Osservazioni sullo

SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO

di attuazione della direttiva 2004/83/ce del Consiglio del 29 aprile 2004 recante

norme minime sullĠattribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchŽ norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta

 

(nota riservata)

 

In generale si osserva che il testo elaborato contiene in gran parte norme legittime ed opportune, perchŽ 

1) nella grande maggioranza delle disposizioni si recepiscono correttamente le norme della direttiva comunitaria;

2) quasi sempre non si avvale delle numerose facoltˆ in essa previste in favore degli Stati membri di prevedere talune misure derogatorie o pi sfavorevoli nei confronti dei richiedenti asilo;

3) talvolta prevede talune ulteriori significative disposizioni pi favorevoli per i richiedenti asilo rispetto a quelle previste dalla direttiva, cos“ come consente lĠart. 3 della stessa direttiva, anche rinunciando ad attuare talune norme della direttiva che appaiono piuttosto ambigue.

 

 

Nella presente sede si rilevano invece soltanto le principali norme che nel recepimento delle disposizioni della direttiva appaiono giuridicamente criticabili sia sotto il profilo delle lacune, sia sotto il profilo delle norme nazionali aggiunte.

 

1. Art. 3 (art. 4 direttiva) –Esame dei fatti e delle circostanze

 

1.1. Al comma 1 appare troppo vago il riferimento (non previsto dalla direttiva) allĠobbligo del richiedente di presentare Òcomunque appena disponibiliÓ tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda. Occorre precisare che deve trattarsi di una immediata disponibilitˆ in Italia da parte dello stesso richiedente.

1.2. Al comma 3 lett. a) si aggiunge un inciso (Òove possibileÓ) - che non  previsto dalla direttiva - allĠobbligo di valutare la domanda anche alla luce delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti nel Paese di origine e alle relative modalitˆ di applicazione: tale inciso deve essere soppresso perchŽ acquisire e mantenere sempre aggiornate precise informazioni sulle norme e sulla prassi applicate in ogni Paese  un preciso onere posto a carico dei pubblici poteri per assicurare che effettivamente sia svolta una valutazione sempre obiettiva di ogni domanda presentata da stranieri perseguitati o in pericolo di subire danni gravi.

 

 

2. Art. 8 (art. 10 direttiva) – Motivi di persecuzione

 

Al comma 1 lett. d) Òparticolare gruppo socialeÓ nel primo periodo si incorre nellĠerrore giuridico di ritenere disgiunte le due caratteristiche che definiscono ogni particolare gruppo sociale che invece la direttiva considera congiunte, sicchŽ la parola ÒovveroÓ deve essere trasformata in ÒeÓ.

 

3. Art. 10 (art. 12 direttiva) – Esclusione

 

Alla lett. b) del comma 2 si rileva con notevole preoccupazione la restrizione della protezione assicurata dalla direttiva derivante dalla circostanza che la causa di esclusione prevista dallĠart. 12, comma 2, lett. b) della direttiva  stata attuata in modo erroneo e inutilmente peggiorativo rispetto alle vigenti clausole ostative alla presentazione della domanda di asilo.

In proposito occorre ricordare che lĠart. 12, comma 2, lett. b) della direttiva prevede che un cittadino di un paese terzo o un apolide  escluso dallo status di rifugiato Òove sussistano fondati motivi per ritenere abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli  rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comuneÓ.

Occorre perci˜ rilevare che la direttiva si riferisce sia a  reati gravi, sia ad Òatti particolarmente crudeliÓ anche se commessi con un determinato scopo politico. In tal senso stupisce che siano oggi considerati reati Òpi graviÓ  non giˆ quelli oggi come ostativi dallĠart. 1 del D. L. n. 416/1989, conv. con mod. nella legge n. 39/1990 quelli indicati allĠart. 380 cod. proc. pen., bens“ anche tutti quelli per i quali la pena prevista dalla legge italiana per tale reato sia non inferiore nel minimo a 4 o nel massimo a 10 anni.

Si chiede che i reati ostativi non siano ulteriormente ampliati, mentre occorre che essi siano ridotti ai delitti pi gravi indicati nellĠart. 407, comma 2 , lett. a)  cod. proc. pen. , che sono stati introdotti dallĠart. 12, comma 1 lett. c) del D. Lgs. quali cause di diniego del riconoscimento dello status e non giˆ anche nellĠart. 10, comma 2 lett. c) della direttiva quali cause di esclusione. In tal senso  evidente che si tratta di una palese contraddizione che deve essere corretta: lo status di rifugiato non  riconosciuto al richiedente che sia stato condannato per uno dei reati molto meno numerosi rispetto a quelli previsti quali cause di esclusione.

