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OSSERVAZIONI RELATIVE AL LIBRO
VERDE
SUL FUTURO COMUNE EUROPEO IN
MATERIA DI ASILO [1]
(2) Come rendere pi
efficace l'accesso alla procedura di asilo? Pi in generale,
quali aspetti dell'attuale procedura d'asilo migliorare, in termini tanto di
efficienza quanto di garanzie di protezione? |
LASGI ritiene che non si possa ignorare che i migranti
che chiedono asilo in Europa appartengono a flussi migratori misti,
condividono gli stessi viaggi degli altri migranti , definiti economici, e
che il viaggio non avviene direttamente dal paese di provenienza allEuropa, ma
dura spesso anni, nei quali si attraversano diversi paesi di transito nei quali
potenziali richiedenti asilo, e soprattutto i soggetti pi vulnerabili, come
donne e bambini, subiscono ogni tipo di abuso.
Secondo lASGI di fondamentale importanza garantire il rispetto degli
obblighi di protezione della vita umana nei controlli alle frontiere marittime
da parte degli Stati. Dal momento che
la stragrande maggioranza dei richiedenti asilo costretta a viaggiare
e ad entrare nel territorio europeo allinterno dei cd. flussi clandestini. Le
misure di contrasto nei confronti dellimmigrazione clandestina possono
comportare, se praticate in alto mare e senza procedure rigorose volte
all'accertamento delle singole posizioni giuridiche dei migranti, delle violazioni
fondamentali del diritto internazionale e comunitario.
Nel
caso di interventi di pattugliamento in alto mare o ai confini delle acque
territoriali dei paesi di transito occorre tenere presente le prescrizioni
fondamentali del diritto internazionale del mare, norme che possono agevolare
laccesso dei potenziali richiedenti asilo al territorio di un paese che
aderisce alla Convenzione di Ginevra, a differenza della Libia, e che ne
applica effettivamente il dettato ( a differenza della Tunisia o dellAlgeria).
Gli accordi bilaterali di riammissione come le misure adottate a livello europeo, e soprattutto quelle disposte da agenzie tecnico operative come FRONTEX, o da gruppi riservati di coordinamento come lo SCIFA (Strategic Committee for Immigration, Frontiers and Asylum), a livello di forze di polizia o di rappresentanze diplomatiche, non possono risultare in contrasto con il diritto internazionale del mare universalmente riconosciuto. Anche il diritto interno sulla condizione giuridica degli stranieri, con particolare riferimento al contrasto dellimmigrazione clandestina, deve rispettare il dettato del diritto internazionale [2]
La Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (UNCLOS) costituisce la fonte primaria del diritto internazionale del mare [3]. Lart. 311 dispone, infatti, che sono salvi soltanto gli altri accordi internazionali compatibili con la Convenzione stessa. Due o pi Stati - continua lart. 311 della Convenzione sul diritto del mare - possono concludere accordi che modifichino o sospendano lapplicazione delle disposizioni della Convenzione e che si applichino unicamente alle loro reciproche relazioni, solo a condizione che questi accordi non rechino pregiudizio ad una delle disposizioni della Convenzione, la cui mancata osservanza sarebbe incompatibile con la realizzazione del suo oggetto e del suo scopo e, parimenti, a condizione che questi accordi non pregiudichino lapplicazione dei principi fondamentali della Convenzione e non pregiudichino anche il godimento dei diritti o ladempimento degli obblighi degli altri Stati derivanti dalla Convenzione stessa. Questo principio di compatibilit non entra in discussione qualora la medesima Convenzione di Montego Bay richiami e confermi espressamente accordi internazionali in vigore o ne auspichi la stipulazione con riferimento a specifici settori [4].
Tra le norme che non possono essere oggetto di deroga da parte degli Stati anche mediante accordi con altri Stati va richiamato anzitutto lart. 98 dellUNCLOS, perch esso costituisce lapplicazione 2del principio fondamentale ed elementare della solidariet. Ogni Stato - si legge nel citato art. 98 - impone che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nei limiti del possibile e senza che la nave, lequipaggio ed i passeggeri corrano gravi rischi:
l a) presti assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare;
l b) intervenga il pi presto possibile in soccorso delle persone in difficolt se viene informato che persone in difficolt hanno bisogno dassistenza, nei limiti della ragionevolezza dellintervento;
l c) presti soccorso, in caso di collisione, allaltra nave, al suo equipaggio ed ai passeggeri e, nella misura del possibile, indichi allaltra nave il nome ed il porto discrizione e il primo porto del suo approdo. Il secondo comma prevede che gli Stati costieri creino e curino il funzionamento di un servizio permanente di ricerca e di salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima e aerea e, se del caso, collaborino a questo fine con gli Stati vicini nel quadro di accordi regionali.
Varie convenzioni internazionali, tutte in vigore in Italia insieme allUNCLOS, completano il quadro del diritto internazionale del mare. In primo luogo, lart. 10 della Convenzione del 1989 sul soccorso in mare dispone che ogni comandante obbligato, nella misura in cui ci non crei pericolo grave per la sua nave e le persone a bordo, a soccorrere ogni persona che sia in pericolo di scomparsa in mare. Gli Stati adotteranno tutte le misure necessarie per far osservare tale obbligo.
La Convenzione Internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 ( Convenzione SOLAS) impone al comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidit alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione.
La terza Convenzione internazionale che viene in considerazione con particolare riguardo alla ricerca delle persone ed al salvataggio la a Convenzione SAR che si fonda sul principio della cooperazione internazionale [5]. Le zone di ricerca e salvataggio sono ripartite dintesa con gli altri Stati interessati. Tali zone non corrispondono necessariamente con le frontiere marittime esistenti. Esiste lobbligo per gli stati aderenti di approntare piani operativi che prevedono le varie tipologie demergenza e le competenze dei centri preposti.
La Convenzione SAR impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare regardlerss of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found, senza distinguere a seconda della nazionalit o dello stato giuridico, stabilendo altres, oltre lobbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro.
I poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nellarea di competenza non escludono, sulla base di tutte le norme pi sopra elencate, che unit navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso quando limminenza del pericolo per le vite umane lo richieda. Occorre per garantire che dopo lespletamento delle operazioni di salvataggio i migranti siano ricondotti in un porto sicuro [6] .
