(Sergio Briguglio 1/8/2008)

 

NOTA SUL CONFLITTO TRA NORMATIVA ITALIANA E DIRITTO COMUNITARIO IN MATERIA DI LIBERA CIRCOLAZIONE

 

 

I. La normativa italiana in materia di libera circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari

 

Il Consiglio dei Ministri ha trasmesso alle Camere, il 4 Giugno 2008, uno schema di Decreto legislativo, che modifica il Decreto legislativo 6 Febbraio 2007, n. 30, adottato in attuazione della Direttiva 2004/38/CE e gia' modificato dal Decreto legislativo 28 Febbraio 2008, n. 32. Il testo risultante da queste successive modificazioni prevederebbe quanto segue (i commi modificati dallo schema di Decreto legislativo ancora non approvato sono sottolineate, per comodita'):

 

-       il cittadino dell'Unione o il suo familiare possono presentare dichiarazione di presenza in Italia ad un ufficio di polizia (art. 5, co. 5 bis). Non si tratta di un obbligo, ma, in mancanza di dichiarazione, si presume, sino a prova contraria, che il soggiorno dell'interessato si sia protratto per piu' di tre mesi;

 

-       l'iscrizione di cui all'art. 8, co. 1 della Direttiva 2004/38/CE e' effettuata nella forma di iscrizione anagrafica di cui alla Legge 24 Dicembre 1954, n. 1228 (art. 9, co. 1);

 

-       tale iscrizione e' da considerarsi obbligatoria, per il cittadino dell'Unione, oltre che per quanto gia previsto per il cittadino italiano, per ragioni di tutela dell'ordine pubblico o (sic) della pubblica sicurezza (art. 9, co. 2);

 

-       sussistono motivi imperativi di pubblica sicurezza (di cui all'art. 28, co. 3 della Direttiva 2004/38/CE) per l'allontanamento del cittadino dell'Unione quando questi, trascorsi tre mesi e dieci giorni dal suo ingresso in Italia, non abbia richiesto l'iscrizione angrafica (art. 20, co. 3). La disposizione non prevede alcuna attenuazione relativa ai motivi della mancata richiesta (i motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono "in ogni caso"), ne' alcun riferimento a concrete minacce rappresentate dal comportamento della persona;

 

-       le ragioni di tutela dell'ordine pubblico o della pubblica sicurezza sono alla base dell'analogo obbligo per il familiare straniero del cittadino dell'Unione di richiedere la carta di soggiorno (art. 10, co. 1);

 

-       trascorsi tre mesi e dieci giorni dall'ingresso in Italia, la mancata richiesta di carta di soggiorno da parte del familiare straniero di cittadino dell'Unione integra anch'essa i motivi imperativi di pubblica sicurezza per l'allontanamento (art. 20, co. 3), senza alcun riferimento - anche in questo caso - ai motivi della mancata richiesta ne' alla concreta pericolosita' della persona;

 

-       per motivi imperativi di pubblica sicurezza e' consentito anche l'allontanamento del minore (art. 20, co. 9);

 

-       il provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza e' immediatamente eseguito dal questore, con accompagnamento coattivo alla frontiera, con le modalita' previste per l'espulsione dei cittadini stranieri, incluso - se necessario per superare ostacoli tecnici o difficolta' nell'identificazione - il trattenimento in un centro di identificazione e di espulsione, per non piu', pero', di quindici giorni (art. 20, co. 11);

 

-       l'allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza puo' comportare un divieto di reingresso di durata non superiore a cinque anni (art. 20, co. 10);

 

-       la richiesta di reingresso anticipato puo' essere presentata solo dopo che sia trascorsa almeno meta' della durata fissata per il divieto di reingresso, e solo previa dimostrazione dell'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietare il reingresso nel territorio nazionale (art. 20, co. 13);

 

-       il reingresso non autorizzato, in pendenza del divieto, e' punito con la pena della reclusione fino a un anno ovvero, a discrezione del giudice, con un nuovo allontanamento dal territorio dello Stato con divieto di reingresso per un periodo di durata compresa tra cinque e dieci anni (art. 20, co. 14);

 

-       il provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza puo' essere impugnato davanti al tribunale ordinario, entro venti giorni dalla notifica a pena di inammissibilita' (art. 22, co. 2), anche tramite la rappresentanza diplomatica o consolare italiana (art. 22, co. 3);

 

-       contestualmente al ricorso, l'interessato puo' presentare al tribunale istanza di sospensione dell'esecutorieta' del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza, ma la presentazione dell'istanza non sospende, di per se', l'esecuzione del provvedimento (art. 22, co. 4).