Inoltre per rispettare la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva prevista dallĠart. 27 Cost.  indispensabile che il riferimento di ogni reato ostativo non sia generico, ma sia comunque fatto ad una sentenza definitiva di condanna.

 

4. Art. 12 (artt. 12 e 14 direttiva) Diniego dello status di rifugiato

 

Preliminarmente si osserva che il legislatore delegato fa la scelta –  che di per sŽ non sarebbe stata obbligatoria - di avvalersi della facoltˆ prevista dallĠart. 14, comma 5 della direttiva, di prevedere che le circostanze previste dallĠart. 14, comma 3 delle stessa direttiva siano configurate quali cause per il diniego del riconoscimento dello status oltre che come cause di revoca dello status di rifugiato, come prevede lĠart. 13 del D. Lgs.

Tuttavia  evidente che sotto due profili le modalitˆ di attuazione delle predette circostanze si rivelano lacunose o giuridicamente errate, con effetti pericolosamente restrittivi della protezione prevista dalla direttiva stessa al diritto dĠasilo.

In primo luogo lĠart. 12, comma 1 lett. b) del D. Lgs. deve essere riformulato: esso non pu˜ limitarsi a ripetere la formula, di per sŽ piuttosto vaga ed ambigua, prevista dalla direttiva, cio che la persona costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato, ma deve prevedere che si tratti di gravi motivi di carattere concreto ed attuale che si riferiscono al comportamento della persona e non giˆ alla mera circostanza della sua presenza sul territorio statale, circostanza che al fine di assicurare unĠeffettiva attuazione del diritto dĠasilo giˆ non potrebbe essere considerata un atto di per sŽ ostile da ogni altro Stato, come conferma la stessa dichiarazione sullĠasilo territoriale approvata con risoluzione dellĠAssemblea generale delle Nazioni unite del 14 dicembre 1967 della principio secondo il quale lĠasilo deve essere rispettato da tutti gli Stati, sicchŽ la sua concessione deve essere considerata un atto umanitario e pacifico, non ostile verso lo Stato di origine.

In secondo luogo lĠart. 12, comma 1 lett. c) del D. Lgs. recepisce in modo giuridicamente errato la direttiva allorchŽ essa prevede quale causa di diniego o revoca dallo status di rifugiato che la persona Òessendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravitˆ, costituisce un pericolo per la comunitˆÓ dello Stato membro: tale norma non pu˜ certo essere attuata , come invece fa il legislatore delegato, trasformando il pericolo per la comunitˆ in un (generico e discrezionale) pericolo per lĠordine e la sicurezza pubblica per i condannati definitivi per uno dei delitti previsti dallĠart. 407 cod. proc. pen. Infatti nellĠordinamento italiano la nozione di pericolo per la comunitˆ connessa con la condanna penale definitiva deve riferirsi alla pericolositˆ sociale accertata dal giudice nella sentenza penale definitiva di condanna, in presenza della quale lo straniero deve essere espulso a titolo di misura di sicurezza.

 

5. Art. 14 (art. 15 direttiva) – Danno grave

 

LĠart. 14 si limita a recepire in modo letterale tutte le circostanze in presenza delle quali si ha il danno gravo che legittima il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Tuttavia tale ripetizione appare inadeguata, anche in riferimento alla legislazione vigente e alla giurisprudenza CEDU.

Infatti le ipotesi di danno grave che dˆ luogo a protezione sussidiaria devono essere attuate in modo estensivo adottando in modo esplicito tutti i criteri della giurisprudenza della Corte EDU (che vincola tutti gli Stati membri del Consiglio dĠEuropa, sicchŽ non potrebbe trattarsi di un trattamento pi favorevole previsto soltanto dallĠItalia).

Infatti di per sŽ le cause di pericolo grave previste dall'art. 15 sono assai pi precise di quelle finora ricavabili dal vago riferimento agli obblighi internazionali e costituzionali e comunque recepiscono i diritti previsti nellĠart. 2 (vita) e gli inderogabili divieti previsti nellĠart. 3 (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti) della CEDU (oltre che nellĠart. 8 del patto internazionale sui diritti civili e politici e nella convenzione europea sulla tortura).

