SOMMARIO
ATTUALITA’ INTERNAZIONALE
1. Risoluzione del
Parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE che
attua il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente
dalla razza e dall’origine etnica. La relazione di accompagnamento alla
risoluzione muove appunti e
rilievi critici anche alla normativa italiana.
2. Raccomandazione della Commissione Europea contro il Razzismo e
l’Intolleranza (ECRI) sulla lotta
contro il razzismo e la discriminazione razziale nelle attività della polizia (ethnic
profiling)
Raccomandazione ECRI n. 11 adottata il 29 giugno 2007.
SCHEDE PRATICHE /
IL CONTRASTO ATTIVO ALLE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI – L’USO DEI TEST SITUAZIONALI
Schede n. 1- 2 :
Come organizzare un testo situazionale?
Scheda n. 3:
Raccomandazioni generali sul comportamento e caratteristiche dei tester
Scheda n. 4: Studio di
caso- Il caso “Moulin Rouge” (SOS Racisme et Marea c/Beuzit et
Association
du Moulin, Tribunale
di Parigi 17.10.2002; Tribunale di Appello di Parigi,
22.11.2002, Francia).
ATTUALITA’ NAZIONALE - ADVOCACY
Discriminazione nell’accesso dei cittadini stranieri a borse di
studio e sussidi sociali concessi da una Fondazione privata. L’intervento
del Servizio di Supporto Giuridico
contro le Discriminazioni dell’ASGI.
PUBBLICAZIONI
DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE
ATTUALITA’ INTERNAZIONALE
1. Lo scorso 27 settembre il Parlamento europeo adotta una risoluzione
sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE che attua il principio della
parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e
dall’origine etnica. La relazione illustrativa di accompagnamento della
risoluzione muove appunti e rilievi critici anche alla normativa italiana .
Il 27 settembre scorso il Parlamento Europeo ha adottato con 500 voti a
favore, 46 contro e 24 astensioni, una risoluzione sull’applicazione della
Direttiva 2000/43/CE che attua il principio di parità di trattamento tra le
persone indipendentemente dall’origine etnica e razziale. La risoluzione è
basata su un rapporto di accompagnamento redatto dall’europarlamentare
Kathalijne Maria Buitenweg (Gruppo parlamentare dei Verdi). Il Parlamento
ritiene che molto deve essere ancora fatto per implementare la direttiva
pienamente, specialmente su questioni quali i rimedi legali, l’onere della
prova nei casi di discriminazione razziale, la crescita della consapevolezza,
la raccolta dei dati e l’indipendenza delle Autorità Nazionali per la parità di
trattamento.
Il Parlamento ha sottolineato l’importanza della direttiva, ricordando
che essa costituisce uno standard di trattamento minimo e, di conseguenza, deve costituire un fondamento sul quale
erigere un sistema complessivo di tutela anti-discriminatoria. Nella
risoluzione, il Parlamento europeo rimprovera alla Commissione di non avere
fornito una dettagliata descrizione di come la direttiva 2000/43/CE è stata
incorporata nella legislazione nazionale degli Stati membri. Il Parlamento
europeo ha espresso il suo disappunto perché solo parte degli Stati membri
hanno trasposto pienamente le previsioni della direttiva, mentre talune
previsioni concernenti le definizioni di discriminazione diretta, indiretta,
molestia e onere della prova, non sono state trasposte correttamente da tutti
gli Stati. Il Parlamento europeo, in particolare, richiama ad uno stretto
controllo sull’applicazione della regola della parziale inversione dell’onere probatorio,
di importanza decisiva nei contenziosi relativi all’ambito dell’occupazione. A
tale riguardo, la relazione illustrativa della Relazione esplicitamente cita
l’Italia tra i paesi che non hanno adeguatamente trasposto nel loro ordinamento
interno le norme della direttiva in materia di inversione parziale dell’onere
probatorio.
Il Parlamento europeo ha voluto rivolgere alla Commissione e agli Stati
membri una serie di raccomandazioni, ponendo una particolare enfasi su una
adeguata e credibile raccolta dei dati statistici. Questi ultimi, a detta dal
Parlamento, sono uno strumento essenziale nella lotta contro la
discriminazione, in quanto dati statistici disaggregati per appartenenza
etnico-razziale possono essere essenziali nella prova dell’esistenza di forme
di discriminazione indiretta, nella formulazione di politiche e nello sviluppo
di azioni positive. Tuttavia, la
raccolta di dati statistici fondati sull’etnicità pone una serie di delicate
questioni etiche e giuridiche. Il Parlamento europeo ha quindi chiesto alla Commissione di analizzare le diverse
questioni giuridiche connesse alla raccolta di dati statistici e di
avanzare proposte per migliorare
la documentazione statistica dei casi di discriminazione, assicurandosi nel
contempo che ciò non vada a violare il diritto alla privacy, rivelando le identità individuali, o possa poi
servire a fondare strategie di “ethnic” o “racial profiling”. Il Parlamento
europeo ha pure chiesto agli Stati membri di implementare piani nazionali di
azione per combattere il razzismo e la discriminazione, includendovi componenti
in grado di raccogliere e monitorare i dati statistici in aree strategiche
quali l’inclusione sociale, la coesione sociale, l’integrazione, l’istruzione e
l’impiego, le politiche di genere.
Nello specifico, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione:
-
di richiedere
agli Stati membri di analizzare l’efficacia e l’effettività della legislazione
anti-discriminatoria nel contrasto a modelli di discriminazione e segregazione
sistematica delle minoranze e delle donne, in particolare nel settore
dell’istruzione, dell’accesso al mercato del lavoro, alla salute, ai beni e
servizi, incorporando una prospettiva di genere nella stesura dei rapporti;
-
di aumentare il
livello di consapevolezza dei soggetti passivi della discriminazione
sull’esistenza di pratiche discriminatorie e sulle normative di contrasto. Il
Parlamento europeo in particolare considera che la comunità Rom necessita di
una protezione sociale
particolare, poiché i problemi di sfruttamento, esclusione e
discriminazione si sono ulteriormente aggravati in conseguenza
dell’allargamento.
-
Di adottare una
serie di standard minimi al fine di garantire ai minori appartenenti alle
minoranze etniche l’accesso ad un’istruzione avanzata, costringendo gli Stati
membri a porre fine alle pratiche segregazioniste nelle scuole e a tutti quei
piani e previsioni normative che fondano sistemi scolastici separati e di
qualità inferiore per i minori appartenenti alle minoranza etniche.
-
Di monitorare
il funzionamento indipendente delle Autorità nazionali di contrasto alla
discriminazione razziale, sulla base dei “principi di Parigi”. A tale riguardo,
la relazione illustrativa della Risoluzione fa un esplicito riferimento alla
necessità che le Autorità nazionali contro la discriminazione (“equality
bodies”) siano collocate al di fuori degli organismi governativi, affinchè
possano essere percepite come indipendenti, citando espressamente l’Italia e la Spagna quali cattivi esempi
sull’argomento. Sempre con riferimento alle Autorità nazionali contro la
discriminazione, il Parlamento europeo richiede agli Stati membri di assegnare loro risorse finanziarie
adeguate allo svolgimento dei compiti assegnati e di estendere le buone prassi
riscontrate in quei paesi membri ove a tali organi è stata assegnata la
legittimazione diretta ad agire in giudizio per conto della vittima della
discriminazione; possibilità
attualmente non prevista nell’ordinamento italiano, ove l’UNAR può solo
attivarsi informalmente per assistere la vittima di discriminazioni,
contattando il suo legale e può
fornire al giudice, su istanza di parte, informazioni ed osservazioni orali e
scritte ai sensi dell’art. 425 c.p.c..
Il Parlamento europeo ha
poi chiesto alla Commissione di monitorare attentamente eventuali forme
di discriminazione “dissimulate” fondate sui criteri dei “genuini e specifici
requisiti occupazionali”, ovvero sull’impatto delle esenzioni al divieto di discriminazione per motivi
religiosi contenute nella Direttiva 2000/78/CE a favore delle organizzazioni di
tendenza .
Il Parlamento europeo ritiene anche che sia di vitale importanza che gli
appartenenti alla Pubblica Amministrazione ricevano un’adeguata formazione sugli scopi e le previsioni
della Direttiva, al fine di rimuovere e prevenire forme di razzismo
istituzionale.
Il Parlamento europeo ha infine reiterato il desiderio che venga posta
fine alla discrasia nei livelli di protezione assegnati dalle diverse direttive a seconda dei motivi di
discriminazione, con l’estensione del campo di applicazione fissato dalla
direttiva 2000/43/CE a tutti i motivi di discriminazione, ivi compreso quello
fondato sulla nazionalità oltrechè naturalmente a quelli contemplati nella
direttiva 2000/78/CE. A tale riguardo, il Parlamento sostiene il proposito
della Commissione europea di inserire tale punto nel suo programma legislativo
per l’anno 2008.
Pubblichiamo di seguito il testo nella traduzione in lingua
italiana della Risoluzione del Parlamento europeo, nonché della relazione
esplicativa di accompagnamento. Entrambi i testi, nonché il resoconto dei
lavori preparatori, possono essere scaricati dal sito:
http://www.europarl.europa.eu/oeil/file.jsp?id=5479662
Risoluzione
del Parlamento europeo del 27 settembre 2007 sull'applicazione della
direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000 che attua il principio
della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e
dall'origine etnica (2007/2094(INI)) |
Il
Parlamento europeo , –
visto l'articolo 45 del suo regolamento, –
visti la relazione della commissione per le libertà civili, la giustizia e
gli affari interni e i pareri della commissione per i diritti della donna e
l'uguaglianza di genere e della commissione per l'occupazione e gli affari
sociali (A6-0278/2007), Lotta
contro la discriminazione A.
considerando che l'UE è un progetto politico basato su valori comuni quali la
tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, come affermato
all'articolo 6 del trattato UE e nella Carta dei diritti fondamentali, e
promuove l'uguaglianza e la non discriminazione attraverso le sue politiche e
leggi, anche in base all'articolo 13 del trattato CE, B.
considerando che è importante che le dichiarazioni politiche sulla lotta
contro la discriminazione siano accompagnate dal progressivo sviluppo e dalla
piena e corretta applicazione delle politiche e delle leggi, in particolare
delle direttive antidiscriminazione e dei progetti che promuovono
l'uguaglianza, come l'Anno europeo delle pari opportunità per tutti, C. Attuazione della direttiva sulla parità razziale C. considerando che la relazione annuale relativa al 2006
dell'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia conferma che
la discriminazione resta un serio problema negli Stati membri, D.
considerando che una recente inchiesta di Eurobarometro dimostra che 64% dei
cittadini dei 25 Stati membri sottoposti ad inchiesta pensano che la
discriminazione sulla base dell'origine etnica sia ancora ampiamente diffusa, E.
considerando che l'adozione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29
giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le
persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica(1) può considerarsi una tappa
fondamentale nel miglioramento del livello di protezione per le vittime della
discriminazione in base all'origine razziale o etnica e nel miglioramento
delle possibilità di giustizia, Onere
della prova F.
considerando che la norma sull'onere della prova costituisce un aspetto
fondamentale della direttiva, in quanto contribuisce all'attuazione effettiva
della protezione da essa fornita, G.
considerando che la giurisprudenza sull'onere della prova mostra che esistono
ancora considerevoli differenze tra Stati membri per quanto riguarda ciò che
è accettato come prova non manifestamente infondata dai giudici, e che
sarebbe quindi auspicabile incoraggiare gli Stati membri a scambiare opinioni
al proposito per contemplare le possibilità esistenti di ravvicinamento delle
procedure giudiziarie, H.
considerando che l'attuazione effettiva del principio di parità sarebbe
facilitata se le norme sull'onere della prova nelle cause civili e
amministrative fossero estese alle disposizioni giurisdizionali contro la
vittimizzazione, Organi
di parità I.
considerando che quasi tutti gli Stati membri dispongono attualmente di
organi di parità o hanno assegnato le funzioni corrispondenti a organi
esistenti, J.
considerando che tutti gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a
prendere l'iniziativa molto positiva di ampliare il mandato dei loro
organismi incaricati di promuovere la parità, in modo che questi ultimi
possano occuparsi anche della discriminazione basata su motivi diversi dall'origine
razziale o etnica, K.
considerando che gli organismi incaricati di promuovere la parità dovrebbero
disporre di risorse adeguate in termini sia di personale che di
finanziamenti, L.
considerando che gli organismi incaricati di promuovere la parità dovrebbero
essere in grado di funzionare indipendentemente dal governo e dovrebbero
essere percepiti come indipendenti, cioè non far parte del governo, M.