 

 

II. Conflitto con la Direttiva 2004/38/CE

 

Il complesso di tali disposizioni configura (meglio: configurerebbe in caso di adozione, nella forma attuale, del citato schema di Decreto legislativo) un grave conflitto tra la normativa italiana in materia di libera circolazione del cittadino dell'Unione e dei suoi familiari con il diritto comunitario. In particolare, valgono le considerazioni seguenti.

 

 

1. Contrasto tra art. 5 co. 5 bis D. Lgs. 30/2007 e art. 5 co. 5 e art. 6 Direttiva 2004/38/CE

 

Riguardo alla dichiarazione di presenza, la Direttiva 2004/38/CE prevede la seguente disposizione:

 

Art. 5, co. 5:

 

"5. Lo Stato membro puo' prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L'inosservanza di tale obbligo puo' comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie."

 

Benche', formalmente, l'art. 5, co. 5 bis D. Lgs. 30/2007 non configuri un obbligo di dichiarazione (il che permette di non prevedere neanche un termine certo per la sua presentazione), esso stabilisce che in assenza di tale dichiarazione scatti una presunzione di presenza protratta per piu' di tre mesi, con onere di prova contraria a carico dell'interessato.

 

Si tratta palesemente di prova estremamente difficile da portare, l'interessato dovendo dimostrare non gia' la sua presenza in Italia a partire da una certa data, ne' la sua presenza all'estero anteriore a quella data, ma la sua presenza all'estero posteriore alla data stessa! Si immagini - per esempio - la situazione di un cittadino comunitario che faccia ingresso in Italia in auto, con attraversamento di una frontiera interna (senza, quindi, che sia effettuato alcun controllo o registrazione da parte della polizia di frontiera). In caso di successivo controllo da parte dell'amministrazione italiana, il cittadino comunitario che non abbia presentato la dichiarazione facoltativa di presenza, potrebbe dimostrare di non trovarsi in Italia da piu' di tre mesi solo producendo documentazione (ad esempio, ricevute, scontrini fiscali, etc.) rilasciatagli all'estero da meno di tre mesi. Non servirebbe a niente, invece, dimostrare - poniamo - di essere registrati in albergo da sole due settimane.

 

Se la difficolta' di produrre prove idonee si rivelasse insormontabile, il cittadino dell'Unione o il suo familiare incorrerebbero nella sanzione dell'allontanamento. Per di piu', per quanto esposto in precedenza, ove gli interessati non fossero in grado di dimostrare, per analoga difficolta', che la loro presenza non si e' protratta per piu' di tre mesi e dieci giorni, il provvedimento di allontanamento sarebbe adottato per motivi imperativi di pubblica sicurezza, con le modalita' e le conseguenze esaminate in precedenza.

 

E' evidente come tale sanzione (che corrisponde alla negazione piena del diritto di soggiorno) non puo' non essere ritenuta sproporzionata (in violazione dell'art. 5, co. 5 della Direttiva); tanto piu' se si considera che, a normativa italiana invariata, l'allontanamento sanzionerebbe non la violazione di un inesistente obbligo di dichiarazione, ma la semplice incapacita' dell'interessato di dimostrare che tre mesi prima si trovava ancora all'estero!

 

Si puo' pensare: la polizia italiana nei fatti non effettuera' controlli sul cittadino tedesco o francese, ma fara' valere queste disposizioni solo nei confronti del cittadino di determinate etnie (ad esempio, Rom). Ma se cosi' fosse, saremmo di fronte ad una applicazione intollerabilmente discriminatoria delle norme. E, se anche la discriminazione non fosse effettuata su base nazionale, ma su base di apparente censo (nessun controllo per il turista, ma solo per il mendicante), si tratterebbe comunque di una introduzione surrettizia di un requisito di disponibilita' di mezzi ai fini del soggiorno breve. E questo contrasta ancora una volta con la Direttiva 2004/38/CE:

 

Art. 6, co. 1 e 2:

 

"1. I cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalita', salvo il possesso di una carta d'identita' o di un passaporto in corso di validita'.

2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validita' non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell'Unione."

 

 

2. Contrasto tra art. 20 co. 3 D. Lgs. 30/2007 e art. 8 co. 2, art. 9 co. 3, art. 14 co. 2, art. 1 co. 3, art. 25 co. 1, art. 27 co. 2 Direttiva 2004/38/CE

 

Riguardo alla richiesta di iscrizione o di carta di soggiorno e agli effetti della mancata richiesta sul diritto di soggiorno del cittadino dell'Unione o del suo familiare, la Direttiva 2004/38/CE stabilisce quanto segue:

 

Art. 8, co. 2:

 

"2. ... L'inadempimento dell'obbligo di iscrizione rende l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie."

