(Sergio Briguglio 29/8/2008)

 

OSSERVAZIONI SUL CONFLITTO TRA ART. 37, CO.2 DECRETO-LEGGE 112/2008 (LEGGE 133/2008) E DIRITTO COMUNITARIO

 

La modifica dell'art. 1, co. 2 del Testo unico sull'immigrazione

 

L'art. 37, co. 2 del decreto-legge 112/2008 ("Misure urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria", convertito con modificazioni dalla Legge 133/2008) modifica l'art. 1, co. 2 del Testo unico sull'immigrazione, di cui al D. Lgs. 286/1998 e successive modificazioni (nel seguito, T.U.).

 

Il testo originale di quest'ultima disposizione stabiliva che il T.U. non si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, salvo che per le norme che risultino piu' favorevoli di quelle altrimenti applicabili a tali cittadini.

 

La modifica apportata dall'art. 37, co. 2 d.l. 112/2008 azzera, di fatto, tale applicazione eccezionale, prevedendola pleonasticamente per "quanto previsto dalle norme di attuazione dell'ordinamento comunitario"; in altri termini: le norme applicabili agli stranieri (di paesi non appartenenti all'Unione europea) si applicano anche ai cittadini dell'Unione nei casi in cui identiche norme siano gia' a questi applicabili in attuazione dell'ordinamento comunitario.

 

E' evidente come la vecchia formulazione dell'art. 1, co. 2 T.U. rappresentava una clausola di salvaguardia atta a garantire che in nessun caso la condizione giuridica del cittadino dell'Unione potesse risultare peggiore di quella del cittadino straniero, a prescindere dal fatto che una determinata fattispecie fosse regolata, per il cittadino dell'Unione, dal diritto comunitario.

 

La nuova formulazione rimuove tale salvaguardia e consente, per specifiche materie, che il cittadino dell'Unione sia penalizzato, nell'ordinamento italiano, rispetto al cittadino straniero.

 

 

Il conseguente peggioramento della condizione giuridica del cittadino dell'Unione

 

Un esempio di tale eventualita' e' rappresentato dal trattamento riservato in materia di assistenza sanitaria in caso di soggiorno non autorizzato[1]. I commi 3,4 e 5 dell'art. 35 T.U. danno luogo a un regime di assistenza sanitaria particolarmente vantaggioso per lo straniero illegalmente presente sul territorio italiano, essendo garantite

a)     tutte le prestazioni sanitarie urgenti o comunque essenziali[2], anche a carattere continuativo,

b)    senza oneri a carico del richiedente (se questi dichiara la propria condizione di indigenza),

c)     con divieto di segnalazione della presenza illegale dello straniero alle autorita' di pubblica sicurezza.

 

La clausola di salvaguardia di cui al vecchio art. 1, co. 2 T.U. imponeva che analogo regime fosse assicurato, per esempio, al cittadino dell'Unione che soggiorni di fatto in Italia pur essendo privo dei requisiti che lo rendono titolare di diritto di soggiorno. E questo, anche a prescindere dal fatto che un tale regime trovi o meno fondamento nella normativa comunitaria.

 

Modificato nel modo in cui si e' detto l'art. 1, co. 2 T.U., la giustificazione di tale estensione non appare piu' immediata, ed e' prevedibile che vengano presto date disposizioni mirate a limitare l'erogazione di prestazioni sanitarie a vantaggio di cittadini dell'Unione che non soddisfino le condizioni previste per il diritto di soggiorno, salvo quanto imposto (ad esempio per le cure urgenti) dall'ordinamento comunitario o dai vincoli costituzionali; ovvero, a garantire che la presenza di tali cittadini sia segnalata alle autorita' di pubblica sicurezza per favorirne l'allontanamento dal territorio italiano.

