Vai al contenuto della pagina | Vai al menù di secondo livello
Home  |  Sala Stampa  |  Interventi e interviste  |  Intervento Prefetto Morcone - Firenze

Interventi e interviste

Interventi - Altre

21.09.2007

Intervento Prefetto Morcone - Firenze



Con gli interventi di stamattina abbiamo ascoltato le ragioni della società civile e le opportunità per il mondo del lavoro – ma anche le difficoltà – che emergono quando una risorsa come quella dell’immigrazione deve incanalarsi nei binari di una piena integrazione sociale culturale ed economica.
Mi viene in mente, allora, Jean Portante, esponente di spicco della scena letteraria lussemburghese e immigrato italiano di seconda generazione, che in un recentissimo libro si pone la domanda: “Quale è il nesso possibile tra una balena chiamata Mrs Haroy e un emigrato?”. La balena ha lasciato la sua terra natale milioni di anni fa per andare a vivere nel mare, ma non è mai diventata un pesce ed ha ancora bisogno di respirare fuor d’acqua. Così si può dire che nella sua esistenza ha ancora in sé qualcosa della terra perduta. Come l’emigrato che, partito a sua volta dal luogo di origine, sogna dell’impossibile ritorno. Perché tutti sanno che il suo soggiorno è allo stesso tempo una condizione provvisoriamente definitiva e un destino definitivamente provvisorio.
Proprio per superare questa condizione, insieme all’amico Sturani stiamo provando a delineare il complesso “percorso delle nostre comunità verso l’integrazione”, attraverso l’azione e gli strumenti concreti, utili a favorire un processo di inclusione e non di assimilazione, di confronto tra diversità che si riconoscono in una piattaforma comune di valori sulla quale costruire, giorno dopo giorno, la nuova società multiculturale.

1) Il tema dell’integrazione e dell’inclusione sociale è uno degli obiettivi politici prioritari dell’Unione Europea.
La scelta europea, è bene dirlo subito, non è tra immigrazione “sì” o immigrazione “no”, ma tra immigrazione “ben regolata” e immigrazione “mal regolata”.
E d’altra parte è noto a tutti coloro che sono impegnati a diverso titolo su questi argomenti che i flussi migratori sono e resteranno per molti anni strategici ed essenziali, sia come fattore di sviluppo delle nostre economie e della crescita dei nostri Paesi, sia per attenuare gli aspetti negativi dell’invecchiamento della popolazione che, soprattutto in Germania, in Italia e in Ungheria, tocca punte davvero allarmanti.
Al tempo stesso nell’affrontare la complessità di questo tema, vorrei ricordare un principio più volte pubblicamente richiamato dall’ex Commissario dell’Unione Europea Antonio Vitoriño: l’Immigrazione non è un diritto.
Non è un diritto come quello alla vita, alla non discriminazione, alla dignità o all’istruzione. Non è un diritto come invece l’asilo, garantito, peraltro, anche dalla nostra Carta costituzionale.
L’Immigrazione è un’opportunità; un’opportunità che va vissuta con le regole e con le modalità che la stessa Unione Europea e i singoli Stati si danno.
Il consolidamento del regime giuridico per le condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini dei Paesi terzi è quindi essenziale, ed essenziale è una politica comune per l’integrazione nell’Unione Europea, in modo coerente, dei nuovi lavoratori.
Strumenti legislativi sono stati già adottati nel settore del ricongiungimento familiare, dei soggiornanti di lungo periodo e dei cittadini di Paesi terzi bisognosi di protezione internazionale, superando la chiave di lettura eminentemente economicistica del fenomeno, per rilanciare una visione più dinamica e globalizzata della società del terzo millennio quale società dei diritti e dei doveri.
Su questa linea con il suo piano d’azione relativo all’immigrazione legale, la Commissione Europea presenterà una proposta di Direttiva quadro per definire, al più presto, le garanzie fondamentali dei lavoratori immigrati dell’Unione, nonché proposte sulle condizioni di ingresso e di residenza di immigrati altamente qualificati (la Blu Card anticipata dal Commissario Frattini di cui avete forse già sentito parlare).
Questi flussi, che solo un banale luogo comune descrive come ondate, non sono né ciclici né congiunturali e pongono agli europei il problema di una ridefinizione, di un ripensamento dell’idea stessa di comunità, in vista di una società che per forza di cose non sarà più etnicamente omogenea come era un tempo. Ciò comporta il rispetto della diversità e una disposizione d’animo positiva nei confronti di altri modi di vivere e di sperare.
Allora, oggi, il mio auspicio ed il mio augurio è che in questi due giorni si riesca a mettere da parte l’ansia di caratterizzare la propria appartenenza politica, alla ricerca di consenso, per affrontare questo tema che è centrale, portando, con neutralità, la propria esperienza di amministratori e di studiosi e i propri progetti.
L’inclusione sociale è un obbiettivo che va perseguito ogni giorno attraverso gli strumenti e le modalità operative di un’efficace azione di governo ed amministrativa sul nostro territorio.
“La democrazia della quotidianità” è l’intuizione felice di Antony Giddens nel recentissimo volume “L’Europa nell’età globale”.