 

Art. 9, co. 3:

 

"3. L'inadempimento dell'obbligo di richiedere la carta di soggiorno rende l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie."

 

Art. 14, co. 2:

 

"2. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finche' soddisfano le condizioni fissate negli stessi.

In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell'Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non e' effettuata sistematicamente."

 

Art. 25, co. 1:

 

"1. Il possesso di un attestato d'iscrizione di cui all'articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non puo' in nessun caso essere un prerequisito per l'esercizio di un diritto o il completamento di una formalit amministrativa, in quanto la qualita' di beneficiario dei diritti puo' essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova."

 

Si riconosce come, in base a queste disposizioni, il diritto di soggiorno dipenda solo dal verificarsi delle condizioni (sostanziali) di cui agli artt. 7, 12 e 13 della Direttiva, non dalla dimostrazione di aver richiesto un attestato di iscrizione o una carta di soggiorno. Il rilascio di tali documenti ha pertanto carattere al piu' ricognitivo del diritto, non certo carattere costitutivo. Corrispondentemente, la sanzione per la mancata richiesta deve essere proporzionata e non discriminatoria.

 

La sanzione prevista dall'art. 20, co. 3 D. Lgs. 30/2007, invece, benche' formalmente presentata quale misura a tutela della pubblica sicurezza, non puo' essere ritenuta una "misura proporzionata e non discriminatoria".

 

In primo luogo, infatti, la sanzione scelta - l'allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza - e' la piu' grave tra quelle applicabili al cittadino dell'Unione o al suo familiare, ed e' applicata "in ogni caso" di mancata richiesta di iscrizione o di carta di soggiorno. Non appare cosi' in alcun modo collegata a specifici comportamenti personali atti a rappresentare una minaccia grave e concreta per la societa' ne' - a fortiori - puo' ritenersi proporzionata alla gravita' del comportamento. Viola quindi la seguente disposizione della Direttiva:

 

Art. 27, co. 2:

 

"2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalita' e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati.

...

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della societa'. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione."

 

Si potrebbe ancora argomentare che la minaccia grave e' costituita proprio dalla mancata richiesta di iscrizione o di carta di soggiorno (corrispondendo tale omissione al tentativo di rendersi invisibile alla pubblica autorita'). Se questo, pero', e' il motivo atto a giustificare la gravita' e generalita' della sanzione prevista dall'art. 20, co. 3 D. Lgs. 30/2007, si deve riconoscere come la sanzione stessa abbia carattere discriminatorio. Infatti, per analoghe omissioni, sia il cittadino italiano sia lo straniero di un paese non appartenente all'Unione europea sono sanzionati in modo piu' mite.

 

In particolare, il cittadino italiano che ometta di adempiere agli obblighi in materia anagrafica e' soggetto al piu' ad una sanzione pecuniaria. La Legge 1228/1954 prevede infatti, all'art. 11:

 

"Chiunque avendo obblighi anagrafici contravviene alle disposizioni della presente legge ed a quelle del regolamento punito, se il fatto non costituisce reato piu' grave, con la sanzione amministrativa da lire 50.000 a lire 250.000[1].

...

Entro dieci giorni dalla contestazione o notificazione della contravvenzione, ... il colpevole e' ammesso a fare oblazione mediante pagamento della somma di lire 500[2] nelle mani dell'ufficiale d'anagrafe che ha accertato la contravvenzione. ..."

 

Per il cittadino straniero, la mancata richiesta di permesso di soggiorno e' motivo si' di espulsione (eseguita con modalita' sostanzialmente equivalenti a quelle previste per l'allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza del cittadino dell'Unione o del suo familiare), ma non cosi' grave da non ammettere deroghe per certe categorie: la mancata richiesta del permesso di soggiorno non giustifica, infatti, di per se', l'espulsione del minore straniero, ne' quella della donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi, ne' quella del marito di tale donna, ne' quella del familiare straniero di cittadino italiano (art. 19, co. 2 D. Lgs. 286/1998).

 

Non e' in questione, qui, ovviamente, la facolta' dello Stato di allontanare il cittadino dell'Unione o il suo familiare quando questi non soddisfino le condizioni previste per il diritto di soggiorno. Tale facolta' deve pero' essere esercitata nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 15, co. 1 e 3 della Direttiva:

 

"1. Le procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanita' pubblica.

...

3. Lo Stato membro ospitante non puo' disporre, in aggiunta ai provvedimenti di allontanamento di cui al paragrafo 1, il divieto d'ingresso nel territorio nazionale."

