QUANDO
LA CITTADINANZA DIVENTA LOCALE: IMMIGRAZIONE E DIRITTI SOCIALI IN ITALIA
(Universit di Bologna)
Introduzione
La
configurazione istituzionale della cittadinanza fondata sullo stato nazione
risponde sempre meno alla realt dei fatti. Ci vale in particolare per i
diritti di cittadinanza sociale, che in Europa hanno avuto un ruolo di primo
piano nel processo di costruzione degli stati nazionali, rafforzando le
identit culturali e contribuendo a promuovere la lealt dei cittadini verso le
istituzioni pubbliche [Ferrera 2005]. LĠintegrazione europea e i processi
migratori sono i due fattori pi dirompenti nella sfida alla concezione della
cittadinanza alla Marshall. Si tratta di fenomeni senza dubbio diversi, ma che
hanno in comune il fatto di agire prevalentemente (ma non solo) sui diritti
sociali, riducendo la sovranit nazionale su questo aspetto, o per dirla in
altri termini, costringendo gli stati nazionali ad allentare le maglie riguardo
ai propri confini. Come noto, i confini sono una componente fondamentale
della cittadinanza moderna e corrispondono alla necessit di costruire una membership
funzionale a sviluppare il senso di lealt di cui si diceva poco sopra e,
contemporaneamente, a stabilire con chiarezza chi dentro e chi fuori (gli
insider e gli outsider). La
cittadinanza infatti sempre stata caratterizzata da unĠambivalenza: da una
parte si presenta come fattore di inclusione e di uguaglianza; dallĠaltra,
uno strumento di esclusione e di chiusura sociale [Brubaker 1992]. Non
scandalizza, n stupisce, dunque, il fatto che essa strutturalmente operi una
separazione anche spaziale tra la comunit dei cittadini e degli outsiders.
Cinquanta anni fa Marshall dava per scontato che la cittadinanza fosse per
definizione nazionale e questo era il suo punto di partenza per discutere sul
tema. Negli ultimi decenni il nesso tra cittadinanza e nazionalit invece
decisamente pi debole e i confini tra cittadini e non cittadini sono pi
laschi, meno definiti. Rimandiamo a Ferrera [2005] lĠapprofondimento del
fattore Çintegrazione europeaÈ e circoscriviamo la nostra riflessione alle
conseguenze dellĠimmigrazione sulla morfologia della cittadinanza.
Da
qualche decennio agli stranieri vengono accordati un certo numero di diritti
che fino a poco tempo fa erano appannaggio dei nazionali: questo trend ha fatto dire ad alcuni
studiosi che la cittadinanza si sta trasformando da nazionale a post-nazionale,
o universale [Soysal 1994]. Si tratta di unĠipotesi affascinante e che peraltro
contiene degli elementi di verit, ma che tace completamente sulla differenza
tra la titolarit dei diritti (entitlement) e
lĠeffettivo godimento (endowment): se la prima in
gran parte uguale e garantita dalle legislazioni dei vari paesi di immigrazione,
la seconda invece fortemente condizionata dalle decisioni prese a livello di
istituzioni politiche locali, dal tessuto associativo presente in un certo
territorio e -pi in generale- dal processo di policy
locale con tutte le variabili che esso comporta (colore politico delle giunte,
efficienza delle amministrazioni, stili di governo, relazione tra pubblica
amministrazione e privato sociale, per citarne alcune). Non da sottovalutare,
inoltre, che gli stranieri, anche quelli lungo residenti, solo in pochi paesi
godono di (alcuni) diritti politici, che sappiamo indispensabili per
partecipare alla formulazione e implementazione delle politiche. Gli stessi
diritti sociali riconosciuti, se non supportati da una base di diritti
politici, potrebbero essere facilmente revocati.
Il
saggio si propone tre obiettivi: 1) mostrare come il fenomeno migratorio di
fatto ha gi modificato le caratteristiche della cittadinanza tradizionale e
continua a porre interrogativi e dilemmi sulla definizione dei diritti
classificabili come diritti di cittadinanza. 2)
Facendo riferimento al caso italiano, si intende analizzare il carattere locale
assunto dalla cittadinanza, come emerge nelle politiche a favore degli
immigrati. Non certo un mistero, tuttavia, che le differenze nei diritti su
base geografica riguardano anche gli stessi italiani di nascita e di residenza,
visto che i nostri comuni, al pari delle province e delle regioni, sono
caratterizzati da forte frammentazione e spiccata eterogeneit. Recenti
ricerche documentano infatti il permanere di una notevole discrepanza tra
diritti godibili nel nord e nel sud dellĠItalia. La fruibilit dei diritti di
cittadinanza sociale degli immigrati, allora, si innesta in un quadro pi
generale di frammentazione della geografia della cittadinanza sociale [Fargion
1998], che nei suoi aspetti fondanti riconducibile al tradizionale dualismo
italiano. 3) Da qui consegue il terzo obiettivo: contestualizzare la nostra
riflessione gettando uno sguardo complessivo agli interventi e ai servizi
sociali dei comuni italiani. QuestĠultima parte si propone soprattutto di
delineare unĠagenda di ricerca, che pare pi che mai opportuna e proficua a
seguito delle riforme in senso federalista che hanno contrassegnato lĠultimo
decennio. EĠ pur vero che la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001
prevede che lĠimmigrazione (in quanto regolazione dei flussi, controllo della
componente irregolare e definizone delle norme sulla cittadinanza) rimanga
materia di competenza esclusiva dello Stato, ma gli interventi a favore degli
immigrati sono inscrivibili nellĠarea dei servizi sociali, tutela della salute,
assistenza scolastica, formazione professionale, edilizia residenziale
pubblica, che sono di competenza regionale esclusiva (fatta eccezione per la tutela
della salute, che materia a competenza regionale concorrente).
1.
Cittadinanza e stato nazionale: un legame ancora plausibile?
La concezione
moderna di cittadinanza rintracciabile prima nellĠassolutismo e
poi negli stati liberali. La cittadinanza perde progressivamente il suo
carattere aristocratico ed elitario (quindi la connotazione cetuale), mentre si
arricchisce di elementi etnici e culturali con i quali affermare i confini
della membership. Ci avviene soprattutto in
seguito alla rivoluzione francese, che opera una fusione dei concetti di stato
e nazione [Faulks 2000]. Da allora la cittadinanza, almeno come dichiarazione
di principio, prevede unĠeguaglianza giuridica di tutti i cittadini in quanto
detentori della sovranit popolare (sappiamo comunque che passeranno secoli
prima che si arrivi ad una eguaglianza reale tra i generi e tra le classi
sociali). Da questo momento in poi, inoltre, la cittadinanza si lega a doppio
filo al concetto di nazione, mitizzando (e allo stesso tempo perseguendo) unĠomogeneit
etnica e culturale degli stati nazionali, che di fatto non ha mai corrisposto
alla realt[1].
Il cittadino viene definito allo stesso tempo come Çnon pi sudditoÈ e membro
della nazione; si crea cio un nesso fra il godimento di determinati diritti e
lĠappartenenza ad una organizzazione politica. La cittadinanza comincia allora
ad esprimere sia uno status politico-giuridico, sia il vincolo per cui si
parte di una qualche comunit [Zolo 1994]. In altre parole, si cristallizza il
nesso tra diritti e appartenenza allo stato-nazione, che Marshall negli anni
Cinquanta continua a rivendicare come fondamentale per definire la
cittadinanza.
Un
ulteriore sviluppo della cittadinanza moderna riguarda la dimensione sociale,
ovvero unĠespansione nel contenuto della cittadinanza (diritti sociali) e nei
beneficiari dei diritti (lavoratori, donne, bambini). Secondo Marshall la
progressiva estensione dei beneficiari dei diritti civili e politici avrebbe
aperto la strada allĠaffermazione dei diritti sociali, che nascono con
lĠobiettivo di ÇsanareÈ le disuguaglianze prodotte dal mercato. LĠespansione,
tuttavia, sempre stata inclusiva verso lĠinterno, nel senso che i diritti
degli individui sono stati definiti in base alla loro comune appartenenza ad un
particolare stato.
Ogni
stato ha poi stabilito proprie norme che sanciscono la modalit attraverso cui
la cittadinanza pu essere ottenuta e trasmessa da una generazione allĠaltra.
UnĠinteressante classificazione delle comunit politiche -che punta a far luce
sugli aspetti pi rilevanti dellĠammissione e dellĠesclusione dai diritti di
cittadinanza- quella di del filosofo Michael Walzer [1987], secondo cui le
comunit nazionali possono essere pensate come famiglie,
come circoli e club e come quartieri.