In tale ottica  indispensabile prevedere nel D. Lgs. la nozione di trattamento inumano e degradante deve essere inteso quale ricavabile dalla giurisprudenza della CEDU che oggi fa proprie definizioni di tortura e di trattamento inumano e degradante che sono previste dalla Convenzione ONU del 10 dicembre 1984 sulla tortura ed altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti.

 

6. Art. 16 (art. 17 direttiva) Esclusione

 

6.1. In base all'art. 17 della direttiva le cause di esclusione per gravi reati anche dalla protezione sussidiaria (che sono anche cause di revoca dello status della protezione sussidiaria) sono pi ampie rispetto alle cause di esclusione dallo status di rifugiato e tuttavia esse devono essere interpretate in modo assai restrittivo facendo riferimento all'art. 15 della direttiva che riconosce la protezione sussidiaria in caso di pericolo grave derivante da condanna a morte o da esecuzione o da pena o trattamento inumano e degradante.

Perci˜  indispensabile che  lĠart. 16, comma 1 lett. b) sia riformulato sotto vari profili.

In primo luogo in virt dellĠart. 27, comma 2, Cost. che prevede la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, occorre che la clausola di esclusione per la commissione del reato grave sia attuata in modo da prevedere che la commissione del reato grave deve essere stata accertata con sentenza definitiva pronunciata da giudice italiano o straniero.

In secondo luogo in virt del divieto di estradizione dello straniero per motivi politici previsto dallĠart. 10, comma 4 Cost., del divieto di pena di morte previsto dallĠart. 27 Cost., e del divieto di subire torture o pene o trattamenti inumani o degradanti previsto dallĠart. 3 CEDU, come definiti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo  indispensabile prevedere che i fondati motivi per ritenere che il richiedente abbia commesso allĠestero un reato grave sussistono soltanto se lo Stato estero abbia regolarmente presentato allĠItalia domanda di estradizione a seguito di una sentenza definitiva di condanna, per la quale sia definitiva la sentenza favorevole allĠestradizione pronunciata dalla competente Corte dĠappello italiana (la Corte dĠappello deve infatti pronunciare una sentenza contraria allĠestradizione dello straniero perchŽ sussiste una delle ipotesi indicate dagli artt. 698, comma 1, e 705, comma 2, cod. proc. pen.[1]),  ovvero se lo Stato membro dellĠUnione europea abbia regolarmente presentato un mandato di arresto europeo, per il quale  la competente Corte dĠappello abbia pronunciato sentenza favorevole alla consegna oppure una sentenza contraria alla consegna perchŽ sussiste uno dei motivi indicati nelle lettere i), l), m), n), o), p), s), (casi nei quali si accerta che comunque il reato  stato commesso).

In terzo luogo, analogamente a ci˜ che si  indicato al punto 3 per le cause di esclusione dello status di rifugiato, lĠesigenza di assicurare effettivitˆ al diritto dĠasilo occorre che i reati gravi siano individuati nei gravi delitti indicati nellĠart. 407 cod. proc. pen. e non giˆ a reati che prevedono una pena edittale minima di 4 anni o massima di 10 anni.

6.2. Anche la causa di esclusione della protezione sussidiaria prevista dallĠart. 16, comma 1 lett. d) deve essere riformulata perchŽ contiene riferimenti troppo generici. Occorre infatti ricordare che lĠart. 17, comma 1, lett. d) della direttiva si riferisce a persona che Òrappresenti un pericolo per la comunitˆ o la sicurezza dello Stato in cui si trovaÓ. In tal senso per dare effettivitˆ al diritto dĠasilo costituzionalmente garantito il D. Lgs. deve dare attuazione alla disposizione riferendosi in modo preciso ad istituti tipici dellĠordinamento italiano ed internazionale.