Soprattutto
nei rapporti con Malta e con la
Libia rimangono ancora da definire le regole d'ingaggio delle marine nel caso
vengano salvati immigrati in difficolt e questo pu comportare gravi ritardi
nelle operazioni di salvataggio, oltre che respingimenti collettivi verso i
porti di partenza di paesi che non riconoscono (o non siano nelle condizioni di
applicare effettivamente, come nel caso di Malta) la Convenzione di Ginevra o
altre norme internazionali che tutelano i diritti della persona umana, con
particolare riferimento ai soggetti pi vulnerabili (quali donne, minori,
vittime di tortura.
In
ogni caso, la doverosa cooperazione dello Stato coinvolto nelloperazione di
soccorso in mare, comprende lobbligo dello sbarco dei naufraghi in un luogo
sicuro sulla base del giudizio del comandante dellunit che porta a
compimento lintervento di salvataggio, prescindendo dal potere dello Stato stesso di perseguire presunti favoreggiatori (comandante ed equipaggio) o di
adottare verso i clandestini (ma in tutta sicurezza) i provvedimenti di
espulsione o di respingimento previsti dalla legge una volta che questi siano
sbarcati a terra.
Una particolare considerazione merita la problematica relativa a ci che debba intendersi per conduzione della persona salvata in un luogo sicuro. Infatti dal momento dellarrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali) relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri pi immediati bisogni (alimentazione etc.). Con lentrata in vigore (luglio 2006) degli emendamenti allannesso della Convenzione SAR 1979 (luglio 2006) e della Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) e con le linee guida - adottate dallOrganizzazione marittima internazionale( IMO) lo stesso giorno di approvazione degli emendamenti alle convenzioni e protocolli - viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di place of safety e sul fatto che la nave soccorritrice un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso.
Secondo uno degli emendamenti pi recenti delle Convenzioni SOLAS e SAR, ogni operazione e procedura, come lidentificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco ( par. 6.20)
Le linee guida dellIMO insistono particolarmente sul ruolo attivo che deve assumere lo Stato costiero nel liberare la nave soccorritrice dal peso non indifferente di gestire a bordo le persone salvate. In base alle linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare adottate nel maggio del 2004 dal Comitato marittimo per la sicurezza, che emendano le convenzioni SAR e SOLAS, il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito. Secondo le stesse linee guida un luogo sicuro una localit dove le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non pi minacciata; le necessit umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possano essere soddisfatte; e possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. Tuttavia alcuni stati non hanno aderito a questi protocolli aggiuntivi e le modalit operative delle missioni Frontex non garantiscono leffettivo rispetto del dovere primario di salvaguardia della vita umana in mare, in quanto consentono il respingimento collettivo dei migranti verso i porti di partenza, senza che sia possibile un esame individuale delle singole persone, anche al fine di verificare il rispetto del divieto di refoulement affermato dallart. 33 della Convenzione di Ginevra.
Nel 2007 lUNHCR ha chiesto al governo maltese di ratificare i recenti emendamenti alle convenzioni marittime - la Convenzione sulla ricerca e soccorso in mare del 1979 (SAR) e la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (SOLAS) - che mirano ad affiancare lobbligo per gli stati di cooperare nelle operazioni di ricerca a quello dei capitani delle imbarcazioni di fornire assistenza in mare.. Si sottolinea in particolare come lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la loro libert sarebbero minacciate, dovrebbe essere evitato. Si aggiunge infine che ogni operazione e procedura come lidentificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco [7].
(3) Quali eventuali concetti e meccanismi del sistema attuale andrebbero riesaminati? |
LASGI ritiene che vada chiarita la nozione di luogo sicuro anche in
relazione all'applicazione corretta della nozione di third safe country.
Una prima riflessione riguarda l'applicazione della nozione di luogo sicuro nel caso di flussi di arrivo misti, ossia comprendenti sia migranti economici che richiedenti asilo. E' indubbio che nella nozione di luogo sicuro va certamente inserita non solo lindividuazione di un luogo in grado di assicurare ai naufraghi un primo soccorso materiale e sanitario, ma anche lobbligo di non invio dei naufraghi stessi verso luoghi nei quali la loro vita e libert possano essere minacciate, come in caso di presenza a bordo dei natanti di eventuali richiedenti asilo. L'accertamento della presenza tra i naufraghi di possibili richiedenti asilo implica la necessit di potere procedere, in condizioni che soddisfino gli standard internazionali, all'accertamento delle posizioni individuali di ogni straniero. Ci inibisce totalmente la possibilit che il natante sia subito ricondotto verso un porto del paese di (spesso solo presunta) provenienza, anche se tale porto si dovesse configurare come luogo sicuro per ci che attiene il soccorso materiale e sanitario.
A nulla rileva l'eventuale obiezione che i potenziali richiedenti asilo provengono da uno Stato terzo che pu essere considerato sicuro. Vanno infatti ben chiarite le seguenti tre condizioni di applicabilit della nozione di third safe country prevista dallart. 36 della direttiva CE/85/05 sulle procedure minime in materia di asilo:
l Per eventualmente essere considerato un third safe country lo Stato in questione deve in ogni caso rispettare i requisiti di cui all'art. 36 comma 2 lettere a,b,c. Tra essi, oltre il requisito di avere ratificato la Convenzione di Ginevra, v' il requisito assai stringente che richiede che il presunto stato terzo sicuro abbia ratificato la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo (art. 36, comma 2 lettera c).
l La Direttiva ben precisa che nozione di safe third country riferibile solo ad una lista definita ed approvata in sede comunitaria, secondo le procedure indicate al comma 3 dello stesso art.36. La stessa Direttiva da facolt ai paesi membri di applicare la nozione di paese terzo sicuro indicata dalla Direttiva solo a condizione che tale paese sia gi stato incluso in una lista nazionale di paesi sicuri stabilita dalla normativa nazionale prima del 1.12.05 (art. 36 comma 7) [8] e fino alladozione della lista comunitaria.
l La Direttiva precisa infine che gli Stati stabiliscono nel diritto interno delle modalit di attuazione delle disposizioni relative ai cosiddetti safe third countries. La Direttiva estremamente chiara nel precisare che qualora uno Stato intenda avvalersi di tale facolt deve comunque informare il richiedente e fornirlo di un documento con il quale informano che lo straniero un richiedente asilo la cui domanda non stata esaminata nel merito; gli Stati devono infine verificare in concreto la ammissione alla procedura di asilo nel paese terzo, poich se ci non avviene, la competenza all'esame della domanda ricade comunque sullo Stato cui il richiedente si rivolto (art. 36 commi 4 e 5).