Queste metafore si possono ordinare in una scala che nei gradini pi bassi
comprende comunit particolarmente restrittive riguardo allĠaccesso di nuovi
membri (la concezione della cittadinanza come famiglia, in cui non si pu
prescindere dai legami di sangue); vi sono poi comunit in cui si pu entrare a
patto che si passi il vaglio di chi gi membro di diritto (i circoli e i
club), fino ad arrivare -nei gradini pi alti- a comunit in cui invece la membership
aperta e non sono richiesti requisiti particolari per diventarne parte (il
quartiere, in cui chiunque si pu trasferire senza dover sottostare ad un
vaglio per lĠammissione). Trattandosi di metafore non si riscontrano ovviamente
delle sovrapposizioni precise e puntuali con gli ordinamenti dei singoli paesi;
si rileva tuttavia che la prevalenza del diritto di sangue come criterio di
accesso alla cittadinanza paradigmatico della concezione della cittadinanza
come famiglia. Fino alla riforma del 1999 la Germania ha rappresentato un
tipico esempio di questa concezione, mentre lĠItalia ne mantiene tuttora i
lineamenti, tanto che alcuni studiosi parlano a questo proposito di Çfamilismo
legaleÈ [Zincone 2006]. Gli elementi portanti della legge che regolamenta
attualmente questa materia (legge n.91/1992) sono lĠacquisizione della
cittadinanza per discendenza (ius sanguinis) e
per matrimonio (ius conubii). Di fatto, rispetto alla
precedente legge del 1912 (n.55) sono stati rinforzati i privilegi per gli
stranieri di origine italiana, esplicitando dunque lo sbilanciamento verso un
criterio dei preferenza co-etnica, ovvero nei confronti di chi appartiene alla
nazione grazie a qualche parente[2],
magari anche molto lontano [Zincone 2006]. La stravaganza del modo italiano di
regolare lĠaccesso alla condizione di cittadino emerge soprattutto in
riferimento al contesto europeo, nel quale in corso una convergenza delle
normative verso lĠadozione di modelli che lasciano pi spazio ad un processo di
naturalizzazione che combina il diritto di sangue con il diritto di suolo (ius
soli, secondo cui la nascita sul territorio dovrebbe far
ottenere la cittadinanza in maniera quasi automatica) [Weil 2001].
Come
si appena visto, ciascun modo di vedere la cittadinanza e di definire la
comunit politica implica una maggiore o minore facilit nellĠottenimento della
cittadinanza stessa come status legale. Ogni ÇmodelloÈ, insomma, risponde in
modo diverso alla tensione che si venuta a creare negli ultimi decenni tra la
rigidit territoriale del sistema degli stati e la mobilit territoriale delle
popolazioni. Questo infatti il vero nodo problematico che mette in
discussione il legame tra cittadinanza e stato-nazione: a partire dal secondo
dopoguerra lĠemergere del fenomeno migratorio, unito certamente ad altri
fattori che vanno genericamente sotto lĠetichetta di globalizzazione,
ha portato ad un deperimento del concetto di stato-nazione e -nello specifico
del nostro tema- ad un indebolimento del nesso stato-appartenenza-diritti di
cittadinanza.
EĠ
qualcosa di pi di una sfida teorica: le migrazioni internazionali hanno gi in
parte mutato la tradizionale concezione di membership
e superato la dicotomia che contrapporrebbe i cittadini e gli stranieri. Pur
non facendo parte dello stato nazionale pleno iure,
infatti, gli immigrati sono ammessi alla titolarit di alcuni diritti, che fino
a tempi recenti erano appannaggio dei ÇnazionaliÈ [Soysal 1994]. Il termine denizen,
introdotto da Hammar [1990], nasce proprio dalla
constatazione dellĠesistenza di una categoria nuova di individui che non sono
cittadini, ma godono di alcuni diritti di cittadinanza (o di molti, ma non di
tutti). Dal punto di vista della ÇtopografiaÈ della cittadinanza [Baubck 1997], diventa allora necessario operare una distinzione tra
i diritti conferiti da una cittadinanza piena (nominal citizenship)
e quelli che derivano dallĠessere residenti di lungo periodo in un certo paese
(denizenship). Accanto allo status del denizen[3],
raggiungibile solo a condizione di una permanenza di lungo periodo in uno
stato, esiste comunque anche lo status dello straniero tout court
(non legato da criteri temporali di residenza). Anche lo straniero gode di
alcuni diritti (alien rigths) che
dipendono semplicemente dal fatto di essere in uno stato. I confini tra alien
e denizen sono in realt piuttosto fluidi e soggetti ad una certa
variazione a seconda del paese al quale ci si riferisce. Nella maggioranza dei
casi, inoltre, la durata temporale della residenza non lĠunico elemento che
soddisfa i requisiti per ottenere i diritti legati alla denizenship,
ma esistono anche altri criteri quali la stabilit di un impiego, o il possesso
della cittadinanza di uno stato dellĠUe [Baubck 1997, 31][4].
Gli
stessi diritti di denizenship non sono i medesimi in tutti
i paesi di immigrazione: la differenza principale risiede probabilmente nella
concessione dei diritti politici e, in particolare, nel diritto di voto.
NellĠUnione Europea i paesi che attualmente permettono la partecipazione dei denizens
alle elezioni locali sono: lĠIrlanda (dal 1963), la Svezia (dal 1976), la
Danimarca (dal 1981), la Norvegia (dal 1979), lĠOlanda (dal 1985), il Belgio e
la Spagna (dal 2000). Per quanto riguarda lĠItalia, nellĠimpianto originario di
quella che diventata la legge n.40/1998, allĠarticolo 38 era previsto il
diritto di voto locale esteso ai non comunitari, ma lĠarticolo fu poi
stralciato dal corpo della legge[5].
Alcuni comuni -a seguito delle
maggiori competenze a loro assegnate dal Testo Unico sugli enti locali del
2001- hanno avviato procedure per inserire il voto degli immigrati a livello
comunale, ma tutte queste iniziative hanno ricevuto pareri negativi dal
Consiglio di Stato [Zincone 2006].
La
condizione giuridica della semicittadinanza (denizenship)
attualmente in Europa costituisce il pi diffuso meccanismo di inclusione nei
sistemi di welfare, ma bisogna ricordare che
lĠaccesso ai servizi di protezione sociale subordinato anche ai diritti
collegati allo status legale del migrante (una classificazione variegata e
complessa): regolare con permesso di soggiorno, regolare con carta di
soggiorno, regolare stabilizzato, richiedente asilo, rifugiato, irregolare,
clandestino [Spinelli 2005]. Ognuna di queste etichette dunque collegata ad
un pacchetto specifico di diritti.
1.1.Verso
una cittadinanza post-nazionale?
Seguendo
la terminologia proposta da Hammar [1990] esistono anche altre due categorie di
diritti: i diritti connessi alla cittadinanza esterna
(quando si possiede la cittadinanza nominale di uno stato ma non si risiede in
esso) e i diritti umani universali -pi interessanti nel
quadro della nostra analisi- che
non dipendono n dal possesso di una cittadinanza nominale, n dalla residenza
in un certo stato. I diritti umani -che dal secondo dopoguerra sono stati oggetto
di grande attenzione nella legislazione internazionale[6]-
costituiscono lĠunica vera forma di cittadinanza universale [Baubck 1997].
Il
riconoscimento dellĠimportanza dei diritti umani in quanto diritti dei
cittadini in senso lato ha portato alcuni studiosi [Soysal 1994, Jacobson 1996]
a teorizzare la nascita di una membership
post-nazionale, che supererebbe cio sia lĠattuale assetto statuale della
cittadinanza, sia quello territoriale: i diritti di appartenenza verrebbero
ridefiniti come diritti umani, che spettano agli individui in quanto persone e
non in quanto membri di uno stato-nazione (appartenenza formale) o -come sembra
delineare il modello della denizenship- in
quanto residenti in esso (residenza territoriale). Partendo dallĠesperienza dei
lavoratori ospiti (guest workers) in Europa, Soysal
[1994] argomenta che gi allo stato attuale lĠimportanza crescente dei diritti
umani ha come conseguenza una diminuita rilevanza dei benefici connessi alla
cittadinanza: i lavoratori ospiti infatti si sono visti riconoscere un nutrito
pacchetto di diritti sociali e civili pur non essendo cittadini. Questa
studiosa arriva a dire che la significativit dei diritti di cittadinanza
talmente ridotta che ormai i diritti dei non cittadini non sono poi cos
diversi da quelli dei cittadini [Soysal 1994,44].
Una
riconcettualizzazione della cittadinanza certamente auspicabile alla luce dei
processi migratori e su questo punto sono in molti a trovarsi dĠaccordo con
Soysal; tuttavia il suo modello di cittadinanza post-nazionale ha incontrato
non poche critiche. Per cominciare, cĠ chi ha osservato che se vero che i guest
workers godono da non cittadini dei diritti sociali e civili, non
da sottovalutare il fatto che non sono in possesso dei diritti politici,
indispensabili per partecipare alla formulazione e implementazione delle
politiche. In mancanza dei diritti politici gli immigrati rimangono perlopi
oggetto passivo della policy dello stato, piuttosto che
partecipanti attivi [Faulks 2000]. Come fa notare Ambrosini [2005, 217], i
diritti sociali, se non sono supportati da una base di diritti politici,
rischiano di restare fragili e revocabili, quasi si trattasse di una
concessione dei cittadini nei confronti di outsider a
cui non si intende attribuire il beneficio pieno dellĠappartenenza. In
definitiva, rimangono pur sempre cittadini di serie B. Un altro ordine di
critiche riguarda il fatto che, lungi dallĠaver perso ogni potere, gli
stati-nazionali gestiscono in maniera praticamente unilaterale i flussi di
immigrati in ingresso nel proprio territorio e -anche quando gli immigrati sono
gi sul territorio nazionale- lo stato ha la facolt di introdurre delle
discriminazioni legali per garantire ai propri cittadini un diritto di priorit
nellĠaccesso alle risorse e alle opportunit [Zanfrini 2007,59]. Allo stesso modo,
le leggi sullĠaccesso alla cittadinanza sono di competenza esclusivamente dei
singoli stati nazionali senza vincoli sovranazionali, se non quelli imposti
appunto dai diritti umani. Il modello post-nazionale sembra anche peccare di
una certa ingenuit o eccessivo ottimismo riguardo al reale godimento dei
diritti sociali e civili da parte degli immigrati: sono sempre possibili
infatti politiche di immigrazione pi restrittive in seguito, per esempio, a
cambiamenti nelle coalizioni di governo; una possibilit che -come si suggeriva
poco sopra- deriva anche dalla mancanza dei diritti politici degli immigrati.
