipi riguardanti certi gruppi sociali, generando nei suoi appartenenti sentimenti di umiliazione e alienazione con conseguenze negative per la coesione sociale; in terzo luogo, perché a medio e lungo termine si rileva controproducente, creando un diffuso senso di ostilità tra gli appartenenti alle minoranze etniche nei confronti delle agenzie di pubblica sicurezza, con conseguente impoverimento delle forme di collaborazione e dei flussi di informazioni di intelligence che sono invece lo strumento più efficace per la lotta alla criminalità.

La lettura della raccomandazione dell’ECRI n. 11 così come della relazione illustrativa di accompagnamento costituiscono un essenziale guida e punto di riferimento per monitorare ed individuare   forme e casi di “ethnic profiling “nell’operato delle forze di polizia nel nostro paese. A tale riguardo, si sottolinea come la legislazione italiana anti-discriminatoria è suscettibile di applicazione anche nei casi di “ethnic profiling” da parte delle autorità di Pubblica Sicurezza. L’art. 43 del T.U. sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98) impone un divieto generale di non-discriminazione, anche ai pubblici ufficiali, inclusi dunque gli agenti di polizia, come si evince in particolare dalla lettura del comma 2 : “In ogni caso compie un atto di discriminazione: a) il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell’esercizio delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnica o nazionalità, lo discriminino ingiustamente”. Tale proibizione protegge dalla discriminazione non solo i cittadini stranieri, ma anche quelli italiani (comma 3). Di conseguenza non sussistono dubbi che  comportamenti, atti, provvedimenti di “ethnic profiling” compiuti dalle autorità di pubblica sicurezza possono essere sanzionati in Italia ai sensi della normativa anti-discriminazione di cui al T.U. sull’immigrazione ed essere quindi oggetto di un’azione civile contro la discriminazione prevista dall’art. 44 del  D.lgs. n. 286/98.

 

Per un approfondimento sulla tematica dell’ethnic profiling si rimanda a DISCRIMINAZIONI ETNICO-RAZZIALI E ATTIVITA’ DELLE FORZE DI POLIZIA. UNA DISCUSSIONE SULL’”ETHNIC-PROFILING”, in Newsletter del Servizio di Supporto Giuridico del Progetto Leader, n. 6 /2007, disponibile sui siti web: www.leadernodiscriminazione.it e www.asgi.it.

 

Il testo integrale in lingua inglese o francese della Raccomandazione ECRI n. 11, comprensivo dell’explanatory memorandum  può essere scaricato dal sito web: http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/.

 

 

Pubblichiamo di seguito il testo in lingua italiana (traduzione non ufficiale) della Raccomandazione

 

 

ECRI – Raccomandazione di politica generale n. 11 sulla lotta al razzismo e alla discriminazione razziale nelle attività della polizia.

 

La Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI):

 

Visto l’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il Protocollo n. 12 di detta Convenzione e la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo;

Vista la Convenzione Internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale;

Ricordando la Raccomandazione di politica generale n. 7 dell’ECRI sulla legislazione nazionale per il contrasto al razzismo e alla discriminazione razziale;

Ricordando la Raccomandazione di politica generale n. 8 dell’ECRI per la lotta contro il razzismo nel contrasto al terrorismo;

Ricordando la Raccomandazione Rec (2001) 10 del Comitato dei Ministri agli  Stati membri sul Codice europeo d’etica della polizia, adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europea il 19 settembre 2001;

Ricordando le linee direttive del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sui Diritti dell’Uomo e la lotta contro il terrorismo;

Ricordando le norme adottate dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene inumani e degradanti;

Ricordando la Raccomandazione generale XXXI sulla discriminazione razziale nell’amministrazione e nel  funzionamento del sistema della giustizia penale, adottata il 17 agosto 2005 dal Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale;

Ricordando le Raccomandazioni dell’Alto Commissario dell’OSCE sulle minoranze nazionali sulle attività della polizia in una società multietnica (OSCE High Commissioner on National Minorities’  Recommendations on Policing in Multi-Ethnic Societies) del febbraio 2006;

Sottolineando che, nelle sue relazioni paese per paese, l’ECRI raccomanda regolarmente agli Stati membri delle misure efficaci per lottare contro il razzismo e la discriminazione razziale nelle attività della polizia;

Sottolineando il ruolo positivo che la polizia deve giocare nella lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale e nella promozione dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto;

Sottolineando la necessità di fornire alla polizia tutti le risorse umane, finanziarie e di altro genere necessarie ad adempiere pienamente al proprio ruolo;

Consapevole del fatto che la polizia, lottando contro la criminalità, ivi compreso il terrorismo, adempie ad un compito difficile;
Sottolineando che, per adempiere alla propria missione, la polizia deve garantire la protezione e la sicurezza e i diritti di tutte le persone;

Raccomanda ai governi dei paesi membri:

 

I)               Riguardo alla “categorizzazione etnica” (“ethnic profiling”):

 

  1. Di definire e proibire espressamente per legge  la “categorizzazione etnica” (“ethnic profiling”) ;

 

Ai fini della presente raccomandazione, si intende per categorizzazione etnica:

“L’utilizzo da parte della polizia, senza giustificazione obiettiva e ragionevole, di aspetti quali la razza, il colore, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nelle attività di controllo, di sorveglianza e di investigazione”;

 

  1. Di compiere delle ricerche sulla categorizzazione etnica e di assicurare un monitoraggio delle attività di polizia al fine di identificare  eventuali pratiche di  categorizzazione etnica, ivi compreso raccogliendo dei dati statistici classificati  sulla base dell’origine nazionale o etnica, della lingua, della religione o della nazionalità riguardanti le rispettive attività della polizia;
  2. L’introduzione di  uno standard di ragionevole sospetto, in base al quale i poteri legati alle attività di controllo, di sorveglianza e di investigazione, potranno essere esercitati soltanto sulla base di un sospetto fondato su criteri obiettivi;
  3. Di sensibilizzare la polizia sulla questione della categorizzazione etnica e sull’utilizzo del criterio del ragionevole sospetto;

 

II)              Concernente tutte le forme di discriminazione razziale e gli abusi a motivazione razzista da parte della polizia.