O O O O O

2) Il tema delle libertà individuali e collettive, che è poi il quadro di riferimento della nostra riflessione, investe lo spettro ampio di tutte quelle garanzie e di tutti quei doveri la cui effettività porta verso una società multiculturale.
Così è nata al Ministero dell’Interno la “Carta dei Valori” sotto la direzione scientifica del Professor Cardia, e con la partecipazione di illustri studiosi di diverse culture e religioni; personaggi che abbiamo oggi l’onore di avere con noi ed ai quali consentitemi di rivolgere un saluto ed un ringraziamento particolare, a testimonianza di un impegno a collaborare che continua nel tempo.
Con la Carta dei Valori si è voluto dar vita ad un difficile sforzo di sintesi e comprensione tra le diverse anime e culture oggi rappresentative della nostra società multietnica, per “collocare le differenze, di cui gli immigrati sono portatori, all’interno di un quadro unitario di valori fondamentali condivisi, in grado di salvaguardare la sostanza della nostra tradizione culturale e religiosa, i nostri valori costituzionali e di riuscire ad accettare nello stesso tempo le altre culture e le altre religioni”.
La Carta dei Valori, dunque, “si muove nell’ottica di integrazione interculturale delineando e confermando i valori di base della società italiana e garantendo il rispetto e la promozione di quelle diversità che non collidono con tali valori, ma possono evidentemente contribuire ad alimentarli ed arricchirli”.
Di fronte ad un fenomeno che, come abbiamo detto, non ha profili congiunturali ma pone concretamente il problema di una rivisitazione dell’idea stessa di comunità, dobbiamo fino in fondo percepire che, inevitabilmente, la nostra società non sarà più etnicamente omogenea come un tempo.
Giusto quindi interpretare questa necessità non solo attraverso la difesa della validità dei principi cardine che costituiscono l’impianto della Costituzione Italiana, ma anche riaffermando con forza i principi ed i valori delle Carte Internazionali dei diritti umani, dei diritti di libertà e dei diritti sociali, per formare un patrimonio unitario da riferire tanto ai cittadini immigrati quanto ai cittadini italiani.
Giusto però anche difendere tali principi pretendendone il massimo rispetto ai cittadini stranieri ed italiani, in un’ottica di responsabilità collettiva che non consente deroghe interpretative, a meno di non alimentare un “relativismo” improduttivo che ci spingerebbe inesorabilmente e nuovamente dentro antichi e superati steccati identitari.
E’ chiaro che in questo quadro d’insieme il tema che vorrei porre a me stesso ed ai colleghi di altre Amministrazioni presenti, è relativo agli strumenti ed alle modalità operative per trasferire quest’impegno nell’attività di ogni giorno: per far sì che i principi contenuti nella Carta orientino in maniera efficace l’azione di governo ed amministrativa sul nostro territorio.
Si pone cioè un obbiettivo di pratica concreta di questi valori, al quale ritengo dobbiamo guardare, avendo sempre davanti la necessità di interpretare correttamente una società in costante evoluzione.