Infine, ammesso che si concordi sullĠassunto per cui i diritti della persona
trascendono quelli dei cittadini, rimane il fatto che essi sono comunque ancora
realizzati in gran parte attraverso lĠappartenenza ad uno stato.
1.2.
In cerca di riconoscimento: i diritti culturali
I
diritti per gli immigrati complicano il quadro della teoria della cittadinanza
anche in un altro senso: che riconoscimento opportuno concedere alle culture
degli immigrati? Esistono dei Çdiritti culturaliÈ? E se esistono, con quale modalit possono essere goduti? Chi
se ne fa garante?
La
cultura unĠarea esclusa dal mainstream
delle teorie della cittadinanza. Secondo la teoria liberale la sfera politica
ÇuniversaleÈ, mentre quella culturale deve essere confinata al privato: si
ritiene pertanto necessario separare i diritti e i doveri di un individuo dalla
sua appartenenza a gruppi che si fondano sullĠetnicit, la religione, la classe
sociale. In realt, osservano Castles e Davidson [2000], ci in conflitto con
la stessa formazione dello stato-nazione, che attribuisce lo status di
cittadino a seconda dellĠappartenenza alla comunit culturale dominante: per
diventare pienamente cittadini infatti necessario adottare la cultura delle
maggioranza.
Il
dibattito sui diritti culturali, comunque, una declinazione della
contrapposizione pi generale tra diritti collettivi e diritti individuali di
cittadinanza[7];
dibattito che vede liberali e comunitari su due opposti schieramenti e che
Kymlicka [1995], da liberale, ha cercato di mediare riconoscendo la possibilit
di diritti collettivi, quali appunto quelli culturali delle minoranze etniche
allĠinterno di uno stato, o degli immigrati. Kymlicka ha cio cercato di
dimostrare che la concessione di diritti differenziati ai membri delle
minoranze compatibile con la concezione liberale della libert individuale.
Secondo
i principi liberali della libert e della eguaglianza lĠindividuo ad avere
valore morale e non il gruppo, inteso per esempio come la famiglia o la
comunit etnica; le decisioni delle istituzioni politiche e la concessione dei
diritti devono pertanto mirare al benessere dei singoli cittadini e non a promuovere gli scopi
collettivi di un gruppo di qualsiasi tipo. Differenziare i diritti secondo
lĠappartenenza di gruppo (quindi appunto contemplare diritti culturali) viene
vista dai liberarli come una deviazione dai propri principi, mentre viene
rivendicato come un provvedimento necessario da una concezione collettivista o
comunitaria della cittadinanza.
LĠargomento
principale con cui Kymlicka sostiene che i principi liberali non sono violati
da diritti culturali di gruppo riguarda il nesso che egli pone tra liber e
cultura: la libert secondo lĠautore intimamente legata alla cultura e
dipende da essa; pertanto la tutela della cultura delle minoranze pu favorire
lĠestensione della libert degli individui, che il fine delle concezioni
liberali. La cultura a cui egli fa riferimento una cultura sociale che viene
cos definita:
Una cultura che
conferisce ai propri membri modi di vivere dotati di senso in un ampio spettro
di attivit umane, ivi comprese la vita sociale, formativa, religiosa,
ricreativa ed economica, nonch la sfera pubblica come quella privata. [É] Ho
chiamato questo tipo di cultura ÔsocialeĠ per sottolineare che essa implica la
condivisione non solo di ricordi e valori, ma anche di istituzioni e pratiche
[Kymlicka 1999, 135, trad. it di 1995].
In
pratica, secondo questo filosofo gli individui hanno bisogno di un contesto
culturale come quello sopra descritto per fare scelte dotate di senso, per fare
delle scelte libere; per questo -semplificando lĠargomentazione- importante
sostenere le culture sociali dei gruppi etnici immigrati (o delle minoranze
linguistiche allĠinterno degli stati) e andare verso quella che lui chiama una
Çcittadinanza multiculturaleÈ[8].
Kymlicka
propone tre tipi di diritti di gruppo: i diritti di auto governo
per le minoranze allĠinterno degli stati; i diritti polietnici
volti a proteggere le identit di gruppo attraverso finanziamenti pubblici alle
minoranze culturali e infine i diritti speciali di rappresentanza
che aspirano a garantire una rappresentanza delle minoranze nelle istituzioni
politiche. Si tratta insomma di non negare le differenze culturali ma di
riconoscerle come parte essenziale di uno stato multiculturale.
Tuttavia,
quando dalla teoria si passa alla pratica, diventa difficile concretamente
ÇgestireÈ la molteplicit di culture e soprattutto trovare dei criteri per
decidere quali vanno tutelate; tanto che alcuni paesi come lĠOlanda, partiti
con le migliori intenzioni di riconoscimento delle culture, nel giro di una
decina di anni si sono convertiti ad un maggior assimilazionismo.
In
definitiva, Kymlicka ha certamente il merito di aver sollevato alcuni dilemmi
che lĠimmigrazione pone alla teoria della cittadinanza liberale, in particolare
i problemi che nascono da societ che non sono pi omogenee dal punto di vista
delle Çculture socialiÈ (se mai lo sono state). Anche concordando con la sua
tesi rimane comunque lĠinterrogativo di come decidere in modo non arbitrario
quali sono i gruppi che meritano diritti speciali. Resta inoltre il nodo,
impossibile da risolvere, che riguarda la pretesa di disporre di un repertorio
fisso di culture da difendere, a meno che per culture degli immigrati non si
faccia riferimento allo stato di provenienza (la qual cosa chiaramente
assurda). I diritti culturali sono un incentivo istituzionale a mettere in atto
il bricolage culturale, dal momento che non si sa dove
finisce una cultura e ne comincia unĠaltra. EĠ sempre in agguato, infine, il
rischio di esacerbare le tensioni sia tra maggioranza e minoranza, sia tra le
stesse minoranze in cerca di riconoscimento.
2.
La dimensione locale della cittadinanza sociale in Italia: uno sguardo ai
servizi per gli immigrati
Come
abbiamo visto nei paragrafi precedenti, la linea di demarcazione
alieni-cittadini fa sempre pi acqua: esistono ormai posizioni intermedie,
linee grigie che spesso diventano a lungo termine e non semplicemente
temporanee. Non stiamo parlando, ovviamente, dellĠattribuzione della
cittadinanza in senso giuridico, che invece ha ancora confini precisi stabiliti
dagli stati nazionali, quanto della possibilit da parte degli stranieri di
essere titolari di diritti storicamente concessi solo ai cittadini pleno
iure. A questo punto sorge spontaneo un interrogativo: se la
cittadinanza si denazionalizza [Bosniak 2001], quale
sta diventando la sua location principale?
La
letteratura sul tema negli ultimi anni ha posto un forte accento sulla
dimensione sovranazionale, empiricamente riscontrabile, per esempio, nella
maggiore attenzione ai diritti umani universali, o nel processo di integrazione
europea (pensiamo alla cittadinanza europea, che
ha realizzato uno spazio sovranazionale di circolazione e residenza,
arricchendo i diritti dei cittadini dei paesi membri); meno attenzione stata
invece riservata alle implicazioni locali nel godimento dei diritti, ovvero
alla dimensione sub-nazionale della cittadinanza. Tuttavia, se lĠentitlement
dei diritti effettivamente collocabile anche nel livello sovranazionale, lĠendowment
dipende fortemente dai contesti locali: regionali o
addirittura comunali. EĠ quanto si riscontra in Italia con particolare
riferimento, come si diceva, ai diritti sociali, che creano le maggiori
difficolt alla teoria della cittadinanza, poich la loro concessione agli
immigrati non cittadini (in alcuni casi anche agli irregolari e ai clandestini)
fa emergere con chiarezza il distacco tra diritti di cittadinanza e
stato-nazione.
In
termini generali la legislazione italiana nei confronti degli immigrati
avanzata sul fronte delle politiche sociali, almeno per quanto attiene lĠespansione
delle aree di intervento a favore degli stranieri. Questa immagine positiva
per inficiata dallĠosservazione di uno squilibrio lampante tra i diritti che i
migranti hanno sulla carta e quelli concretamente fruibili [Pugliese 2006].
Numerosi
sono i dati che rivelano una sorta di mappa del Çlocalismo dei dirittiÈ.