considerando che, nonostante esistano organismi specializzati contro la
discriminazione e organismi incaricati di promuovere la parità, il numero di
ricorsi registrati rimane modesto in molti Stati membri, N.
considerando che, in realtà, gli organismi incaricati di promuovere la parità
presentano purtroppo soltanto un esiguo numero di cause dinanzi ai tribunali
per mancanza di risorse finanziarie e umane, e che sono spesso le ONG che
aiutano le vittime di discriminazione fino alla fine dei procedimenti, O.
considerando che la formazione dei pubblici ufficiali prescritta dalla
direttiva è di importanza fondamentale a causa delle responsabilità che essi
hanno per la sua attuazione, Campo
di applicazione P.
considerando che non è sempre possibile distinguere tra discriminazioni in
base all'origine razziale o etnica e discriminazioni sulla base della religione,
dell'opinione o della nazionalità, Q.
considerando che non è sempre facile stabilire se la discriminazione è basata
sul genere, sull'appartenenza etnica, sulla razza, sulle condizioni sociali,
sull'orientamento sessuale o su altri fattori, Diffusione
dell'informazione e campagna di sensibilizzazione R.
considerando che la recente inchiesta Eurobarometro conferma che la
consapevolezza dell'esistenza di una normativa antidiscriminazione
nell'Unione europea è minima e che in media solo un terzo dei cittadini
dell'Unione dichiarano di conoscere i propri diritti in caso fossero vittime
di discriminazione o di molestie, S.
considerando tuttavia che alcuni Stati membri hanno preso molte iniziative di
informazione e di sensibilizzazione (siti web, campagne, pubblicità
televisiva, annunci sui giornali), T.
considerando che alcuni Stati membri hanno preso l'importante iniziativa di
incorporare nella legislazione nazionale un obbligo per i datori di lavoro di
informare i loro impiegati sulla normativa antidiscriminazione, U.
considerando che alcuni organismi specializzati negli Stati membri hanno
creato linee telefoniche che forniscono informazioni e sostegno alle vittime
di discriminazioni, V.
considerando inoltre che alcuni Stati membri hanno svolto attività piuttosto
limitate in materia di informazione e di sensibilizzazione e che in alcuni
paesi non si sono viste campagne di sensibilizzazione, W.
considerando specialmente nel contesto dell'Anno europeo delle pari
opportunità per tutti che sia le Istituzioni dell'Unione europea che gli
Stati membri dovrebbero compiere sforzi sostanziali al fine di informare i
cittadini sui loro diritti, e che gli Stati membri dovrebbero nel 2008, Anno
europeo del dialogo interculturale, garantire continuità alle azioni iniziate
nel 2007, Raccolta
di dati X.
considerando che la raccolta di dati è fondamentale nella lotta contro la
discriminazione e che dati statistici ripartiti per origine etnica possono
essere essenziali per dimostrare discriminazioni indirette, per informare
sulla politica da seguire e per sviluppare strategie d'azione positive, ma
che allo stesso tempo solleva molte questioni etiche e giuridiche, Y.
considerando che tale raccolta di dati non deve violare la privacy della
persona rivelando identità dei singoli o costituire una base per la creazione
di un profilo etnico o razziale, Accesso
alla giustizia Z.
considerando che procedure alternative di risoluzione delle controversie non
dovrebbero impedire l'accesso ai tribunali, AA.
considerando che moltissime vittime di discriminazioni non presentano
denuncia dinanzi a un giudice per diverse ragioni, fra cui i costi e il
timore di subire conseguenze negative, AB.
considerando che gli obiettivi della lotta alla discriminazione possono
essere raggiunti soltanto se le misure giuridiche sono affiancate da azioni
positive a livello di UE e di Stati membri, AC.
considerando che l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali ha
il compito di raccogliere e analizzare le informazioni rilevanti, affidabili
e comparabili nonché i dati relativi ai diritti fondamentali, 1.
ribadisce l'importanza della direttiva 2000/43/CE; 2.
ricorda che la direttiva 2000/43/CE costituisce uno standard minimo e
dovrebbe quindi costituire la base su cui costruire una politica
antidiscriminatoria complessiva; 3.
accoglie con favore la comunicazione della Commissione sull'applicazione
della direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000, che attua il principio della
parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e
dall'origine etnica (COM(2006)0643),
la quale mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate
sulla razza o l'origine etnica al fine di garantire il consolidamento del
principio dell'uguaglianza di fronte alla legge, delle pari opportunità e
della parità di trattamento negli Stati membri, nel pieno rispetto del
principio di sussidiarietà e conformemente alle rispettive tradizioni e
prassi nazionali; nell'apprezzare il lavoro di sintesi effettuato nella
comunicazione della Commissione sull'applicazione della direttiva, rileva che
sarebbe utile disporre anche della descrizione dettagliata del recepimento
delle disposizioni della direttiva 2000/43/CE nel diritto nazionale, così
come previsto nella direttiva stessa; a questo fine ricorda anche che la
Commissione si era impegnata non solo a raccogliere dettagliate informazioni,
ma anche a riferirne al Parlamento e al Consiglio e che il Parlamento, nella
sua risoluzione del 14 giugno 2006 su una strategia quadro per la non
discriminazione e le pari opportunità per tutti(2) , ha già chiesto alla Commissione
"di esaminare con urgenza la qualità e il contenuto delle leggi di
attuazione delle direttive antidiscriminazione"; 4.
sollecita gli Stati membri a trasporre quanto prima tutta la legislazione
antidiscriminazione comunitaria e ad utilizzare tutte le disposizioni che
comprendano azioni positive per garantire l'uguaglianza nella pratica; 5.
sottolinea che la direttiva va oltre l'accesso all'occupazione, al lavoro
autonomo e all'impiego, ma si applica anche a settori quali l'istruzione, la
protezione sociale compresa la previdenza sociale e la sanità, i vantaggi
sociali e l'accesso e la fornitura di beni e servizi al fine di salvaguardare
lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che permettano la
partecipazione di tutti indipendentemente dall'origine razziale o etnica; 6.
nota con soddisfazione che la maggior parte degli Stati membri hanno agito al
fine di attuare la direttiva, ma manifesta delusione riguardo al fatto che
soltanto alcuni abbiano adeguatamente trasposto in pieno tutte le sue
disposizioni; 7.
nota in particolare che in molti Stati membri numerose disposizioni della
direttiva come le definizioni di discriminazione diretta e indiretta, le
molestie e l'onere della prova non sono state trasposte correttamente; 8.
chiede, in particolare, un controllo stringente sull'applicazione della
regola dell'inversione parziale dell'onere della prova, particolarmente
efficace qualora la controversia riguardi l'occupazione; 9.
esprime preoccupazione sul fatto che gli Stati membri abbiano esentato dal
campo di applicazione della direttiva molti più settori di attività di quanto
sia auspicabile o giustificabile; 10.
ricorda che la direttiva è stata adottata nel giugno 2000 e che gli Stati
membri erano tenuti ad attuarla prima del giugno 2003, il che dava loro tempo
sufficiente per adottare le misure necessarie di attuazione; invita la
Commissione ad adottare un'impostazione più attiva, ad esempio emanando comunicazioni
interpretative e orientamenti di applicazione per garantire la piena e
corretta attuazione da parte degli Stati membri; chiede alla Commissione di
proseguire nel controllo vigile della corretta attuazione della direttiva, di
pubblicare quanto prima uno studio di valutazione e di avviare procedure di
infrazione quando necessario, tempestivamente e comunque entro il 2007; 11.
ribadisce che le sanzioni applicabili alle violazioni di disposizioni
nazionali adottate conformemente alla direttiva 2000/43/CE devono essere
effettive, proporzionate e dissuasive; 12.
sollecita l'adozione di piani d'azione nazionali integrati al fine di
affrontare efficacemente tutte le forme di discriminazione; 13.
chiede agli Stati membri di sviluppare e attuare piani d'azione nazionali
volti a combattere il razzismo e la discriminazione, che comprendano una
parte concernente la raccolta e il controllo dei dati in settori politici
fondamentali quali la parità e la non-discriminazione, l'inclusione sociale,
la coesione comunitaria, l'integrazione, il genere, l'istruzione e
l'occupazione; 14.
chiede alla Commissione di presentare al Parlamento e al Consiglio un piano
d'azione specifico sui meccanismi e i metodi di osservazione e descrizione
dell'impatto delle misure di attuazione nazionali; sottolinea l'importanza di
sviluppare meccanismi per la raccolta di dati sulla discriminazione
particolarmente per quanto concerne i rapporti di lavoro, ponendo l'enfasi
sul lavoro clandestino, non dichiarato, scarsamente retribuito e non
assicurato, in linea con la legislazione sulla protezione dei dati, quale
strumento efficace per individuare, controllare e riesaminare le politiche e
le prassi di lotta contro la discriminazione, nel rispetto dei modelli
nazionali di integrazione; invita la Commissione ad elaborare standard comuni
di dati, al fine rendere efficacemente confrontabili le informazioni
trasmesse; invita a tener conto dell'importanza di considerare non solo i
contenuti della normativa di recepimento, ma anche la sua efficacia; 15.
invita la Commissione a chiedere che gli Stati membri, nelle loro relazioni
annuali, sull'attuazione della direttiva 2000/43/CE, analizzino l'efficacia
della legislazione anti-discriminazione nella lotta alla segregazione
sistematica delle minoranze e delle donne, in particolare nell'ambito
dell'istruzione e per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro,
all'assistenza sanitaria, ai beni e ai servizi, e inoltre a incorporare una
prospettiva di parità di genere nelle proprie relazioni al fine di alleviare
le molteplici discriminazioni cui sono confrontate molte persone; 16.
ricorda alla Commissione il fatto che il Parlamento vorrebbe ricevere un
documento che elenchi le esenzioni attuate nella legislazione degli Stati
membri, così che si possa avviare un dibattito su tali esenzioni; 17.
ricorda che gli Stati membri dovrebbero avviare inchieste indipendenti
sull'impatto delle scadenze nazionali e l'efficacia della protezione contro
la vittimizzazione; 18.
esprime preoccupazione per lo scarso livello di sensibilizzazione sulla
normativa antidiscriminazione tra i cittadini negli Stati membri e invita la
Commissione e gli Stati membri a intensificare i loro sforzi per migliorare
tale livello di sensibilizzazione; 19.
ritiene che la comunità Rom, insieme ad altre comunità etniche riconosciute,
necessiti di una protezione sociale particolare soprattutto in seguito
all'allargamento, poiché si sono riacutizzati i problemi di sfruttamento,
discriminazione ed esclusione nei suoi confronti; 20.
sottolinea che le norme sono efficaci soltanto quando i cittadini sono
consapevoli dei loro diritti ed hanno un accesso facile ai tribunali, poiché
il sistema di protezione fornito dalla direttiva dipende dall'iniziativa dei
cittadini; 21.
ricorda che l'articolo 10 della direttiva impone agli Stati membri un obbligo
di diffondere fra il pubblico l'informazione sulle norme rilevanti della
direttiva con tutti i mezzi appropriati; 22.
sollecita gli Stati membri ad adottare una serie di standard minimi nel quadro
del metodo aperto di coordinamento, in modo da garantire l'accesso dei minori
appartenenti a minoranze etniche - soprattutto le ragazze - all'istruzione di
elevata qualità e a pari condizioni, ed inoltre ad approvare una legislazione
positiva che renda obbligatorio porre fine alla segregazione nelle scuole e a
redigere programmi dettagliati per porre fine all'istruzione separata e di
qualità inferiore impartita a ragazzi e ragazze appartenenti a minoranze
etniche; 23.
ricorda agli Stati membri il loro obbligo di diffondere tra i cittadini le
informazioni pertinenti e di incoraggiare e promuovere campagne di diffondere
in merito alla legislazione nazionale vigente e agli organismi attivi nella
lotta contro la discriminazione; 24.
invita gli Stati membri a garantire che tutte le persone appartenenti a
minoranze etniche - in particolare le donne - abbiano accesso ai servizi
sanitari di base, preventivi e d'urgenza, organizzando e attuando politiche
che garantiscano che anche le comunità più emarginate abbiano pieno accesso
al sistema sanitario ed organizzando corsi di formazione e di
sensibilizzazione per gli operatori sanitari, per porre fine ai pregiudizi
esistenti; 25.
sollecita i governi degli Stati membri a garantire pari trattamento e
opportunità nel quadro delle politiche occupazionali e di inclusione sociale,
ad affrontare la questione dei tassi estremamente elevati di disoccupazione
che si registrano soprattutto tra le donne appartenenti a minoranze etniche
eliminando in particolare i gravi ostacoli posti dalla discriminazione
diretta nelle procedure di assunzione; 26.
