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Interventi e interviste

Interventi - Sottosegretario Marcella Lucidi

21.09.2007

Intervento introduttivo del sottosegretario all'interno Marcella Lucidi

Firenze - 21 settembre 2007

Le "immagini di un nuovo Paese" raccolte dalla Fondazione Alinari ci raccontano una realtà sociale che è già multiculturale, dove l'integrazione avviene per la disponibilità reciproca di donne e di uomini di riconoscersi vicendevolmente.
Mi sono domandata, allora, se abbiamo indovinato il titolo della nostra Conferenza, parlando di una realtà che già esiste come se dovesse ancora venire.
Quel titolo, invece, richiama giustamente il ritardo con il quale ci troviamo a guardare ciò che è accaduto e accade rispetto alla necessità incombente, forte, che venga governato piuttosto che subito, diventi cioè consapevolezza condivisa, responsabilità di direzione, di strategia, verso un futuro che non impressioni ma appassioni.

Come a dire che serve oggi rispetto all'immigrazione che si indichi la luna perchè non si sia costretti a guardare il dito.

Mi spiego meglio. Ciò che sta accadendo in questo tempo - con grande velocità - va preso molto sul serio. Ci sono movimenti migratori alle porte dell'Occidente che difficilmente riusciamo a mantenere fuori dai nostri Stati o fuori dai confini dell'Unione europea. Mentre c'è chi entra via mare, via terra, regolare, clandestino, c'è chi muore come "vita da scarto", c'è anche tanti immigrati, ormai oltre tre milioni regolari, che entrano o sono entrati in una quotidianità in cui insieme viviamo, disturbando le nostre supposte somiglianze con le loro differenze, "scomodandoci" ovvero anche producendo conflitto, reclamando diritti, vivendo come possono o secondo quello che sanno rispetto ai diritti, rispettando o violando i doveri.

Fin qui è il dito. Ed è il problema, non piccolo e non facile, di come "regolare" queste dinamiche perchè siano gestibili, sostenibili, economicamente e socialmente, perchè l'inquietudine dei cambiamenti non degeneri nella paura, nella chiusura, nel rifiuto, come dice Sartre nell'idea che "l'inferno è altro".
A questo punto dell'esperienza che l'Italia sta facendo dell'immigrazione non c'è tuttavia da porsi una domanda ulteriore che non è soltanto come governiamo il disordine ma come costruiamo un nuovo ordine? E questo non va fatto anche avendo a mente che la coesistenza con gli immigrati o per meglio dire nuovi cittadini è un dato forse non esattamente quantificabile ma certamente irreversibile rispetto al quale occorre che la politica soprattutto si attrezzi in tempo? Ovvero che quella legittima domanda di sicurezza che si eleva da ogni dove ricolloca insieme italiani e immigrati da una parte o dall'altra, pro o contro, non tra sè, rispetto alla violenza, alla illlegalità alla criminalità? E cosa è la luna se non quella responsabilità che abbiamo di dire che saranno quei bambini che siedono insieme sui banchi di scuola, con la difficoltà di stare insieme al passo dietro i programmi formativi, ad avere confuso talmente le differenze da creare una nuova società? Potrebbe non accadere.

Intanto, ciò che è evidente è che non basta più ragionare di immigrazione con il se ma con il come. E qui, non penso che chi governa debba rimanere solo.
Ciò che le persone vogliono sentirsi dire dalla politica è che non serve avere paura. Da una ricerca che come Ministero dell'Interno abbiamo commissionato alla società Makno è emerso che uno dei rimproveri maggiori che i cittadini fanno a tutti i partiti è di non riuscire a regolare gli ingressi.
Se come spesso sosteniamo l'immigrazione è fenomeno complesso, diviene maggiore il bisogno di organizzare la società a tutti i livelli perchè diventi possibile l'integrazione.





   
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Ministero dell'Interno