Il quadro che emerge dall'esame delle disposizioni della Direttiva pertanto chiarissimo: la nozione di paese terzo sicuro prevede limiti di applicazione estremamente rigorosi e comunque si basa sul presupposto che venga accertata la posizione giuridica individuale di ogni straniero. Concludendo su questo punto, risulta di rilevantissima importanza, per il sistema europeo di asilo che i paesi dell'Unione che si affacciano sul Mediterraneo e che sono pi esposti agli arrivi via mare Spagna, Grecia, Italia) non operino rinvii di potenziali richiedenti asilo (verso paesi terzi eventualmente richiamandosi ad un'applicazione non legittima della nozione di safe third country), almeno prima che ogni singolo migrante abbia avuto la possibilit di accedere alla procedura di asilo nel proprio territorio.
LASGI rileva, allo stato della legislazione comunitaria in materia di asilo e protezione umanitaria, lassenza di norme procedurali che permettano di garantire, alle frontiere marittime, terrestri o aeroportuali, una adeguata informazione sui diritti dei richiedenti asilo e protezione umanitaria e una concreta declinazione (attraverso norme di diritto interno dei vari Stati) del principio del principio di non-refoulement, oggi spesso degradato da norma cogente a generico imperativo morale. Il rischio di refoulement alla frontiera messo in rilievo dall'esistenza dei seguenti elementi presenti in pressoch tutti gli stati dell'Unione:
1. Lo straniero alla frontiera entra in contatto esclusivamente con il
personale di Polizia. La presenza, nei servizi di frontiera di organismi terzi
rispetto alla Polizia quali enti ed associazioni di tutela saltuaria e
soprattutto l'ente incaricato non posto nelle condizioni di operare con piena
indipendenza dal momento che il servizio prestato presente solo nella misura
in cui accettato dalla medesima Autorit di polizia. Ci vale in particolare
per la fase del primo contatto con lo straniero – quali ad esempio larea
di transito aeroportuale o la nave allattracco, fisicamente preclusa
allaccesso di enti terzi, con le motivazioni pi varie (motivi di sicurezza,
natura extraterritoriale dellarea et.). La mancanza di un soggetto che abbia
effettive caratteristiche di terziet rende oltremodo difficile l'emersione
di eventuali comportamenti illeciti da parte delle
Autorit e rende difficile altres la stessa registrazione documentale delle
violazioni del principio di non refoulement;
2. La tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di respingimento totalmente priva di effettivit sia in quanto lo straniero non dispone della necessarie conoscenze per accedervi, sia in ragione del fatto che il provvedimento immediatamente esecutivo e non soggetto ad alcuna preventiva misura di controllo, anche snella.
I temi sopra indicati dovrebbero essere presi in serissima
considerazione da parte della Commissione Europea. Sia il tema della presenza
alle frontiere di un elemento di terziet rispetto all'autorit di polizia,
che quello dellefficacia della tutela giurisdizionale appaiono infatti temi
che non possono continuare ad essere ignorati. L'ASGI ritiene che la definizione di disposizioni comunitarie vincolanti
che permettano di dare effettiva attuazione al principio di non-refoulement alle frontiere dell'Unione costituisca un
tema di cruciale importanza ed urgenza.
Tra le possibili misure sulle quali la Commissione potrebbe avviare uno studio approfondit si indicano le seguenti :
a) listituzione in ogni Stato di unautorit pubblica nazionale indipendente di controllo sullo stato delle frontiere;
b) la previsione di un generale diritto di accesso alle aree di frontiera da parte delle associazioni ed enti aventi i necessari requisiti di competenza, prevedendo altres lobbligo per l'Amministrazione di motivare in concreto, con tempi tassativi, le ragioni delleventuale diniego di accesso alle aree di frontiera, di ONG ed associazioni riconosciute (ribaltando la logica in base alla quale le medesime debbono preventivamente accreditarsi);
c) listituzione apposite norme primarie degli Stati dell'Unione di Servizi di frontiera composti da non solo da operatori della PS ma anche da referenti nominati da enti di tutela da individuare attraverso procedure stabilite dalla legislazione nazionale;
LASGI rileva come in diversi paesi europei dopo il primo
diniego sullistanza di riconoscimento dello status si effettua lespulsione
del richiedente asilo, senza che questi sia messo nelle condizioni di fare
valere, prima che venga allontanato dal territorio nazionale, i diritti di
difesa e il diritto ad un giusto processo e ad un ricorso effettivo, previsti
anche dagli art. 6 e 13 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti
delluomo (CEDU).
Va perci introdotta la previsione generalizzata di un effetto sospensivo automatico del respingimento (prevedendo una tutela giurisdizionale da attuarsi in tempi brevi e tassativamente definiti), con potere del giudice di esaminare il ricorso nel merito almeno nel caso in cui lo straniero che si oppone al respingimento intenda richiedere l'applicazione di una forma di protezione internazionale definita dalla Direttiva CE/85/05 sulle procedure minime in materia di asilo.