crede fermamente che sia di vitale importanza che gli ufficiali pubblici
siano formati sulle finalità e le disposizioni della direttiva, vista la loro
responsabilità nella sua attuazione all'interno della società nel suo insieme
e per eliminare tutti i rischi di razzismo istituzionale all'interno degli
organi governativi stessi; invita gli Stati membri a impegnarsi in tale
formazione e incoraggia gli Stati membri e la Commissione a istituire
programmi europei di scambio tra i vari organi amministrativi nazionali; 27.
invita gli Stati membri a raccogliere, compilare e pubblicare annualmente
statistiche globali, precise, affidabili e disaggregate per genere
concernenti il mercato del lavoro, gli alloggi, l'istruzione e la formazione,
la sanità e la previdenza sociale, il pubblico accesso a beni e servizi, la
giustizia penale e la partecipazione civile e politica, nonché a stabilire
obiettivi e indicatori precisi e quantitativi nell'ambito degli orientamenti
sull'occupazione e sull'inclusione sociale che consentano loro di misurare
l'evoluzione della situazione dei migranti e/o delle minoranze; 28.
raccomanda che gli Stati membri dotino di risorse e di poteri gli organismi
incaricati di promuovere la parità così che possano adempiere in maniera
efficace alle loro importanti funzioni e, ove dispongano di notevoli poteri,
possano esercitarli in pieno; 29.
raccomanda che gli Stati membri dotino di risorse e di poteri le ONG che
operano per informare i cittadini e fornire loro assistenza legale in caso di
discriminazione; 30.
sottolinea che sulle ONG che informano i cittadini e forniscono assistenza
legale grava una parte sproporzionata dell'onere senza che esse godano dei
finanziamenti e di una posizione corrispondenti da parte delle autorità degli
Stati membri; 31.
raccomanda che la Commissione controlli con cura il funzionamento
indipendente degli organismi incaricati di promuovere la parità, utilizzando
a tal fine quale riferimento i principi relativi allo status delle
istituzioni nazionali ("i principi di Parigi") adottati dalla
risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite 48/134 del 20
dicembre 1993, che includono principi sull'adeguato finanziamento di tali
organi; 32.
ricorda alla Commissione la posizione del Parlamento secondo cui gli Stati
membri devono garantire che gli organismi indipendenti ricevano adeguate
risorse finanziarie al fine di essere in grado almeno di assicurare l'esame
gratuito dei ricorsi nel caso in cui i ricorrenti non dispongano di risorse
finanziarie, e invita la Commissione a discutere con gli Stati membri le
modalità per raggiungere tale obiettivo; 33.
raccomanda agli Stati membri di utilizzare le migliori pratiche degli altri
Stati membri, quale quella di permettere agli organismi incaricati di
promuovere la parità di avviare procedimenti giurisdizionali o parteciparvi
in veste di "amicus curiae "; 34.
raccomanda che i dati sui ricorsi e sui risultati dei relativi procedimenti
dinanzi ai giudici, agli organismi specializzati, ad altri organismi o
tribunali siano disaggregati in base al livello di discriminazione, cosa che
migliorerebbe la valutazione dell'efficacia dell'attuazione della normativa,
specialmente nei paesi in cui organismi specializzati e/o tribunali si
occupano di tutte le cause di discriminazione; 35.
invita gli Stati membri ad accordare ai loro organismi incaricati di
promuovere la parità risorse finanziarie e umane sufficienti affinché siano
in grado di svolgere in maniera efficace la loro funzione, ivi compresa
un'assistenza adeguata alle vittime di discriminazioni; ritiene che tali
organismi dovrebbero altresì essere dotati dei poteri necessari ad indagare
sui casi di discriminazione; 36.
incoraggia gli Stati membri a potenziare il dialogo con le ONG che lottano
contro tutte le forme di discriminazione associandole strettamente alle
politiche attuate per promuovere il principio della parità di trattamento; 37.
sottolinea che le vittime di discriminazioni dovrebbero essere assistite nei
procedimenti giurisdizionali e ricorda a tale proposito che organizzazioni
statutarie e non statutarie possono essere di grande aiuto per le vittime; 38.
invita gli Stati membri a raccogliere e fornire informazioni e dati
pertinenti, affidabili e comparabili all'Agenzia dell'Unione europea per i
diritti fondamentali (l'Agenzia per i diritti fondamentali); 39.
raccomanda che gli Stati membri garantiscano a tali organizzazioni statutarie
e non statutarie adeguate risorse; 40.
chiede alla Commissione di studiare con attenzione le varie questioni
giuridiche e i parametri sulla questione della raccolta di dati e di
presentare proposte per migliorare la registrazione dei casi di
discriminazione garantendo che tale raccolta di dati non violi la privacy
personale rivelando le identità dei singoli o costituendo la base di attività
di profiling etnico o razziale; occorre fare in modo che tutti gli Stati
membri mettano a disposizione serie comparabili di dati. Attualmente questo
tipo di dati non è disponibile per tutti gli Stati membri mentre dati
comparabili sono essenziali per formare una piattaforma solida sulla quale
articolare la politica necessaria; 41.
sottolinea quanto sia delicato trattare dati relativi alla razza e
all'appartenenza etnica e ricorda l'applicabilità delle direttive sulla
protezione dei dati ai dati trattati in applicazione della direttiva stessa;
sottolinea che garanzie addizionali dovrebbero essere fornite per i dati
sulla razza e sull'appartenenza etnica, in quanto i dati suddetti potrebbero
essere distolti e utilizzati per altri fini nel settore della giustizia e
degli affari interni, ad esempio per attività di profiling etnico; ribadisce
la sua richiesta di approvare una decisione quadro sulla protezione dei dati,
per garantire che qualsiasi interazione di dati fra il primo e il terzo
pilastro rientri nelle rigide norme per la protezione dei dati; 42. 42
si raccomanda che gli Stati membri esaminino la rilevazione di dati
statistici, utilizzando le adeguate salvaguardie sulla protezione dei dati
personali in modo da escluderne l'uso per attività di profiling etnico,
relativamente alla rappresentazione di gruppi razziali ed etnici in vari
settori della società, incluso il settore pubblico e quello privato, e
elaborino politiche sulla base di questi dati volte a garantire pari accesso
all'occupazione, al lavoro indipendente, all'istruzione, alla protezione
sociale e alla sicurezza sociale, ai benefici sociali e all'accesso e alla
fornitura di beni; 43.
invita la Commissione a svolgere uno studio che esamini quali Stati membri
godano di disposizioni in merito ad azioni positive, quali test debbano
essere superati, come dette disposizioni siano state applicate in pratica da
enti governativi e non governativi e quale sia stata la loro efficacia; 44.
invita gli Stati membri a rendere disponibili al pubblico statistiche
dettagliate su reati di stampo razzista e ad elaborare indagini sulla
criminalità e/o sulle vittime della criminalità che consentano la raccolta di
dati quantitativi e comparabili sulle vittime di reati di stampo razzista; 45.
invita la Commissione a studiare e a fornire dati riguardanti le
discriminazioni multiple; 46.
chiede alla Commissione di controllare con attenzione la discriminazione
occulta basata su "criteri occupazionali genuini e determinanti",
sull'interazione fra le discriminazioni basate sull'applicazione di questa
esenzione per motivi religiosi nel quadro della direttiva 2006/54/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006 , riguardante
l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di
trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego
(rifusione)(3) e le sue conseguenze per la razza e
l'appartenenza etnica, prestando particolare attenzione alla discriminazione
nel campo dell'istruzione; 47.
reitera l'opportunità politica, sociale e giuridica di porre fine alla
gerarchia di protezione in base ai diversi motivi di discriminazione, e
accoglie con favore a tale riguardo l'intenzione della Commissione di
presentare una proposta di estendere il campo di applicazione della direttiva
2000/43/CE a tutti gli altri motivi di discriminazione, come dichiarato nel
suo Programma legislativo annuo per il 2008; prevede quindi che la
Commissione avvii i lavori preparatori già quest'anno per formulare le sue
proposte quanto prima, in ogni caso prima della fine del 2008; 48.
accoglie con favore l'interesse della Commissione nei confronti della
discriminazione multipla, anche mediante l'avvio di uno studio su questo
tema; invita la Commissione ad accogliere una definizione ampia della
discriminazione multipla, in grado di tener conto dell'esposizione a più di
un fattore di rischio di discriminazione; 49.
invita gli Stati membri ad attribuire maggiore importanza alla prova della
discriminazione; raccomanda che essi seguano gli orientamenti relativi alla
prova della discriminazione redatti dall'Organizzazione Internazionale del
Lavoro, come proposto dall'Agenzia per i diritti fondamentali e che formino
personale che produca prove nei settori chiave dell'occupazione, del lavoro,
dell'istruzione, dell'alloggio e dell'abitazione, della sanità, dell'accesso
a beni e servizi e della violenza razzista; 50.
invita la Commissione a coinvolgere l'Agenzia per i diritti fondamentali, in
funzione delle sue competenze, nel quadro legislativo comunitario esistente
nella lotta contro le discriminazioni, in modo che quest'ultima svolga un
ruolo importante fornendo regolarmente informazioni precise e aggiornate,
pertinenti per l'elaborazione della futura legislazione; 51.
esorta le Istituzioni dell'Unione europea a continuare ad utilizzare, quale
criterio fondamentale per valutare la preparazione dei paesi candidati
all'adesione all'Unione europea, la situazione delle minoranze etniche e in
particolare delle donne e dei minori in tali paesi; o 52.
incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al
Consiglio e alla Commissione, nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati
membri. |
<TitreType>RELAZIONE</TitreType> <Titre>sull'applicazione della
direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità
di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine
etnica</Titre> <DocRef>(2007/2094(INI))</DocRef> <Commission>{LIBE}Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli
affari interni del Parlamento Europeo</Commission> Relatrice:
<Depute>Kathalijne
Maria Buitenweg Introduzione Nel 1997 il trattato di Amsterdam integrava
l'articolo 13 sulla non discriminazione al trattato che istituisce la
Comunità europea. Tale articolo funge da base per due direttive, quella sulla
parità in materia di occupazione (1) e quella sull'uguaglianza razziale (2).
Quest'ultima doveva essere attuata dagli Stati membri entro il 19 luglio
2003. La relazione della Commissione europea (3) fornisce
un'analisi sull'applicazione della direttiva sulla parità di trattamento fra
le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. In una fase
successiva dell'anno in corso, la Commissione europea cercherà di fornire
informazioni su eventuali procedure di infrazione. La relatrice ritiene che la direttiva
sull'uguaglianza razziale (2000/43/CE) sia una parte significativa della
legislazione: essa ha rappresentato un notevole progresso nella protezione
degli individui contro la discriminazione e ha offerto loro l'opportunità di
ottenere una riparazione. Da segnalare è anche il fatto che tale direttiva si
applica a tutte le persone, a prescindere dalla cittadinanza o dalla
residenza. Resta molto lavoro da svolgere per una corretta
applicazione della direttiva. La relatrice invita la Commissione non solo a
controllare la corretta trasposizione giuridica delle direttive, ma anche a
considerare gli impedimenti presenti. Molti individui non conoscono i propri
diritti o incontrano difficoltà nell'adire la giustizia. Occorre attribuire
un'importanza prioritaria alle informazioni in materia di leggi
antidiscriminazione e diritto di riparazione. Nonostante i progressi compiuti in termini di
trasposizione delle direttive antidiscriminazione, il razzismo non è
diminuito, al contrario. All'interno dell'Unione europea il numero di atti
razzisti è aumentato drasticamente. A ciò si accompagnano prove di una
maggiore tolleranza verso tali atti discriminatori, soprattutto se rivolti a
immigrati e musulmani. Il razzismo è contrario ai principi dell'Unione europea,
ne mina la coesione sociale e impedisce l'emancipazione dell'individuo. È
fondamentale che il Parlamento europeo conferisca maggiore slancio alla
volontà politica di affrontare il tema. Per quanto concerne l'attuazione della direttiva, la
relatrice ha esaminato campo di applicazione, riparazione giuridica, onere
della prova, organismi per la promozione della parità di trattamento,
diffusione delle informazioni e sensibilizzazione. 1. Campo di applicazione Ai tempi della sua approvazione, la direttiva
sull'uguaglianza razziale appariva rivoluzionaria, poiché non circoscriveva
la protezione contro la discriminazione all'area del mondo del lavoro.