Cominciamo con unĠindagine condotta nel 2002 dal Dipartimento per le politiche
sociali dellĠAnci e che riguarda i comuni con pi di 15.000 abitanti. Scopo
dello studio era censire numero e tipo di servizi per gli stranieri offerti
dagli enti locali. La rilevazione ha scontato un tasso di caduta notevole per
quanto riguarda il ritorno dei questionari[9],
ma ci sembra non inficiare la possibilit di proporre unĠidea abbastanza
fedele della distribuzione degli interventi delle amministrazioni comunali
[Caponio 2006]. I risultati contribuiscono a tratteggiare una spaccatura tra
centro-nord e sud del paese: lĠofferta di servizi socio-sanitari
ÇdedicatiÈ presente nel 10,2% dei comuni del sud, nel 18,7% dei
comuni del nord e nel 33,3 % di quelli del centro; i posti letto per
stranieri sono disponibili nel 23,7% dei comuni del sud, nel 46,1%
al nord e nel 33,3% al centro[10];
la consulenza legale per i rifugiati
disponibile nel 11,8% dei comuni del sud, nel 23,4% di quelli del nord e nel
27% di quelli del centro; gli sportelli informativi sono
attivi nel 30,5% dei comuni del sud, nel 66,4% dei comuni del nord e nel 79,4%
dei comuni del centro; infine, i servizi di mediazione culturale
sono attivi nel 28,8% dei comuni del sud, nel 56,2% di quelli del nord e nel
52,4% di quelli del centro.
DallĠanalisi
dei servizi dei comuni allĠanalisi delle spese a favore degli immigrati. Il
rapporto dellĠIstat [2007] mostra che le regioni meridionali spendono per gli immigrati
percentuali piuttosto basse, si potrebbe dire quasi residuali (vedi tavola 1).
Questo dato, comunque, va letto tenendo conto che la presenza di immigrati
nellĠItalia centro-settentrionale molto pi consistente e questo spiega in
parte perch in valori assoluti la spesa per gli stranieri quattro volte pi
alta. Guardando i dati relativi alla percentuale di spesa riservata agli
immigrati, nellĠambito del complesso degli interventi e servizi sociali dei
comuni, si osserva una marcata differenza regionale. A differenza del centro e
del nord-est, le regioni nord occidentali si collocano sotto la media
nazionale, insieme alle regioni del sud e alle isole. Tale rigonfiamento delle
cifre nel centro Italia trova una spiegazione nel fatto che a Roma si concentrano
particolari gruppi sociali di immigrati a cui sono indirizzati pi intereventi
rispetto alla norma, come ad esempio i rifugiati politici [Pugliese 2006]. EĠ
chiaro che questo incide anche sulla media italiana, che viene innalzata.
UnĠanalisi accurata e dunque maggiormente significativa richiederebbe di
rapportare gli indici di spesa alla popolazione immigrata effettivamente residente in ogni area; in mancanza di
tale dato, qui ci accontentiamo di valutare una tendenza. Per quanti spuri i
dati ci consegnano uno scenario in cui, pur se con alcune differenze, le
macro-aree del centro e del nord
presentano valori abbastanza omogenei, mentre il sud spicca per le cifre
nettamente pi basse.
Tavola 1 - Spesa
per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per area di
utenza e per regione e ripartizione geografica – Anno 2004 (valori
percentuali e assoluti)
Ripartizione geografica |
AREA DI UTENZA |
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Famiglie e minori |
|
Anziani |
|
Disabili |
|
Disagio adulti |
|
Immigrati |
|
Dipendenze |
|
Multiutenze |
|
Totale |
|
|||||||||||||||||||||||||||||||
Valori percentuali di riga |
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nord-ovest |
39,2 |
|
26,7 |
|
19,2 |
|
5,4 |
|
2,0 |
|
0,7 |
|
6,7 |
|
100,0 |
|
||||||||||||||||||||||||||||||
Nord-est |
35,7 |
|
26,2 |
|
22,5 |
|
5,4 |
|
2,4 |
|
1,2 |
|
6,5 |
|
100,0 |
|
||||||||||||||||||||||||||||||
Centro |
38,6 |
|
20,5 |
|
19,4 |
|
9,1 |
|
3,7 |
|
1,0 |
|
7,7 |
|
100,0 |
|
||||||||||||||||||||||||||||||
Sud |
46,2 |
|
20,1 |
|
14,8 |
|
7,4 |
|
1,3 |
|
1,1 |
|
9,1 |
|
100,0 |
|
||||||||||||||||||||||||||||||
Isole |
41,2 |
|
23,0 |
|
20,1 |
|
9,2 |
|
1,5 |
|
1,4 |
|
3,7 |
|
100,0 |
|
||||||||||||||||||||||||||||||
ITALIA |
39,0 |
|
24,2 |
|
19,8 |
|
6,8 |
|
2,4 |
|
1,0 |
|
6,8 |
|
100,0 |
|
||||||||||||||||||||||||||||||
Ripartizione geografica |
AREA DI UTENZA |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Famiglie e minori |
|
Anziani |
|
Disabili |
|
Disagio adulti |
|
Immigrati |
|
Dipendenze |
|
Multiut. |
|
Totale |
||||||||||||||||||||||||||||||||
Valori assoluti |
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nord-ovest |
673.017.046 |
|
458.309.945 |
|
329.325.761 |
|
93.278.960 |
|
33.444.593 |
|
12.543.952 |
|
114.875.835 |
|
1.714.796.092 |
|||||||||||||||||||||||||||||||
Nord-est |
529.005.118 |
|
388.658.001 |
|
333.674.289 |
|
79.936.985 |
|
36.191.706 |
|
18.304.245 |
|
95.654.969 |
|
1.481.425.313 |
|||||||||||||||||||||||||||||||
Centro |
447.324.149 |
|
237.239.617 |
|
224.760.701 |
|
105.837.997 |
|
43.307.387 |
|
11.691.757 |
|
89.064.394 |
|
1.159.226.002 |
|||||||||||||||||||||||||||||||
Sud |
247.328.155 |
|
107.473.978 |
|
79.316.780 |
|
39.353.422 |
|
7.154.000 |
|
5.746.969 |
|
48.600.943 |
|
534.974.247 |
|||||||||||||||||||||||||||||||
Isole |
200.512.811 |
|
112.056.520 |
|
98.117.517 |
|
44.729.618 |
|
7.158.540 |
|
6.764.021 |
|
17.853.357 |
|
487.192.384 |
|||||||||||||||||||||||||||||||
ITALIA |
2.097.187.279 |
|
1.303.738.061 |
|
1.065.195.048 |
|
363.136.982 |
|
127.256.226 |
|
55.050.944 |
|
366.049.498 |
|
5.377.614.038 |
|||||||||||||||||||||||||||||||
Fonte:
Istat 2007.
Gli
indici di spesa comunali che riguardano lĠarea immigrazione a nostro avviso
sono comunque indicatori strutturalmente controversi: in primo luogo, come gi
rilevato, gli immigrati non sono distribuiti in maniera omogenea sul territorio
e, tuttavia, non disponiamo di una distribuzione che tenga conto del rapporto
tra spesa e numero di immigrati a livello territoriale. Anche se questo dato
fosse disponibile, non ci permetterebbe di valutare se un comune o una regione
spende meno per gli immigrati perch gli stranieri residenti hanno meno bisogno
di interventi ad hoc (magari perch sono gi ben integrati), o perch invece
sottovalutano e/o si disinteressano delle loro necessit. Bisogna infatti
considerare, e questo un altro elemento che rende controverso lĠindicatore di
spesa, che gli immigrati regolari fruiscono anche dei servizi socio-sanitari ed
educativi al pari degli italiani, mentre i dati Istat si riferiscono alle spese
sostenute dai comuni per
interventi e servizi specificamente rivolti agli stranieri e che fanno
riferimento per buona parte alla dimensione dellĠassistenza e della prima
accoglienza. Nella tavola 2 si pu vedere infatti che il 30% della spesa
nellĠarea immigrati riguarda le strutture residenziali o semi-residenziali e un
altro 26% riguarda trasferimenti in denaro assegnati soprattutto come
contributo per lĠalloggio (33%) e come integrazione al reddito familiare
(26,7%). EĠ ovvio che da questi dati rimane in ombra lĠinvestimento degli enti
locali nei servizi e nelle strutture in cui utenti italiani e stranieri
regolari accedono in condizioni di parit (asili nido, edilizia pubblica,
servizi sanitari); rimane in ombra cio la fetta di investimento economico a
favore degli immigrati in quanto cittadini, senza ulteriori specifiche che
derivano da una possibile condizione di disagio. Non difficile ipotizzare,
tuttavia, che proprio questo sia lĠinvestimento pi consistente e a lungo
termine.
Tavola 2 –
Area immigrati: spesa dei comuni per singoli interventi e servizi sociali.