Una riflessione specifica riguarda l'opportunit di un pi attento monitoraggio a livello comunitario sull'effettiva applicazione del Regolamento Dublino alle frontiere interne dell'Unione. Il Regolamento tassativo nel prevedere che lo straniero venga comunque ammesso alla procedura di asilo nel territorio dello Stato membro, e che l'accertamento della competenza ad esaminare la domanda di asilo avvenga nel rispetto dei criteri stabiliti dal Regolamento medesimo. Anche nei casi nei quali l'accertamento della competenza potrebbe apparire immediata in quanto lo straniero che chiede asilo fermato in provenienza da un altro stato membro, l'immediato rinvio materiale dello straniero verso il presunto paese di competenza dell'istanza di asilo operato dalla polizia di frontiera si pone in violazione del Regolamento Dublino in quanto lo straniero viene rinviato nel paese membro non gi come richiedente asilo, ma come cittadino straniero non comunitario respinto alla frontiera interna. Particolarmente allarmante risulta la situazione dei respingimenti verso la Grecia dai porti italiani del mare Adriatico. L'ASGI ha potuto direttamente verificare, attraverso la conoscenza di alcuni casi, e attraverso incontri effettuati con le autorit di Polizia di frontiera marittima che sono numerosi e costanti i casi di stranieri bisognosi di protezione internazionale rinviati in Grecia senza che sia stata attivata la cosiddetta procedura Dublino. [9] Preoccupazione suscita il fatto che tale prassi coinvolge anche minori, sia accompagnati che non accompagnati. Il Governo italiano stato informato della situazione in pi occasioni, attraverso segnalazioni precise giunte da diversi enti.
(9) Bisognerebbe
chiarire le cause della detenzione, in conformit della giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'Uomo, e assoggettare le condizioni e la durata
della detenzione ad una regolamentazione pi precisa? |
Ad avviso dell'ASGI molte disposizioni sulla durata e le condizioni della detenzione dei richiedenti asilo contenute in diverse normative nazionali ampie perplessit suscitano in relazione alla loro conformit con le disposizioni contenute nella Direttiva 2003/9/CE del Consiglio dEuropa del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative allaccoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.
Lart. 7 della citata direttiva, al comma 1 stabilisce il principio generale secondo il quale i richiedenti asilo possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nellarea loro assegnata da tale Stato membro. Larea assegnata non pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo dazione sufficiente a garantire laccesso a tutti i benefici della presente direttiva. Tale principio generale pu essere temperato da misure specifiche di controllo e di limitazione della libert solo qualora ricorrano valide ragioni tassativamente definite dalla legislazione nazionale. Al comma 2 dello stesso articolo la direttiva prevede infatti che Gli stati membri possono stabilire un luogo di residenza per il richiedente asilo, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico, o, ove necessario, per il trattamento rapido ed il controllo efficace della domanda. Infine al comma 3 si prevede che solo ove risultasse necessario, ad esempio per motivi legali o di ordine pubblico, gli Stati membri possono confinare il richiedente asilo in un determinato luogo nel rispetto della legislazione nazionale.
Il
principio della libera circolazione dei richiedenti asilo all'interno dello
stato nel quale l'interessato ha presentato la domanda risulta non sempre
rispettato nell'ambito delle singole legislazioni nazionali: stravolgendo la
ratio
stessa della citata Direttiva il principio della libera circolazione, da
disposizione generale che dovrebbe riguardare la maggioranza delle situazioni
dei richiedenti asilo diviene norma da applicarsi in via residuale nei soli
casi nei quali la detenzione (assunta a norma regolatrice generale) non sia
stata attuata.
Quarto avenue nella normativa italiana con le disposizioni introdotte dalla Legge 189/02 ben esemplifica questo completo ribaltamento delle disposizioni contenute nella Direttiva 2003/9/CE del Consiglio dEuropa del 27 gennaio 2003.
Nel prevedere l'istituzione di due procedure di esame della domanda di asilo, una procedura cosidddetta semplificata e una ordinaria, il Legislatore italiano ha previsto l'introduzione di forme di limitazione della libert di circolazione dei richiedenti asilo prevedendo l'istituzione di appositi centri di identificazione (CID) nei quali inviare i richiedenti. Ha altres previsto, in taluni casi, anche l'invio dei richiedenti asilo nei centri destinati all'espulsione dei migranti irregolari (CPTA)
Nella prassi in Italia a partire dall'aprile 2005 avvenuto quanto segue:
l a) i richiedenti asilo nei cui confronti la norma prevede il trattenimento nella sola fase iniziale di presentazione della domanda per il solo tempo strettamente necessario alla definizione delle autorizzazioni alla permanenza nel territorio dello Stato in base alle disposizioni del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dellimmigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286[10] vengono di fatto trattenuti nei CID anche una volta cessata la fase della identificazione, in pendenza dell'esame della domanda.
l b) la disposizione che prevede che il richiedente asilo fermato per avere eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni di soggiorno irregolare [11]venga sempre trattenuto in un CID stata applicata nella prassi a tutti i richiedenti asilo giunti nel territorio italiano a seguito di operazioni di salvataggio in mare. L'applicazione di tale disposizione suscita ampie perplessit in quanto non sembra applicabile al richiedente asilo tratto in salvo alcun comportamento omissivo e volont di sottrarsi ai controlli.
l c) una quota di richiedenti asilo sono stati trattenuti nei cosiddetti centri di temporanea permanenza ed assistenza (CPTA) istituiti dal Decreto Legislativo n. 286/98 per porre in essere i provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri irregolarmente presenti in applicazione della disposizione che prevede tale trattenimento (che si configura come effettiva limitazione della libert personale) a seguito della presentazione di una domanda di asilo da parte di uno straniero gi destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento [12]
Una autorevole Commissione istituita dal Ministero dell'Interno italiano e presieduta dall'Ambasciatore delle Nazioni Unite Staffan De Mistura, che ha avuto il compito di effettuare un monitoraggio su tutti i centri italiani per stranieri (compresi i centri per richiedenti asilo) ha permesso di evidenziare delle disfunzioni assai preoccupanti [13].