L'articolo 3 include nel campo di applicazione materiale, tra l'altro,
sicurezza sociale, istruzione e accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio. Il campo di applicazione più ampio della direttiva
2000/43/CE non trova corrispondenza in quella in materia di occupazione
(2000/78/CE), che vieta ogni forma di discriminazione basata su religione o
convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali, ma solo nell'area
lavorativa e occupazionale. La relatrice accoglie favorevolmente il fatto che
alcuni Stati membri abbiano adottato il campo di applicazione ampio della
direttiva sull'uguaglianza razziale per tutti i tipi di discriminazione,
spingendosi in tal modo oltre le disposizioni della direttiva stessa. La relatrice ritiene che la direttiva in materia di
occupazione debba essere modificata, affinché abbia lo stesso campo di
applicazione della direttiva sull'uguaglianza razziale. Ciò è necessario al
fine di evitare sia la creazione di una gerarchia nelle forme di
discriminazione sia i problemi in caso di discriminazione multiple. Inoltre, dato che il razzismo è interconnesso alla
discriminazione fondata su nazionalità e/o religione o convinzioni personali,
un adeguamento del campo di applicazione della direttiva potrebbe rivelarsi
necessario per aumentare le possibilità di accedere a un'effettiva
riparazione. Per quanto la maggior parte dei paesi sembri
rispettare il campo di applicazione materiale della direttiva
sull'uguaglianza razziale, permangono ancora carenze significative che
occorre prendere in esame. Cinque Stati membri, ad esempio, non hanno ancora
trasposto adeguatamente la direttiva negli ambiti esterni al mondo del
lavoro. (4) Inoltre, in alcuni Stati membri la trasposizione si
è limitata al settore privato. In due paesi il servizio militare viene
escluso dal campo di applicazione delle disposizioni di recepimento (5). Il
settore pubblico non è incluso adeguatamente in molti Stati membri e in un
paese l'applicazione della direttiva è addirittura limitata al settore
privato (6). Dato che sia gli enti pubblici sia quelli privati rientrano nel
campo di applicazione materiale della direttiva, è necessario individuare le
ragioni per cui certi settori ne sono rimasti esclusi. La relatrice desidera inoltre che la Commissione
chiarisca se la direttiva sia applicabile anche alle attività delle autorità
di polizia degli Stati membri, ad esempio al profiling etnico. 2. Riparazione giuridica Ogni Stato unisce procedimenti giudiziali e
procedimenti non giudiziali. È necessario segnalare tale aspetto poiché nei
procedimenti civili l'onere della prova non ricade solo sulla vittima e
quest'ultima non dipende dal pubblico ministero per sporgere denuncia. In termini generali, la giurisprudenza disponibile
in materia di discriminazione è limitata. Alcuni potrebbero dedurre che il
razzismo non è un gran problema, ma le ricerche ci mostrano una realtà
diversa. La presenza di molti ostacoli alla giustizia sembra essere una
motivazione più vicina alla realtà. La lunghezza e la complessità delle
procedure possono fungere da deterrente per le vittime. (7) Al contrario, per quanto riguarda la presentazione
della denuncia, i tempi sono talvolta troppo stretti. Per esempio, le vittime
hanno a disposizione solamente 30 giorni in Ungheria o 2 mesi nei Paesi Bassi
e in Irlanda per adire la giustizia. In alcuni Stati membri l'insufficienza dei mezzi
finanziari può realmente ostacolare l'avvio di una causa. (8) Le associazioni possono rappresentare un aiuto
concreto per le vittime. Ciononostante, molti Stati membri non prevedono
regole specifiche per la loro partecipazione ai procedimenti nei casi di
discriminazione (9). Pochi Stati permettono alle associazioni di avviare i
procedimenti "a nome" delle vittime di discriminazione. Ci sono
alcuni esempi positivi, come Spagna o Lettonia, dove soggetti giuridici
autorizzati legalmente alla difesa di diritti e interessi legittimi e
collettivi possono partecipare a nome del denunciante a ogni procedimento
giudiziale (previa autorizzazione dello/a stesso/a) per dare effetto al
principio della parità di trattamento fondato sulla razza e sull'origine
etnica. L'infrazione delle leggi antidiscriminazione deve
essere oggetto di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive. Sono
tuttavia pochi, in questa fase, i paesi le cui sanzioni possono considerarsi
appropriate. 3. Onere della prova Provare una discriminazione è notoriamente difficile.
Soprattutto nel mondo dell'impiego il datore di lavoro si trova in una
posizione decisamente più forte rispetto al dipendente, poiché le
informazioni riguardanti una presunta decisione discriminatoria sono
normalmente nelle mani del primo e i testimoni spesso si mostrano riluttanti
a testimoniare contro di lui. Per questo motivo, l'articolo 8 prevede un
cosiddetto test a due fasi. Nella prima fase, gli individui che ritengono
essere stati oggetto di discriminazione devono esporre dei fatti da cui si può presumere
che ci sia
stata una discriminazione diretta o indiretta. L'onere della prova passa
quindi all'imputato, che deve provare come non vi è stata violazione del
principio della parità di trattamento. Tale procedura non si applica alle
cause penali. Molti degli Stati membri non hanno trasposto
(adeguatamente) le disposizioni sull'onere della prova (10). Inoltre, in
molti Stati membri le disposizioni di recepimento relative all'onere della
prova non possono essere messe alla prova a causa della mancanza di
giurisprudenza. Le prime indicazioni di giurisprudenza sembrano
suggerire che anche la prova di una causa prima facie rimane un ostacolo
difficile da superare per i denuncianti. Ottenere statistiche risulta spesso
complicato e i test situazionali devono soddisfare delle condizioni rigorose. La raccolta di dati sensibili, che dovrebbero essere
necessari per stabilire la discriminazione indiretta o per valutare la
diffusione della discriminazione nella società, continua ad alimentare
preoccupazioni e timori in molti Stati membri. 4. Organismi per la promozione della parità di
trattamento La quasi totalità degli Stati membri (11) ha oggi
istituito degli organismi per la promozione della parità di trattamento o ne
ha delegato le funzioni a organismi già esistenti, quali gli istituti
nazionali per i diritti umani. Proporzionalmente sono molti gli organismi
competenti in materia di discriminazione, fondata non solo su razza o origine
etnica ma anche su altri motivi. I rispettivi enti offrono assistenza alle
vittime di discriminazione in diversi modi, avviando un'azione legale (12) o
fornendo opinioni non vincolanti sulle denunce che vengono loro presentate
(13). Alcuni organismi specializzati possono aprire un'inchiesta sulle
denunce in materia di discriminazione e generalmente possono obbligare tutte
le persone coinvolte a adeguarsi ai risultati delle indagini. (14) Resta da vedere se tutti gli organismi saranno in
grado di proseguire il loro lavoro in maniera indipendente come richiesto
dalla direttiva. (15) Per esempio, sia in Italia sia in Spagna, gli enti per
la parità di trattamento si trovano all'interno dei ministeri. In alcuni paesi, i mezzi finanziari a disposizione
degli organismi sono insufficienti per lo svolgimento delle loro funzioni. 5. Diffusione dell'informazione e
sensibilizzazione I diritti servono poco a coloro che non li
conoscono. Pertanto, l'articolo 10 della direttiva obbliga gli Stati membri a
portare all'attenzione del pubblico le disposizioni pertinenti della
direttiva con qualsiasi mezzo appropriato. Sia la Commissione europea sia la Rete di esperti
giuridici indipendenti rilevano che molti Stati membri, da questo punto di
vista, hanno fallito. Anche il recente sondaggio Eurobarometro conferma che
la consapevolezza dell'esistenza di una legislazione antidiscriminazione è
limitata. Solamente il 35% degli intervistati ritiene che nel loro paese sia
in vigore una legge che proibisce la discriminazione basata sull'origine
etnica. E solamente un terzo dei cittadini UE afferma di sapere come agire
quando è vittima di discriminazioni o molestie. In particolare, i livelli di
sensibilizzazione più bassi si sono registrati nei dieci nuovi Stati membri. Ciononostante la direttiva ha alimentato il
dibattito pubblico sulla lotta alla discriminazione e ha portato a molte
iniziative significative. Alcuni Stati membri, tra cui Malta, Polonia e
Portogallo, hanno integrato nelle rispettive legislazioni nazionali
l'obbligo, da parte dei datori di lavoro, di informare i propri dipendenti sulle
leggi antidiscriminazione. Particolare successo ha avuto l'iniziativa
promossa dalla Finlandia, che ha realizzato un volantino sulla legge
antidiscriminazione in braille e lo ha reso disponibile, sia in versione
cartacea sia on-line, in finlandese, svedese, inglese, sami, russo, arabo e
spagnolo. Nel contesto dell'anno europeo per le pari
opportunità, rimane tuttavia l'imperativo per le istituzioni dell'UE e per
gli Stati membri di garantire che qualsiasi individuo in Europa sia a
conoscenza dei propri diritti. Note [1] Direttiva 2000/78/CE, del
27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. 2 Direttiva 2000/43/CE, del 29
giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le
persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. 3 COM(2006) 643 def./2, del 15
dicembre 2006. 4 Malta, Lettonia, Estonia, Polonia,
Repubblica Ceca. 5 Lettonia, Malta. 6 Ungheria. 7 È il caso, ad esempio, di
Portogallo e Slovenia, dove sussistono preoccupazioni riguardo alcuni
procedimenti giudiziari che potrebbero richiedere anche più di cinque anni. 8 Repubblica Ceca, Lettonia,
Slovacchia. 9 Danimarca, Finlandia, Lituania,
Svezia o Regno Unito. 10
Austria, Italia, Lettonia, Polonia, Estonia, Lituania, Lussemburgo, Germania.
Si veda la "Rete di esperti indipendenti", pag. 73. 11 Le eccezioni sono Repubblica ceca,
Lussemburgo, Malta e Germania. 12 Organismi finlandesi, belgi,
ungheresi, irlandesi, britannici e svedesi. 13 Tale è la situazione in Austria,
Paesi Bassi, Danimarca, Cipro, Ungheria, Lettonia, Lituania, Grecia e
Slovenia. 14 In Austria, Cipro, Francia,
Ungheria, Irlanda, Lituania e Svezia. 15 Si veda la relazione
"Developing anti-discrimination law in Europe; the 25 Member States
compared", Rete europea di esperti indipendenti nel campo
dell'antidiscriminazione, novembre 2006. |
2. La Commissione Europea contro il Razzismo e
l’Intolleranza (ECRI) adotta una raccomandazione sulla lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale
nelle attività della polizia.
Raccomandazione ECRI n. 11 adottata il 29 giugno
2007.
La Commissione Europea contro il razzismo
e l’intolleranza (ECRI), l’organo indipendente del Consiglio d’Europa
specializzato nella lotta al razzismo e alla discriminazione razziale, ha
presentato lo scorso 4 ottobre la sua raccomandazione di politica generale n. 11, dedicata al tema del contrasto
alle forme di razzismo e di discriminazione razziale nelle attività degli
organi di pubblica sicurezza, cioè di quel fenomeno che in lingua inglese viene definito come
“ethnic” o “racial profiling”, un’espressione difficilmente traducibile in
italiano.
Nella raccomandazione viene innanzitutto definito il “racial profiling”
come l’uso da parte della polizia di certe categorie quali l’appartenenza o
l’origine razziale o etnica, il colore della pelle, la nazionalità, nelle
attività di controllo, sorveglianza e investigazione, senza un obiettiva e
ragionevole giustificazione. In sostanza, il “racial profiling” è
principalmente la conseguenza
dell’uso di stereotipi diffusi all’interno degli appartenenti alle
agenzie di pubblica sicurezza, per cui le persone appartenenti ad una
determinata razza, etnia, nazionalità, religione, provenienza geografica, si
presumono maggiormente inclini di altre al compimento di attività e atti
criminosi e pertanto sono sottoposte ad una più intesa sorveglianza o a misure
specifiche di controllo e investigazione, a prescindere dal comportamento individuale o
dall’esistenza di informazioni di intelligence che motivino tali misure. Tanto
per fare alcuni esempi, può costituire una forma di “racial profiling”,
l’attività di ispezione e perquisizione a tappeto compiuta dalle autorità di
polizia in tutti i ristoranti e rosticcerie di kebab di una città, a seguito di
una segnalazione di possibili attentati terroristici di matrice islamica sul
territorio nazionale, senza che vi sia alcuna informazione di intelligence che
possa collegare
alcuno di tali esercizi pubblici alla presenza o frequentazione da parte
di persone sospette; oppure l’attività di fermo e controllo indiscriminato di
tutti i cittadini stranieri di una determinata nazionalità residenti in una città, a seguito di un’offesa compiuta
da un cittadino di quella nazionalità, senza che vi siano elementi obiettivi
che possano fondare un possibile legame tra la persona rea e le persone
fermate; oppure controlli ed
ispezioni da parte dei vigili urbani sui negozi di proprietà di appartenenti
della comunità cinese, condotti in misura sproporzionata rispetto a quelli
praticati su commercianti di nazionalità italiana e fondati sulla presunzione
di una più marcata illegalità o violazione di norme amministrative e fiscali
nell’operato dei primi; ovvero i controlli d’identità operati da un’ unità di
polizia ferroviaria nei locali di
una stazione ferroviaria, aventi per oggetto esclusivamente o
prevalentemente le persone di colore, sulla presunzione che il colore della
pelle possa essere di per sé un indice di una possibile condizione di irregolarità
sul territorio.