Totale Italia - Anno 2004 (valori assoluti e percentuali)
Spesa |
Percentuale di spesa su totale macro
area |
Percentuale di spesa su totale area |
|
INTERVENTI E SERVIZI |
|
|
|
Attvit di servizio sociale professionale |
21.971.683 |
45,2
|
17,3 |
Integrazione sociale |
19.146.320 |
39,4
|
15,0 |
Interventi e servizi educativo-assistenziali e per l'inserimento lavorativo |
4.602.359 |
9,5 |
3,6 |
Assistenza domiciliare |
1.761.709 |
3,6 |
1,4 |
Servizi di supporto |
1.086.940 |
2,2 |
0,9 |
Totale interventi e servizi |
48.569.011 |
100,0 |
38,2 |
TRASFERIMENTI IN DENARO |
|
||
Retta per prestazioni residenziali |
5.293.769 |
15,7 |
4,2 |
Contributi economici per alloggio |
11.249.700 |
33,4 |
8,8 |
Contributi economici ad integrazione del reddito
familiare |
8.980.027 |
26,7 |
7,1 |
Contributi generici ad associazioni sociali |
3.632.389 |
10,8 |
2,9 |
Altro |
2.271.511 |
13,3 |
3,5 |
Totale trasferimenti in denaro per il pagamento
di interventi e servizi |
33.649.297 |
100,0 |
26,4
|
STRUTTURE |
|
||
Totale strutture a ciclo diurno o semi-residenziale |
4.791.871 |
10,6 |
3,8 |
Totale strutture comunitarie e residenziali |
37.862.729 |
84,1 |
29,8
|
Pronto intervento sociale (unit di strada, ecc.) |
2.383.318 |
5,3 |
1,9 |
Totale strutture |
45.037.918 |
100,0 |
35,4
|
Totale
spesa per immigrati |
127.256.226
|
|
100,0 |
Fonte:
Istat 2007.
Questo tema mette in luce un aspetto non
secondario per chi si avvicina allo studio delle politiche per gli immigrati,
ovvero la necessit di distinguere tra le politiche rivolte in modo specifico
agli immigrati e le politiche generali di integrazione sociale, a cui anche gli
stranieri accedono, ma non in quanto stranieri. Due potrebbero essere i criteri
di distinzione: 1) le competenze delle politiche (dirette: lĠintegrazione lĠobiettivo principale; indirette: lĠintegrazione declinata allĠinterno di
temi pi specifici quali la sanit, lĠistruzione, il lavoro, ecc.); 2) i
beneficiari finali delle politiche (gli immigrati in maniera esclusiva o tutta
la popolazone). Sulla base di questi criteri Busso [2007, 460] propone una
tipologia che individua quattro classi di politiche per gli immigrati: le politiche
di accoglienza (rivolte
unicamente agli immigrati); le politiche di convivenza (rivolte a tutta la popolazione); le politiche
di settore (rivolte
unicamente agli immigrati, puntano a compensare lo svantaggio degli stranieri
nellĠaccedere a servizi quali la sanit, gli sportelli per lĠimpiego, ecc.); le
politiche di cittadinanza (rivolte
a tutta la popolazione; gli immigrati regolari vi accedono a parit di
condizioni con gli italiani).
Che
cosa, allora, preferibile e da valorizzare: le politiche e gli interventi
specifici o quelli generali? Il buon senso suggerirebbe di mantenere un
equilibrio, ma una riflessione pi accurata fa dire a Zincone [2000, 106] che,
pi delle politiche specificamente dirette allĠimmigrazione, conta la qualit
generale delle politiche di integrazione sociale: essa condiziona infatti la capacit
di rispondere alla sfida migratoria, essendo il piedistallo su cui si
costruiscono anche gli interventi specifici. Ottime politiche ad hoc
in assenza di servizi ordinari di integrazione sociale sarebbero semplicemente
specchietti per le allodole. Al contrario, una buona base di servizi sociali,
in termini di qualit e accessibilit, garantisce un livello minimo di
integrazione anche in una situazione di carenza di politiche ÇdedicateÈ.
Tornando allora alla questione dellĠattendibilit degli indicatori di spesa
delle amministrazioni comunali per gli immigrati, un altro elemento di
debolezza deriva dal fatto che la necessit di interventi ad hoc
potrebbe diminuire laddove i servizi legati alla cittadinanza sociale sono
facilmente accessibili. Non corretto insomma postulare una proporzionalit
diretta tra il peso degli interventi specifici per lĠintegrazione e lo spessore
del pacchetto di diritti di cittadinanza di cui gli stranieri possono godere
[Busso 2007]. Guardare unicamente alla spesa per gli interventi specifici porta
a sovrastimare la dimensione ÇemergenzialeÈ del fenomeno, a scapito degli
aspetti strutturali tipici dei paesi di immigrazione in cui la popolazione
immigrata tende a stabilizzarsi. Ci non significa, si badi bene, svalutare o
non considerare gli interventi rivolti ai migranti, soprattutto quando sono
finalizzati a facilitare una reale fruibilit di alcuni servizi (si pensi ad un
settore delicato quale lĠassistenza sanitaria, in cui le differenze culturali
giocano un ruolo non di poco conto).
Ricostruire
la mappa della cittadinanza sociale degli immigrati non pu comunque
prescindere dallĠosservazione di un quadro pi ampio, in cui si tiene conto non
solo delle politiche socialiÇdedicateÈ, ma del complesso degli interventi e
servizi sociali a livello locale.
3.
Dai servizi per gli immigrati al welfare complessivo
La
lunga marcia del processo di regionalizzazione non sembra aver attenuato le
distanze tra nord e sud, che rimane tuttora la frattura fondamentale
nellĠevoluzione delle politiche del welfare in
Italia. Segnali di convergenza si sono invece registrati nel centro-nord per
quanto riguarda le diverse impostazioni delle maggioranze politiche regionali:
in particolare, cĠ stato un avvicinamento tra un modello tipicamente ÇrossoÈ,
improntato sulla rete di servizi sociali pubblica, e un modello ÇpluralistaÈ,
pi cauto e orientato a salvaguardare e valorizzare il terzo settore [Fargion
1998]. Se il centro-nord si progressivamente emancipato rispetto alla
definizione di welfare familista[11],
con cui viene etichettato il modello italiano di stato sociale, il mezzogiorno
non ha invece avviato un reale percorso verso la ÇdefamilizzazioneÈ delle
funzioni di care. Come noto, il divario tra nord e sud
riguarda comunque in primo luogo la sfera economica. A questo proposito,
occorre notare che nellĠultimo quindicennio lo sviluppo economico del
mezzogiorno rallentato: mentre le altre regioni dellĠUnione Europa definite a
Çritardo di sviluppoÈ[12]
hanno avuto un andamento che segnala un miglioramento (di entit pi o meno
rilevante), in Italia, invece, la situazione addirittura peggiorata (il
numero delle regioni svantaggiate passato da quattro a cinque[13]).
E lo scenario non migliora neppure passando dallĠUnione a 15 stati a quella a
25 stati: la situazione di svantaggio del sud del nostro paese permane grave
anche se comparata con i nuovi paesi membri [Ponzini 2006].
Ritornando
alla sfera del welfare, uno dei primi dati che
colpisce la distanza tra i comuni del sud e del nord rispetto alla spesa nel settore socio-assistenziale[14]
(vedi tavola 3). A fronte di una media nazionale di 92 euro pro capite,
ampiamente superata dalla maggior parte dei comuni del centro-nord, i comuni
del sud spendono appena 38 euro per abitante e la Calabria tocca il punto pi
basso con una spesa di 27 euro. Addentrandoci nei dettagli della spesa (vedi
tavola 4) e, in particolare, analizzando le classi di utenza, si nota come le
differenze pi eclatanti tra mezzogiorno e centro-nord non sono tanto nelle
spese finalizzate agli interventi specifici per gli immigrati, quanto nelle
spese riservate a famiglia e minori (37 euro pro capite al sud contro una media
dei comuni del centro-nord che si aggira sui 120 euro), nelle spese per la cura
dei disabili (448 euro al sud contro pi di 2000 euro pro capite nel resto del
paese, escludendo Sicilia e Sardegna) e per la cura degli anziani (46 euro al
sud a fronte di cifre superiori a 100 euro nel centro-nord). Detto questo,
bisogna aggiungere che oltre i due terzi delle persone e delle famiglie in
condizione di povert relativa sono concentrati nel mezzogiorno e che la
percentuale di famiglie con disabili pi elevata al sud che al centro-nord
[Ministero del Lavoro 2003]. Mentre sulle spese relative agli immigrati si
poteva sostenere che le pi basse risorse economiche messe in campo dai comuni
del mezzogiorno sono in parte da imputare ad una minore popolazione straniera
residente, sulle altre spese socio-assistenziali vero il contrario: nei
comuni del sud si spende meno pur in presenza di un numero maggiore di persone
in situazione di bisogno.
In
generale, un gran numero di regioni del sud spende per abitante una cifra che
si situa tra il 30% e il 50% in meno rispetto alle regioni
centro-settentrionali. Il dato relativo alla spesa nellĠarea famiglia e minori
particolarmente significativo anche ai fini di unĠanalisi che punta a
ricostruire una mappa dei diritti sociali degli immigrati in Italia.
UnĠimmigrazione
che, anche al sud, comincia ad assumere una connotazione familiare, non pu che
essere penalizzata dalla scarsit di investimenti nel settore degli interventi
di sostegno alle famiglie. Ad essere carenti sono soprattutto i servizi per la
prima infanzia, fondamentali per incentivare il lavoro femminile, il quale a
sua volta potrebbe dare pi respiro dal punto di vista economico alle famiglie
di immigrati (non solo!), caratterizzate generalmente dalla presenza di un male
breadwinner con redditi medio-bassi. La presenza di una sola fonte di
reddito costituisce infatti uno dei fattori che espone le famiglie al rischio
di povert economica (soprattutto in presenza di figli minori) e di
emarginazione sociale in caso di perdita del lavoro dellĠunico componente che
percepisce uno stipendio. Anche su questo fronte emerge un divario tra le
regioni del nord, in cui le coppie con minori mono reddito non superano il 15%,
e le regioni del sud, in cui questo il modello prevalente, rappresentando
quasi il 30% delle famiglie [Ranci 2002]. DĠaltro canto, unĠosservazione dei
dati sulla copertura del servizio degli asili nido a livello territoriale
mostra chiaramente lĠimpronta familista del welfare
meridionale, che demanda in gran parte alla famiglia la cura dei bambini
piccoli (tavola 5).