 

La possibilita', prevista dal combnato disposto dei commi 3 e 10 dell'art. 20 D. Lgs. 30/2007, di aggravare il provvedimento di allontanamento con un divieto di reingresso viola, in particolare, l'art. 15, co. 3 della Direttiva.

 

 

III. Condizioni per l'iscrizione angrafica: rischio di ulteriore conflitto tra diritto nazionale e diritto comunitario

 

Si noti infine come un ulteriore conflitto con il dettato della Direttiva 2004/38/CE sia determinato dal combinato disposto delle norme sull'obblgo di iscrizione anagrafica per il cittadino comunitario e dell'art. 16 del Disegno di legge, presentato dal Governo e attualmente all'esame del Senato (Atto Senato 733), in materia di sicurezza pubblica.

 

Tale Disegno di legge prevede la seguente modifica delle disposizioni generali sull'iscrizione anagrafica:

 

Articolo 16:

 

(Modifica alla legge 24 dicembre 1954, n . 1228)

1 . All'articolo 1 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, dopo il primo comma e' aggiunto il seguente:

" 1 bis. L'iscrizione anagrafica e' subordinata alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie .".

 

Questa norma si applicherebbe a tutti, cittadini italiani compresi. Non avrebbe quindi, di per se', carattere discriminatorio. Condizionerebbe pero' l'iscrizione anagrafica del cittadino comunitario alla disponibilita' di un alloggio idoneo.

 

Diventerebbe allora illegittimo identificare, come il D. Lgs. 30/2007 fa, l'iscrizione presso le autorita' competenti di cui all'art. 8 Direttiva 2004/38/CE con l'iscrizione anagrafica. Infatti, art. 8, co. 3 Direttiva 38/2004 recita

 

Art. 8, co. 3:

 

"3. Per il rilascio dell'attestato d'iscrizione, gli Stati membri possono unicamente prescrivere al

— cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di esibire una carta d'identita' o un passaporto in corso di validita', una conferma di assunzione del datore di lavoro o un certificato di lavoro o una prova dell'attivita' autonoma esercitata,

— cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), di esibire una carta d'identita' o un passaporto in corso di validita' e di fornire la prova che le condizioni previste da tale norma sono soddisfatte,

— cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera c), di esibire una carta d'identita' o un passaporto in corso di validita', di fornire la prova di essere iscritto presso un istituto riconosciuto e di disporre di un'assicurazione malattia che copre tutti i rischi e di esibire la dichiarazione o altro mezzo equivalente di cui all'articolo 7, paragrafo 1, lettera c). Gli Stati membri non possono esigere che detta dichiarazione indichi un importo specifico delle risorse."

 

Queste disposizioni escludono quindi che l'iscrizione presso le autorita' competenti possa essere condizionata a verifiche sulla disponibilita' di alloggio o sulla qualita' di questo.

 

Ove si voglia subordinare (anche per i cittadini nazionali) l'iscrizione anagrafica alla disponibilita' di un alloggio e alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie di questo, occorre modificare il D. Lgs. 30/2007 disciplinando appositamente altra forma di iscrizione presso le autorita' competenti, compatibile con le disposizioni della Direttiva 2004/38/CE.

 

 

IV. Conclusioni

 

Per rimuovere i conflitti tra la normativa italiana in materia di libera circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari e la corrispondente normativa europea ed evitare di introdurne di nuovi e' necessario

 

1.     correggere drasticamente la formulazione di art. 9, co. 2, art. 10, co. 1, e art. 20, co. 3 D. Lgs. 30/2007 risultante dal testo dello schema di Decreto legislativo provvisoriamente adottato dal Consiglio dei Ministri, nella parte in cui si considera motivo imperativo di pubblica sicurezza ai fini dell'allontanamento la mancata richiesta, nei termini, di iscrizione anagrafica o di carta di soggiorno;

 

2.     modificare il testo vigente dell'art. 5, co. 5 bis D. Lgs. 30/2007, nella parte in cui prevede che, in mancanza di dichiarazione di presenza, si presuma che il soggiorno del cittadino dell'Unione o del suo familiare si sia protratto per piu' di tre mesi, con onere della prova contraria a carico dell'interessato;

 

3.     evitare di riformare la disciplina dell'iscrizione anagrafica con la previsione di una subordinazione di quest'ultima alla verifica dell'idoneita' dell'alloggio, ovvero prevedere una disciplina apposita dell'iscrizione ai sensi dell'art. 8 della Direttiva 2004/38/CE, opportunamente distinta dall'iscrizione anagrafica.



[1] Equivalenti a 25 e 125 euro, rispettivamente.

[2] Equivalenti a 0.25 euro!