 

  1. Di assicurare che l’ambito di applicazione della legislazione vietante la discriminazione razziale diretta ed indiretta includa le attività della polizia;
  2. Di addestrare la polizia al rispetto dei diritti dell’uomo, incluso il diritto di essere protetti contro il razzismo e la discriminazione razziale, così come alle disposizioni giuridiche in vigore  contro il razzismo e la discriminazione razziale;
  3. Di prendere delle misure volte a rendere la polizia cosciente del fatto che gli atti di discriminazione razziale e gli abusi a sfondo razzista da parte di ufficiali di polizia non sono tollerati;
  4. Di prevedere la messa in atto di un meccanismo di supporto e di consulenza alle vittime di discriminazione razziale e di abusi a sfondo razzista commessi da ufficiali di polizia;
  5. Di garantire l’avvio di inchieste effettive su denunce di discriminazioni razziale e abusi a sfondo razzista commessi da ufficiali di polizia e, nel caso in questione, di vigilare affinché gi autori di tali atti vengano puniti in maniera appropriata;
  6. Di prevedere un organo indipendente dalla polizia e dai Pubblici Ministeri, incaricato di indagare sulle denunce di discriminazione razziale e di abusi a sfondo razzista commessi dalla polizia;

 

 

III)            Riguardante il ruolo della polizia nella lotta contro  i reati razzisti e a seguito  di incidenti razzisti

 

  1. Di assicurare che la polizia conduca delle investigazioni approfondite sui reati razzisti, prendendo in particolare  pienamente in considerazione l’eventuale  motivazione razzista dei reati comuni;
  2. Di mettere in atto  e di gestire un sistema di rilevamento e di monitoraggio degli incidenti a sfondo razzista e di monitorare  la frequenza con la quale  tali incidenti sono trasmessi ai Pubblici Ministeri e sono qualificati come reati a sfondo razzista;
  3. Di incoraggiare le vittime e i testimoni di incidenti a sfondo razzista a segnalare e denunciare tali incidenti;
  4. A tale scopo, di adottare una definizione ampia di incidente a sfondo razzista;

 

Ai fini di questa Raccomandazione, si intende per incidente a sfondo razzista:

“ogni incidente che viene percepito come motivato da ragioni razziste dalla vittima o da altra persona”.

 

IV. Riguardante le  relazioni tra la polizia e gli appartenenti ai gruppi minoritari

 

  1. Di prevedere nella legislazione l’obbligo per la polizia di promuovere l’eguaglianza e di prevenire la discriminazione razziale nell’esercizio delle proprie funzioni;
  2. Di addestrare la polizia a lavorare nel contesto di una società plurale;
  3. Di reclutare in seno alla polizia appartenenti ai gruppi minoritari sottorappresentati e di assicurare che essi beneficino del principio di eguaglianza di opportunità nell’evoluzione delle loro carriere professionali;
  4. Di costituire un contesto di riferimento che permetta il dialogo e la cooperazione tra la polizia e gli appartenenti ai gruppi minoritari;
  5. Di prevedere, nella misura del possibile, l’accesso ad un servizio professionale di interpretariato per coloro che, non comprendendo la lingua ufficiale, vengano in contatto con l’autorità di polizia;
  6. Di assicurare che la polizia comunichi con i media ed il pubblico in generale, in maniera tale da non rafforzare  l’ostilità o i pregiudizi nei confronti degli appartenenti ai gruppi minoritari.

 

 

 

Traduzione non ufficiale a cura del Servizio di Supporto Giuridico dell’ASGI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL CONTRASTO ATTIVO ALLE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI – SCHEDE PRATICHE - L’USO DEI TEST SITUAZIONALI

 

 

COME ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE ?/ Scheda n. 1

 

 

RICERCA DI UN ALLOGGIO IN AFFITTO

ATTRAVERSO AGENZIE DI INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE

 

Background: Segnalazione da parte di un cittadino di colore che un’agenzia di intermediazione immobiliare rifiuta di prestare i propri servizi per ragioni discriminatorie legate alla razza.

 

- Verificare la disponibilità dell’interessato di avviare una procedura giudiziaria o extragiudiziaria (di conciliazione o mediazione ) nei confronti dell’agenzia.

 

1)     Preparazione del test

- Verificare la disponibilità di alloggi in affitto offerti al pubblico da quella agenzia, visionandone l’eventuale sito internet, la rubrica ospitata su riviste di annunci e/o gli annunci esposti nella vetrina dell’agenzia medesima. Registrare tali disponibilità annotandone su un documento.

- Reperire i tester: rispettivamente una persona  dai caratteri somatici  “bianchi”-“italiani” ed una persona di origine africana “di colore”, dello stesso “status sociale e familiare”, del medesimo livello di reddito e dello stesso sesso.

-Procurarsi un telefono munito di viva voce ed un registratore

 

2)     Il test

-        Viene messo in moto il registratore. La persona di origine italiana chiama l’agenzia immobiliare e si annota il numero composto, l’ora e la data della chiamata. La persona di presenta al telefono, sostenendo di cercare un appartamento in affitto e chiedendo quali siano le disponibilità, cercando di ottenere dall’agente i maggiori dettagli possibili sugli appartamenti liberi (ubicazione, indirizzo, caratteristiche,…) e le generalità dell’interlocutore (magari chiedendo il suo nome per poterne riparlare eventualmente in una volta successiva). Trascorsi una quindicina di minuti, è la volta della persona di origine africana a chiamare. Il tester di origine  africana deve presentarsi, facendo emergere la propria provenienza, magari solo accentuando un pochino l’accento.  Utilizzando le informazioni raccolte sugli appartamenti liberi da locare, esprime interesse per i medesimi. Se l’interlocutore sembra reticente, il tester deve cercare di insistere, senza peraltro cadere in alcuna provocazione o portare il discorso di sua iniziativa sulle questioni di razza o etniche.

 

  Sussiste un’evidenza diretta di discriminazione quando:

 

      a ) l’agente immobiliare stesso  dichiara per telefono  il rifiuto a locare a immigrati di colore in quanto ad

           es. ciò corrisponderebbe alla volontà dei proprietari.

 

 Sussiste un’evidenzia circostanziale di discriminazione quando:

a)     l’agente immobiliare rifiuta di intermediare la locazione con il cittadino di colore usando pretesti quali: “l’immobile non è più disponibile”,”il proprietario ha revocato il mandato”, “l’appartamento è stato già affittato proprio poche ore fa”. Tali pretesti possono essere facilmente smascherati nel momento in cui  il primo tester (di origine italiana) richiami e chieda un appuntamento per visitare l’appartamento che era stato dichiarato indisponibile al tester di origine africana. Se la visita viene fissata, ciò chiaramente indica la mala fede dell’agente.

 

3)     Dopo il test

- Redigere un verbale o rapporto con la testimonianza della vittima effettiva della discriminazione, specificando esattamente come si sono svolti i fatti (data e ora della visita all’agenzia immobiliare, descrizione dell’agente e colloquio con l’agente, risposte ed affermazioni dell’agente immobiliare,…);

- Redigere un verbale o rapporto  con le testimonianze dei tester, accompagnate  dalle fotocopie delle loro  rispettive carte di identità e di quelle  dei testimoni (rappresentanti dell’associazione o ONG che ha organizzato o coordinato il test), nonché dalle schede con i loro indirizzi e numeri telefonici . Almeno fino alla completata stesura di questi verbali  contenenti le testimonianze della vittima della discriminazione e dei tester, ciascun soggetto dovrebbe essere tenuto separato, in modo tale che non vi sia la possibilità che essi si  influenzino  reciprocamente.

