NEWSLETTER

della Segreteria ASGI

26 agosto 2008

 

 

NOVITA’ LEGISLATIVE

 

 

E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge n. 133/2008 che converte, con modificazioni, il decreto-legge n. 112/2008 (misure economico-finanziarie).

Testo del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 152/L alla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25 giugno 2008), coordinato con la legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, (in questo stesso supplemento ordinario, alla pag. 3), recante: «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». (GU n. 195 del 21-8-2008  - Suppl. Ordinario n. 196)

 

 

Un primo commento a cura della Segreteria organizzativa dell’ASGI.

Numerose disposizioni contenute nel provvedimento incidono sulla condizione giuridica dello straniero e del cittadino dell’Unione Europea, e presentano profili discriminatori suscettibili di porsi in contrasto con le norme del diritto anti-discriminatorio italiano ed europeo, ed in particolare l’art. 11 (piano casa), l’art. 20 (assegno sociale), l’art. 37 (venir meno dell’applicazione ai cittadini comunitari delle disposizioni del T.U. immigrazione, se più favorevoli), l’art. 81 (“carta acquisti”), art. 83 (controlli in materia fiscale e contributiva).

 

Vanno innanzitutto considerate le disposizioni sul c.d. ”piano casa”, che prevedono interventi per l’accrescimento dell’offerta abitativa da destinarsi a prima casa per determinate categorie di “soggetti deboli”, tra i quali vengono ricompresi pure gli immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno 10 anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nel territorio regionale.

Sebbene si ritenga  irragionevolmente lunga e contrastante con il principio di libertà di circolazione l’anzianità di soggiorno richiesta ai fini dell’accesso ai benefici,  l’inclusione della categoria degli immigrati regolari di lunga anzianità di soggiorno tra i beneficiari del c.d. “piano casa” potrebbe costituire un’apprezzabile novità, in quanto “azione positiva” per favorire l’integrazione sociale dei cittadini migranti. Ciò, tuttavia,  a patto  che tale categoria sociale non venga interpretata quale esclusiva rispetto alle altre previste nella normativa (ad es. giovani coppie, nuclei famigliari a basso reddito, anziani svantaggiati, ecc.); in altri termini, solo se gli immigrati regolari potranno concorrere, a parità di condizioni,  anche ai benefici previsti per le  altre categorie sociali richiamate  dalla norma, se in possesso dei requisiti soggettivi e reddittuali. Qualora, invece, tali categorie di beneficiari vengano, in sede applicativa, riservate ai soli cittadini italiani si determinerebbe una condizione ghettizzante e discriminatoria verso i cittadini migranti, in violazione di precise norme interne, europee ed internazionali (principio di parità di trattamento tra lavoratori nazionali e immigrati nell’accesso all’alloggio di cui alla Convenzione OIL n. 97 – art. 6 lett. a); Art. 11 c. 1 lett. f) direttiva n. 2003/109/CE; per i cittadini dell’Unione Europea art. 9 del Regolamento comunitario n. 1612/68).

Occorrerà pertanto vigilare sulle modalità con le quali la  Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasposti intenderanno dare  applicazione della suddetta normativa.

Va peraltro considerato che il comma 13 dell’art. 11 della suddetta legge introduce già una pesante discriminazione “diretta” nei confronti degli immigrati stranieri, disponendo che ai fini dell’accesso ai finanziamenti del Fondo nazionale per il sostegno alle abitazioni in locazione di cui all’art. 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (concessione da parte dei Comuni ai conduttori di contribuiti integrativi per il pagamento dei canoni di locazione), venga previsto per i soli immigrati il requisito del possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione. Tale discriminazione “diretta”, con l’introduzione di un requisito di lunga residenza  previsto per i soli immigrati stranieri, appare palesemente in contrasto con il principio di parità di trattamento in materia di accesso all’alloggio di cui alle normative internazionali ed europee già precedentemente richiamate, oltrechè appare in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza richiamati anche dalla giurisprudenza costituzionale.

 

Le disposizioni ora entrate in vigore, prevedono che a decorrere dal 1 gennaio 2009, l’assegno sociale venga corrisposto solo a chi, oltre ai requisiti di stato di bisogno e di età previsti dalla normativa, disponga del requisito della residenza legale e continuativa sul territorio nazionale  per almeno dieci anni.

Sebbene la normativa ora entrata in vigore non contenga una discriminazione di tipo diretto, prevedendo infatti l’applicazione del medesimo requisito di residenza decennale a tutti, senza distinzione di cittadinanza,  si determina ugualmente  una palese situazione di discriminazione indiretta o dissimulata nei confronti dei cittadini stranieri, comunitari ed extracomunitari, in quanto il nuovo requisito di anzianità di soggiorno  finisce per incidere in maniera sproporzionata a svantaggio dei cittadini migranti rispetto a quelli nazionali.