L’ECRI, nella relazione esplicativa di accompagnamento alla
raccomandazione (scaricabile in lingua inglese o francese dal sito: http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/
) sottolinea come le attività di controllo, sorveglianza e investigazione delle
autorità di pubblica sicurezza
dovrebbero essere sempre basate su criteri legati strettamente ed
unicamente alla valutazione concreta del comportamento individuale e/o su informazioni
di intelligence piuttosto che su generalizzazioni e stereotipi etnici, razziali
o religiosi. L’”ethnic profiling” va invece combattuto innanzitutto perché
viola i diritti umani, limitando indebitamente le libertà individuali; in
secondo luogo perché rafforza i pregiudizi e gli stereotipi riguardanti certi
gruppi sociali, generando nei suoi appartenenti sentimenti di umiliazione e
alienazione con conseguenze negative per la coesione sociale; in terzo luogo,
perché a medio e lungo termine si rileva controproducente, creando un diffuso
senso di ostilità tra gli appartenenti alle minoranze etniche nei confronti
delle agenzie di pubblica sicurezza, con conseguente impoverimento delle forme
di collaborazione e dei flussi di informazioni di intelligence che sono invece
lo strumento più efficace per la lotta alla criminalità.
La lettura della raccomandazione dell’ECRI n. 11 così come della
relazione illustrativa di accompagnamento costituiscono un essenziale guida e
punto di riferimento per monitorare ed individuare forme e casi di “ethnic profiling “nell’operato delle
forze di polizia nel nostro paese. A tale riguardo, si sottolinea come la
legislazione italiana anti-discriminatoria è suscettibile di applicazione anche
nei casi di “ethnic profiling” da parte delle autorità di Pubblica Sicurezza.
L’art. 43 del T.U. sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98) impone un divieto
generale di non-discriminazione, anche ai pubblici ufficiali, inclusi dunque
gli agenti di polizia, come si evince in particolare dalla lettura del comma 2
: “In ogni caso compie un atto di discriminazione: a) il pubblico ufficiale
o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio
di pubblica necessità che nell’esercizio delle sue funzioni compia od ometta
atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione,
etnica o nazionalità, lo discriminino ingiustamente”. Tale proibizione protegge dalla discriminazione
non solo i cittadini stranieri, ma anche quelli italiani (comma 3). Di
conseguenza non sussistono dubbi che
comportamenti, atti, provvedimenti di “ethnic profiling” compiuti dalle autorità di pubblica
sicurezza possono essere sanzionati in Italia ai sensi della normativa
anti-discriminazione di cui al T.U. sull’immigrazione ed essere quindi oggetto
di un’azione civile contro la discriminazione prevista dall’art. 44 del D.lgs. n. 286/98.
Per un approfondimento sulla tematica dell’ethnic profiling si
rimanda a DISCRIMINAZIONI ETNICO-RAZZIALI E ATTIVITA’ DELLE FORZE DI POLIZIA.
UNA DISCUSSIONE SULL’”ETHNIC-PROFILING”, in Newsletter del Servizio di Supporto
Giuridico del Progetto Leader, n. 6 /2007, disponibile sui siti web: www.leadernodiscriminazione.it
e www.asgi.it.
Il testo integrale in lingua inglese o francese della
Raccomandazione ECRI n. 11, comprensivo dell’explanatory memorandum può essere scaricato dal sito web: http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/.
Pubblichiamo
di seguito il testo in lingua italiana (traduzione non ufficiale) della
Raccomandazione
ECRI –
Raccomandazione di politica generale n. 11 sulla lotta al razzismo e alla
discriminazione razziale nelle attività della polizia. La Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI): Visto l’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo,
il Protocollo n. 12 di detta Convenzione e la giurisprudenza della Corte
europea dei Diritti dell’Uomo; Vista la Convenzione Internazionale sull’eliminazione di tutte le
forme di discriminazione razziale; Ricordando la Raccomandazione di politica generale n. 7 dell’ECRI
sulla legislazione nazionale per il contrasto al razzismo e alla
discriminazione razziale; Ricordando la Raccomandazione di politica generale n. 8 dell’ECRI per
la lotta contro il razzismo nel contrasto al terrorismo; Ricordando la Raccomandazione Rec (2001) 10 del Comitato dei Ministri
agli Stati membri sul Codice
europeo d’etica della polizia, adottato dal Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europea il 19 settembre 2001; Ricordando le linee direttive del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa sui Diritti dell’Uomo e la lotta contro il terrorismo; Ricordando le norme adottate dal Comitato europeo per la prevenzione
della tortura e delle pene inumani e degradanti; Ricordando la Raccomandazione generale XXXI sulla discriminazione
razziale nell’amministrazione e nel
funzionamento del sistema della giustizia penale, adottata il 17
agosto 2005 dal Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale; Ricordando le Raccomandazioni dell’Alto Commissario dell’OSCE sulle
minoranze nazionali sulle attività della polizia in una società multietnica
(OSCE High Commissioner on National Minorities’ Recommendations on Policing in Multi-Ethnic Societies) del
febbraio 2006; Sottolineando che, nelle sue relazioni paese per paese, l’ECRI
raccomanda regolarmente agli Stati membri delle misure efficaci per lottare
contro il razzismo e la discriminazione razziale nelle attività della
polizia; Sottolineando il ruolo positivo che la polizia deve giocare nella
lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale e nella promozione dei
diritti dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto; Sottolineando la necessità di fornire alla polizia tutti le risorse
umane, finanziarie e di altro genere necessarie ad adempiere pienamente al
proprio ruolo; Consapevole del
fatto che la polizia, lottando contro la criminalità, ivi compreso il terrorismo,
adempie ad un compito difficile; Raccomanda ai governi dei paesi membri: I)
Riguardo
alla “categorizzazione etnica” (“ethnic profiling”):
Ai fini della presente raccomandazione, si
intende per categorizzazione etnica: “L’utilizzo da parte della polizia, senza
giustificazione obiettiva e ragionevole, di aspetti quali la razza, il
colore, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o
etnica, nelle attività di controllo, di sorveglianza e di investigazione”;
II)
Concernente
tutte le forme di discriminazione razziale e gli abusi a motivazione razzista
da parte della polizia.
III)
Riguardante
il ruolo della polizia nella lotta contro i reati razzisti e a seguito di incidenti razzisti
Ai fini di questa Raccomandazione, si
intende per incidente a sfondo razzista: “ogni incidente che viene percepito come
motivato da ragioni razziste dalla vittima o da altra persona”. IV. Riguardante le relazioni tra la polizia e gli
appartenenti ai gruppi minoritari
Traduzione non ufficiale a cura del
Servizio di Supporto Giuridico dell’ASGI |
IL
CONTRASTO ATTIVO ALLE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI – SCHEDE PRATICHE - L’USO
DEI TEST SITUAZIONALI
COME ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE ?/ Scheda n. 1 RICERCA DI UN ALLOGGIO IN AFFITTO ATTRAVERSO AGENZIE DI INTERMEDIAZIONE
IMMOBILIARE Background: Segnalazione da parte di un cittadino di colore che
un’agenzia di intermediazione immobiliare rifiuta di prestare i propri
servizi per ragioni discriminatorie legate alla razza. - Verificare la
disponibilità dell’interessato di avviare una procedura giudiziaria o
extragiudiziaria (di conciliazione o mediazione ) nei confronti dell’agenzia. 1)
Preparazione
del test - Verificare la disponibilità di alloggi in
affitto offerti al pubblico da quella agenzia, visionandone l’eventuale sito
internet, la rubrica ospitata su riviste di annunci e/o gli annunci esposti
nella vetrina dell’agenzia medesima. Registrare tali disponibilità
annotandone su un documento. - Reperire i tester: rispettivamente una persona dai caratteri somatici “bianchi”-“italiani” ed una persona
di origine africana “di colore”, dello stesso “status sociale e familiare”,
del medesimo livello di reddito e dello stesso sesso. -Procurarsi un telefono munito di viva voce
ed un registratore 2)
Il
test -
Viene messo
in moto il registratore. La persona di origine italiana chiama l’agenzia
immobiliare e si annota il numero composto, l’ora e la data della chiamata.
La persona di presenta al telefono, sostenendo di cercare un appartamento in
affitto e chiedendo quali siano le disponibilità, cercando di ottenere
dall’agente i maggiori dettagli possibili sugli appartamenti liberi
(ubicazione, indirizzo, caratteristiche,…) e le generalità dell’interlocutore
(magari chiedendo il suo nome per poterne riparlare eventualmente in una
volta successiva). Trascorsi una quindicina di minuti, è la volta della
persona di origine africana a chiamare. Il tester di origine africana deve presentarsi, facendo emergere la propria
provenienza, magari solo accentuando un pochino l’accento. Utilizzando le informazioni raccolte
sugli appartamenti liberi da locare, esprime interesse per i medesimi. Se
l’interlocutore sembra reticente, il tester deve cercare di insistere, senza peraltro cadere
in alcuna provocazione o portare il discorso di sua iniziativa sulle
questioni di razza o etniche. Sussiste un’evidenza
diretta di discriminazione quando: a
) l’agente immobiliare stesso
dichiara per telefono il
rifiuto a locare a immigrati di colore in quanto ad es.
ciò corrisponderebbe alla volontà dei proprietari. Sussiste un’evidenzia
circostanziale di discriminazione quando: a)
l’agente
immobiliare rifiuta di intermediare la locazione con il cittadino di colore
usando pretesti quali: “l’immobile non è più disponibile”,”il proprietario ha
revocato il mandato”, “l’appartamento è stato già affittato proprio poche ore
fa”. Tali pretesti possono essere facilmente smascherati nel momento in
cui il primo tester (di origine italiana) richiami e chieda un
appuntamento per visitare l’appartamento che era stato dichiarato
indisponibile al tester
di origine africana. Se la visita viene fissata, ciò chiaramente indica la
mala fede dell’agente. 3)
Dopo
il test - Redigere un verbale o rapporto con la
testimonianza della vittima effettiva della discriminazione, specificando
esattamente come si sono svolti i fatti (data e ora della visita all’agenzia
immobiliare, descrizione dell’agente e colloquio con l’agente, risposte ed
affermazioni dell’agente immobiliare,…); - Redigere un verbale o rapporto con le testimonianze dei tester, accompagnate dalle fotocopie delle loro rispettive carte di identità e di quelle dei testimoni (rappresentanti
dell’associazione o ONG che ha organizzato o coordinato il test), nonché
dalle schede con i loro indirizzi e numeri telefonici . Almeno fino alla
completata stesura di questi verbali contenenti le testimonianze della vittima della
discriminazione e dei tester, ciascun soggetto dovrebbe essere tenuto separato, in modo tale che
non vi sia la possibilità che essi si
influenzino
reciprocamente. Ciascun tester e la vittima della discriminazione dovrebbero
avere contatti soltanto con i coordinatori del test. -
Allegare
copia della registrazione del colloquio telefonico. POSSIBILITA’ DI RIPETERE IL TEST CON L’INTERVENTO PERSONALE IN AGENZIA
DI UN’ALTRA COPPIA DI TESTER O
NUOVAMENTE MEDIANTE CONVERSAZIONE TELEFONICA (al fine di avere un’ulteriore
elemento circostanziale per affermare l’esistenza di un modello consolidato
di comportamento discriminatorio e non solo di un fatto isolato). -Rivolgersi ad un avvocato per la
predisposizione dell’azione giudiziaria civile anti-discriminazione ovvero ad
una ONG legittimata ad agire in giudizio o all’UNAR per assistenza. |
COME ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE ?/ Scheda n. 2 DISCRIMINAZIONE NELL’ACCESSO AL LAVORO.