Ciascun tester e la vittima della discriminazione dovrebbero avere contatti soltanto con i coordinatori del test.

 

-        Allegare copia della registrazione del colloquio telefonico.

 

POSSIBILITA’ DI RIPETERE IL TEST CON L’INTERVENTO PERSONALE IN AGENZIA DI UN’ALTRA COPPIA DI  TESTER O NUOVAMENTE MEDIANTE CONVERSAZIONE TELEFONICA (al fine di avere un’ulteriore elemento circostanziale per affermare l’esistenza di un modello consolidato di comportamento discriminatorio e non solo di un fatto isolato).

 

-Rivolgersi ad un avvocato per la predisposizione dell’azione giudiziaria civile anti-discriminazione ovvero ad una ONG legittimata ad agire in giudizio o all’UNAR per assistenza.

 

 

 

 

 

COME ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE ?/ Scheda n. 2

 

 

DISCRIMINAZIONE NELL’ACCESSO AL LAVORO. Presentazione personale di un CV.

 

Background: Una cittadina di origine maghrebina sostiene di essersi presentata in un  negozio per deporre il suo CV dopo che era stato esposto un avviso per la selezione di personale per posti di lavoro di commessa, ma di essere stata male accolta e che la ricezione del CV è avvenuta formalmente, ma di non essere stata trattenuta per   un colloquio al contrario di altre persone di caratteri somatici “europei” giunte contemporaneamente.

 

 

1. Scegliere i tester

Un tester  di origine africana o maghrebina e un tester di origine e caratteri somatici “italiani”. La sola differenza tra i due tester deve essere l’origine razziale o etnica in quanto il trattamento differenziato denunciato dalla vittima potrebbe essere stato anche originato da variabili diverse, indipendenti dalla razza o origine etnica, ponendo un caso eventualmente di discriminazione per altre ragioni (età, aspetto fisico, abbigliamento,…). Quindi i tester devono avere lo stesso profilo in termini di età, percorso professionale e educativo. Devono essere vestiti in maniera appropriata e conoscere almeno un po’ il mestiere per il quale è richiesta la manodopera per essere in grado di rispondere alle domande del selezionatore.

Anche i CV devono indicare percorsi di istruzione e di esperienza professionale simili.

 

 

2.Il test

Il primo ad entrare è il tester di origine africana o maghrebina. La sua venuta sarà preceduta da una paio di accompagnatori, che fingendosi potenziali clienti del negozio danno un’occhiata in giro, fingendo di  interessarsi alla merce. Lo scopo degli “accompagnatori” è verificare e testimoniare su cosa avviene durante il test, ad. es. verificare che  il CV consegnato dal  tester di origine “straniera” non venga immediatamente cestinato una volta che lei esce dal negozio . Successivamente entrerà il tester di origine italiana. Si compareranno le differenze di atteggiamento registrate che possono costituire un’evidenza, anche circostanziale o presuntiva, di discriminazione quali ad es.:

 

-        viene detto al tester di origine “straniera”  che la selezione è già stata effettuata e il posto di lavoro non è più disponibile, mentre al tester di origine italiana viene accettato il CV e viene detto che eventualmente verrà  richiamato per un  colloquio;

-        al tester di origine “straniera” viene semplicemente chiesto di lasciare il CV, mentre al tester di origine italiana viene detto di attendere perchè immediatamente verrà effettuato il colloquio con il selezionatore del personale.

-        Il CV del tester di origine “straniera” viene posto in una pila separata rispetto al CV del tester di origine italiana ovvero viene gettato nell’immondizia.

 

POSSIBILITA’ DI RIPETERE IL TEST CON L’INTERVENTO DI UN ALTRE COPPIE DI  TESTER (al fine di avere un ulteriore elemento circostanziale per affermare l’esistenza di un modello consolidato di comportamento discriminatorio e non solo di un fatto isolato).

 

3. Dopo il test

- Redigere un verbale o rapporto con la testimonianza della vittima effettiva della discriminazione, specificando esattamente come si sono svolti i fatti (data e ora della visita al negozio,  colloquio, risposte ed affermazioni,…)

- Redigere un verbale o rapporto  con le testimonianze dei tester, accompagnate  dalle fotocopie delle loro  rispettive carte di identità e di quelle  dei testimoni (rappresentanti dell’associazione o ONG che ha organizzato o coordinato il test), nonché dalle schede con i loro indirizzi e numeri telefonici . Almeno fino alla completata stesura di questi verbali o rapporti con le testimonianze della vittima della discriminazione e dei tester, ciascun soggetto dovrebbe essere tenuto separato, in modo tale che non vi sia la possibilità che si  influenzino  reciprocamente.

Ciascun tester e la vittima della discriminazione dovrebbero avere contatti soltanto con i coordinatori del test.

 

-Rivolgersi ad un avvocato per la predisposizione dell’azione giudiziaria civile anti-discriminazione ovvero ad una ONG legittimata ad agire in giudizio o all’UNAR per assistenza.

 

 

 

COME ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE? / Scheda n. 3

 

 

RACCOMANDAZIONI GENERALI SUL COMPORTAMENTO E CARATTERISTICHE DEI TESTER

 

 

-        Il background personale dei tester  non deve gettare alcun tipo di ombra sulla loro credibilità e imparzialità come testimoni. Preferibilmente dovranno essere utilizzati tester che abbiano una posizione di rispettabilità nella società e siano persone note nella società civile. Dovranno essere evitati tester che abbiano avuto precedenti rapporti ed esperienze negative con l’attore della presunta discriminazione, per cui quest’ultimo possa sostenere la tesi di una volontà di ritorsione nei suoi confronti da parte del tester (ad es. una persona che sia stata licenziata da quel datore di lavoro). Lo stesso vale per i coordinatori del test, che potrebbero essere i rappresentanti di una ONG, dotata  della legittimazione diretta ad agire contro l’agente della discriminazione.

-        I tester devono avere una buona conoscenza della lingua italiana in modo che le loro testimonianze dinanzi alla corte possano essere sufficientemente  articolate.

-        I tester devono essere disponibili a proporsi come testimoni dinanzi alla corte ed avere un certo consolidamento nella società locale, garantendo la loro reperibilità per il periodo di tempo necessario al compiersi della procedura giudiziaria.

-        Vi deve essere il massimo grado possibile di similitudine tra il gruppo di individui  oggetto della discriminazione ed il gruppo di controllo, che deve assomigliare al primo sotto ogni profilo tranne per la caratteristica che deve essere testata (ad es. l’appartenenza etnico-razziale).