Pur rinviando ad una lettura completa del testo della relazione, si ritiene utile qui evidenziare come in relazione ai CID la Commissione abbia messo in luce alcune gravi disfunzioni:
Sulla base dei dati pervenuti e delle
visite effettuate presso i Centri di identificazione, la Commissione ritiene di
potere mettere in evidenza le seguenti criticit:
l
il
trattenimento dei richiedenti asilo presso i CID (e lapplicazione della
procedura semplificata) era stato pensato come prassi residuale e da applicarsi
solo in circostanze ben precise. In realt – nel tempo – si
ricorso al trattenimento del richiedente in modo sempre pi generalizzato.
l
Ad eccezione
del centro di Foggia – Borgo Mezzanone i richiedenti asilo vengono di
fatto trattenuti allinterno di strutture, con scarsa possibilit di uscita
diurna come evidenziato dal numero bassissimo di autorizzazioni
allallontanamento dai centri. Ci suscita preoccupazione in quanto i
richiedenti appaiono essere sottoposti a una privazione della loro libert non
soggetta al controllo dellautorit giudiziaria.
l
Il fatto che
nella medesima area sorgano centri dalle finalit molto diverse (Crotone e
Caltanissetta– CPTA/CDA e CID in costruzione; Milano - CID/CPTA; risulta
in costruzione un CID a fianco al CPTA di
Gradisca) crea un clima di assimilazione. Ove sono presenti strutture di
tipo polifunzionale, (sia strutture di prima accoglienza e di protezione dei
richiedenti asilo che strutture destinate allesecuzione dellespulsione) cՏ
il concreto rischio che si verifichi nei fatti una sostanziale assimilazione
dei centri per richiedenti asilo con i CPTA.
l
Lorientamento
e lassistenza legale ai richiedenti asilo parsa assai carente in tutti i
CID. Nonostante
abbiamo riscontrato - in alcune localit - il positivo avvio di servizi di
orientamento e tutela per i richiedenti asilo allinterno dei centri, in
collaborazione con Enti di tutela e Enti locali. Si tratta – comunque -
di programmi dalla portata ancora molto limitata e comunque laccesso degli
enti di tutela ai CID non sempre stato consentito. In sintesi si pu
ritenere che i richiedenti asilo trattenuti nei CID accedano a servizi di
tutela in misura inferiore rispetto ai richiedenti asilo la cui domanda
esaminata con procedura ordinaria
Sempre la Commissione ha sottolineato che:
In ragione della concentrazione degli
arrivi in alcuni periodi dellanno nonch dellesistenza di un numero limitato
di CPA si constatato come gli stranieri vengano di fatto trattenuti presso
gli attuali centri di prima accoglienza per periodi di tempo considerevolmente
lunghi, da 15 giorni fino a due mesi (la media di permanenza tra i 20 e i 30
giorni), senza che tale situazione di effettiva limitazione della libert
personale sia sottoposta ad alcun controllo giurisdizionale
Infine, in relazione al trattenimento nei CPT la Commissione ha evidenziato che:
La presenza nei CPTA di stranieri
unicamente destinatari di un provvedimento di espulsione con stranieri che,
seppure espulsi, erano in attesa dell'esame della loro domanda di asilo
risultata particolarmente critica. La Commissione – durante le sue visite
- ha constatato che i richiedenti asilo non avevano adeguato accesso a servizi
di orientamento, informazione e tutela. La strutturazione di servizi
dedicati ai richiedenti asilo nei CPTA risultata infatti carente o in taluni
casi del tutto assente.
In un dettagliato rapporto sul diritto d'asilo in Italia, l'ICS (Italian Consortium of Solidarity – Consorzio Italiano di Solidariet), uno dei pi importanti enti di tutela italiani, ha evidenziato come una percentuale compresa tra il 70 e l'80% dei richiedenti asilo sono stati trattenuti (de iure o de facto), nel corso dei due anni di attuazione della nuova normativa (da aprire 2005 ad aprile 2007)[14]
Ad avviso dell'ASGI quanto accaduto in Italia non attribuibile ad un caso isolato ma riflette una forte tendenza presente in tutti i paesi dell'Unione ad adottare delle norme sula detenzione amministrativa dei richiedenti asilo che eludano le disposizioni di cui all'art. 7 della Direttiva 2003/9/CE. commi 2 e 3 del citato art. 7 appaiono infatti formulati in maniera eccessivamente vaga e si prestano pertanto ad applicazioni poco rigorose e ad ancora pi difficili controlli di eventuali procedure di infrazione. Risulta pertanto estremamente importante l'avvio di una azione in sede comunitaria avente l'obiettivo di stabilire presupposti giuridici, condizioni, procedure e tempi massimi pi rigorosi relativamente alla detenzione dei richiedenti asilo al fine di evitare una applicazione estensiva e generalizzata della detenzione.
(28)
Quale sarebbe l'aiuto ottimale che l'UE potrebbe fornire ai paesi
terzi per consentire loro di affrontare con maggiore efficacia le questioni
connesse con i rifugiati e l'asilo? (29)
Come migliorare e rendere pi coerenti le strategie globali della
Comunit nei confronto dei paesi terzi in materia di assistenza ai rifugiati?
(33) Quali
ulteriori misure sarebbe possibile adottare per garantire che gli obblighi di
protezione derivanti dall'acquis comunitario e dal diritto internazionale in
materia di rifugiati e di diritti dell'uomo, diventino parte integrante della
gestione delle frontiere esterne? In particolare quali altri provvedimenti
permetterebbero di garantire che l'attuazione pratica di misure volte a
combattere l'immigrazione illegale non incida sull'accesso alla protezione
dei richiedenti asilo? (34) Come
rafforzare le capacit nazionali di predisporre sistemi di gestione dei
flussi in entrata che tengano conto dell'aspetto protezione soprattutto nei
casi di arrivi in massa alle frontiere? |
Dopo
le timide aperture del processo di Barcellona, avviato nel 1995, e le speranze
suscitate dai documenti di Tampere nel 1999, da un Consiglio Europeo allaltro,
soprattutto a partire dall11 settembre 2001, le politiche di sbarramento e di
militarizzazione delle frontiere hanno condizionato le scelte degli organismi
comunitari in materia di immigrazione ed asilo. I richiedenti asilo sono
stati spesso considerati alla stessa stregua dei migranti illegali e nei loro confronti si sono rivolte le medesime
misure di contrasto che si stabilivano nella guerra contro limmigrazione
clandestina. Intanto
limmigrazione clandestina non certo diminuita, inserendosi come un fenomeno strutturale in un
economa liberista di dimensione globale caratterizzata dalla delocalizzazione
su scala internazionale delle attivit produttive e da un consistente mercato
parallelo del lavoro irregolare. Si restringevano drasticamente le possibilit
di ingresso, e spesso anche le vie di fuga, a milioni di potenziali richiedenti
asilo, ed anche lUnione Europea adottava direttive che avevano come effetto
una sostanziale diminuzione del
numero di rifugiati, pure in presenza di un incremento di migranti costretti a
lasciare il proprio paese per le guerre o per gli effetti collaterali della
desertificazione politica e sociale, oltre che fisica, imposta dallo scontro di
vecchi e nuovi potentati economici per il controllo delle risorse mondiali. LUnione Europea non neppure riuscita
ad adottare una direttiva sugli ingressi per lavoro e le diverse direttive
adottate in materia di asilo e protezione umanitaria consentono ancora
situazioni molto differenziate tra i diversi paesi e prassi delle autorit
amministrative che impediscono generalmente laccesso effettivo alla procedura
di asilo.