LĠindice
di copertura territoriale degli asilo nido registra che, su cento bambini di
et compresa tra 0 e 2 anni, al sud solo 41 possono usufruire del servizio,
mentre al centro-nord i fruitori sono esattamente il doppio. LĠindice di
copertura pi basso (32%) spetta alla Campania, che anche la regione del sud
con la maggiore presenza di stranieri.
Rimanendo
nellĠarea famiglia e minori, un altro dato significativo riguarda le strutture
residenziali, di cui sono forniti solo il 32% dei comuni del sud a fronte di
una media nazionale del 62% e di una copertura dellĠ83% da parte dei comuni del
nord-est. Anche lĠindicatore sulla presa in carico degli utenti evidenzia che
al nord la presa in carico della popolazione di riferimento quasi doppia
rispetto al sud (tavola 6).
Tavola 3 - Spesa
per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per regione e
ripartizione geografica - Anno 2004 (valori
assoluti , percentuali e spesa media pro-capite)[15]
REGIONE E
RIPARTIZIONE GEOGRAFICA |
Spesa(1) |
Spesa media pro-capite |
|
Valori assoluti |
Valori percentuali |
||
Piemonte |
533.564.093 |
9,9 |
124,1 |
Valle d'Aosta(2) |
42.200.920 |
0,8 |
344,6 |
Lombardia |
974.492.199 |
18,1 |
104,6 |
Trentino - Alto Adige |
249.733.410 |
4,6 |
257,8 |
Bolzano - Bozen(3) |
136.600.810 |
2,5 |
288,0 |
Trento(4) |
113.132.600 |
2,1 |
228,9 |
Veneto |
442.355.415 |
8,2 |
94,7 |
Friuli - Venezia Giulia |
178.874.516 |
3,3 |
148,9 |
Liguria |
164.538.880 |
3,1 |
103,8 |
Emilia - Romagna |
610.461.972 |
11,4 |
148,3 |
Toscana |
415.758.895 |
7,7 |
116,1 |
Umbria |
66.132.884 |
1,2 |
77,5 |
Marche |
140.936.680 |
2,6 |
93,2 |
Lazio |
536.397.543 |
10,0 |
102,4 |
Abruzzo |
67.111.034 |
1,2 |
51,9 |
Molise |
13.909.251 |
0,3 |
43,2 |
Campania |
213.498.725 |
4,0 |
37,0 |
Puglia |
159.710.139 |
3,0 |
39,4 |
Basilicata |
26.580.770 |
0,5 |
44,5 |
Calabria |
54.164.328 |
1,0 |
26,9 |
Sicilia |
320.430.174 |
6,0 |
64,0 |
Sardegna |
166.762.210 |
3,1 |
101,3 |
Nord-ovest |
1.714.796.092 |
31,9 |
111,9 |
Nord-est
|
1.481.425.313 |
27,5 |
135,2 |
Centro |
1.159.226.002 |
21,6 |
103,6 |
Sud |
534.974.247 |
9,9 |
38,1 |
Isole |
487.192.384 |
9,1 |
73,2 |
ITALIA |
5.377.614.038 |
100,0 |
92,4 |
Fonte:
Istat 2007.
Tavola 4 - Spesa
per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per area di
utenza e per ripartizione geografica – Anno 2004 (valori medi pro-capite[16]).
Regione e ripartizione geografica |
Famiglie e minori |
Anziani |
Disabili |
Disagio adulti |
Immigrati |
Dipendenze |
Multiutenze |
Totale |
Nord-ovest |
123,7 |
145,1 |
2.588,7 |
9,5 |
42,3 |
0,9 |
7,5 |
111,9 |
Nord-est |
135,5 |
173,2 |
4.181,6 |
11,4 |
60,4 |
1,9 |
8,7 |
135,2 |
Centro |
109,5 |
101,5 |
2.169,3 |
14,9 |
81,7 |
1,2 |
8,0 |
103,6 |
Sud |
36,5 |
45,6 |
448,3 |
4,4 |
36,7 |
0,5 |
3,5 |
38,1 |
Isole |
64,2 |
96,8 |
1.285,0 |
10,6 |
87,9 |
1,2 |
2,7 |
73,2 |
ITALIA |
89,9 |
115,8 |
1.889,0 |
9,8 |
57,9 |
1,1 |
6,3 |
92,4 |
Fonte:
Istat 2007
Tavola
5 – Gli asili nido(1) :
indicatori territoriali – Anno 2004
REGIONE E RIPARTIZIONE GEOGRAFICA |
Percentuale di comuni coperti dal
servizio |
Indice di copertura territoriale del
servizio(a) (per 100 persone) (b) |
Indicatore di presa in carico degli
utenti(c) (per 10.000 persone)(b) |
|
Nord-ovest |
43 |
80 |
1.246 |
|
Nord-est |
46 |
79 |
1.284 |
|
Centro |
35 |
80 |
1.164 |
|
Sud |
12 |
41 |
232 |
|
Isole |
22 |
63 |
594 |
|
ITALIA |
34 |
67 |
897 |
|
|
|
|
|
|
(1) Questa voce comprende sia
le strutture che le rette per gli asilo nido. |
||||
(a) Popolazione di riferimento
che risiede in un comune in cui presente il servizio considerato rispetto
al totale della popolazione di riferimento della regione o della
ripartizione. |
||||
(b) Popolazione di
riferimento: popolazione di et compresa tra 0 e 2 anni. |
||||
(c) Utenti rispetto al totale
della popolazione di riferimento della regione o della ripartizione. |
Fonte:
Istat 2007.
Tavola
6 – Le strutture residenziali(1) nellĠarea famiglia e
minori: indicatori
territoriali – Anno 2004
REGIONE E RIPARTIZIONE GEOGRAFICA |
Percentuale di comuni coperti dal
servizio |
Indice di copertura territoriale del
servizio(a) (per 100 persone) (b) |
Indicatore di presa in carico degli
utenti(c) (per 10.000 persone)(b) |
|
Nord-ovest |
78 |
91 |
18 |
|
Nord-est |
83 |
89 |
15 |
|
Centro |
54 |
84 |
14 |
|
Sud |
32 |
67 |
9 |
|
Isole |
35 |
74 |
16 |
|
ITALIA |
62 |
80 |
14 |
|
(1) Questa voce comprende sia
le strutture che le rette per le prestazioni residenziali. |
||||
(a) Popolazione di riferimento
che risiede in un comune in cui presente il servizio considerato rispetto
al totale della popolazione di riferimento della regione o della
ripartizione. |
||||
(b) Popolazione di
riferimento: persone appartenenti a famiglie con almeno un minore. |
||||
(c) Utenti rispetto al totale
della popolazione di riferimento della ripartizione. |
Fonte:
Istat 2007.
Se
dalle politiche socio-assistenziali passiamo alla sanit -un altro segmento di policy
rilevante nellĠintegrazione degli immigrati- ci ritroviamo ancora di fronte ad
una situazione di marginalit del sud.
A partire dalla seconda met degli anni novanta, la razionalizzazione
del settore ha portato ad una riduzione generale degli ospedali, a cui
seguita una riduzione dei posti letto, particolarmente vistosa nel mezzogiorno
e che si associa ad una bassa dotazione di strutture residenziali e
semi-residenziali. Il sud risulta comunque svantaggiato anche per quanto
riguarda i posti letto in day hospital e
lĠassistenza domiciliare integrata. Altre carenze poi si rilevano a livello di
dotazione tecnologica negli ospedali pubblici e privati accreditati: nel sud i
macchinari sono sia pi carenti come quantit, sia pi vecchi e quindi
maggiormente soggette a guasti (con conseguenti interruzioni dei servizi ai
cittadini) [Corcione 2006].
Una
traduzione dei dati appena presentati in termini di diritti fruibili porta a
concludere che sul territorio nazionale ci sono cittadinanze sociali pi forti
e pi deboli e che il luogo geografico in cui ci si trova a vivere, o che viene
eletto come propria residenza, ha una notevole influenza sulla forza della
cittadinanza, al di l delle attribuzioni formali. Nel proseguo del saggio si
cerca di mettere a tema le origini e le implicazioni di quanto i dati hanno
fotografato.
4.
Regionalizzazione:verso la
legittimazione delle disuguaglianze?
La letteratura politologica da alcuni anni sta dedicando una certa attenzione ai governi locali [Bobbio 2002; Baccetti 1999; Goldsmith M., Klausen K.K. 1997]. La letteratura sullĠimmigrazione, in particolare, considera questo livello il contesto privilegiato per osservare le dinamiche di integrazione degli immigrati: dallĠinizio degli anni duemila si assistito ad un fiorire di studi che hanno come oggetto di indagine le citt, spesso le grandi citt, le cities [Pennix et al. 2004, Ireland 2004, Caponio 2006]. Si comincia insomma a guardare ai contesti regionali e locali come contenitori di cittadinanza, soprattutto per quanto riguarda i diritti di welfare e, allo stesso tempo, sembra che stia maturando un riconoscimento della rilevanza della dimensione locale della cittadinanza stessa. Ci chiediamo allora quali sono in Italia i fattori che concorrono ad accentuare il localismo dei diritti.