3) Il primo degli strumenti che più incidono nella costruzione di un progetto multiculturale mi sembra certamente da indicare nell’istruzione.
La scuola è il luogo centrale per la costruzione e la condivisione di regole comuni, in grado di trasmettere conoscenze e saperi indispensabili ad una educazione orientata a favorire il dialogo ed il reciproco arricchimento.
Appena un cenno statistico per capire quali sono le esigenze che abbiamo davanti e le risorse da mettere in campo.
La concentrazione di alunni stranieri è molto più elevata nelle aree del Centro-Nord del Paese ed investe non solo le grandi metropoli ma anche città di più ridotta dimensione, specialmente nel Nord-Est.
Fonti del Ministero dell’Istruzione registrano, nel triennio  2004-2006, un incremento di alunni con cittadinanza non italiana di circa 60.000 unità l’anno, arrivando nell’ultimo anno di riferimento a costituire il 5% circa dell’intera popolazione scolastica.
La presenza di alunni stranieri di diverse etnie è dunque da qualche anno un dato strutturale per il nostro sistema per cui la sfida, oggi, non è soltanto affidarsi alle c.d. “Best Practices” - che in alcune Regioni già consentono di sviluppare programmi di formazione mirati anche ai diversi livelli di cultura e tradizione dei gruppi di provenienza – quanto, piuttosto, quella di elaborare un sistema complessivo che apra i nostri modelli didattici alla “scuola delle cittadinanze” e della “interculturalità” in tutto il Paese.
Si tratta cioè di porre le basi per un nuovo mondo ed un nuovo modo di sentirsi cittadini, destinando, da un lato, e senza paure, maggiori risorse in questo settore – perché la legalità va costruita, prima ancora che ripristinata con adeguati mezzi di repressione (che devono essere equilibrati, credibili ed efficaci).
Dall’altro, offrendo a chi viene da noi, un rinnovato patto sociale, basato su una piattaforma semplice, ma solida, di valori, che consenta di arrivare, attraverso la partecipazione, ad una piena integrazione.
La promozione della buona conoscenza dell’italiano scritto e parlato è chiaramente uno degli obiettivi iniziali e prioritari del percorso verso l’integrazione, oltre che un antecedente logico del successo scolastico.
Una recente ricerca commissionata dal Ministero dell’Interno (alla Makno) rivela che la lingua italiana è parlata dal 30 % degli immigrati e che, tra questi,  il 75% lo parla con buone capacità espressive; e rivela anche che il 60% degli immigrati sa parlare almeno un’altra lingua oltre alla propria ed all’italiano, con prevalenza dell’inglese seguito dal francese.
Si tratta di dati significativi di un radicamento crescente sul nostro territorio delle famiglie immigrate, ma nei quali emerge anche che spesso i genitori non hanno le medesime conoscenze di base dei figli, determinando un disorientamento dove, in particolare le madri, temono di sentirsi escluse dai processi decisionali riguardanti la vita ed il futuro dei figli stessi.
Occorre, quindi, se non si vogliono determinare atteggiamenti di chiusura delle famiglie, non dimenticare di estendere anche ai genitori le conoscenze essenziali della lingua.
Anche in questa fotografia dell’esistente, trova nuova conferma la validità di un approccio complesso verso tutti i problemi che attengono all’integrazione, i quali, se affrontati con strategie rivolte ad una sola faccia della questione, non produrranno risultati proficui, ma dispersione di risorse.
Ma non di minore impatto è una politica della casa che consenta un accesso possibile soprattutto nelle grandi aree urbane.
E’ noto che per motivi culturali, ma al tempo stesso di opportunità di lavoro, un numero consistente di lavoratori stranieri tende a concentrarsi nelle grandi aree urbane dove, naturalmente, è ancora più difficile dal punto di vista economico l’accesso ad una abitazione dignitosa.
Dunque un passaggio stretto, ma necessario, è quello di una adeguata politica che per un verso non costituisca ghetti nelle periferie e che tenga conto, peraltro, del disagio diffuso anche di fasce marginali di cittadini italiani.
Un terzo strumento è quello di accesso alla rete finanziaria nazionale. Alcune iniziative sono partite, promosse da alcuni importanti istituti di credito, ma sono ancora progetti spontanei che hanno la necessità di essere messi a sistema, in una rete più vasta che coinvolga tutte le istituzioni che gestiscono il risparmio nel nostro Paese.
Questo, oltre ad essere un fattore di promozione dell’integrazione e di sostegno per chi si inserisce regolarmente in Italia, è anche un programma di trasparenza nella movimentazione delle risorse prodotte dai lavoratori stranieri.
Un ruolo di grande rilievo in questo quadro è riservato all’informazione e ai media, qualche volta troppo condizionati dalla spettacolarità di fenomeni, anche drammatici, che tuttavia sono di minore incidenza rispetto ad un tema di questa dimensione e complessità.
Sto parlando degli sbarchi e delle tante vicende umane spesso sfortunate che tuttavia costituiscono più l’aspetto emotivo che strategico del problema.
22.000 persone sbarcate nel 2006 rappresentano solo una parte minore dell’immigrazione clandestina. Naturalmente questa considerazione nulla toglie alle tante odiose tragedie che si consumano nel canale di Sicilia.