La Corte di Giustizia Europea ha infatti chiarito, con riferimento al principio di non-discriminazione tra cittadini comunitari previsto nel Trattato Europeo, che il requisito della residenza  ai fini dell’accesso ad un beneficio può integrare una forma di illecita discriminazione “dissimulata” in quanto può essere più facilmente soddisfatto dai cittadini piuttosto che dai lavoratori comunitari migranti, finendo dunque per privilegiare in misura  sproporzionata  i primi a danno dei secondi (ad es. Meints, 27.11.1997; Meussen, 8.06.1999; Commissione c. Lussemburgo, 20.06.2002). Si veda ad esempio la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha condannato l’Italia per le agevolazioni tariffarie a vantaggio delle persone residenti per l’accesso ai Musei Comunali (sentenza 16 gennaio 2003 n. C-388/01), nella quale si legge: “…il principio di parità di trattamento,….., vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene, in particolare, nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri” (par. 13 e 14)

Si profilerebbe, pertanto,   la violazione del Regolamento  CEE n. 1408/71 e successive modifiche (relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale dei lavoratori migranti subordinati, autonomi e loro famigliari, che menziona espressamente l’assegno sociale ex l. 335/95 quale prestazione economica cui il Regolamento medesimo si applica), con riguardo ai cittadini dell’Unione Europea e loro famigliari, nonché, in forza del Regolamento 859/2003 (che estende l’applicazione dei Regolamenti citati ai cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti) con  riferimento ai cittadini non comunitari che provengano da un altro Paese dell’Unione.

Va peraltro rilevato che recentemente, la Corte Costituzionale è intervenuta sull’argomento della legittimità costituzionale delle norme introdotte dalla legge finanziaria 2001 che hanno limitato, per i cittadini extracomunitari,  l’accesso alle prestazioni sociali avente natura di diritto soggettivo ai soli  titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti).Con sentenza n. 306 dd. 29 luglio 2008, la Corte Costituzionale  ha ritenuto illegittima tale normativa, ma solo nella parte in cui esige i requisiti reddittuali e di alloggio necessari ai fini del conseguimento del titolo di soggiorno; requisiti ritenuti dalla Corte irragionevoli ed arbitrari rispetto alle finalità degli istituti di sicurezza e assistenza sociale. Al contrario, la Corte non ha sembrato ritenere  irragionevole il requisito della residenza quinquennale sostenendo che “è possibile …, subordinare non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni, …, alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata”. Già in precedenza, la Corte costituzionale (ordinanza n. 32/2008) aveva ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità sollevata riguardo alla normativa della Regione Lombardia che prevede il requisito della residenza quinquennale nel territorio regionale ai fini  della presentazione della domanda per l’assegnazione di alloggi di  edilizia residenziale pubblica. In relazione all’art. 3 della Costituzione (principio di eguaglianza rapportato al principio di ragionevolezza), la Corte aveva ritenuto che «il requisito della residenza continuativa, ai fini dell’assegnazione, risulta non irragionevole […] quando si pone in coerenza con le finalità che il legislatore  intende perseguire […], specie là dove le stesse realizzino un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco […]». Sembra, dunque, che la Corte Costituzionale italiana sia alquanto diffidente ad accogliere il ragionamento per cui un criterio di residenza è suscettibile di fondare una discriminazione indiretta o dissimulata, al contrario invece della giurisprudenza consolidata dalla Corte di Giustizia europea.

A tale riguardo, sarebbe dunque preferibile, sotto il profilo di una “strategic litigation”, impugnare la legittimità della normativa ora in vigore in materia di assegno sociale dinanzi ai giudici nazionali  chiedendo loro   di promuovere preliminarmente dinanzi alla Corte di Giustizia europea la domanda di pronuncia pregiudiziale piuttosto che il giudizio di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale, tanto più che non è prassi  del nostro giudice delle leggi  iniziare una procedura di pronuncia pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia europea, secondo l’interpretazione che solo il giudice remittente avrebbe potuto operare preliminarmente  in tal senso. Naturalmente, un eventuale domanda di pronuncia pregiudiziale dinanzi alla CGE potrebbe essere proposta solo in relazione a situazioni protette dal diritto comunitario.

 

Ulteriori e palesi profili discriminatori sono presenti nelle disposizioni introduttive dell’istituto della  “carta acquisti  di cui all’art. 81 della manovra finanziaria, finalizzata all’acquisto di beni e servizi da parte di appartenenti a fasce deboli della popolazione in stato di particolare bisogno. Tale “carta acquisti” viene infatti riservata unicamente ai “residenti di cittadinanza italiana” (comma 32).