 

Un secondo esempio di possibile peggioramento della condizione giuridica del cittadino dell'Unione a seguito della modifica introdotta e' relativo a quelle situazioni soggettive per le quali il T.U. prevede che il soggiorno dello straniero possa essere autorizzato (con rilascio di apposito permesso di soggiorno) a tutela di uno specifico diritto o interesse, a prescindere dall'inserimento economico o dalla capacita' di mantenimento della persona. Tra gli altri, l'ordinamento italiano contempla i casi di straniero

a)     il cui soggiorno debba essere autorizzato in base a seri motivi, in particolare di carattere umanitario (art. 5, co. 6 T.U.)

b)    che sia non allontanabile in quanto minore, o donna incinta o puerpera o marito di questa con lei convivente, o familiare entro il quarto grado di italiano con lui convivente (art. 19, co. 2 T.U.)

c)     che sia genitore naturale di un minore soggiornante in Italia (art. 29, co. 6 T.U.)

d)    la cui presenza sia necessaria per lo sviluppo psicofisico di un minore soggiornante in Italia (art. 31, co. 3 T.U.)

e)     che sia affidato, in quanto minore in stato di abbandono, a comunitaĠ di tipo familiare o istituto di assistenza ex art. 2, L. 184/83 (art. 32 co. 1 T.U.);

f)     la cui presenza sia indispensabile in relazione a procedimenti in corso per reati di cui allĠart. 380 c.p.p. o allĠart. 3 L. 75/58 (art. 11, co. 1, lettera c-bis DPR 394/1999)

g)    che debba espletare una misura compensativa per il riconoscimento di un titolo professionale (art. 49, co. 3 bis DPR 394/1999)

h)    che corra concreti rischi per la sua incolumita' per il tentativo di sottrarsi al condizionamento di una organizzazione criminale (art. 18, co. 1 T.U.)

i)      che abbia intrapreso un percorso di reinserimento sociale a seguito di condanna subita per un reato commesso nella minore eta' (art. 18, co. 6 T.U.)

 

Anche in questi casi, il venir meno della clausola di salvaguardia di cui all'art. 1, co. 2 T.U. rende non immediata l'applicazione delle corrispondenti disposizioni ai fini dell'autorizzazione del soggiorno di cittadini dell'Unione che, pur non essendo titolari di diritto di soggiorno, si trovino nelle medesime condizioni soggettive, salvo che tale applicazione sia esplicitamente prevista da altre norme interne (art. 18, co. 6-bis T.U., in relazione al cittadino dell'Unione che tenti di sottrarsi al condizionamento di una organizzazione criminale) o che sia ricavabile da norme del diritto comunitario diverse da quelle che regolano il diritto di soggiorno.

 

In tal modo, la condizione del cittadino dell'Unione che non sia titolare di diritto di soggiorno rischia di essere automaticamente assimilata a quella di un soggetto sul quale gravi un divieto di soggiorno, laddove, in molti casi, allo straniero che si trovi in situazione analoga e' concesso un permesso di soggiorno.

 

 

Conflitto con il diritto comunitario?

 

E' possibile ravvisare un conflitto tra la soppressione, operata da art. 37, co. 2 d.l. 112/2008, della clausola di salvaguardia di cui all'art. 1, co. 2 T.U. e i principi del diritto comunitario? Appaiono rilevanti in proposito almeno le due considerazioni che seguono.

 

1. Divieto di discriminazioni irragionevoli

 

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha piu' volte ribadito (v., tra le molte pronunce, Larkos v. Cipro [GC], no. 29515/96,  Judgment of 18.2.99, ¤ 29, ECHR 1999-I) che, affinche' una differenza di trattamento sia legittima, deve avere una giustificazione obiettiva e ragionevole[3].

 

Il fatto che l'ordinamento italiano permetta, in specifiche ma non irrilevanti situazioni, di riservare al cittadino dell'Unione un trattamento peggiore di quello riservato al cittadino straniero appare generalmente inconciliabile con tale esigenza di obiettivita' e ragionevolezza. A parita' di condizioni soggettive, infatti, viene penalizzata la semplice appartenenza ad uno Stato membro dell'Unione europea, senza che possano essere invocate ragioni atte a giustificare tale penalizzazione.

 

Si pensi ad una certa misura vantaggiosa per il cittadino straniero (ad esempio, l'autorizzazione del suo soggiorno in Italia a tutela di un diritto fondamentale o di un interesse meritevole di considerazione). Il fatto che la legge italiana preveda l'adozione di tale misura significa il Legislatore ha ritenuto i motivi che militano in favore di essa prevalenti sulle ragioni (economiche, di sicurezza, di ordine pubblico, etc.) che potrebbero sconsigliarla. Non appare giustificabile, allora, l'esclusione dei cittadini dell'Unione che si trovino nella medesima situazione soggettiva dal godimento della stessa misura, dato che ciascuna delle ragioni astrattamente contrarie risulteranno attenuate proprio in virtu' dell'appartenenza dell'interessato ad uno Stato membro (platea di potenziali beneficiari piu' ridotta, provenienza da un contesto affine a quello italiano, etc.).