4) Una riflessione a parte va brevemente fatta per i richiedenti asilo ai quali la nostra Costituzione garantisce il diritto di vivere nel nostro Paese. Mi riferisco ai rifugiati, a coloro cioè che a causa di guerre, repressioni o violenze, sono costretti a lasciare il loro Paese e spesso tutto quello che hanno; sono persone che se potessero scegliere certamente non andrebbero via dalla loro terra. A questi, cui sono riservate dall’Unione Europea particolari condizioni che vanno sotto il nome di protezione internazionale, diamo accoglienza in Italia, garantendo, come è nostro dovere, condizioni di dignità della persona e speranza per il futuro. Sono mediamente 5 mila l’anno quelli che rientrano in entrambe le categorie anche se si registrano, in relazione alle condizioni geopolitiche, picchi di particolare intensità. Basta ricordare i boat people vietnamiti, al soccorso dei quali il nostro Paese concorse con una grande operazione umanitaria, fino ad arrivare ad un flusso importante di cittadini eritrei o del Corno d’Africa che, in questi giorni, stanno producendo domanda per ottenere le garanzie loro riservate dalla legge.
Fra meno di un mese da oggi, dovremmo avere definitivamente approvati i decreti legislativi che sono già all’esame delle competenti Commissioni Parlamentari. Faranno nostre le direttive dell’Unione Europea in materia, ponendoci, peraltro, all’avanguardia nelle modalità di accoglienza e nelle opportunità di cui i rifugiati potranno usufruire.
Assieme con l’ANCI stiamo portando avanti, ed implementando, un sistema sempre più strutturato, finalizzato a garantire i servizi necessari alla loro integrazione nel nostro Paese, con una particolare attenzione alle categorie più vulnerabili. Ne siamo molto orgogliosi e lo presenteremo a Bruxelles come un’esperienza di particolare valore il prossimo 10 ottobre. Allo stesso tempo, per le grandi aree metropolitane, stiamo accompagnando questa azione di rete con i comuni italiani con accordi bilaterali, così da rendere il pacchetto delle risorse disponibili più consistenti. Forse non basta ancora, ma certo è un grande passo in avanti che caratterizza il nostro Paese come riferimento verso gli altri Paesi dell’Unione.

5) La chiave dell’ultima porta da aprire, per realizzare il percorso della multiculturalità, così come l’abbiamo immaginato, sembrerebbe l’ottenimento della cittadinanza italiana.
Questo punto di arrivo che è la logica adesione al patto fondamentale che si instaura fra lo Stato ed i singoli individui è prerogativa assoluta di ogni singolo ordinamento, ma sia in ambito nazionale che internazionale va affermandosi un nuovo concetto che supera le concezioni radicate di stampo etnico – territoriale, per dare vita ad un’idea di cittadinanza aperta, socio – culturale, connessa all’effettività dell’inserimento economico, sociale e politico di coloro che intendono stabilirsi nel nostro Paese.
Su questo tema è in atto, in questi giorni in Parlamento, la discussione sul disegno di legge governativo che ha già raccolto numerosi contributi dalle forze politiche, trasformandosi in un’iniziativa Parlamentare.
E’ un terreno scivoloso che, a fronte delle nostre aspettative, ha registrato in alcuni Paesi dell’Unione, come Inghilterra e Francia, delusione, quando cittadini di seconda e terza generazione hanno faticato a riconoscersi in quel patto; la recente ricerca della Makno, cui ho già accennato prima, non dà peraltro per scontato un così diffuso interesse delle persone provenienti da Paesi terzi che si sono stabiliti sul nostro territorio a conseguire con convinzione la cittadinanza italiana.