Tale riserva di cittadinanza appare illegittima sul piano costituzionale, in quanto in contrasto con il principio di parità di trattamento tra lavoratori migranti e nazionali in materia di assistenza sociale di cui alla Convenzione OIL n. 143/1975, ratificata dall’Italia, nonché con l’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, in combinazione con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della Convenzione medesima, così come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, per la quale le prestazioni sociali, anche a carattere non contributivo, costituiscono beni patrimoniali per la cui erogazione non sono ammesse discriminazioni su base di appartenenza nazionale (Gaygusuz c. Austria, ricorso n. 17371/90). Per l’evidente discriminazione “diretta” a danno dei cittadini comunitari e loro famigliari, la norma contenuta nella manovra finanziaria 2009 appare inconciliabile con la normativa europea (principio della parità di trattamento e di non discriminazione nelle materie coperte dal Trattato, di cui agli artt. 12 e 39 del Trattato CE, dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE;  Artt. 3 e 4,  7 del regolamento CEE n. 1612/1968 e successive modifiche, che estende il principio di parità di trattamento con i lavoratori nazionali a tutti “i vantaggi fiscali e sociali collegati alla condizione di lavoratore”). Ugualmente, la norma appare in evidente contrasto con il diritto europeo in relazione al principio di parità di trattamento in materia di assistenza sociale tra cittadini nazionali e cittadini di paesi terzi titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, di cui all’art. 11 della direttiva europea n. 109/2003/CE. Con riferimento ai rifugiati riconosciuti in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 e ai titolari di protezione sussidiaria, la norma della manovra finanziaria si pone in  violazione del principio di parità di trattamento con i cittadini nazionali in materia di assistenza sociale  di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 251/2007, nonché, limitatamente ai rifugiati riconosciuti in base alla citata Convenzione, alle norme di  diritto internazionale ed europeo che li riguardano e che hanno introdotto il principio di parità di trattamento con i cittadini nazionali in materia di assistenza sociale (art. 23 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 28 c. 1  direttiva 2004/83/CE).

 

L’art. 83 c. 1 della manovra finanziaria (efficienza dell’Amministrazione finanziaria), dispone un piano di controllo specifico e congiunto da parte di INPS e Agenzia delle entrate relativamente al corretto adempimento degli obblighi fiscali da parte  dei soggetti non residenti e di quelli residenti ai fini fiscali da meno di 5 anni. La norma, pur fondata sul criterio apparentemente neutrale della residenza, mira ad intensificare i controlli fiscali nei confronti innanzitutto dei cittadini stranieri, presentando dunque sottili profili di discriminazione indiretta o dissimulata. La normativa appare condizionata da logiche di “ethnic profiling”, cioè dall’evidente pregiudizio che gli stranieri   evadano il fisco in misura proporzionalmente maggiore rispetto ai cittadini italiani e pertanto debbano essere assoggettati, come categoria in sé,  a maggiori controlli.

 

L’art. 37  c. 2 della manovra finanziaria (Certificazioni e prestazioni sanitarie) elimina la clausola  in base  alla quale le disposizioni del T.U. immigrazione si applicavano anche ai cittadini comunitari, se ad essi più favorevoli rispetto alle norme di recepimento del diritto comunitario. La norma, come esplicitamente suggerito dalla sua collocazione,  ha l’evidente scopo di ridurre il livello delle prestazioni sanitarie garantite ai cittadini comunitari che non possano avvalersi delle norme di diritto comunitario relative alla libera circolazione e soggiorno, con ciò ponendo delicate questioni di costituzionalità del provvedimento, per l’evidente trattamento differenziato che si viene così a determinare a svantaggio dei cittadini comunitari rispetto agli stranieri extracomunitari in posizione irregolare, così come per la possibile lesione del diritto fondamentale alla salute, qualora il livello di trattamento previsto per gli stranieri comunque presenti sul territorio nazionale dal T.U. immigrazione (cure urgenti o essenziali, anche continuative, e programmi di medicina preventiva) debba ritenersi espressione di quel “nucleo irriducibile” di tutela della salute, come tale  spettante a tutti.

 

Si segnala infine come l’art. 1 c. 3 della legge 133/2008 proroghi di tre mesi il termine per l’esercizio della delega integrativa e correttiva dei decreti legislativi in materia di ricongiungimento familiare e di libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari. La norma, pur priva di qualsiasi attinenza con la materia del decreto-legge in conversione,  si spiega con la scelta del Governo di trasmettere alla Commissione europea gli schemi dei decreti legislativi correttivi per riceverne un parere.

Si segnala in proposito il promemoria inviato da Sergio Briguglio alla Commissione Europea, disponibile sul sito:

(http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2008/agosto/lettera-commissione.html), avente per oggetto il conflitto tra la normativa europea e quella che deriverebbe dall'entrata in vigore del decreto legislativo correttivo in materia di libera circolazione dei cittadini
comunitari.

 

Si segnala, inoltre,  che alla pagina di agosto 2008 del  sito di Sergio Briguglio  (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio) si possono trovare anche i seguenti documenti:

a) il testo aggiornato del quadro normativo relativo agli stranieri
(http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2008/agosto/sinottico-normativa-18.html);

b) il testo delle principali disposizioni approvate o previste dalla riforma in corso
(http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2008/agosto/riforma-stran-24-8.html);

c) un sommario di tali disposizioni

(http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2008/agosto/sommario-riforma.html).

 

 

Cordiali Saluti.

 

 

A cura di Walter Citti

Segreteria organizzativa ASGI

 

 

 

 

 

A.S.G.I.- Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

 

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