LUnione
Europea vicina allapprovazione di una direttiva sui rimpatri forzati che
potrebbe costituire ulteriore stimolo per molti paesi nella direzione di un
ulteriore inasprimento delle normative e delle prassi in materia di
respingimento, espulsione e detenzione amministrativa, arrivando a prevedere un
periodo massimo di diciotto mesi per linternamento nei centri finalizzati
allespulsione degli immigrati irregolari. Occorrerebbe una pausa di
riflessione in questo processo che
prima ha frammentato lo status di rifugiato e le procedure rivolte ai
richiedenti asilo ed adesso sta tentando di abbattere importanti garanzie
procedurali, con la direttiva sui rimpatri che il Consiglio si appresta a
definire.
Di
fronte al complessivo fallimento delle politiche espulsive praticate a livello
nazionale, che hanno ridotto i centri di detenzione amministrativa a luogo di
selezione e di espulsione della forza lavoro in eccesso, o di prolungamento
della detenzione carceraria, piuttosto che di effettivo allontanamento degli
immigrati irregolari presenti nel territorio, i principali paesi europei hanno
riscoperto la cooperazione internazionale, e le politiche europee di vicinato
(PEV). In assenza di strumenti operativi idonei a praticare una autentica
solidariet con gli abitanti dei paesi pi poveri, con iniziative affidate agli
enti locali ed alle organizzazioni non governative, si tentato di imporre ai
governi degli stati di transito, soprattutto dei paesi nord-africani, accordi
di collaborazione basati sul finanziamento delle politiche di arresto, di
detenzione e di espulsione dei migranti irregolari, prima che questi potessero
tentare lultimo salto, la traversata verso lEuropa. In questa direzione lItalia e la Spagna hanno offerto gli
esempi pi eclatanti, nei rapporti, rispettivamente, con la Libia e con il
Marocco, concludendo accordi bilaterali e/o intese a livello di forze di
polizia che hanno permesso il blocco e larresto di migranti,in molti casi
potenziali richiedenti asilo e minori non accompagnati, anche se provenienti da
paesi terzi, in cambio di trattamenti preferenziali negli scambi commerciali
con i paesi dellarea comunitaria. La Grecia si distinta invece per una
politica di rimpatri verso la Turchia di migliaia di potenziali richiedenti
asilo irakeni ed afgani, anche minori non accompagnati, malgrado una
risoluzione del Parlamento europea che vieta i rimpatri forzati verso lIrak.
Laspetto pi preoccupante delle politiche comunitarie in materia di
immigrazione ed asilo rimane tuttavia la stipula di accordi di cooperazione
nella lotta allimmigrazione clandestina, da ultimo con paesi di transito come la
Mauritania ed il Ghana. Lapproccio utilizzato quello della condizionalit
migratoria: in
cambio di aiuti economici e di limitate possibilit di ingresso legale per i
cittadini di quei paesi, si ottiene in cambio un maggiore impegno nellarresto
e nella successiva espulsione, o nel respingimento verso altri paesi dei
migranti in transito, molti dei quali provenienti da lontano, spesso potenziali
richiedenti asilo.
Se
le attuali linee di intervento fossero confermate, lUnione Europea chiuderebbe
definitivamente la porta in faccia ai richiedenti asilo. Appare evidente che le
procedure di esternalizzazione dei controlli di frontiera, non possono che
avere conseguenze catastrofiche sulle possibilit dei potenziali richiedenti
asilo di raggiungere lEuropa, abbandonando decine di migliaia di uomini, donne
e bambini alla discrezionalit delle forze di polizia dei paesi di transito, e
rafforzando quel diffuso sistema criminale che nei paesi di transito sfrutta il
traffico dei migranti, con la complicit dei pi alti gradi dei rappresentanti
istituzionali.
Ad avviso dell'ASGI occorre pertanto:
1. procedere ad un superamento del Regolamento n. 343 del 2003, con meccanismi di distribuzione dei richiedenti asilo e dei titolari degli status, che attui veramente il principio della solidariet, non solo tra gli stati europei, ma anche verso i paesi di provenienza e transito. La modifica della Convenzione di Dublino, con un richiamo pi ampio alle clausole di deroga per ragioni umanitarie, potr incidere positivamente sulla gestione delle frontiere marittime meridionali, soprattutto nelle zone SAR di competenza di Malta e Cipro, paesi che altrimenti non sono in grado di sostenere lapplicazione del Regolamento comunitario n. 343 del 2003.
2.
prevedere poi nella
legislazione comunitaria una esimente a favore di tutti coloro che realizzano azioni di
salvataggio in mare, in modo da evitare che i mezzi civili, per timore di
possibili sanzioni penali,
ignorino le richieste di soccorso dei migranti in alto mare.
3. vigilare maggiormente sui rischi di possibili respingimenti collettivi in mare adottate da alcuni paesi come lItalia (in base al decreto interministeriale del 14 luglio 2003, in attuazione della legge Bossi Fini). Questi interventi derivano da decisioni delle autorit politiche, si sovrappongono agli interventi umanitari e di salvataggio, ponendosi in contrasto con il diritto internazionale del mare ed alimentando il rischio di nuove stragi con una gravissima lesione del diritto di asilo riconosciuto a livello internazionale e dalla Costituzione italiana. Il Decreto interministeriale 14 luglio 2003 e lart. 12 del T.U. sullimmigrazione vanno riformulati con la precisazione degli obblighi di salvataggio, e dei diritti dei potenziali richiedenti asilo, con la cancellazione delle ipotesi di rinvio verso i porti di provenienza, anche alla luce dei divieti di respingimento affermati in favore di persone particolarmente vulnerabili dallart. 19 del Testo Unico sullimmigrazione n. 286 del 1998. In questo quadro, come ricordato dallASGI fin dallagosto del 2006, il coinvolgimento nelle pattuglie FRONTEX di unit navali di paesi che non rispettano i diritti dei richiedenti asilo, come Malta, la Tunisia e la Libia pu costituire la premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona.