-        Durante il test, i volontari devono evitare  qualsiasi provocazione o atteggiamento che possa indebitamente incoraggiare l’atto discriminatorio. In altre parole, bisogna distinguere tra i comportamenti  corretti  del tester che semplicemente aiutano a rilevare e mettere in luce  un atto o

             comportamento discriminatorio comunque esistente, e quelli, invece, illegittimi, in quanto  “istigatori”

             di un atto discriminatorio che altrimenti non necessariamente avrebbe luogo.

 

 

 

 

 

 

 

COME ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE? / Scheda n. 4: Studio di caso

 

 

TEST SITUAZIONALE  NELLE FORME DELLA TESTIMONIANZA

ACCOMPAGNATA DALLA REGISTRAZIONE DI CONVERSAZIONE TELEFONICA E

DA INDAGINE ISPETTIVA DELL’ISPETTORATO DEL LAVORO

 

 

Il caso “Moulin Rouge” (SOS Racisme et Marea c/Beuzit et Association du Moulin, Tribunale di Parigi 17.10.2002; Tribunale di Appello di Parigi, 22.11.2002, Francia).

 

 

Il 16 novembre 2000 un responsabile dell’ufficio del lavoro di Parigi riceve un’offerta di lavoro dall’associazione  del “Bal du Moulin Rouge” per l’impiego di camerieri di età compresa tra i 18 e i 28 anni”. Egli dunque telefona al responsabile del personale del Moulin Rouge per  segnalare un giovane senegalese, ma quando la nazionalità del candidato viene  menzionata, l’interlocutore del “Moulin Rouge” fa presente che persone di colore vengono impiegate nell’impresa solo in cucina, ma non in sala a contatto con i clienti. Ciò nonostante, il responsabile dell’ufficio per l’impiego decide di inviare ugualmente il cittadino senegalese per un colloquio personale con il responsabile del personale del Moulin Rouge.   Egli inoltre   invia separatamente anche un cittadino, sempre di colore, originario della Martinica, in funzione di “tester- testimone”. Dopo il colloquio, entrambi riferiscono di non essere stati selezionati con la motivazione della mancata conoscenza della lingua inglese o spagnola. Tuttavia, tale requisito non figurava tra quelli menzionati nella offerta d’impiego recapitata all’ufficio del lavoro.

A questo punto, il responsabile dell’ufficio del lavoro decide, assieme ad un collega ed in presenza dei due  stranieri, di telefonare al responsabile del personale del Moulin Rouge e di registrare la telefonata. Durante la conversazione telefonica, il responsabile del personale del Moulin Rouge ribadisce la politica dell’azienda di non reclutare persone di colore per il servizio in sala.   I due colleghi dell’ufficio del lavoro e i due lavoratori stranieri redigono una testimonianza scritta e muniti di copia del nastro della registrazione telefonica depongono una denuncia per discriminazione nell’impiego presso l’autorità giudiziaria così come presso l’ispettorato del lavoro. Quest’ultimo, a seguito della denuncia, invia un ispettore a compiere  un’ispezione visiva nei locali del ristorante “Moulin Rouge”. Da detta ispezione  risulta che il 97% del personale impiegato nel servizio ai tavoli e al bar è di caratteri somatici  “bianchi” (europea), mentre  il personale di colore è numeroso in cucina.

Nel corso del giudizio dinanzi al tribunale di Parigi,  al quale l’ONG SOS Racisme partecipa quale parte civile del lavoratore senegalese, vengono portate prove a sostegno della tesi di una discriminazione razziale nelle politiche di impiego dell’impresa Ristorante del Moulin Rouge, nelle forme della testimonianza dei due cittadini di colore, il candidato senegalese vittima effettiva della discriminazione ed il “testimone- tester” della Martinica, dei due impiegati dell’ufficio dell’impiego e delle risultanze dell’ispezione compiuta dall’Ispettorato del Lavoro.

Sulla base di tali prove, il giudice stabilisce la fondatezza della sussistenza   della discriminazione illecita e condanna il responsabile del ristorante del Moulin Rouge ad un’ammenda di  10,000 euro, il  responsabile del personale della struttura ad una condanna a 100 giorni di detenzione o, in alternativa,  o ad un’ammenda, ed entrambi a pagare 4,500 euro di compensazione per danni al lavoratore senegalese e 2,300 di compensazione a SOS Racisme in quanto parte civile, oltre al pagamento delle spese legali. A titolo complementare  il rappresentante legale della società Ristorante del Moulin Rouge viene obbligato a pubblicare la sentenza a proprio carico sul quotidiano nazionale “Le Monde”. La sentenza è confermata in appello.

 

 

 

 

Per saperne di più sui test situazionali si rimanda a :

Walter Citti, I test situazionali come strumento di prova della discriminazione, in Newsletter n. 1 del Servizio di Supporto Giuridico del progetto Leader, sul sito internet: www.leadernodiscriminazione.it  o www.asgi.it (con bibliografia allegata).

 

 

 

 

ATTUALITA’ NAZIONALE - ADVOCACY

 

Discriminazione nell’accesso dei cittadini stranieri a borse di studio e sussidi sociali concessi da una Fondazione privata. L’intervento del  Servizio di Supporto Giuridico contro le Discriminazioni dell’ASGI.

 

Si riporta di seguito la lettera inviata dal Servizio di Supporto Giuridico contro le discriminazioni razziali dell’ASGI ad una Fondazione filantropica privata di Trieste in merito alle clausole discriminatorie nei confronti di cittadini stranieri nell’accesso alla selezione di beneficiari di  borse di studio e sussidi di assistenza sociale offerti al pubblico mediante sito internet e affissione di locandine in luoghi pubblici.

 

 

 

 

                                                                                             Trieste, 12 ottobre, 2007

 

 

 

                            

Preg.ma Fondazione Filantropica XXXXXX

                XXXXX

                Trieste

 

__________________________

 

 

OGGETTO: Clausole discriminatorie nell’accesso alle borse di studio e ai sussidi assegnati dalla Fondazione. Riferimento alla normativa nazionale e comunitaria.

 

 

 

 

                                         Preg.mi. Signori,

     

 

La presente viene inviata dal Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni dell’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione),  associazione che riunisce avvocati, docenti universitari  ed operatori legali impegnati sulle tematiche dell’immigrazione.

 Il Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni dell’ASGI partecipa in qualità di partner ad un progetto denominato LEADER (Lavoro e Occupazione senza Discriminazioni Razziali e Religiose) inserito nel programma europeo EQUAL II e che ha l’obiettivo di definire strategie di contrasto e tutela dei cittadini immigrati dalle discriminazioni.