Non
sarebbe certamente corretto imputare al processo di regionalizzazione lĠorigine
dei localismi. Di fatto, il divario tra nord e sud del paese viene da lontano e
si inquadra in un ritardo nello sviluppo economico-industriale del sud, laddove
gi a livello nazionale lo sviluppo stato tardivo rispetto ai principali
paesi europei. UnĠindagine condotta nel 1953 dalla Commissione parlamentare
di inchiesta sulla miseria e sui mezzi per combatterla
documentava un forte dualismo a livello di reddito pro capite (in media 138
dollari per il nord e 58 per il sud) e allo stesso tempo sottolineava la
debolezza del sistema assistenziale nelle regioni meridionali, con problemi sia
di disponibilit finanziaria, sia di dotazione di strutture [Ponzini 2006].
Semmai, si pu affermare che la regionalizzazione si innesta in una situazione
di disuguaglianze territoriali pre esistenti, ma che -nel momento in cui punta
al superamento di un eccessivo centralismo- corre il rischio di perpetuare o
addirittura peggiorare le disuguaglianze stesse.
Il tema del welfare
locale, dunque, si colloca allĠinterno di un trade-off
tra lĠesigenza di superare le profonde disuguaglianze territoriali del sistema
italiano [É] e quella di superare lĠassetto tradizionalmente assicurativo e
centralistico del sistema di welfare a favore
dello sviluppo, connotato territorialmente, di un welfare
di servizi. [Ranci 2005, 10].
Il welfare
state in Italia, comunque, ha seguito una parabola tipica dei paesi europei: si
passati da un processo di nazionalizzazione[17]
(principalmente attraverso le assicurazioni sociali obbligatorie), iniziato
allĠinizio del novecento e consolidato negli anni cinquanta e sessanta, ad un
processo di regionalizzazione del welfare, che
coincide con lĠistituzione delle regioni nel 1970. In questa prima fase di decentramento,
in realt, i vincoli allĠazione delle regioni sono rimasti importanti (per
esempio ogni atto delle regioni doveva essere approvato da Roma per diventare
operativo; inoltre il potere di una tassazione autonoma era decisamente
limitato). Tuttavia, tanto bastato perch alcune regioni del nord -mettendo a
frutto le proprie eredit storiche di cultura civica e capacit istituzionale-
riuscissero a sfruttare i margini di manovra aperti dal nuovo assetto,
soprattutto in settori cruciali, dal punto di vista della spesa di welfare,
come sono la sanit e lĠassistenza sociale [Ferrera 2005]. A partire dagli anni
novanta, il processo di regionalizzazione ha avuto unĠaccelerazione, dovuta sia
a fattori esterni quali il trattato di Maastricht del 1992, che impone agli
stati membri un impegno nel risanamento finanziario, sia a fattori interni
legati alla crisi di legittimit dei partiti a seguito degli scandali di
Tangentopoli. Due sono le iniziative pi rilevanti: la prima, contenuta nella
legge n. 59/1997, ha come obiettivo un sostanziale decentramento di materie e
funzioni dello stato alle regioni e alle autonomie locali. Viene rafforzata
lĠautonomia tributaria di regioni, comuni e province e garantita una
discrezionalit molto maggiore nelle proprie spese; inoltre viene creato un
nuovo Fondo di Solidariet allĠinterno del Ministero del Tesoro, finalizzato
alla distribuzione tra le regioni. La seconda iniziativa riguarda un progetto
di riforma costituzionale allo scopo di istituire un vero sistema federale (legge
costituzionale n.1/1999 con la quale viene introdotta lĠelezione diretta dei
presidenti della Regione, la possibilit per le regioni di adottare un proprio
statuto e di autoderminare la forma di governo). Nel 2001 si poi arrivati
alla completa riscrittura del titolo V della Costituzione (legge cost. n.
3/2001) che ha attribuito alle regioni delle competenze esclusive in unĠampia
variet di settori. Il referendum del 2006 sulla devolution
ha comunque bocciato la proposta di una completa trasformazione in stato
federale. Questo processo ha avuto un notevole impatto su diversi programmi di welfare,
che sono diventati in gran parte competenza delle regioni. Analizzando le aree
di policy legate alla sanit, allĠassistenza sociale, al mercato del
lavoro e alle pensioni integrative, Ferrera [2005] descrive una dinamica di
differenziazione regionale piuttosto accentuata. Le implicazioni sulla vita
concreta delle persone notevole in quanto la differenziazione nelle regioni
italiane riguarda non solo la qualit della protezione sociale, ma anche
lĠaccessibilit, lĠintensit e la portata [Ferrera 2005, 202]. EĠ sotto gli
occhi di tutti, per esempio, la mobilit a livello sanitario che porta molte
persone del sud bisognose di cure particolari a trasferirsi negli ospedali del
nord, spesso pi attrezzati ed efficienti. Un altro elemento che va nella
direzione di una maggiore autonomia delle regioni, questa volta nello specifico
ambito della issue immigrazione, pu essere
individuato nella legge finanziaria del 2003 (legge n.289/2002), che ha fatto
confluire il Fondo Nazionale per le Politiche Migratorie (istituito dalla legge
Turco-Napolitano del 1998) allĠinterno del Fondo per le Politiche Sociali,
ripartito alle regioni senza vincolo di destinazione. Se dunque prima le
regioni avevano lĠobbligo di destinare una quantit di risorse economiche
prefissata in interventi a favore degli immigrati (risorse che poi venivano
trasferite ai comuni sulla base della presentazione di progetti), dal 2003 ogni
regione sceglie in base alla propria sensibilit sul tema se e quanto stanziare
per questo tipo di politiche.
Per
chiarire, la valorizzazione di un welfare
locale non nasce dallĠintento di abbandonare la lotta alle disuguaglianze
territoriali, obiettivo perseguito nei decenni delle grandi riforme sulla
scuola, negli anni sessanta, e sulla sanit negli anni settanta e ottanta.
Piuttosto, si fa strada lĠidea di reinventare un nesso tra protezione sociale e
sviluppo economico e produttivo, considerando il welfare
come un vero e proprio investimento e non un semplice costo [Esping-Andersen
2002]. Inoltre, questi provvedimenti sono ispirati dalla tensione verso un
avvicinamento dei cittadini allĠesercizio delle funzioni pubbliche, che tanto
pi possibile quanto pi i livelli di governo vicini ai cittadini hanno
funzioni rilevanti riguardo al proprio territorio. Non si pu tuttavia ignorare
che negli anni ottanta lĠascesa di partiti etno-regionalisti come le Leghe ha
dato un forte impulso alle richieste delle regioni del nord in direzione di una
maggiore autonomia e, nello stesso tempo, di una minore redistribuzione delle
risorse verso il sud. Nel campo delle politiche del welfare la Lega Nord invoca anche il riconoscimento di
speciali privilegi (per esempio nel campo educativo o abitativo) riservati ai
ÇregionaliÈ opposti ai Çnon-regionaliÈ [Ferrera 2005].
In
questo quadro, dunque, concreto il rischio di vedere proclamata dalle riforme
una sorta di legittimit degli squilibri: si rischia cio di passare dal
tentativo di superare il divario nord-sud alla regionalizzazione delle
differenze, nelle quali la povert di partenza si riflette in un pi ridotto
accesso ai diritti sociali [Pugliese 2006]. Detto in altro termini, le riforme
in senso federale, applicate senza alcun correttivo (o con modesti correttivi)
rischiano di approfondire il solco che separa nord e sud in quanto a servizi di
welfare e -nel momento in cui permettono con pi agilit ad alcuni
contesti di eccellere mostrando le proprie competenze istituzionali e la
propria attenzione verso i diritti sociali- rischiano di condannare i cittadini
di alcune regioni ad un ulteriore impoverimento dei propri diritti.
Note
per unĠagenda di ricerca
A
questo punto possibile tracciare una geografia della cittadinanza sociale dei
migranti in Italia? I dati che abbiamo riportato e la linea di argomentazione
scelta da questo saggio hanno privilegiato il mettere in evidenza le
differenziazioni e gli squilibri tra nord e sud del paese, al fine di mettere
in guardia sul perseguimento di un federalismo miope, che rischia di creare
vere e proprie voragini nei diritti sociali di italiani e immigrati. Sappiamo
comunque che il sud non unĠarea omogenea, standardizzata su cittadinanze
sociali deboli, inefficienza amministrativa, basso grado di sviluppo economico,
ecc.. Da una parte, anche nel mezzogiorno ci sono contesti territoriali
particolarmente vivaci, dal punto di vista dello sviluppo economico, e
caratterizzati da amministrazioni locali ÇilluminateÈ; dallĠaltra, bisogna
considerare che i dati statistici non dicono tutto e andrebbero integrati da
rilevazioni pi puntuali e qualitative. Per fare un esempio, nel Rapporto
annuale del Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, la
Campania si classifica per ultima (preceduta da Calabria, Sicilia e Molise).
Leggendo il dato in termini puramente statistici lĠimmagine senza dubbio
sconfortante, ma se si guarda alle iniziative concrete, che soprattutto la
Regione sta portando avanti, emerge un tentativo di miglioramento a partire dal
2001: lĠattivazione di corsi di alfabetizzazione in ogni provincia, lĠapertura
di sportelli di orientamento e informazione, la costruzione di strutture di
accoglienza, gli interventi di formazione culturale per mediatori e ÇbadantiÈ,
e altro ancora [Caritas 2006].