4.
potenziare il sostegno
a tutte quelle azioni positive poste in essere da enti locali e da ONG, che a
livello nazionale ed internazionale, soprattutto nei paesi di transito, si
rivolgono alla tutela dei richiedenti asilo e protezione umanitaria. Dovr
evitarsi in ogni modo che la partecipazione dellOIM o dellACNUR alle
operazioni di rimpatrio possa costituire lennesimo alibi per bloccare i
potenziali richiedenti asilo. Gli accordi di cooperazione economica dovrebbero
quindi restituire un ruolo progettuale alle organizzazioni non governative ed
agli enti locali, anche per diffondere informazioni corrette sulle prospettive
degli asilanti in Europa e per fornire un sostegno alle famiglie.
5.
stabilire una
nuova disciplina degli ingressi legali in Europa allargando i canali di ingresso regolare in
Europa nei confronti della tipologia di migrazioni pi importante: quella per
lavoro. Innovare l'approccio in questo campo significa abbandonare
lirrealistica pretesa di determinare la legalit degli ingressi degli
stranieri per lavoro mediante un unico sistema dei flussi programmati
dingresso, riconoscendo giuridicamente, invece, una pluralit di modalit di
ingresso per lavoro. A fianco degli ingressi su chiamata nominativa o numerica
da parte di datori di lavoro, oltre ad altre forme di acquisizione della
regolarit, le disposizioni debbono incedere nel governo della cosiddetta catena migratoria, che, in caso venga ignorata o totalmente
contrastata, viene attratta inevitabilmente nei canali dellirregolarit. L'ASGI ritiene infatti che buona parte del dibattito
sviluppatosi nei paesi della UE sulla nozione di uso strumentale della
domanda di asilo sia avvenuta all'interno di schemi di pensiero fortemente
ideologizzati che non hanno tenuto conto che l'abuso delle domande di asilo
fortemente legato alla presenza o meno di canali regolari di ingresso per
motivi diversi dalla protezione. L'assenza o l'eccessiva scarsit di tali
canali induce ad utilizzare la procedura di asilo come extrema ratio da parte del migrante.
L'ASGI ritiene infine che vada complessivamente
rivisto l'approccio
dell'Unione Europea in relazione alle politiche in materia di immigrazione ed
asilo ricolte dall'Unione verso i paesi dellEuropa orientale confinanti con lUnione Europea
allargata che rappresentano oggi aree strategiche di transito dei rifugiati. La
situazione nei paesi che attualmente si trovano ad est dei confini dellUnione
si caratterizza complessivamente sulla base dei seguenti 6 elementi
fondamentali:
l a) si tratta di territori segnati da
un numero alto, e soprattutto, crescente, di arrivi di rifugiati e di altri
migranti in fuga da situazioni di instabilit politica e sociale e da conflitti
pi o meno estesi;
l b) la grandissima parte dei
rifugiati, per molte ragioni assolutamente comprensibili, non intende rimanere
nei primi paesi di arrivo, ma intende raggiungere i paesi della vecchia
Europa;
l c) molti migranti, che sono
rifugiati di fatto, ma che non hanno chiesto asilo, vengono intercettati
nellattraversamento illegale delle frontiere verso la UE, o poco dopo, e
vengono rinviati indietro. Nella maggior parte dei casi comunque neppure allora
emerge la condizione di rifugiato, ma gli stranieri vengono trattati come
migranti irregolari e come tali soggetti a rischi di deportazione verso i propri
paesi di origine;
l d) per molte ragioni legate a motivi
economici e a una storia di immigrazione assai recente, in tutti i paesi
considerati (Moldavia, Ucraina, paesi dell'area balcanica) sono evidenti le
carenze nei servizi informativi, di protezione legale e di accoglienza dei
rifugiati. Tali carenze alimentano la tendenza dei rifugiati a cercare di
proseguire il viaggio verso Occidente a tutti i costi, fermandosi intanto in
questi paesi, in condizioni di irregolarit, per periodi di tempo pi o meno lunghi.
l e) un tasso di accoglimento delle
domande di asilo straordinariamente basso
A
causa della conseguenze della situazione sopra descritta si va formando nei
paesi confinanti occorre al pi presto un regime
omogeneo a livello europeo, tanto per il diritto di asilo che per la protezione
umanitaria, con il superamento del Regolamento Dublino n.343 del 2003, perch
la concreta esperienza di questo regolamento ha dimostrato come esso venga
utilizzato per effettuare respingimenti in acque internazionali da paesi, come
Malta, che non possono o non vogliono darvi piena applicazione con
lUnione, (ed in particolare in Ucraina) un vasto numero di stranieri che
potrebbero godere di una protezione internazionale, ma che non accede ad
alcuna protezione
(ne status di rifugiato, n protezione sussidiaria) e che vive in condizioni di
totale irregolarit e di grave marginalit sociale;
essi, per cercare di sfuggire alla
loro condizione finiscono per alimentare i traffici della criminalit organizzata
che lucra in maniera crescente sui tentativi di emigrazione verso occidente di
questi rifugiati di fatto.
L'azione
dell'Unione Europea nei confronti dei paesi confinanti ad essa ad Est non pu
limitarsi al posizionamento di sistemi di controllo di polizia delle frontiere esterne
dell'Unione. L'azione di controllo necessaria al fine di contrastare i
traffici della criminalit organizzata ma se diventa lunica misura seriamente
perseguita o comunque ha la predominanza assoluta sulle misure concrete di
protezione dei rifugiati non solo diviene inefficace, ma diventa persino
negativa poich
finisce inevitabilmente per ledere i fondamenti giuridici del diritto dasilo.