 

 

2. Principio di non peggioramento in caso di adesione all'Unione europea

 

Benche' il diritto comunitario lasci, allo stato attuale del suo sviluppo, ampio spazio alla discrezionalita' dei singoli Stati nella definizione della disciplina della condizione giuridica dello straniero, esistono elementi di tale diritto che agganciano la condizione del cittadino dell'Unione a quella dello straniero, cosi' come disciplinata (liberamente) dal singolo Stato membro.

 

In particolare, i trattati di adesione dei nuovi Stati membri, laddove prevedono che possano essere poste restrizioni transitorie nell'accesso dei cittadini appartenenti ai nuovi Stati membri al mercato del lavoro subordinato nei vecchi Stati membri, impongono che la condizione di tali cittadini non peggiori rispetto a quella anteriore all'adesione ne' risulti piu' restrittiva di quella riservata al cittadino straniero[4] (queste ultime condizioni essendo disciplinate, ovviamente, dalle norme di diritto interno dello Stato membro in materia di stranieri).

 

In altri termini, l'ingresso nell'Unione europea non deve trasformarsi, per i cittadini dei nuovi Stati membri, in una "trappola": da tale ingresso, per gli individui, non puo' che conseguire un innalzamento del livello dei diritti e delle opportunita' (incombendo invece agli Stati il rispetto di una quantita' piu' cospicua di obblighi).

 

E' evidente allora come tutte le disposizioni favorevoli che ad un certo individuo erano applicabili prima dell'ingresso del suo Paese nell'Unione europea (nel caso italiano, le disposizioni di cui al T.U.) devono potersi applicare, se la situazione soggettiva non e' mutata, anche dopo quell'ingresso.

 

 

Conclusioni

 

Da queste osservazioni sembra doversi trarre la conclusione che, quale che sia l'ordinamento interno di uno Stato membro in materia di stranieri, debba valere una clausola di salvaguardia (implicita o esplicita) analoga a quella configurata dalla vecchia formulazione di art. 1, co. 2 T.U.

 

Se questa conclusione e' corretta, la modifica apportata a quella clausola da art. 37, co. 2 d.l. 112/2008, deve essere considerata illegittima alla luce del diritto comunitario, salvo che la si interpreti come del tutto ininfluente (dovendosi considerare implicitamente in vigore la vecchia clausola di salvaguardia).



[1] Non si tratta di un esempio astratto: l'art. 37 del d.l. 112/2008 reca, quale rubrica, "Certificazioni e prestazioni sanitarie".

[2] "Prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell'immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti)" (dalla Circolare del Ministero della Sanita' 24/3/2000, n. 5).

[3] "[The] Court recalled that, in accordance with its established case law, a difference in treatment is discriminatory if it has no objective and reasonable justification, that is if it does not pursue a legitimate aim or if there is not a reasonable relationship of proportionality between the means employed and the aim sought to be realised" (da European Court of Human Rights, Information Note No. 3 on the case-law of the Court February 1999, Appendix VI).

[4] Ad esempio, il paragrafo 1, co. 14 dell'Allegato VII (Elenco di cui all'articolo 20 del protocollo: misure transitorie, Romania) del Protocollo relativo alle condizioni e modalita' d'ammissione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all'Unione europea recita: "L'applicazione dei punti da 2 a 5 e da 7 a 12 non deve determinare condizioni di accesso dei cittadini rumeni ai mercati del lavoro degli Stati membri attuali pi restrittive di quelle esistenti alla data della firma del trattato di adesione. (...) I lavoratori migranti rumeni e le rispettive famiglie, che soggiornano legalmente e sono occupati in un altro Stato membro (...) non possono essere trattati in modo pi restrittivo di quelli provenienti da paesi terzi, che soggiornano e sono occupati in detto Stato membro (...)"