 

Nell’ambito del nostro lavoro, la nostra attenzione è stata richiamata da un recente bando emanato dalla Vostra Fondazione per l’assegnazione di  sussidi per la frequenza di corsi post-laurea; bando pubblicizzato mediante apposite locandine  affisse in diversi punti della città, così come attraverso il sito internet della Fondazione: XXXXXXXX. Dall’esame di detto bando si evince che tra i requisiti richiesti per la partecipazione alla selezione dei beneficiari dei sussidi vi è quello della cittadinanza italiana unitamente ad un requisito di residenza di lungo periodo nel territorio della provincia di Trieste. All’art. 2 del bando, infatti, si stabilisce che “sono ammissibili i cittadini italiani con la residenza da almeno cinque anni in un comune facente parte della provincia di Trieste, o comunque le persone quivi nate e residenti. Limitatamente ad una parte non maggioritaria dei sussidi previsti, possono esser considerate anche domande di cittadini italiani di altri comuni del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto orientale (cioè di comuni veneti ad est del fiume Livenza) ed a connazionali di località già appartenute alla Venezia Giulia (cioè facenti parte delle province di Gorizia e Trieste o delle ex province di Pola e di Fiume)….Si potrà eventualmente prescindere dai requisiti d’ammissibilità per i concorrenti che documentino d’essere di religione armeno-cattolica”.

 

Dall’esame dei bandi precedentemente emanati dalla Vostra Fondazione per l’erogazione di sussidi, prestazioni sociali e borse di studio,  emerge come tali requisiti di ammissibilità fondati su criteri di cittadinanza e di residenza siano costantemente previsti, in quanto –stando a quanto indicato nella presentazione della Fondazione nel vostro sito internet- deriverebbero da una precisa  regola statutaria: “La Fondazione Filantropica XXXXXX ha quale finalità primaria il sostegno ai giovani negli studi superiori ed universitari nonché nella loro formazione culturale. Statutariamente, i sui interventi sono destinati ai cittadini italiani residenti a Trieste da almeno cinque anni, anche se parte non maggioritaria degli interventi è aperta a cittadini italiani residenti nel F.V.G. ed in alcune località del Vento, nonché a connazionali della vicina penisola istriana”.[1]

 

Pur esprimendo il massimo apprezzamento per la preziosa attività filantropica ed umanitaria condotta dalla Fondazione, non possiamo non rilevare come la disciplina dei requisiti di ammissibilità per l’accesso ai bandi, fondati sui congiunti criteri di cittadinanza e residenza, appare, secondo il nostro avviso,  illegittima in quanto  in violazione delle disposizioni nazionali e comunitarie in materia di divieto di discriminazioni.

 

Dall’esame dei requisiti di ammissibilità si evince che possono usufruire delle prestazioni sociali offerte dalla Fondazione soltanto:

a)     i cittadini italiani residenti nel territorio della provincia di Trieste da almeno cinque anni;

 ovvero:

b)    le persone, indipendentemente dalla cittadinanza sembrerebbe di capire, che siano nate e a Trieste e ivi siano residenti, a prescindere dal possesso o meno del requisito della residenza quinquennale al momento della presentazione dell’istanza.

 

Si può concludere, pertanto,  che vengono esclusi dalla possibilità di concorrere a dette prestazioni sociali tanto i cittadini di altri paesi membri dell’Unione Europea quanto i cittadini extracomunitari, con le uniche eccezioni -pare di capire- per quelli che siano nati e residenti a Trieste ovvero siano di fede religiosa armeno-cattolica ovvero, per una quota minoritaria di interventi,  siano appartenenti al gruppo nazionale italiano in Istria (nel caso il termine “connazionale” venga inteso in termini di appartenenza etnica piuttosto che di comune cittadinanza).

Si ravvisa pertanto  una forma di discriminazione diretta a danno tanto dei cittadini comunitari quanto dei cittadini extracomunitari in quanto “un cittadino comunitario o extracomunitario, in virtù soltanto della sua cittadinanza, viene trattato meno favorevolmente  di quanto sia trattato un cittadino italiano in una situazione analoga”.

Con la presente si vuole sostenere che detta discriminazione è illegittima e contraria alle vigenti norme di legge, nazionali e di applicazione della normativa della Comunità  Europea, in quanto viene ad applicarsi su interventi e benefici sociali offerti al pubblico, senza che possa avere rilevanza il fatto che tali benefici siano offerti non da autorità pubblica, ma da un soggetto privato, titolare pertanto del principio  di diritto civile di autonomia contrattuale. 

 

Con riferimento ai cittadini comunitari, cioè di Stati appartenenti all’Unione Europea, la Corte di Giustizia Europea fin dal 1974 ha mostrato di non considerare rilevante la distinzione tra rapporti di diritto pubblico e rapporti di diritto privato  nella garanzia del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, statuito dall’art. 13 del  Trattato CE ed ha affermato, senza esitazione, che “se il divieto di discriminazione avesse valore unicamente per gli atti della pubblica amministrazione potrebbe scaturirne una difformità di applicazione “ traendone il corollario secondo cui “il principio di non discriminazione, in ragione del suo carattere imperativo, costituisce un parametro inderogabile per qualsiasi rapporto giuridico” (Corte di Giustizia, 12.12.1974 causa 36/74 B.N.O. Walrave).[2]

Si rileva, pertanto, che  il contenuto dei bandi indetti dalla Fondazione XXXXXX con riferimento ai requisiti di ammissione appare in violazione delle norme del Trattato Europeo in materia di divieto di discriminazione tra cittadini appartenenti all’Unione Europea.

 

Si sottolinea, peraltro, che il divieto di discriminazione nell’accesso di beni e servizi offerti al pubblico non può ritenersi limitato ai cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea, ma si è esteso pure ai cittadini appartenenti a paesi terzi per effetto di una legislazione nazionale anti-discriminatoria di recente introduzione nel nostro ordinamento, tanto per volontà autonoma del nostro legislatore, quanto per gli obblighi di recepimento di apposite normative comunitarie.

 Si fa qui riferimento  all’art. 43 1 comma del Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98), che  introduce una sorta di clausola generale di non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1 della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e ratificata dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654.

In base a tale norma costituisce una discriminazione:

ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.

Con l’art. 43 del D.lgs. n. 286/98,  venne  così introdotta nel nostro ordinamento la prima definizione compiuta di discriminazione.

È pertanto innanzitutto da considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”.

Infine, la norma evita di restringere la protezione contro le discriminazioni al solo ambito lavorativo, ma prende bensì in considerazione quelle condotte che ledano i diritti umani e le libertà fondamentali anche in campo politico, economico, sociale e in ogni altro settore della vita pubblica.

 

Il legislatore ha poi formulato, nel secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria.