La situazione sopra
descritta andrebbe pertanto affrontata, da parte della UE, insieme ai paesi
coinvolti, muovendosi sulle seguenti linee:
l 1. forte potenziamento dei programmi di protezione ed accoglienza dei rifugiati, sia nei paesi di
recente adesione che nei paesi confinanti;
l 2. potenziamento delloperato delle associazioni e degli enti
indipendenti di tutela,
l 3. rafforzamento dei programmi di
formazione per il
personale della pubblica amministrazione e per la magistratura;
l 4. spinta all'introduzione di normative conformi al diritto
internazionale (particolare attenzione va fatta in relazione allassenza in
alcune legislazioni della nozione di protezione sussidiaria).
l 5. adozione di programmi di
reinsediamento a
livello comunitario per quote di rifugiati in
condizioni di particolare vulnerabilit che comunque sono stati accolti e
riconosciuti nei paesi confinanti con la UE. Tali programmi di reinsediamento,
oltre a costituire un aiuto essenziale per tali paesi contribuirebbero a
rendere credibile agli occhi dei rifugiati, la prospettiva di chiedere asilo
laddove sono giunti.
[1] Con il presente documento l'ASGI invia all'Unit Immigrazione ed Asilo della Direzione generale Giustizia, libert e sicurezza – Commissione Europea, alcune osservazioni relative al Libro Verde in materia di asilo. Le osservazioni che seguono non affrontano tutte le tematiche sollevate nel libro verde ma si limitano a proporre delle risposte ad alcuni dei quesiti sollevati nel Libro Verde (indicando di volta in volta i quesiti) ritenuti di particolare rilievo.
[2] G. Camarda,,
Tutela della vita umana in mare e difesa degli interessi dello Stato : i
tentativi di immigrazione clandestina, in Rivista
di diritto delleconomia, dei trasporti e dellambiente, V, 2007 richiama i
contenuti della nostra Carta costituzionale per sottolineare, ai fini
dellargomento, la centralit del secondo e del terzo comma del citato art. 10:
La condizione giuridica dello straniero regolata dalla legge in conformit
delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito
nel suo paese leffettivo esercizio delle libert democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto dasilo nel territorio della Repubblica
secondo le condizioni stabilite dalla legge.
[3] Cfr. T. Scovazzi, La tutela della vita umana in mare, con particolare riferimento agli immigrati clandestini diretti verso lItalia, in Rivista di Diritto Internazionale, 2005, p. 106
[4] Cfr. G. Camarda,, Tutela della vita umana in mare e difesa degli interessi dello Stato : i tentativi di immigrazione clandestina, in Rivista di diritto delleconomia, dei trasporti e dellambiente, V, 2007
[5] Sul rapporto tra gli obblighi di salvataggio sanciti dal diritto internazionale ed il diritto interno, si rinvia a T. Scovazzi, La lotta allimmigrazione clandestina alla luce del diritto internazionale del mare, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2003, fasc.4, p.48
[6] Sul concetto di luogo di sbarco sicuro G. Camarda, op. loc. cit., osserva Una particolare considerazione merita la problematica relativa a ci che debba intendersi per conduzione della persona salvata in luogo sicuro. Infatti dal momento dellarrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali) relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri pi immediati bisogni (alimentazione etc.). Con lentrata in vigore (luglio 2006) degli emendamenti allannesso della Convenzione SAR 1979 (luglio 2006) e alla Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) e con le linee guida - adottate in sede IMO lo stesso giorno di approvazione degli emendamenti alle convenzioni e protocolli - viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di place of safety e sul fatto che la nave soccorritrice un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. Da notare che le linee guida insistono particolarmente sul ruolo attivo che deve assumere lo Stato costiero nel liberare la nave soccorritrice dal peso non indifferente di gestire a bordo le persone salvate.
[7]
In un comunicato del giugno 2007 lAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i
Rifugiati (UNHCR) esprime grande preoccupazione per la mancanza di un impegno
forte ed uniforme da parte degli stati rivieraschi del Mediterraneo nellambito
della ricerca e soccorso in mare e nel permettere lo sbarco immediato delle
persone tratte in salvo da imbarcazioni impegnate in attivit di pesca. A causa
di ci, nelle ultime settimane molte imbarcazioni precarie o alla deriva con a
bordo un numero elevato di persone che tentavano di raggiungere lEuropa sono
state ignorate o lasciate in balia delle onde, e alcuni capitani non hanno
onorato sia i loro obblighi dettati del diritto marittimo che lantica
tradizione del salvataggio di persone in difficolt in mare.LUNHCR
consapevole delle difficolt dei diversi paesi mediterranei nel far fronte ai
ripetuti arrivi di gruppi misti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, ma
sottolinea come il principio dellassistenza alle persone in pericolo in mare
dovrebbe sempre essere prioritario.
[8] L'eventuale mantenimento nella lista dei paesi sicuri sarebbe comunque illegittima se il paese considerato non possiede i requisiti indicati al gi citato art. 36 comma 2 lettere a,b,c.
[9] Si riporta di
seguito uno stralcio del comunicato stampa emesso in data 20 settembre 2007 da
CIR (Consiglio Italiano Rifugiati): Il fenomeno durante le ultime settimane
ha assunto dimensioni allarmanti: nel solo mese di agosto vi sono stati ben 190
respingimenti dal porto di Bari, 153 dal porto di Ancona, 17 dal porto di
Brindisi e 2 dal porto di Venezia, per un totale di 362 persone, di cui 200
irakeni e 30 afgani. Solo ieri si sono contati altri 17 respingimenti dal porto
di Ancona, tra cui una famiglia irachena con 4 figli e cittadini somali,
eritrei, albanesi e cinesi. Lo scenario sempre lo stesso: durante i controlli
nei porti vengono rintracciati i cittadini stranieri nascosti nei tir e vengono
immediatamente "affidati" al comandante della stessa imbarcazione che
li ha condotti in Italia dalla Grecia
[10] Art. 1 bis comma 1, legge 39/90, come introdotto dalla legge n. 189/2002
[11] Art. 1 bis comma 2, lettera a) legge 39/90, come introdotto dalla legge n. 189/2002
[12] Art. 1 bis comma 2, lettera b) legge 39/90, come introdotto dalla legge n. 189/2002
[13] La Commissione era composta da funzionari nominati dal Ministero dell'Interno ed esperti esterni.
[14] ICS, L'Utopia dell'Asilo - Il diritto d'asilo in Italia nel 2006, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006