O O O O O

Siamo in una società in cui il ritmo accelerato dei cambiamenti pone continuamente l’azione di chi è chiamato ad esprimere le proprie responsabilità istituzionali sul territorio, di fronte alla necessità di “conoscere bene per governare meglio”.
In questa linea di intervento, collegata alla esigenza di potenziare la nostra capacità di osservazione del fenomeno migratorio, dobbiamo anche evidenziare la necessità di una politica tesa a favorire il più possibile percorsi di ingresso legale dell’immigrato: e ciò anche attraverso la semplificazione delle diverse procedure di inserimento nel mondo del lavoro e di garanzia dell’integrità familiare (ricongiungimenti familiari).
E il Ministero dell’Interno non si tira indietro rispetto alle proprie responsabilità, ed in qualche caso alle proprie inefficienze. Sto parlando dello Sportello Unico dell’Immigrazione.
Non rinunciamo, tuttavia, a credere nelle potenzialità dello strumento che stiamo aprendo, a legislazione invariata, a nuove forme di semplificazione – oggi possibili grazie alle opportunità offerte dalla tecnologia informatica.
E’ trascorso un anno particolarmente complicato nel quale ci siamo trovati a gestire oltre 720.000 domande (e dico 720.000 perché rumeni e bulgari sono diventati cittadini europei soltanto nel gennaio di questo anno e vanno ricompresi anche i ricongiungimenti familiari e le conversioni); adesso vediamo la luce in fondo al tunnel, avendo alle spalle la concessione del 90% dei nulla osta sulle domande ritenute ammissibili. Rimane una denunciata difficoltà in qualche area metropolitana per la quale sono stati avviati progetti finalizzati.
Siamo già pronti con una nuova procedura, profondamente innovativa e trasparente, per rispondere in maniera adeguata alle eventuali indicazioni che il Governo ed il nostro Ministro riterranno di dare.

6) E’ proprio in tale ottica che il Ministro Amato ha voluto fornire rinnovato impulso - con una apposita direttiva ai Prefetti - ai Consigli Territoriali per l’immigrazione, organismi di coordinamento e di indirizzo nelle politiche locali presenti in ciascuna Prefettura, dove siedono, accanto alle istituzioni regionali, provinciali e comunali, i rappresentanti delle Associazioni degli immigrati e dell’Associazionismo di settore, esponenti di comunità religiose e del mondo della “mediazione culturale”.
Istituiti con la legge 286/98, hanno faticato ad entrare in campo, pur essendo dotati della straordinaria potenzialità di rappresentare un utile strumento di conoscenza della composizione della popolazione sul territorio, assumendo via via un ruolo centrale di coordinamento e di supporto agli enti locali responsabili delle politiche di inclusione sociale, attraverso una preziosa opera di mediazione e di impulso delle pluralità di interessi e di istanze emergenti con specifiche caratteristiche sul territorio.
 Si rende ora opportuno strutturare un rapporto ancora più stretto tra tali collegi e le diverse consulte per gli immigrati presenti a livello comunale, provinciale e regionale nel nostro paese, evitando sovrapposizione di attività e dispendio di risorse.
Ribadendo la centralità di queste sedi di confronto, riproponendoli cioè al centro della “mission” istituzionale della Prefettura, ai Consigli non solo è stato affidato il compito di avvicinare ancor più ai bisogni concreti delle popolazioni migranti le azioni programmate sul territorio dai vari attori del sistema, ma è stata attribuita la possibilità di disporre di apposite risorse - che il Ministero dell’interno ha individuato nella somma massima di 10 milioni di euro – per finanziare direttamente progetti finalizzati all’inclusione sociale.
Si tratta di iniziative che potranno essere indirizzate a sostegno di interventi in materia di politiche abitative, di interventi tesi a favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e di inserimento lavorativo, ovvero da dedicare alla formazione degli studenti ed alla informazione e consulenza legale, allo sviluppo del dialogo interreligioso ed alla mediazione culturale e così via.
Tutte le iniziative saranno condivise con l’ulteriore contributo che dovesse provenire al progetto specifico da Comuni, Province, Regioni, ovvero sponsor locali o associazioni che operano sul territorio, a testimonianza ulteriore della necessità di realizzare politiche di integrazione in un percorso di cooperazione aperta tra i diversi livelli delle istituzioni e la società civile.