Allo
stesso modo, il centro e il nord sono aree composite, caratterizzate da stili
amministrativi differenziati, che derivano da tradizioni politiche
profondamente radicate, a dispetto degli enormi cambiamenti nel sistema
politico e partitico
locale.
EĠ chiaro dunque che parlare genericamente di nord e sud una semplificazione,
utile a fini analitici, ma non esaustiva della reale articolazione
territoriale.
Come
si diceva nellĠintroduzione, le riforme in senso regionalista rendono
particolarmente interessante lo sviluppo di una ricerca approfondita e
dettagliata, che punti a mappare le regioni italiane sulla base delle politiche
in cui hanno acquisito rilevanti poteri di governo: le politiche sociali, di
loro esclusiva competenza, ma anche le politiche sanitarie, le politiche
abitative (fondamentali, tra lĠaltro, per una buona integrazione degli
immigrati e su cui cĠ carenza di analisi complete), le politiche dello
sviluppo locale (anche queste di competenza regionale esclusiva). UnĠindagine siffatta
dovrebbe innanzi tutto testare gli effetti delle autonomie acquisite e
verificare se, come e quanto le regioni hanno preso sul serio le nuove
competenze e i nuovi poteri. Inoltre, si dovrebbe puntare a verificare se e in
che misura il regionalismo ha degli effetti (e quali) sullĠannosa questione
delle disuguaglianze su base geografica e, in particolare, sullĠannosa
Çquestione meridionaleÈ. Utilizzando i concetti e gli strumenti della policy
analysis dovrebbe emergere per ogni politica la composizione del network
di attori impegnati, i rispettivi ruoli e, in particolare, i rapporti tra
attori istituzionali e attori della societ civile (privato sociale, ma anche
organizzazioni di categoria e sindacati). In una parola, dovrebbe emergere la
dimensione della governance, costitutiva delle politiche
pubbliche.
NellĠambito
di una tale ricerca sarebbe realizzabile anche lĠobiettivo di tracciare una
mappa della cittadinanza sociale degli immigrati, integrando e facendo
dialogare i dati relativi agli interventi ÇdedicatiÈ con quelli delle politiche
che hanno come destinatari tutti i residenti in un dato territorio. Lo studio
delle politiche per gli immigrati ne sarebbe certamente arricchito e potrebbe
uscire dalle sacche di unĠanalisi del fenomeno che non di rado tende ad essere
parziale, proprio perch non tiene sufficientemente conto della strutturale
trasversalit di questo tipo di politica, che si sovrappone, si mischia e, allo
stesso tempo, si nutre dellĠinsieme delle politiche locali, nonch del grado
complessivo di efficienza delle amministrazioni regionali, provinciali e
comunali.
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[1] Gli stati nazionali sono sempre stati segnati da diversit di tanti tipi e hanno da sempre dovuto fare i conti con esse. Si pensi alla diversit tra le tradizioni e la cultura urbana e quelle rurali; alle differenze religiose; alle minoranze linguistiche e culturali presenti in molti stati [Pennix et al. 2004].
[2] Tutto ci avvenuto in un momento storico in lĠimmigrazione era entrata con forza nellĠagenda politica, tanto che era stata appena varata la legge Martelli (n.39/1990 ) con la conseguente sanatoria.
[3] In Italia lo stato di denizen corrisponde al possesso della Carta di Soggiorno, che si pu ottenere dopo almeno 6 anni di residenza regolare.
[4] QuestĠultima possibilit ha fatto parlare di denizens di serie A (i cittadini di un qualche paese Ue, che per esempio godono anche del diritto di voto a livello locale in tutti gli stati membri) e di serie B (gli stranieri non provenienti da un paese Ue).
[5] La medesima proposta stata ripresa nel 2004 da Gianfranco Fini, senza che si arrivasse a decisioni concrete.
[6] La Dichiarazione dei Diritti Umani approvata nel 1948 dallĠassemblea delle Nazioni Unite rimane il primo e pi importante documento in proposito. A partire a questo hanno ottenuto un sostegno internazionale anche altre dichiarazioni, per esempio sulla messa al bando di strumenti come la tortura, e di forme di discriminazione contro donne e bambini; anche la promozione dei diritti dei migranti ha ottenuto riconoscimenti a livello internazionale [Bretherton 1996].
[7] Di questo dibattito si sono occupati molti filosofi politici; citiamo tra tutti Taylor C. [1992] e Habermas J. [1992].
[8] Kymlicka offre alcuni esempi concreti di cosa intende per riconoscimento di diritti culturali; essi riguardano i simboli statali, le festivit pubbliche, la lingua che Çimplicano il riconoscimento, il lĠaccettazione e il sostegno delle esigenze e delle identit di specifici gruppi etnici e nazionali. Lo stato inevitabilmente aiuta determinate identit culturali e pertanto ne danneggia altreÈ [1999, 188, trad. it. di 1995]. Egli cita le festivit pubbliche nei paesi di grande immigrazione, che attualmente rispecchiano le esigenze dei cristiani e che possono svantaggiare chi aderisce ad unĠaltra fede. Lo stesso vale per i codici di abbigliamento nelle divise ufficiali: non proibiscono di portare le fedi nuziali (simbolo religioso per i cristiani), mentre per esempio proibiscono ai sikh e agli ebrei ortodossi di essere esentati dalle regole sullĠuso dei copricapo nella polizia e nelle forze armate.
[9] I questionari raccolti sono stati 250 su 660 (il 38%). Si rimanda a Caponio [2006] per ulteriori dettagli sulle caratteristiche dei comuni che hanno risposto di pi al questionario. Qui segnaliamo solo che il maggior tasso di risposta si verificato nei comuni del nord e, in particolare, nei comuni capoluogo (ovvero laddove lĠimmigrazione una issue pi pressante).
[10] UnĠindagine dellĠIstat [2005] segnala che, su 296 centri di accoglienza per immigrati attivi nel 2003, 250 si trovano al Nord, 26 al Centro e solo 20 nel Sud e nelle Isole. Inoltre, pi di due terzi di tali centri, cos come dei posti letto, sono concentrati in unĠunica regione (lĠEmilia-Romagna).
[11] Il modello familista di welfare si caratterizza per una bassa spesa sociale, una bassa offerta di servizi e un alto livello di attivazione della famiglia [Caltabiano 2004].
[12] Con questa espressione si fa riferimento alle regioni con un Pil pro capite inferiore di almeno un quarto alla media euopea.
[13] La Basilicata lĠunica regione in crescita nel sud. Calabria, Sardegna e Molise hanno ridotto il proprio indice di qualche punto, mentre Abruzzo, Puglia, Campania e Sicilia sono nettamente in caduta [Ponzini 2006].
[14] Nelle indagini dellĠIstat [2005 e 2007] la classificazione dellĠutenza degli interventi socio-assistenziali procede in accordo alla legge quadro sullĠassistenza n.328/2000 e comprende sette categorie: famiglie e minori, disabili, dipendenze, anziani, immigrati, disagio adulti, multiutenza.
[15]
Per spesa si intendono gli impegni di spesa (relativi al 2004) di comuni e
associazioni di comuni finalizzati allĠerogazione dei servizi e degli
interventi socio-assistenziali. Sono incluse le spese per il personale, per
lĠaffitto di immobili o attrezzature e per lĠacquisto di beni e servizi (spesa
gestita direttamente). Nel caso in cui il servizio venga gestito da altre
organizzazioni (ad esempio: cooperative sociali) la spesa data dai costi
dellĠaffidamento a terzi del servizio (spesa gestita indirettamente).
[16]
1) I valori medi pro-capite sono il rapporto tra la spesa e la popolazione di
riferimento per ogni area di utenza. La popolazione di riferimento per l'area famiglia e minori costituita dal numero
di componenti delle famiglie con almeno un minore calcolati dai dati del
Censimento della popolazione 2001. La popolazione di riferimento per lĠarea
disabili costituita dal numero di disabili che
vivono in famiglia come risulta dallĠindagine Multiscopo sulle ÇCondizioni di
salute e ricorso ai servizi sanitariÈ, anno 2004-2005 e dal numero di disabili
ospiti nelle strutture residenziali come risultano dalla ÇRilevazione
statistica sui presidi residenziali socio-assistenzialiÈ anno 2004. La
popolazione di riferimento per lĠarea dipendenze costituita dalla popolazione
con et maggiore di anni 15 (anno
2004). La popolazione di riferimento per lĠarea anziani costituita dalla
popolazione con et maggiore di anni 65 (anno 2004). La popolazione di
riferimento per lĠarea immigrati e nomani costituita dagli immigrati
residenti (ano 2004). La popolazione di riferimento per lĠarea disagio adulti
costituita dalla popolazione con et compresa tra i 18 e i 65 anni (anno 2004).
La popolazione di riferimento per lĠarea multiutenza costituita dalla
popolazione residente (anno 2004).
[17] Il processo di nazionalizzazione tipico dellĠesperienza europea nel momento in cui, per rafforzare gli stati nazionali, si cerca di ridurre al minimo le differenze regionali, retaggio -soprattutto in Italia- dei diversi regimi precedenti alla costruzione della nazione.