L’articolo prevede infatti che compia “in ogni caso” una discriminazione anche :

 

(…)

b)chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

 

c)chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

(…)

Dall’esame della normativa citata, emerge chiaramente che :

 

a)              per quanto concerne i soggetti attivi, il divieto di discriminazione  trova applicazione  non solo nei confronti dello Stato e dell’autorità pubblica, ma anche dei  privati (l’appellativo “chiunque”) che offrano beni e servizi al pubblico;

b)             per quanto riguarda i soggetti passivi,  una delle condizioni protette dalla normativa antidiscriminatoria è quella fondata sull’origine nazionale, intesa non soltanto come appartenenza etnico-razziale del soggetto, ma anche come cittadinanza straniera (discriminazione in ragione soltanto della condizione di straniero).

 

In sintesi, dunque, la normativa di cui al d.lgs. n. 286/98 vieta al soggetto privato che metta a disposizione del pubblico beni e servizi di rifiutarne l’accesso  o di proporre o predisporre condizioni più sfavorevoli o svantaggiose in ragione della razza, dell’etnia, del colore, dell’ascendenza, della religione, della nazionalità o della provenienza geografica, dettando cioè un limite testuale all’autonomia e alla libertà contrattuale del soggetto privato che si rivolga al pubblico.

 

Al D.lgs. n. 286/98 si è aggiunto successivamente il d.lgs. n. 215/2003, di recepimento della direttiva europea 2000/43/CE che disciplina il principio di non discriminazione in ragione della razza e dell’origine etnica.

Dal considerando n. 12 della direttiva n. 2000/43/CE emerge che i divieti di discriminazione debbono rivolgersi, oltre allo Stato  e all’autorità pubblica,  anche ai soggetti e contraenti privati: “Per assicurare lo sviluppo  di società democratiche  e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le persone  a prescindere  dalla razza o origine etnica, le azioni specifiche nel campo  della lotta contro le discriminazioni basata sulla razza o origine etnica dovrebbero andare al di là dell’accesso alle attività di lavoro (…) e coprire  ambiti quali (…) le prestazioni sociali, l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura”. Il testo della direttiva è esplicito nell’estendere l’ambito di applicazione anche al settore privato: “(…)la presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico  che del settore privato, (…), per quanto attiene: (…) f) alle prestazioni sociali; (…) h) all’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio.” (art. 3, poi recepito quasi letteralmente dall’art. 3 d.lgs. n. 215/2003).

La Commissione europea nella  relazione periodica inoltrata nell’ottobre 2006 al Consiglio e al Parlamento Europeo sull’applicazione della direttiva 2000/43, ha chiarito l’ambito interpretativo dell’art. 3,  in un passaggio che, per  le importanti implicazioni interpretative della legislazione vigente anche nel nostro paese, vale la pena  citare integralmente: “Oltre a coprire tutti i cittadini, la direttiva ha esteso la protezione contro la discriminazione ben oltre il tradizionale settore dell’occupazione, coprendo ambiti come le prestazioni sociali, la sanità, l’istruzione e, soprattutto, l’accesso ai beni e servizi a disposizione del pubblico, tra cui gli alloggi. In alcuni Stati membri esistono problemi legati alla separazione tra la sfera pubblica e quella privata, nonché percezioni di interferenza nella libertà di decisione o di conclusione dei contratti. Quando beni, servizi, o impieghi sono oggetto di pubblicità, anche solo, ad esempio, mediante un avviso affisso su una finestra, essi sono a disposizione del pubblico e perciò rientrano nel campo di applicazione della direttiva” [sottolineatura nostra].[3]

 

Viene dunque sottolineato quanto già ribadito con riferimento alla legislazione nazionale pre-esistente, cioè  il divieto di porre in essere discriminazioni  quando un soggetto, anche privato, si rivolge al pubblico per fornire od offrire beni, servizi e prestazioni sociali, rimanendo estranea al divieto di discriminazione unicamente la fattispecie in cui   un contratto per la fornitura di beni, servizi e prestazioni  venga concluso a seguito di una trattativa individualizzata che non faccia seguito ad alcuna dichiarazione al pubblico o forma di pubblicità. [4]

            Poiché la Fondazione XXXXX ha fatto uso di pubblicità ed ha offerto al pubblico le sue prestazioni mediante appositi bandi, diffusi via internet e mediante locandine affisse in luoghi pubblici, i suoi atti e  comportamenti rientrano nel campo di applicazione della legislazione anti-discriminatoria e, per tale ragione, devono ad essa attenersi.

 

Si raccomanda, pertanto, la Fondazione XXXXXX, a togliere il requisito di cittadinanza italiana ai fini dell’ammissione ai beni e  prestazioni sociali erogati in quanto ciò costituisce, a nostro avviso,  una forma di discriminazione diretta in violazione della normativa antidiscriminatoria nazionale ed europea. Ugualmente appare opinabile ed in potenziale contrasto con la direttiva europea la clausola di preferenza verso i connazionali provenienti dalle ex province italiane già appartenenti alla Venezia Giulia, se ed in quanto tale clausola venisse interpretata a favore unicamente di appartenenti al gruppo etnico-nazionale italiano in Istria, in quanto suscettibile di determinare una discriminazione su basi puramente etnico-razziali. Infine, ugualmente discutibile  appare la preferenza verso gli appartenenti alla minoranza religiosa cattolico-armena.

 

E’ opinione, peraltro, di questo servizio che  togliere il requisito della cittadinanza italiana mantenendo nel contempo  il requisito della residenza di lungo periodo (5 anni ) nel territorio provinciale non depurerebbe i bandi da ogni profilo discriminatorio.

Nella previsione del requisito di residenza di lungo periodo (5 anni) nel territorio provinciale ai fini dell’ammissione ai bandi, si  manifesta a nostro avviso, un ulteriore profilo in discriminatorio, di natura indiretta o “dissimulata”. La discriminazione indiretta, infatti, sussiste quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza, origine etnica o appartenenza nazionale in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone (art. 2 d.lgs. n. 215/2003). Con riferimento all’interpretazione dell’art. 13 del Trattato europeo (principio di non discriminazione), la Corte di Giustizia europea ha già da tempo ed in diverse occasioni ritenuto che criteri fondati sulla residenza possono integrare ipotesi di discriminazione dissimulata. In altre parole, se un beneficio viene subordinato alla residenza su di un territorio da un certo periodo di tempo, potrà determinarsi una situazione di discriminazione su basi di nazionalità, in quanto tale condizione potrà essere più facilmente soddisfatta dal cittadino piuttosto che dal lavoratore migrante.[5]

 I medesimi  criteri interpretativi della Corte di Giustizia Europea possono dunque essere estesi per analogia anche in sede di applicazione del divieto di discriminazioni indirette posto dall’art. 43 del D.lgs. n. 286/98 e dal D.lgs. n. 215/2003 con riferimento alla generalità delle persone regolarmente soggiornanti  e non solo ai cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea.

Anche sotto questo profilo, si invita pertanto la Fondazione a  togliere il requisito della residenza di lungo periodo nel territorio provinciale ai fini dell’ammissibilità ai benefici erogati.