7) E qui mi avvio alle conclusioni.
Se ci tiriamo fuori dal dibattito politico, così intenso e rumoroso in queste settimane, potremo prendere facilmente atto che tutti i livelli di governo, Comuni, Province, Regioni e Stato, indipendentemente dalla linea politica e programmatica che si sono dati, investono consistenti risorse finalizzate a politiche di inclusione sociale e convivenza civile.
Progetti innovativi e sperimentazioni importanti che spesso non apprezziamo nel giusto grado, con una forte disomogeneità nei vari ambiti territoriali. Il passo in avanti che mi sembra necessario fare e che mi sento di porre sul tavolo come elemento di riflessione può essere costituito dalla necessità di realizzare assieme una politica di rete che, nel rispetto dell’autonomia dei vari livelli di governo, convenga su standards comuni da adottare per i cittadini che ospitiamo regolarmente nel nostro Paese. Si tratta di mettere a sistema le tante idee e le tante iniziative anche innovative che sorgono sul territorio e che rimangono troppo spesso limitate a singole realtà.
Abbiamo a riferimento il Sistema di Protezione Richiedenti Asilo che ha dato davvero buoni frutti, come abbiamo già detto, e che, in qualche modo, ha tracciato una strada per la nuova alleanza interistituzionale di cui abbiamo bisogno anche in questo caso.
In sostanza, ciò che oggi si impone è una selezione delle scelte operative che si sono rivelate non solo più adatte, ma che possono essere esportate diffusamente sul territorio nazionale, meritando il sostegno.
L’idea non ha pretese di originalità ma, soprattutto in questo particolare momento, in cui le risorse disponibili non sono mai abbastanza rispetto alle tante esigenze da affrontare, un metodo comune per utilizzare al meglio, ad esempio, gli strumenti di finanziamento complementari, sia nazionali che comunitari, mi sembra una scelta coraggiosa e razionale.
Mi riferisco prima di tutto ai Fondi la cui gestione ricade direttamente sul Ministero dell’Interno, quali quelli connessi al Programma Operativo Nazionale (PON), al Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS), al più recente Fondo per l’Integrazione, istituito da quest’anno nell’ambito del Programma comunitario “Solidarietà e Gestione dei Flussi migratori”; più in generale, a tutta la programmazione dei fondi europei e nazionali 2007-2013.
Del resto già in questi anni è stata concretamente sperimentata l’utilità di un tavolo di confronto e di concertazione delle iniziative a livello territoriale attraverso proprio lo strumento dei Consigli Territoriali per l’Immigrazione.
Giuseppe De Rita, in una recente intervista, ha parlato della nostra, come di una società di indecifrabile polverizzazione, una società a “coriandoli”.
Se riuscissimo, sulla base dell’esperienze recenti e di cui ho parlato, a ricomporre un quadro di collaborazione istituzionale più strutturato, con l’obiettivo di muoverci tutti assieme verso un progetto condiviso di società multiculturale, potremmo tentare, come ha suggerito il Presidente del Consiglio, di ricomporre tutto questo ad un disegno, ad un mosaico.
Questo almeno è l’onesto impegno del Dipartimento di cui ho la responsabilità.





   
Icona Invia | Invia Icona Stampa | Stampa
Ministero dell'Interno