Perci˜, analogamente sa ci˜ che si  indicato nel punto 4 a proposito dellĠanaloga clausola di diniego dello status di rifugiato prevista nellĠart. 12, lĠart. 16, comma 1 lett. d) deve essere riformulato in modo che:

1)             Il pericolo per la sicurezza dello Stato deve riferirsi ad elementi di carattere concreto ed attuale che si riferiscono al comportamento della persona e non giˆ alla mera circostanza della sua presenza sul territorio statale, circostanza che al fine di assicurare unĠeffettiva attuazione del diritto dĠasilo giˆ non potrebbe essere considerata un atto di per sŽ ostile da ogni altro Stato (come conferma la stessa dichiarazione sullĠasilo territoriale approvata con risoluzione dellĠAssemblea generale delle Nazioni unite del 14 dicembre 1967 della principio secondo il quale lĠasilo deve essere rispettato da tutti gli Stati, sicchŽ la sua concessione deve essere considerata un atto umanitario e pacifico, non ostile verso lo Stato di origine);

2)             Il pericolo per lĠordine e la sicurezza pubblica deve essere correttamente sostituito dalla nozione prevista dalla direttiva di pericolo per la comunitˆ, che nellĠordinamento italiano deve essere riferito soprattutto alla nozione di pericolositˆ sociale dichiarata dal giudice nella sentenza definitiva di condanna, per la quale  disposta lĠespulsione a titolo di misura di sicurezza. Qualora si voglia estendere ulteriormente questĠarea di esclusione allora le sole ipotesi ulteriori dovrebbero essere quelle dei casi nei quali nei confronti della persona o del suo patrimonio sia applicata una misura di prevenzione da parte del competente tribunale.

 

6.3. In conformitˆ alla direttiva occorre che in tutto lĠart. 16 i riferimenti allo straniero siano estesi anche allĠapolide.

 

7. Art. 18 (art. 19 direttiva) Revoca dello status di protezione sussidiaria

 

In conformitˆ alla direttiva occorre che in tutto lĠart. 17 i riferimenti allo straniero siano estesi anche allĠapolide.

 

8. Art. 20 (art. 21 direttiva) Protezione dallĠespulsione

 

Le cause di espulsione della persona (straniera o apolide) a cui  riconosciuto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria appaiono formulate in modo giuridicamente assai discutibile. Anzi lĠart. 20 deve essere riformulato perchŽ appare costituzionalmente illegittimo, allorchŽ prevede dei casi di espulsione di stranieri al di fuori dei limiti indicati dalla direttiva e dunque in violazione dellĠart. 76 Cost. cio dei criteri e dei principi direttivi della delega legislativa.

Anzitutto occorre ricordare che lĠart. 21 della direttiva si riferisce soltanto al respingimento, esige che lĠeventuale respingimento sia attuato in conformitˆ con le altre norme  internazionali (cio con la convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati) e al comma 3 dˆ agli Stati la facoltˆ di estendere  le ipotesi indicate al comma 2 ai casi di revoca, di cessazione o di rifiuto di rinnovo o di rilascio di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato (ed in virt dellĠart. 20 della direttiva tale disposizione si applica anche ai titolari di protezione sussidiaria). Perci˜ lĠart. 20  illegittimo perchŽ prevede unĠespulsione anzichŽ prevedere la revoca, la cessazione o il rifiuto di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno.

Peraltro occorre chiedersi se sia davvero utile la permanenza nel testo di una disposizione che ripeterebbe clausole sostanzialmente giˆ previste nel decreto legislativo dal combinato disposto degli artt. 12, 13, 16, 18.

In secondo luogo si deve ribadire che in ogni caso  indispensabile che le ipotesi indicate nellĠart. 20 siano riformulate in modo assai pi preciso e restrittivo cos“ come indicato nei punti 3 e 4 a proposito delle analoghe clausole previste negli artt. 10 e 12.

 

9. Art. 21 (art. 22 direttiva) Informazioni

 

Circa la lingua dellĠopuscolo consentente le informazioni riguardanti i diritti e i doveri connessi alla protezione internazionale assicurata alla persona lĠart. 22 della direttiva si riferisce ad una lingua che egli sia in grado di comprendere. Non pare per˜ che tale locuzione possa essere adeguatamente attuata dallĠart. 21 allorchŽ si riferisce ad un opuscolo redatto in lingua che si presume a lui comprensibile o comunque in lingua inglese, francese, spagnola o araba.

Una pi adeguata e completa tutela dei diritti ed obblighi informativi si avrebbe prevedendo che lĠinteressato possa scegliere di quale lingua avvalersi, anche la redazione degli opuscoli in moltissime lingue non sarebbe tropo onerosa essendo effettuata una volta per tutte mediante prestampati.