 

Nel ringraziarVi per l’attenzione che Vorrete porre alla presente, si ribadisce come tale intervento non abbia la finalità di sminuire o, peggio, denigrare il benemerito operato filantropico della Fondazione XXXXXX, al quale rivolgiamo  il nostro massimo apprezzamento e rispetto, ma quello di sollecitare l’ adeguamento delle modalità  con le quali vengono perseguite le meritevoli finalità della Fondazione, cioè il sostegno all’istruzione e alla formazione dei giovani, all’evoluzione della coscienza ed identità europea che pone il principio di non discriminazione come uno dei pilastri fondamentali su cui costruire una società più giusta e coesa.

 

 

Si trasmette la presente segnalazione all’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità affinché anch’esso possa, eventualmente e se lo ritiene opportuno, formulare una raccomandazione ed un parere in merito, avvalendosi delle prerogative assegnategli dall’art. 7 c. 2 lett. b) e e) del D.lgs. n. 215/2003, in quanto Autorità Nazionale contro le discriminazioni razziali, costituita per effetto del recepimento della  direttiva europea n. 2000/43/CE.

 

Distinti Saluti.

p. l’A.S.G.I.

 

p. il Servizio di Supporto giuridico contro le discriminazioni

Dott. Walter Citti

 

 

 

 

 

PUBBLICAZIONI

 

1.

 

Unione Forense per la Tutela dei diritti dell’uomo (a cura di Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci), Contenuti e strumenti per la tutela delle vittime di discriminazioni razziali, Roma, 2007, pp. 900.

 

L’Unione Forense per la Tutela dei diritti dell’Uomo, con la collaborazione del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) e il contributo finanziario dell’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali), ha pubblicato un volume che intende essere uno strumento di consultazione e approfondimento tematico per tutti coloro che, a vario titolo, svolgono attività nel campo della tutela delle vittime di discriminazione razziale o etnica o nel campo della promozione della parità di trattamento. Il volume è diviso in quatto parti: la prima contenente la normativa nazionale in materia civile e penale riguardante la discriminazione etnico-razziale; la seconda che riporta integralmente la principale giurisprudenza costituzionale, di legittimità e di merito, civile e penale, in materia di discriminazione etnico-razziale e religiosa; la terza parte è invece dedicata al sistema delle tutele offerte dal diritto internazionale e comunitario nel campo delle discriminazioni razziali ed etniche; la quarta parte invece contiene un’esaustiva rassegna di giurisprudenza internazionale, relativa agli organi delle Nazioni Unite, e del Consiglio d’Europa. Al termine del volume un appendice con un riepilogo degli argomenti, suddiviso per tematiche di riferimento.

 

 Una copia del pregevole volume può essere richiesta all’Unione Forense per la tutela dei diritto dell’uomo, via Emilio de’ Cavalieri, 11 , 00198 ROMA http: //www.unionedirittiumani.it 

 

 

 

 

2.

 

 

Marzia Barbera (a cura di ), Il nuovo diritto anti-discriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Giuffrè editore, 2007, euro 48,00.

 

 

Il libro   è   un' assoluta    novità    in    quanto    contiene   la    prima  analisi complessiva  della legislazione antidiscriminatoria comunitaria e  nazionale emanata a partire dall'ultimo scorcio      degli anni '90 e dà conto delle novità legislative e degli sviluppi giurisprudenziali intervenuti fino ai primi mesi del 2007, ivi compreso il codice delle pari opportunità.

Il volume tratta tutti i diversi fattori di discriminazione presi in considerazione dalla legge: il genere, la razza, l'origine etnica, la religione e le convinzioni personali, la disabilità, l'età, l'orientamento sessuale. Vengono anche analizzati i temi delle molestie, delle discriminazioni nei contratti privati di scambio di beni e servizi, delle azioni positive nel lavoro e nella rappresentanza politica, del ruolo delle istituzioni di parità e della società civile. Gli autori, tutti esperti della materia, sono docenti universitari, giudici, avvocati.
Il libro è rivolto a tutti coloro che si occupano del tema delle discriminazioni, non solo nel campo del lavoro, ma anche in quello della politica o dei rapporti di fornitura di beni e servizi. Lo sforzo è quello di accrescere l'attenzione degli studiosi e dei pratici del diritto verso uno dei campi più innovativi della regolazione giuridica e della ricerca scientifica e, allo stesso tempo, di far conoscere meglio le risorse normative, le azioni e i rimedi offerti dalla tecnica antidiscriminatoria. E' per questa ragione che alla discussione dei profili di natura teorica o di politica del diritto, si accompagna l'analisi di dettaglio di specifiche questioni tecniche, relative al diritto sostanziale e processuale, ai meccanismi probatori, ai rimedi, agli interventi di tipo promozionale. Il volume costituisce anche un utile supporto didattico per i corsi di diritto del lavoro, diritto comunitario, diritto antidiscriminatorio. Il libro è completato da un'ampia bibliografia.

 

La scheda del volume è scaricabile dal sito:

http://www.giuffre.it/servlet/page?_pageid=56&_dad=portal30&_schema=PORTAL30&APCodVolume=28924

 

 

 

DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE

 

1.

 

ECRI- Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza, Atti del seminario di esperti sulla lotta al razzismo nel rispetto della libertà d’espressione, Strasburgo, 16-17 novembre 2006, luglio 2007.

 

La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI) ha pubblicato gli atti del seminario di esperti tenutosi a Strasburgo il 16-17 novembre 2006 sul tema: “La lotta al razzismo nel rispetto della libertà d’espressione”. Lo scopo del seminario era quello di fornire una riflessione giuridica su come combattere il razzismo nel quadro del rispetto della libertà d’espressione in società multiculturali. Gli atti del seminario comprendono le relazioni tenute da esperti  provenienti dal mondo accademico, giudici della Corte europea dei diritti umani, rappresentanti di organismi internazionali e non governativi, nonché i documenti preparatori appositamente redatti per la conferenza.

 

Gli atti possono essere scaricati in lingua inglese o francese dal sito dell’ECRI:

http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/1-ECRI/4-Relations_with_civil_society/1-Programme_of_action/22-Freedom_of_expression_Seminar_2006/Proceedings_table.asp#TopOfPage

 

 

 

SOMMARIO DEI CONTENUTI DEGLI ATTI : “Expert seminar: Combating racism while respecting freedom of expression”

TABLE OF CONTENTS

I – INTRODUCTION

II – Main findings and conclusions of the Rapporteur, Mr Michael HEAD, member of ECRI

III – WRITTEN AND ORAL CONTRIBUTIONS

Mr Philippe Boillat, Director General of Human Rights, Council of Europe

Ms Isil Gachet, Executive Secretary to ECRI

Ms Jolien Schukking, Chair of the Committee of Experts for the Development of Human Rights of the Council of Europe

Ms Agnes Callamard, Executive Director, Article 19

Mr Aidan White, General Secretary, international Federation of Journalists

Mr Teun A. van Dijk, Universitat Pompeu Fabra

Mr Yaman Akdeniz, Director of Cyber-Rights and Cyber-Liberties

Mr Tarlach McGonagle, Institute for Information Law, University of Amsterdam

Ms Françoise Tulkens, Judge at the European Court of Human Rights

Professor Eva Smith Asmussen, Chair of ECRI

Ms Beate Winkler, Director of the European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia (EUMC)

Mr Ed van Thijn, member of the Parliamentary Assembly of the Council of Europe

Ms Dunja Mijatovic, Vice-Chairperson of the European Platform of Regulatory Authorities and Director of the Broadcasting Division in the Communications Regulatory Authority of Bosnia and Herzegovina

IV – BACKGROUND PAPERS

The international and European legal standards for combating racist expression - Paper prepared by Mr Tarlach McGonagle, Institute for Information Law, University of Amsterdam

The case-law of the European Court of Human Rights on Article 10 ECHR relevant for combating racism and intolerance - Paper prepared by Ms Anne WEBER, Dr. iur., Institut de recherche Carré de Malberg, Université Robert Schuman

A review of the work of the European Commission against Racism and Intolerance - Paper prepared by the Secretariat of ECRI

The framework and judicial review concerning racist and discriminatory expression in a selected number of European countries - Paper prepared by Professor Andras SAJO, Chair of Comparative Constitutional Programs, Legal Studies Department, Central European University

V – APPENDICES

Programme

List of participants

 

 

 

2.

 

 

ODIHR – OSCE (Office for Democratic Institutions and Human Rights), Hate Crimes in the OSCE Region: Incidents and Responses, September 2007

 

Il Rapporto curato dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e I Diritti umani dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa rileva che gli incidenti a sfondo razziale e le manifestazioni di intolleranza razziale appaiono in crescita nel corso del 2006, sia sotto il profilo quantitativo che del livello di violenza manifestatosi.  Il rapporto ugualmente rileva che i leader politici in misura crescente usano argomenti ed espressioni  di natura razzista, xenofoba, omofobica, antisemitica  e discriminatoria, così come appare in crescita il numero di siti razzisti su internet. Il rapporto delinea il quadro della normativa sulla repressione dei crimini a sfondo razzista nei diversi paesi europei e le sfide che i governi e la società civile devono affrontare sull’argomento.

 

Il testo integrale in lingua inglese del rapporto può essere scaricato dal sito:  http://www.osce.org/item/26296.html

 

 

 

3.

 

Renata Uitz,  Europeans and their rights – Freedom of Religion, Council of Europe publications, 2007, euro 17.

 

Nella pubblicazione l’autrice compara e analizza la protezione del diritto alla libertà religiosa nella giurisprudenza delle diverse Corti costituzionali nazionali così come in quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, utilizzando studi di caso ed esempi concreti.

 

La pubblicazione, in lingua francese o inglese,  può essere acquistata on-line attraverso il sito web del Consiglio d’Europa: http://book.coe.int/EN/ficheouvrage.php?PAGEID=36&lang=EN&produit_aliasid=2193

 

 

 

Europeans and their rights – Freedom of Religion


Sommario del libro

 

Contents

1 – Introduction: Protection of freedom of religion or belief in European democracies
1.1. Freedom of religion in international documents and national constitutions in Europe
1.2. Secularity, tolerance and pluralism in European democracies
2 – Freedom of religion as an individual right
2.1. What amounts to religion or protected belief?
2.2. The scope of forum internum and protected manifestations of freedom of religion
Interference with the forum internum?
Revealing convictions: registration of religious affiliation
Refusing to take an oath: A decision within the forum internum or a proper manifestation of religious freedom?
Religious holiday, Sunday laws and faith-based days of rest
Manifestations of religious freedom: facially neutral limitations and the problem of ritual slaughter
Manifestations of religious freedom: refusing blood transfusion on grounds of conscience
2.3. Proselytism
2.4. Conscientious objection to military service
3 – Rights of religious communities and associations

3.1. The basis of church–state relations: Registering religious associations
Fundamental premises of religious association law
An overview of problems with conditions applicable to recognising religious organisations
Registration as a precondition of collective religious exercise
Proving social acceptance: membership criteria
Mandatory waiting periods
Further limitations of religious freedom stemming from legal definitions in regulations on religious association
Church autonomy: The role of religious perspectives in registration processes
3.2. Education and religious instruction
Introduction: parental rights and state duties
Denominational private schools
Religious education in public schools
Control over the educational environment and the prohibition of indoctrination
The right to be exempted from religious activities
Religious symbols in school: The limits of religious tolerance and pluralism
3.3. Accommodation in prisons and military establishments
Basic theoretical and practical problems with accommodation in restricted environments
Limitations of religious freedom in prisons and the military
Prohibition of taking advantage of a restricted environment
4 – Contemporary problems and challenges
4.1. The prohibition of blasphemy: Between freedom of expression and religious freedom
4.2. On the governmental obligation to protect against dangerous religions
New religious movements and the label of brainwashing
Enquete commissions and sect observatories
Select bibliography and suggested further reading

 

 

 



[1] Ad es. Avviso n. 2/2007 per l’assegnazione di sussidi matrimoniali: “La Fondazione XXXXX  ha previsto d’assegnare sino a cinque sussidi matrimoniali da € 2,000 ciascuno, a favore di giovani coppie che: si trovino in condizioni di modestia economica propria e con inadeguate possibilità di sostegno nella cerchia familiare; abbiano contratto  o intendano contrarre nell’anno 2007 matrimonio civile, o religioso civilmente valido; siano (entrambi o almeno uno dei richiedenti) cittadini italiani con residenza da almeno cinque anni in un  comune facente parte della provincia di Trieste, o comunque quivi nati e residenti,…”.

 

[2] Così nella dottrina: L. Di Nella, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, 185 ss.  si rileva che “l’ambito di operatività (del principio generale di eguaglianza e di non discriminazione) è stato (…) esteso dalla Corte di Giustizia anche ai rapporti contrattuali privati con lo stesso carattere di assolutezza ed inderogabilità espressamente riconosciuto dall’art. 81 Tratt. CE”.

 

[3] Commissione delle Comunità Europee, Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 2000/43 del 29 giugno  2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, Bruxelles, 30 ottobre 2006 Com (2006) 643 definitivo, pag. 3.

 

[4] La dottrina appare  concorde su tale punto. Si veda Daniele Maffeis, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, Giuffrè editore, Milano, 2007.

 

[5]Il principio di parità di trattamento,…, vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche  qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene in particolare nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri”, cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 16 gennaio 2003,  par. 13 e 14 , causa C 388/01.