Presentazione personale di un CV. Background: Una cittadina di origine maghrebina sostiene di
essersi presentata in un negozio
per deporre il suo CV dopo che era stato esposto un avviso per la selezione
di personale per posti di lavoro di commessa, ma di essere stata male accolta
e che la ricezione del CV è avvenuta formalmente, ma di non essere stata trattenuta
per un colloquio al contrario
di altre persone di caratteri somatici “europei” giunte contemporaneamente. 1. Scegliere i tester Un tester di origine africana o maghrebina e un tester
di origine e caratteri
somatici “italiani”. La sola differenza tra i due tester deve essere
l’origine razziale o etnica in quanto il trattamento differenziato denunciato
dalla vittima potrebbe essere stato anche originato da variabili diverse,
indipendenti dalla razza o origine etnica, ponendo un caso eventualmente di
discriminazione per altre ragioni (età, aspetto fisico, abbigliamento,…).
Quindi i tester devono
avere lo stesso profilo in termini di età, percorso professionale e
educativo. Devono essere vestiti in maniera appropriata e conoscere almeno un
po’ il mestiere per il quale è richiesta la manodopera per essere in grado di
rispondere alle domande del selezionatore. Anche i CV devono indicare percorsi di istruzione e di esperienza
professionale simili. 2.Il test Il primo ad entrare è il tester di origine africana o maghrebina. La sua venuta
sarà preceduta da una paio di accompagnatori, che fingendosi potenziali
clienti del negozio danno un’occhiata in giro, fingendo di interessarsi alla merce. Lo scopo
degli “accompagnatori” è verificare e testimoniare su cosa avviene durante il
test, ad. es. verificare che il
CV consegnato dal tester di origine “straniera” non venga
immediatamente cestinato una volta che lei esce dal negozio . Successivamente
entrerà il tester di
origine italiana. Si compareranno le differenze di atteggiamento registrate
che possono costituire un’evidenza, anche circostanziale o presuntiva, di
discriminazione quali ad es.: -
viene detto
al tester di origine
“straniera” che la selezione è
già stata effettuata e il posto di lavoro non è più disponibile, mentre al
tester di origine italiana viene accettato il CV e viene detto che
eventualmente verrà richiamato
per un colloquio; -
al tester di origine “straniera” viene semplicemente
chiesto di lasciare il CV, mentre al tester di origine italiana viene detto di attendere
perchè immediatamente verrà effettuato il colloquio con il selezionatore del
personale. -
Il CV del tester di origine “straniera” viene posto in una
pila separata rispetto al CV del tester di origine italiana ovvero viene gettato
nell’immondizia. POSSIBILITA’ DI RIPETERE IL TEST CON L’INTERVENTO DI UN ALTRE COPPIE
DI TESTER (al fine di avere un ulteriore elemento
circostanziale per affermare l’esistenza di un modello consolidato di comportamento
discriminatorio e non solo di un fatto isolato). 3. Dopo il test - Redigere un verbale o rapporto con la
testimonianza della vittima effettiva della discriminazione, specificando
esattamente come si sono svolti i fatti (data e ora della visita al
negozio, colloquio, risposte ed
affermazioni,…) - Redigere un verbale o rapporto con le testimonianze dei tester, accompagnate dalle fotocopie delle loro rispettive carte di identità e di quelle dei testimoni (rappresentanti dell’associazione
o ONG che ha organizzato o coordinato il test), nonché dalle schede con i
loro indirizzi e numeri telefonici . Almeno fino alla completata stesura di
questi verbali o rapporti con le testimonianze della vittima della
discriminazione e dei tester, ciascun soggetto dovrebbe essere tenuto separato, in modo tale che
non vi sia la possibilità che si
influenzino
reciprocamente. Ciascun tester e la vittima della discriminazione dovrebbero
avere contatti soltanto con i coordinatori del test. -Rivolgersi ad un avvocato per la
predisposizione dell’azione giudiziaria civile anti-discriminazione ovvero ad
una ONG legittimata ad agire in giudizio o all’UNAR per assistenza. |
COME ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE? /
Scheda n. 3 RACCOMANDAZIONI GENERALI SUL
COMPORTAMENTO E CARATTERISTICHE DEI TESTER -
Il background
personale dei tester non deve
gettare alcun tipo di ombra sulla loro credibilità e imparzialità come
testimoni. Preferibilmente dovranno essere utilizzati tester che abbiano una
posizione di rispettabilità nella società e siano persone note nella società
civile. Dovranno essere evitati tester che abbiano avuto precedenti rapporti
ed esperienze negative con l’attore della presunta discriminazione, per cui
quest’ultimo possa sostenere la tesi di una volontà di ritorsione nei suoi
confronti da parte del tester (ad es. una persona che sia stata licenziata da
quel datore di lavoro). Lo stesso vale per i coordinatori del test, che
potrebbero essere i rappresentanti di una ONG, dotata della legittimazione diretta ad agire
contro l’agente della discriminazione. -
I tester
devono avere una buona conoscenza della lingua italiana in modo che le loro
testimonianze dinanzi alla corte possano essere sufficientemente articolate. - I tester devono essere disponibili a proporsi come testimoni dinanzi alla corte ed avere un certo consolidamento nella società locale, garantendo la loro reperibilità per il periodo di tempo necessario al compiersi della procedura giudiziaria. -
Vi deve
essere il massimo grado possibile di similitudine tra il gruppo di
individui oggetto della discriminazione
ed il gruppo di controllo, che deve assomigliare al primo sotto ogni profilo
tranne per la caratteristica che deve essere testata (ad es. l’appartenenza
etnico-razziale). -
Durante il
test, i volontari devono evitare
qualsiasi provocazione o atteggiamento che possa indebitamente
incoraggiare l’atto discriminatorio. In altre parole, bisogna distinguere tra
i comportamenti corretti del tester che semplicemente aiutano
a rilevare e mettere in luce un
atto o
comportamento discriminatorio comunque esistente, e quelli, invece,
illegittimi, in quanto
“istigatori”
di un atto discriminatorio che altrimenti non necessariamente avrebbe
luogo. |
COME
ORGANIZZARE UN TEST SITUAZIONALE? / Scheda n. 4: Studio di caso TEST SITUAZIONALE NELLE FORME DELLA TESTIMONIANZA ACCOMPAGNATA DALLA REGISTRAZIONE DI
CONVERSAZIONE TELEFONICA E DA INDAGINE ISPETTIVA DELL’ISPETTORATO DEL
LAVORO Il caso “Moulin
Rouge” (SOS Racisme et Marea c/Beuzit et Association du Moulin, Tribunale di Parigi 17.10.2002;
Tribunale di Appello di Parigi, 22.11.2002, Francia). Il 16 novembre 2000 un responsabile dell’ufficio del lavoro di Parigi
riceve un’offerta di lavoro dall’associazione del “Bal du Moulin Rouge” per l’impiego di camerieri di
età compresa tra i 18 e i 28 anni”. Egli dunque telefona al responsabile del
personale del Moulin Rouge per
segnalare un giovane senegalese, ma quando la nazionalità del
candidato viene menzionata,
l’interlocutore del “Moulin Rouge” fa presente che persone di colore vengono
impiegate nell’impresa solo in cucina, ma non in sala a contatto con i
clienti. Ciò nonostante, il responsabile dell’ufficio per l’impiego decide di
inviare ugualmente il cittadino senegalese per un colloquio personale con il
responsabile del personale del Moulin Rouge. Egli inoltre invia separatamente anche un cittadino, sempre di
colore, originario della Martinica, in funzione di “tester- testimone”. Dopo
il colloquio, entrambi riferiscono di non essere stati selezionati con la
motivazione della mancata conoscenza della lingua inglese o spagnola.
Tuttavia, tale requisito non figurava tra quelli menzionati nella offerta
d’impiego recapitata all’ufficio del lavoro. A questo punto, il responsabile dell’ufficio del lavoro decide,
assieme ad un collega ed in presenza dei due stranieri, di telefonare al responsabile del personale del
Moulin Rouge e di registrare la telefonata. Durante la conversazione
telefonica, il responsabile del personale del Moulin Rouge ribadisce la
politica dell’azienda di non reclutare persone di colore per il servizio in
sala. I due colleghi
dell’ufficio del lavoro e i due lavoratori stranieri redigono una
testimonianza scritta e muniti di copia del nastro della registrazione
telefonica depongono una denuncia per discriminazione nell’impiego presso
l’autorità giudiziaria così come presso l’ispettorato del lavoro.
Quest’ultimo, a seguito della denuncia, invia un ispettore a compiere un’ispezione visiva nei locali del
ristorante “Moulin Rouge”. Da detta ispezione risulta che il 97% del personale impiegato nel servizio ai
tavoli e al bar è di caratteri somatici
“bianchi” (europea), mentre
il personale di colore è numeroso in cucina. Nel corso del giudizio dinanzi al tribunale di Parigi, al quale l’ONG SOS Racisme partecipa
quale parte civile del lavoratore senegalese, vengono portate prove a
sostegno della tesi di una discriminazione razziale nelle politiche di
impiego dell’impresa Ristorante del Moulin Rouge, nelle forme della
testimonianza dei due cittadini di colore, il candidato senegalese vittima
effettiva della discriminazione ed il “testimone- tester” della Martinica,
dei due impiegati dell’ufficio dell’impiego e delle risultanze dell’ispezione
compiuta dall’Ispettorato del Lavoro. Sulla base di tali prove, il giudice stabilisce la fondatezza della
sussistenza della
discriminazione illecita e condanna il responsabile del ristorante del Moulin
Rouge ad un’ammenda di 10,000
euro, il responsabile del
personale della struttura ad una condanna a 100 giorni di detenzione o, in
alternativa, o ad un’ammenda, ed
entrambi a pagare 4,500 euro di compensazione per danni al lavoratore
senegalese e 2,300 di compensazione a SOS Racisme in quanto parte civile,
oltre al pagamento delle spese legali. A titolo complementare il rappresentante legale della società
Ristorante del Moulin Rouge viene obbligato a pubblicare la sentenza a
proprio carico sul quotidiano nazionale “Le Monde”. La sentenza è confermata
in appello. |
Per saperne di più sui test situazionali si
rimanda a :
Walter Citti, I test situazionali come
strumento di prova della discriminazione, in Newsletter n. 1 del Servizio di
Supporto Giuridico del progetto Leader, sul sito internet: www.leadernodiscriminazione.it o www.asgi.it
(con bibliografia allegata).
ATTUALITA’ NAZIONALE - ADVOCACY
Discriminazione nell’accesso dei cittadini
stranieri a borse di studio e sussidi sociali concessi da una Fondazione
privata. L’intervento del Servizio
di Supporto Giuridico contro le Discriminazioni dell’ASGI.
Si riporta di seguito la lettera inviata dal Servizio di Supporto
Giuridico contro le discriminazioni razziali dell’ASGI ad una Fondazione
filantropica privata di Trieste in merito alle clausole discriminatorie nei
confronti di cittadini stranieri nell’accesso alla selezione di beneficiari
di borse di studio e sussidi di
assistenza sociale offerti al pubblico mediante sito internet e affissione di
locandine in luoghi pubblici.
Trieste, 12 ottobre, 2007
Preg.ma Fondazione Filantropica
XXXXXX
XXXXX
Trieste
__________________________
OGGETTO: Clausole
discriminatorie nell’accesso alle borse di studio e ai sussidi assegnati dalla
Fondazione. Riferimento alla normativa nazionale e comunitaria.
Preg.mi.
Signori,
La presente viene
inviata dal Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni
dell’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), associazione che riunisce avvocati,
docenti universitari ed operatori
legali impegnati sulle tematiche dell’immigrazione.
Il Servizio di supporto giuridico contro
le discriminazioni dell’ASGI partecipa in qualità di partner ad un progetto
denominato LEADER (Lavoro e Occupazione senza Discriminazioni Razziali e
Religiose) inserito nel programma europeo EQUAL II e che ha l’obiettivo di
definire strategie di contrasto e tutela dei cittadini immigrati dalle
discriminazioni.
Nell’ambito del
nostro lavoro, la nostra attenzione è stata richiamata da un recente bando
emanato dalla Vostra Fondazione per l’assegnazione di sussidi per la frequenza di corsi post-laurea; bando
pubblicizzato mediante apposite locandine
affisse in diversi punti della città, così come attraverso il sito
internet della Fondazione: XXXXXXXX. Dall’esame di detto bando si evince che
tra i requisiti richiesti per la partecipazione alla selezione dei beneficiari
dei sussidi vi è quello della cittadinanza italiana unitamente ad un requisito
di residenza di lungo periodo nel territorio della provincia di Trieste.
All’art. 2 del bando, infatti, si stabilisce che “sono ammissibili i
cittadini italiani con la residenza da almeno cinque anni in un comune facente
parte della provincia di Trieste, o comunque le persone quivi nate e residenti.
Limitatamente ad una parte non maggioritaria dei sussidi previsti, possono
esser considerate anche domande di cittadini italiani di altri comuni del
Friuli-Venezia Giulia e del Veneto orientale (cioè di comuni veneti ad est del
fiume Livenza) ed a connazionali di località già appartenute alla Venezia
Giulia (cioè facenti parte delle province di Gorizia e Trieste o delle ex
province di Pola e di Fiume)….Si potrà eventualmente prescindere dai requisiti
d’ammissibilità per i concorrenti che documentino d’essere di religione
armeno-cattolica”.
Dall’esame dei bandi
precedentemente emanati dalla Vostra Fondazione per l’erogazione di sussidi,
prestazioni sociali e borse di studio,
emerge come tali requisiti di ammissibilità fondati su criteri di
cittadinanza e di residenza siano costantemente previsti, in quanto
–stando a quanto indicato nella presentazione della Fondazione nel vostro
sito internet- deriverebbero da una precisa regola statutaria: “La Fondazione Filantropica XXXXXX ha
quale finalità primaria il sostegno ai giovani negli studi superiori ed
universitari nonché nella loro formazione culturale. Statutariamente, i sui
interventi sono destinati ai cittadini italiani residenti a Trieste da almeno
cinque anni, anche se parte non maggioritaria degli interventi è aperta a
cittadini italiani residenti nel F.V.G. ed in alcune località del Vento, nonché
a connazionali della vicina penisola istriana”.[1]
Pur esprimendo il
massimo apprezzamento per la preziosa attività filantropica ed umanitaria
condotta dalla Fondazione, non possiamo non rilevare come la disciplina dei
requisiti di ammissibilità per l’accesso ai bandi, fondati sui congiunti
criteri di cittadinanza e residenza, appare, secondo il nostro avviso, illegittima in quanto in violazione delle disposizioni
nazionali e comunitarie in materia di divieto di discriminazioni.
Dall’esame dei
requisiti di ammissibilità si evince che possono usufruire delle prestazioni
sociali offerte dalla Fondazione soltanto:
a)
i
cittadini italiani residenti nel territorio della provincia di Trieste da
almeno cinque anni;
ovvero:
b)
le
persone, indipendentemente dalla cittadinanza sembrerebbe di capire, che siano
nate e a Trieste e ivi siano residenti, a prescindere dal possesso o meno del
requisito della residenza quinquennale al momento della presentazione
dell’istanza.
Si può concludere,
pertanto, che vengono esclusi
dalla possibilità di concorrere a dette prestazioni sociali tanto i cittadini
di altri paesi membri dell’Unione Europea quanto i cittadini extracomunitari,
con le uniche eccezioni -pare di capire- per quelli che siano nati e residenti
a Trieste ovvero siano di fede religiosa armeno-cattolica ovvero, per una quota
minoritaria di interventi, siano
appartenenti al gruppo nazionale italiano in Istria (nel caso il termine
“connazionale” venga inteso in termini di appartenenza etnica piuttosto che di
comune cittadinanza).
Si ravvisa
pertanto una forma di
discriminazione diretta a danno tanto dei cittadini comunitari quanto dei
cittadini extracomunitari in quanto “un cittadino comunitario o
extracomunitario, in virtù soltanto della sua cittadinanza, viene trattato meno
favorevolmente di quanto sia
trattato un cittadino italiano in una situazione analoga”.
Con la presente si
vuole sostenere che detta discriminazione è illegittima e contraria alle
vigenti norme di legge, nazionali e di applicazione della normativa della
Comunità Europea, in quanto viene
ad applicarsi su interventi e benefici sociali offerti al pubblico, senza che
possa avere rilevanza il fatto che tali benefici siano offerti non da autorità
pubblica, ma da un soggetto privato, titolare pertanto del principio di diritto civile di autonomia
contrattuale.
Con
riferimento ai cittadini comunitari, cioè di Stati appartenenti all’Unione
Europea, la Corte di Giustizia Europea fin dal 1974 ha mostrato di non
considerare rilevante la distinzione tra rapporti di diritto pubblico e
rapporti di diritto privato nella
garanzia del principio di non discriminazione in base alla nazionalità,
statuito dall’art. 13 del Trattato
CE ed ha affermato, senza esitazione, che “se il divieto di discriminazione
avesse valore unicamente per gli atti della pubblica amministrazione potrebbe
scaturirne una difformità di applicazione “ traendone il corollario secondo cui
“il principio di non discriminazione, in ragione del suo carattere imperativo,
costituisce un parametro inderogabile per qualsiasi rapporto giuridico” (Corte
di Giustizia, 12.12.1974 causa 36/74 B.N.O. Walrave).[2]
Si rileva, pertanto,
che il contenuto dei bandi indetti
dalla Fondazione XXXXXX con riferimento ai requisiti di ammissione appare in
violazione delle norme del Trattato Europeo in materia di divieto di
discriminazione tra cittadini appartenenti all’Unione Europea.
Si
sottolinea, peraltro, che il divieto di discriminazione nell’accesso di beni e
servizi offerti al pubblico non può ritenersi limitato ai cittadini dei paesi
membri dell’Unione Europea, ma si è esteso pure ai cittadini appartenenti a
paesi terzi per effetto di una legislazione nazionale anti-discriminatoria di
recente introduzione nel nostro ordinamento, tanto per volontà autonoma del
nostro legislatore, quanto per gli obblighi di recepimento di apposite
normative comunitarie.
Si fa qui riferimento
all’art. 43 1 comma del
Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98), che introduce una sorta di clausola generale di non
discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1 della Convenzione
Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e ratificata
dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654.
In base a tale norma costituisce una discriminazione:
“ogni comportamento che, direttamente o
indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza
basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le
convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l’effetto di
distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio,
in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in
campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della
vita pubblica”.
Con l’art. 43 del D.lgs. n. 286/98, venne così introdotta nel nostro ordinamento la prima
definizione compiuta di discriminazione.
È pertanto innanzitutto da
considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento
differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in
modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno
favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la
differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di
criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”.
Infine, la norma evita di restringere la
protezione contro le discriminazioni al solo ambito lavorativo, ma prende bensì
in considerazione quelle condotte che ledano i diritti umani e le libertà
fondamentali anche in campo politico, economico, sociale e in ogni altro
settore della vita pubblica.
Il legislatore ha poi formulato, nel secondo comma della disposizione,
una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria.
L’articolo prevede infatti che compia “in ogni caso” una discriminazione anche :
(…)
b) “chiunque imponga condizioni più
svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico
ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di
appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;”
c) “chiunque illegittimamente imponga
condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione,
all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e
socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto
in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una
determinata razza, religione, etnia o nazionalità;”
(…)
Dall’esame della normativa citata, emerge
chiaramente che :
a)
per
quanto concerne i soggetti attivi, il divieto di discriminazione trova applicazione non solo nei confronti dello Stato e
dell’autorità pubblica, ma anche dei
privati (l’appellativo “chiunque”) che offrano beni e servizi al pubblico;
b)
per
quanto riguarda i soggetti passivi,
una delle condizioni protette dalla normativa antidiscriminatoria è
quella fondata sull’origine nazionale, intesa non soltanto come appartenenza
etnico-razziale del soggetto, ma anche come cittadinanza straniera
(discriminazione in ragione soltanto della condizione di straniero).
In sintesi, dunque,
la normativa di cui al d.lgs. n. 286/98 vieta al soggetto privato che metta a
disposizione del pubblico beni e servizi di rifiutarne l’accesso o di proporre o predisporre condizioni
più sfavorevoli o svantaggiose in ragione della razza, dell’etnia, del colore,
dell’ascendenza, della religione, della nazionalità o della provenienza
geografica, dettando cioè un limite testuale all’autonomia e alla libertà
contrattuale del soggetto privato che si rivolga al pubblico.
Al D.lgs. n. 286/98
si è aggiunto successivamente il d.lgs. n. 215/2003, di recepimento della
direttiva europea 2000/43/CE che disciplina il principio di non discriminazione
in ragione della razza e dell’origine etnica.
Dal considerando n. 12 della direttiva n.
2000/43/CE emerge che i divieti di discriminazione debbono rivolgersi, oltre
allo Stato e all’autorità
pubblica, anche ai soggetti e
contraenti privati: “Per assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le
persone a prescindere dalla razza o origine etnica, le azioni
specifiche nel campo della lotta
contro le discriminazioni basata sulla razza o origine etnica dovrebbero andare
al di là dell’accesso alle attività di lavoro (…) e coprire ambiti quali (…) le prestazioni
sociali, l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura”. Il testo della direttiva è
esplicito nell’estendere l’ambito di applicazione anche al settore privato: “(…)la
presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, (…), per
quanto attiene: (…) f) alle prestazioni sociali; (…) h) all’accesso a beni e
servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio.” (art. 3, poi recepito quasi letteralmente
dall’art. 3 d.lgs. n. 215/2003).
La Commissione europea
nella relazione periodica
inoltrata nell’ottobre 2006 al Consiglio e al Parlamento Europeo
sull’applicazione della direttiva 2000/43, ha chiarito l’ambito interpretativo
dell’art. 3, in un passaggio che,
per le importanti implicazioni interpretative
della legislazione vigente anche nel nostro paese, vale la pena citare integralmente: “Oltre a
coprire tutti i cittadini, la direttiva ha esteso la protezione contro la
discriminazione ben oltre il tradizionale settore dell’occupazione, coprendo
ambiti come le prestazioni sociali, la sanità, l’istruzione e, soprattutto,
l’accesso ai beni e servizi a disposizione del pubblico, tra cui gli alloggi.
In alcuni Stati membri esistono problemi legati alla separazione tra la sfera
pubblica e quella privata, nonché percezioni di interferenza nella libertà di
decisione o di conclusione dei contratti. Quando beni, servizi, o impieghi
sono oggetto di pubblicità, anche solo, ad esempio, mediante un avviso affisso
su una finestra, essi sono a disposizione del pubblico e perciò rientrano nel
campo di applicazione della direttiva” [sottolineatura nostra].[3]
Viene dunque sottolineato quanto
già ribadito con riferimento alla legislazione nazionale pre-esistente,
cioè il divieto di porre in essere
discriminazioni quando un
soggetto, anche privato, si rivolge al pubblico per fornire od offrire beni,
servizi e prestazioni sociali, rimanendo estranea al divieto di discriminazione
unicamente la fattispecie in cui
un contratto per la fornitura di beni, servizi e prestazioni venga concluso a seguito di una
trattativa individualizzata che non faccia seguito ad alcuna dichiarazione al
pubblico o forma di pubblicità. [4]
Poiché
la Fondazione XXXXX ha fatto uso di pubblicità ed ha offerto al pubblico le sue
prestazioni mediante appositi bandi, diffusi via internet e mediante locandine
affisse in luoghi pubblici, i suoi atti e
comportamenti rientrano nel campo di applicazione della legislazione
anti-discriminatoria e, per tale ragione, devono ad essa attenersi.
Si raccomanda,
pertanto, la Fondazione XXXXXX, a togliere il requisito di cittadinanza
italiana ai fini dell’ammissione ai beni e prestazioni sociali erogati in quanto ciò costituisce, a
nostro avviso, una forma di
discriminazione diretta in violazione della normativa antidiscriminatoria
nazionale ed europea. Ugualmente appare opinabile ed in potenziale contrasto
con la direttiva europea la clausola di preferenza verso i connazionali
provenienti dalle ex province italiane già appartenenti alla Venezia Giulia, se
ed in quanto tale clausola venisse interpretata a favore unicamente di
appartenenti al gruppo etnico-nazionale italiano in Istria, in quanto
suscettibile di determinare una discriminazione su basi puramente
etnico-razziali. Infine, ugualmente discutibile appare la preferenza verso gli appartenenti alla minoranza
religiosa cattolico-armena.
E’ opinione,
peraltro, di questo servizio che
togliere il requisito della cittadinanza italiana mantenendo nel
contempo il requisito della
residenza di lungo periodo (5 anni ) nel territorio provinciale non depurerebbe
i bandi da ogni profilo discriminatorio.
Nella previsione del requisito di
residenza di lungo periodo (5 anni) nel territorio provinciale ai fini
dell’ammissione ai bandi, si
manifesta a nostro avviso, un ulteriore profilo in discriminatorio, di
natura indiretta o “dissimulata”. La discriminazione indiretta, infatti,
sussiste quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, o un
comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una
determinata razza, origine etnica o appartenenza nazionale in una posizione di
particolare svantaggio rispetto ad altre persone (art. 2 d.lgs. n. 215/2003).
Con riferimento all’interpretazione dell’art. 13 del Trattato europeo
(principio di non discriminazione), la Corte di Giustizia europea ha già da
tempo ed in diverse occasioni ritenuto che criteri fondati sulla residenza
possono integrare ipotesi di discriminazione dissimulata. In altre parole, se
un beneficio viene subordinato alla residenza su di un territorio da un certo
periodo di tempo, potrà determinarsi una situazione di discriminazione su basi
di nazionalità, in quanto tale condizione potrà essere più facilmente
soddisfatta dal cittadino piuttosto che dal lavoratore migrante.[5]
I medesimi criteri interpretativi della Corte di Giustizia Europea
possono dunque essere estesi per analogia anche in sede di applicazione del
divieto di discriminazioni indirette posto dall’art. 43 del D.lgs. n. 286/98 e
dal D.lgs. n. 215/2003 con riferimento alla generalità delle persone
regolarmente soggiornanti e non
solo ai cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea.
Anche sotto questo profilo, si invita
pertanto la Fondazione a togliere
il requisito della residenza di lungo periodo nel territorio provinciale ai
fini dell’ammissibilità ai benefici erogati.
Nel ringraziarVi per
l’attenzione che Vorrete porre alla presente, si ribadisce come tale intervento
non abbia la finalità di sminuire o, peggio, denigrare il benemerito operato
filantropico della Fondazione XXXXXX, al quale rivolgiamo il nostro massimo apprezzamento e
rispetto, ma quello di sollecitare l’ adeguamento delle modalità con le quali vengono perseguite le
meritevoli finalità della Fondazione, cioè il sostegno all’istruzione e alla
formazione dei giovani, all’evoluzione della coscienza ed identità europea che
pone il principio di non discriminazione come uno dei pilastri fondamentali su
cui costruire una società più giusta e coesa.
Si trasmette la presente segnalazione all’UNAR
(Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni), presso la Presidenza del Consiglio
dei Ministri- Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità affinché
anch’esso possa, eventualmente e se lo ritiene opportuno, formulare una
raccomandazione ed un parere in merito, avvalendosi delle prerogative
assegnategli dall’art. 7 c. 2 lett. b) e e) del D.lgs. n. 215/2003, in quanto
Autorità Nazionale contro le discriminazioni razziali, costituita per effetto
del recepimento della direttiva
europea n. 2000/43/CE.
Distinti Saluti.
p. l’A.S.G.I.
p. il Servizio di Supporto giuridico
contro le discriminazioni
Dott. Walter Citti
PUBBLICAZIONI
1.
Unione Forense per la Tutela dei diritti dell’uomo (a cura di Anton
Giulio Lana e Andrea Saccucci), Contenuti e strumenti per la tutela delle
vittime di discriminazioni razziali, Roma, 2007, pp. 900.
L’Unione Forense per la Tutela dei diritti dell’Uomo, con la
collaborazione del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) e il contributo
finanziario dell’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali), ha
pubblicato un volume che intende essere uno strumento di consultazione e
approfondimento tematico per tutti coloro che, a vario titolo, svolgono
attività nel campo della tutela delle vittime di discriminazione razziale o
etnica o nel campo della promozione della parità di trattamento. Il volume è
diviso in quatto parti: la prima contenente la normativa nazionale in materia
civile e penale riguardante la discriminazione etnico-razziale; la seconda che
riporta integralmente la principale giurisprudenza costituzionale, di
legittimità e di merito, civile e penale, in materia di discriminazione
etnico-razziale e religiosa; la terza parte è invece dedicata al sistema delle
tutele offerte dal diritto internazionale e comunitario nel campo delle discriminazioni
razziali ed etniche; la quarta parte invece contiene un’esaustiva rassegna di
giurisprudenza internazionale, relativa agli organi delle Nazioni Unite, e del
Consiglio d’Europa. Al termine del volume un appendice con un riepilogo degli
argomenti, suddiviso per tematiche di riferimento.
Una copia del pregevole
volume può essere richiesta all’Unione Forense per la tutela dei diritto
dell’uomo, via Emilio de’ Cavalieri, 11 , 00198 ROMA http: //www.unionedirittiumani.it
2.
Marzia Barbera (a cura di ), Il nuovo diritto
anti-discriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Giuffrè editore, 2007, euro 48,00.
Il libro è un' assoluta novità in quanto contiene la prima analisi complessiva
della legislazione antidiscriminatoria comunitaria e nazionale emanata a partire dall'ultimo
scorcio
degli anni '90 e dà conto delle novità legislative e degli sviluppi
giurisprudenziali intervenuti fino ai primi mesi del 2007, ivi compreso il
codice delle pari opportunità.
Il volume tratta tutti i diversi fattori di discriminazione presi in
considerazione dalla legge: il genere, la razza, l'origine etnica, la religione
e le convinzioni personali, la disabilità, l'età, l'orientamento sessuale.
Vengono anche analizzati i temi delle molestie, delle discriminazioni nei
contratti privati di scambio di beni e servizi, delle azioni positive nel
lavoro e nella rappresentanza politica, del ruolo delle istituzioni di parità e
della società civile. Gli autori, tutti esperti della materia, sono docenti
universitari, giudici, avvocati.
Il libro è rivolto a tutti coloro che si occupano del tema delle
discriminazioni, non solo nel campo del lavoro, ma anche in quello della
politica o dei rapporti di fornitura di beni e servizi. Lo sforzo è quello di
accrescere l'attenzione degli studiosi e dei pratici del diritto verso uno dei
campi più innovativi della regolazione giuridica e della ricerca scientifica e,
allo stesso tempo, di far conoscere meglio le risorse normative, le azioni e i
rimedi offerti dalla tecnica antidiscriminatoria. E' per questa ragione che
alla discussione dei profili di natura teorica o di politica del diritto, si
accompagna l'analisi di dettaglio di specifiche questioni tecniche, relative al
diritto sostanziale e processuale, ai meccanismi probatori, ai rimedi, agli
interventi di tipo promozionale. Il volume costituisce anche un utile supporto
didattico per i corsi di diritto del lavoro, diritto comunitario, diritto antidiscriminatorio.
Il libro è completato da un'ampia bibliografia.
La scheda del
volume è scaricabile dal sito:
http://www.giuffre.it/servlet/page?_pageid=56&_dad=portal30&_schema=PORTAL30&APCodVolume=28924
DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE
1.
ECRI- Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza, Atti
del seminario di esperti sulla lotta al razzismo nel rispetto della libertà
d’espressione, Strasburgo, 16-17 novembre 2006, luglio 2007.
La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI) ha
pubblicato gli atti del seminario di esperti tenutosi a Strasburgo il 16-17
novembre 2006 sul tema: “La lotta al razzismo nel rispetto della libertà
d’espressione”. Lo scopo del seminario era quello di fornire una riflessione
giuridica su come combattere il razzismo nel quadro del rispetto della libertà
d’espressione in società multiculturali. Gli atti del seminario comprendono le
relazioni tenute da esperti
provenienti dal mondo accademico, giudici della Corte europea dei
diritti umani, rappresentanti di organismi internazionali e non governativi,
nonché i documenti preparatori appositamente redatti per la conferenza.
Gli atti possono essere scaricati in lingua inglese o francese dal
sito dell’ECRI:
SOMMARIO DEI CONTENUTI DEGLI ATTI : “Expert seminar: Combating
racism while respecting freedom of expression” TABLE
OF CONTENTS II
– Main findings and conclusions of the Rapporteur, Mr Michael HEAD,
member of ECRI III
– WRITTEN AND ORAL CONTRIBUTIONS Mr
Philippe Boillat, Director General of Human Rights, Council of Europe Ms
Isil Gachet, Executive Secretary to ECRI Ms
Jolien Schukking, Chair of the Committee of Experts for the Development of
Human Rights of the Council of Europe Ms
Agnes Callamard, Executive Director, Article 19 Mr
Aidan White, General Secretary, international Federation of Journalists Mr Teun A. van Dijk, Universitat Pompeu Fabra Mr
Yaman Akdeniz, Director of Cyber-Rights and Cyber-Liberties Mr
Tarlach McGonagle, Institute for Information Law, University of Amsterdam
Ms
Françoise Tulkens, Judge at the European Court of Human Rights Professor
Eva Smith Asmussen, Chair of ECRI Ms
Beate Winkler, Director of the European Monitoring Centre on Racism and
Xenophobia (EUMC) Mr
Ed van Thijn, member of the Parliamentary Assembly of the Council of Europe
Ms
Dunja Mijatovic, Vice-Chairperson of the European Platform of Regulatory
Authorities and Director of the Broadcasting Division in the Communications
Regulatory Authority of Bosnia and Herzegovina The
international and European legal standards for combating racist expression -
Paper prepared by Mr Tarlach McGonagle, Institute for Information Law,
University of Amsterdam The
case-law of the European Court of Human Rights on Article 10 ECHR relevant
for combating racism and intolerance - Paper prepared by Ms Anne WEBER, Dr.
iur., Institut de recherche Carré de Malberg, Université Robert Schuman A review of the work of the European Commission
against Racism and Intolerance - Paper prepared by the Secretariat of ECRI
The framework and judicial review concerning racist
and discriminatory expression in a selected number of European countries -
Paper prepared by Professor Andras SAJO, Chair of Comparative Constitutional
Programs, Legal Studies Department, Central European University
V – APPENDICES |
2.
ODIHR – OSCE (Office
for Democratic Institutions and Human Rights), Hate Crimes in the OSCE
Region: Incidents and Responses, September 2007
Il Rapporto curato dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e I
Diritti umani dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa
rileva che gli incidenti a sfondo razziale e le manifestazioni di intolleranza
razziale appaiono in crescita nel corso del 2006, sia sotto il profilo
quantitativo che del livello di violenza manifestatosi. Il rapporto ugualmente rileva che i
leader politici in misura crescente usano argomenti ed espressioni di natura razzista, xenofoba,
omofobica, antisemitica e
discriminatoria, così come appare in crescita il numero di siti razzisti su
internet. Il rapporto delinea il quadro della normativa sulla repressione dei
crimini a sfondo razzista nei diversi paesi europei e le sfide che i governi e
la società civile devono affrontare sull’argomento.
Il testo integrale in lingua inglese del rapporto può essere
scaricato dal sito: http://www.osce.org/item/26296.html
3.
Renata Uitz, Europeans and their rights –
Freedom of Religion, Council of Europe publications, 2007, euro 17.
Nella pubblicazione l’autrice compara e analizza la protezione del
diritto alla libertà religiosa nella giurisprudenza delle diverse Corti
costituzionali nazionali così come in quella della Corte europea dei diritti dell’uomo,
utilizzando studi di caso ed esempi concreti.
La
pubblicazione, in lingua francese o inglese, può essere acquistata on-line attraverso il sito web del
Consiglio d’Europa: http://book.coe.int/EN/ficheouvrage.php?PAGEID=36&lang=EN&produit_aliasid=2193
Europeans and their
rights – Freedom of Religion
Contents 1
– Introduction: Protection of freedom of religion or belief in European
democracies |
[1] Ad es. Avviso n. 2/2007 per l’assegnazione di sussidi matrimoniali: “La
Fondazione XXXXX ha previsto
d’assegnare sino a cinque sussidi matrimoniali da € 2,000 ciascuno, a favore di
giovani coppie che: si trovino in condizioni di modestia economica propria e
con inadeguate possibilità di sostegno nella cerchia familiare; abbiano
contratto o intendano contrarre
nell’anno 2007 matrimonio civile, o religioso civilmente valido; siano
(entrambi o almeno uno dei richiedenti) cittadini italiani con residenza da
almeno cinque anni in un comune
facente parte della provincia di Trieste, o comunque quivi nati e residenti,…”.
[2] Così nella dottrina: L. Di Nella, Mercato e autonomia contrattuale
nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, 185
ss. si rileva che “l’ambito di
operatività (del principio generale di eguaglianza e di non discriminazione) è
stato (…) esteso dalla Corte di Giustizia anche ai rapporti contrattuali
privati con lo stesso carattere di assolutezza ed inderogabilità espressamente
riconosciuto dall’art. 81 Tratt. CE”.
[3] Commissione delle Comunità Europee, Relazione della Commissione al
Consiglio e al Parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 2000/43 del
29 giugno 2000 che attua il
principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla
razza e dall’origine etnica, Bruxelles, 30 ottobre
2006 Com (2006) 643 definitivo, pag. 3.
[4] La dottrina appare concorde su tale punto. Si veda Daniele Maffeis, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, Giuffrè editore, Milano, 2007.
[5] “Il principio di parità di trattamento,…, vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene in particolare nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri”, cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 16 gennaio 2003, par. 13 e 14 , causa C 388/01.