 

10. Art. 22 (art. 23 direttiva) Mantenimento del nucleo familiare

 

 Assai opinabile appare la scelta fatta nel comma 4 dellĠart. 22 di prevedere che il ricongiungimento familiare degli stranieri ammessi alla protezione sussidiaria avvenga con le forme e le condizioni previste dallĠart. 29 D. Lgs. n. 286/1998, anzichŽ con le pi favorevoli forme e condizioni previste per il ricongiungimento familiare dei rifugiati dallĠart. 29-bis dello stesso testo, introdotto dal D. Lgs. n. 5/2007: le ragioni di maggior debolezza soggettiva ed oggettiva in cui si trovano i titolari di protezione sussidiaria e i loro familiari esigono proprio quelle forme e condizioni agevolate e semplificate di ricongiungimento familiare. 

 

11. Art. 23 (art. 24 direttiva) Permesso di soggiorno

 

LĠart. 23 prevedendo il permesso di soggiorno da rilasciarsi al rifugiato lo qualifica quale permesso Òper asiloÓ, ma tale denominazione appare giuridicamente errata e deve perci˜ essere sostituita con unĠaltra, conforme allo status di rifugiato. Infatti gli stranieri ai quali lĠart. 10, comma 3 Cost. assicura il diritto dĠasilo sono sia coloro che hanno i presupposti per essere riconosciuti rifugiati, sia coloro che hanno i presupposti per godere della protezione sussidiaria.

 

12. Art. 24 (art. 25 direttiva) - Documenti di viaggio

 

LĠart. 24, comma 2 prevede che il documento di viaggio  rifiutato o ritirato qualora sussistano ragionevoli motivi per dubitare dellĠidentitˆ del titolare della protezione sussidiaria.

Tale norma non  prevista nellĠart. 25 della direttiva ed  illegittima perchŽ pi sfavorevole, sicchŽ deve essere soppressa, anche perchŽ non si capisce come possa ottenere o mantenere il riconoscimento della protezione sussidiaria una persona sulla cui identitˆ si nutrono ragionevoli dubbi.

 

13. Art. 27 (artt. 28 e 29 direttiva) – Assistenza sanitaria e sociale

 

LĠart. 27 non sembra dare unĠadeguata attuazione allĠart. 29, comma 3 della direttiva che prevede che ogni stato debba fornire adeguata assistenza sanitaria, secondo le stesse modalitˆ previste per i cittadini, ai beneficiari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria che presentano particolari esigenze, quali le donne in stato di gravidanza, i disabili, le vittime di torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale, o i minori che abbiano subito qualsiasi forma di abuso, negligenza, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante o che abbiano sofferto gli effetti di un conflitto armato.

Infatti trascurando lĠovvia equiparazione in materia di gravidanza e maternitˆ, occorre chiedersi se al fine di dare effettiva attuazione alla direttiva non sia necessario prevedere specifiche forme di assistenza e tutela sanitarie e psicologiche in favore di situazioni che non coinvolgono mai italiani, cio i casi di tortura, di sfruttamento, di trattamenti o pene inumani o degradanti o gli effetti di un conflitto armato.

 

14. Disposizioni transitorie e finali

 

14.1. Il comma 2 dellĠart. 34 appare formulato in modo ambiguo. Infatti esso dovrebbe essere soppresso, perchŽ non ha senso se, come sembra, il Governo intende dare attuazione contestuale alle direttive comunitarie in materia di asilo (inclusa quella sulle procedure) ed in ogni caso richiama istituti non pi compatibili con le nuove norme previsti dalle previgenti disposizioni legislative e regolamentari.

 

14.2. Il comma 4 dellĠart. 34 dovrebbe essere riformulato in modo da prevedere anche la facoltˆ per i titolari di permessi di soggiorno per motivi umanitari di chiedere ed ottenere lĠimmediato rilascio del permesso di soggiorno per protezione sussidiaria e non soltanto al momento del rinnovo.

 

 



[1]          La Corte d'appello deve pronunciare una sentenza contraria all'estradizione nei casi in cui sussiste una delle ipotesi previste dagli artt. 698, comma 1, e 705, comma 2, cod. proc. pen.:

            a) per un reato politico

            b) quando vi  ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrˆ sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalitˆ, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti inumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazioni di uno dei diritti fondamentali della persona;

            c) se, per il reato per il quale  domandata l'estradizione, la persona  stata o sarˆ sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;

            d) se la sentenza per la cui esecuzione  stata domandata l'estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato