QUANDO LA CITTADINANZA DIVENTA LOCALE: IMMIGRAZIONE E DIRITTI SOCIALI IN ITALIA

 

Francesca Campomori

(Universitˆ di Bologna)

 

 

 

 

Introduzione

La configurazione istituzionale della cittadinanza fondata sullo stato nazione risponde sempre meno alla realtˆ dei fatti. Ci˜ vale in particolare per i diritti di cittadinanza sociale, che in Europa hanno avuto un ruolo di primo piano nel processo di costruzione degli stati nazionali, rafforzando le identitˆ culturali e contribuendo a promuovere la lealtˆ dei cittadini verso le istituzioni pubbliche [Ferrera 2005]. LĠintegrazione europea e i processi migratori sono i due fattori pi dirompenti nella sfida alla concezione della cittadinanza alla Marshall. Si tratta di fenomeni senza dubbio diversi, ma che hanno in comune il fatto di agire prevalentemente (ma non solo) sui diritti sociali, riducendo la sovranitˆ nazionale su questo aspetto, o per dirla in altri termini, costringendo gli stati nazionali ad allentare le maglie riguardo ai propri confini. Come  noto, i confini sono una componente fondamentale della cittadinanza moderna e corrispondono alla necessitˆ di costruire una membership funzionale a sviluppare il senso di lealtˆ di cui si diceva poco sopra e, contemporaneamente, a stabilire con chiarezza chi  dentro e chi  fuori (gli insider e gli outsider). La cittadinanza infatti  sempre stata caratterizzata da unĠambivalenza: da una parte si presenta come fattore di inclusione e di uguaglianza; dallĠaltra,  uno strumento di esclusione e di chiusura sociale [Brubaker 1992]. Non scandalizza, nŽ stupisce, dunque, il fatto che essa strutturalmente operi una separazione anche spaziale tra la comunitˆ dei cittadini e degli outsiders. Cinquanta anni fa Marshall dava per scontato che la cittadinanza fosse per definizione nazionale e questo era il suo punto di partenza per discutere sul tema. Negli ultimi decenni il nesso tra cittadinanza e nazionalitˆ  invece decisamente pi debole e i confini tra cittadini e non cittadini sono pi laschi, meno definiti. Rimandiamo a Ferrera [2005] lĠapprofondimento del fattore Çintegrazione europeaÈ e circoscriviamo la nostra riflessione alle conseguenze dellĠimmigrazione sulla morfologia della cittadinanza.

Da qualche decennio agli stranieri vengono accordati un certo numero di diritti che fino a poco tempo fa erano appannaggio dei nazionali:  questo trend ha fatto dire ad alcuni studiosi che la cittadinanza si sta trasformando da nazionale a post-nazionale, o universale [Soysal 1994]. Si tratta di unĠipotesi affascinante e che peraltro contiene degli elementi di veritˆ, ma che tace completamente sulla differenza tra la titolaritˆ dei diritti (entitlement) e lĠeffettivo godimento (endowment): se la prima  in gran parte uguale e garantita dalle legislazioni dei vari paesi di immigrazione, la seconda invece  fortemente condizionata dalle decisioni prese a livello di istituzioni politiche locali, dal tessuto associativo presente in un certo territorio e -pi in generale- dal processo di policy locale con tutte le variabili che esso comporta (colore politico delle giunte, efficienza delle amministrazioni, stili di governo, relazione tra pubblica amministrazione e privato sociale, per citarne alcune). Non  da sottovalutare, inoltre, che gli stranieri, anche quelli lungo residenti, solo in pochi paesi godono di (alcuni) diritti politici, che sappiamo indispensabili per partecipare alla formulazione e implementazione delle politiche. Gli stessi diritti sociali riconosciuti, se non supportati da una base di diritti politici, potrebbero essere facilmente revocati.

Il saggio si propone tre obiettivi: 1) mostrare come il fenomeno migratorio di fatto ha giˆ modificato le caratteristiche della cittadinanza tradizionale e continua a porre interrogativi e dilemmi sulla definizione dei diritti classificabili come diritti di cittadinanza. 2) Facendo riferimento al caso italiano, si intende analizzare il carattere locale assunto dalla cittadinanza, come emerge nelle politiche a favore degli immigrati. Non  certo un mistero, tuttavia, che le differenze nei diritti su base geografica riguardano anche gli stessi italiani di nascita e di residenza, visto che i nostri comuni, al pari delle province e delle regioni, sono caratterizzati da forte frammentazione e spiccata eterogeneitˆ. Recenti ricerche documentano infatti il permanere di una notevole discrepanza tra diritti godibili nel nord e nel sud dellĠItalia. La fruibilitˆ dei diritti di cittadinanza sociale degli immigrati, allora, si innesta in un quadro pi generale di frammentazione della geografia della cittadinanza sociale [Fargion 1998], che nei suoi aspetti fondanti  riconducibile al tradizionale dualismo italiano. 3) Da qui consegue il terzo obiettivo: contestualizzare la nostra riflessione gettando uno sguardo complessivo agli interventi e ai servizi sociali dei comuni italiani. QuestĠultima parte si propone soprattutto di delineare unĠagenda di ricerca, che pare pi che mai opportuna e proficua a seguito delle riforme in senso federalista che hanno contrassegnato lĠultimo decennio. EĠ pur vero che la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 prevede che lĠimmigrazione (in quanto regolazione dei flussi, controllo della componente irregolare e definizone delle norme sulla cittadinanza) rimanga materia di competenza esclusiva dello Stato, ma gli interventi a favore degli immigrati sono inscrivibili nellĠarea dei servizi sociali, tutela della salute, assistenza scolastica, formazione professionale, edilizia residenziale pubblica, che sono di competenza regionale esclusiva (fatta eccezione per la tutela della salute, che  materia a competenza regionale concorrente).

 

1. Cittadinanza e stato nazionale: un legame ancora plausibile?

La concezione moderna di cittadinanza  rintracciabile prima nellĠassolutismo e poi negli stati liberali. La cittadinanza perde progressivamente il suo carattere aristocratico ed elitario (quindi la connotazione cetuale), mentre si arricchisce di elementi etnici e culturali con i quali affermare i confini della membership. Ci˜ avviene soprattutto in seguito alla rivoluzione francese, che opera una fusione dei concetti di stato e nazione [Faulks 2000]. Da allora la cittadinanza, almeno come dichiarazione di principio, prevede unĠeguaglianza giuridica di tutti i cittadini in quanto detentori della sovranitˆ popolare (sappiamo comunque che passeranno secoli prima che si arrivi ad una eguaglianza reale tra i generi e tra le classi sociali). Da questo momento in poi, inoltre, la cittadinanza si lega a doppio filo al concetto di nazione, mitizzando (e allo stesso tempo perseguendo) unĠomogeneitˆ etnica e culturale degli stati nazionali, che di fatto non ha mai corrisposto alla realtˆ[1]. Il cittadino viene definito allo stesso tempo come Çnon pi sudditoÈ e membro della nazione; si crea cio un nesso fra il godimento di determinati diritti e lĠappartenenza ad una organizzazione politica. La cittadinanza comincia allora ad esprimere sia uno status politico-giuridico, sia il vincolo per cui si  parte di una qualche comunitˆ [Zolo 1994]. In altre parole, si cristallizza il nesso tra diritti e appartenenza allo stato-nazione, che Marshall negli anni Cinquanta continua a rivendicare come fondamentale per definire la cittadinanza.

Un ulteriore sviluppo della cittadinanza moderna riguarda la dimensione sociale, ovvero unĠespansione nel contenuto della cittadinanza (diritti sociali) e nei beneficiari dei diritti (lavoratori, donne, bambini). Secondo Marshall la progressiva estensione dei beneficiari dei diritti civili e politici avrebbe aperto la strada allĠaffermazione dei diritti sociali, che nascono con lĠobiettivo di ÇsanareÈ le disuguaglianze prodotte dal mercato. LĠespansione, tuttavia,  sempre stata inclusiva verso lĠinterno, nel senso che i diritti degli individui sono stati definiti in base alla loro comune appartenenza ad un particolare stato.

Ogni stato ha poi stabilito proprie norme che sanciscono la modalitˆ attraverso cui la cittadinanza pu˜ essere ottenuta e trasmessa da una generazione allĠaltra. UnĠinteressante classificazione delle comunitˆ politiche -che punta a far luce sugli aspetti pi rilevanti dellĠammissione e dellĠesclusione dai diritti di cittadinanza-  quella di del filosofo Michael Walzer [1987], secondo cui le comunitˆ nazionali possono essere pensate come famiglie, come circoli e club e come quartieri. Queste metafore si possono ordinare in una scala che nei gradini pi bassi comprende comunitˆ particolarmente restrittive riguardo allĠaccesso di nuovi membri (la concezione della cittadinanza come famiglia, in cui non si pu˜ prescindere dai legami di sangue); vi sono poi comunitˆ in cui si pu˜ entrare a patto che si passi il vaglio di chi  giˆ membro di diritto (i circoli e i club), fino ad arrivare -nei gradini pi alti-  a comunitˆ in cui invece la membership  aperta e non sono richiesti requisiti particolari per diventarne parte (il quartiere, in cui chiunque si pu˜ trasferire senza dover sottostare ad un vaglio per lĠammissione). Trattandosi di metafore non si riscontrano ovviamente delle sovrapposizioni precise e puntuali con gli ordinamenti dei singoli paesi; si rileva tuttavia che la prevalenza del diritto di sangue come criterio di accesso alla cittadinanza  paradigmatico della concezione della cittadinanza come famiglia. Fino alla riforma del 1999 la Germania ha rappresentato un tipico esempio di questa concezione, mentre lĠItalia ne mantiene tuttora i lineamenti, tanto che alcuni studiosi parlano a questo proposito di Çfamilismo legaleÈ [Zincone 2006]. Gli elementi portanti della legge che regolamenta attualmente questa materia (legge n.91/1992) sono lĠacquisizione della cittadinanza per discendenza (ius sanguinis) e per matrimonio (ius conubii). Di fatto, rispetto alla precedente legge del 1912 (n.55) sono stati rinforzati i privilegi per gli stranieri di origine italiana, esplicitando dunque lo sbilanciamento verso un criterio dei preferenza co-etnica, ovvero nei confronti di chi appartiene alla nazione grazie a qualche parente[2], magari anche molto lontano [Zincone 2006]. La stravaganza del modo italiano di regolare lĠaccesso alla condizione di cittadino emerge soprattutto in riferimento al contesto europeo, nel quale  in corso una convergenza delle normative verso lĠadozione di modelli che lasciano pi spazio ad un processo di naturalizzazione che combina il diritto di sangue con il diritto di suolo (ius soli, secondo cui la nascita sul territorio dovrebbe far ottenere la cittadinanza in maniera quasi automatica) [Weil 2001].

Come si  appena visto, ciascun modo di vedere la cittadinanza e di definire la comunitˆ politica implica una maggiore o minore facilitˆ nellĠottenimento della cittadinanza stessa come status legale. Ogni ÇmodelloÈ, insomma, risponde in modo diverso alla tensione che si  venuta a creare negli ultimi decenni tra la rigiditˆ territoriale del sistema degli stati e la mobilitˆ territoriale delle popolazioni. Questo infatti  il vero nodo problematico che mette in discussione il legame tra cittadinanza e stato-nazione: a partire dal secondo dopoguerra lĠemergere del fenomeno migratorio, unito certamente ad altri fattori che vanno genericamente sotto lĠetichetta di globalizzazione, ha portato ad un deperimento del concetto di stato-nazione e -nello specifico del nostro tema- ad un indebolimento del nesso stato-appartenenza-diritti di cittadinanza.

EĠ qualcosa di pi di una sfida teorica: le migrazioni internazionali hanno giˆ in parte mutato la tradizionale concezione di membership e superato la dicotomia che contrapporrebbe i cittadini e gli stranieri. Pur non facendo parte dello stato nazionale pleno iure, infatti, gli immigrati sono ammessi alla titolaritˆ di alcuni diritti, che fino a tempi recenti erano appannaggio dei ÇnazionaliÈ [Soysal 1994]. Il termine denizen, introdotto da Hammar [1990], nasce proprio dalla constatazione dellĠesistenza di una categoria nuova di individui che non sono cittadini, ma godono di alcuni diritti di cittadinanza (o di molti, ma non di tutti). Dal punto di vista della ÇtopografiaÈ della cittadinanza  [Baubšck 1997], diventa allora  necessario operare una distinzione tra i diritti conferiti da una cittadinanza piena (nominal citizenship) e quelli che derivano dallĠessere residenti di lungo periodo in un certo paese (denizenship). Accanto allo status del denizen[3], raggiungibile solo a condizione di una permanenza di lungo periodo in uno stato, esiste comunque anche lo status dello straniero tout court (non legato da criteri temporali di residenza). Anche lo straniero gode di alcuni diritti (alien rigths) che dipendono semplicemente dal fatto di essere in uno stato. I confini tra alien e denizen sono in realtˆ piuttosto fluidi e soggetti ad una certa variazione a seconda del paese al quale ci si riferisce. Nella maggioranza dei casi, inoltre, la durata temporale della residenza non  lĠunico elemento che soddisfa i requisiti per ottenere i diritti legati alla denizenship, ma esistono anche altri criteri quali la stabilitˆ di un impiego, o il possesso della cittadinanza di uno stato dellĠUe [Baubšck 1997, 31][4].

Gli stessi diritti di denizenship non sono i medesimi in tutti i paesi di immigrazione: la differenza principale risiede probabilmente nella concessione dei diritti politici e, in particolare, nel diritto di voto. NellĠUnione Europea i paesi che attualmente permettono la partecipazione dei denizens alle elezioni locali sono: lĠIrlanda (dal 1963), la Svezia (dal 1976), la Danimarca (dal 1981), la Norvegia (dal 1979), lĠOlanda (dal 1985), il Belgio e la Spagna (dal 2000). Per quanto riguarda lĠItalia, nellĠimpianto originario di quella che  diventata la legge n.40/1998, allĠarticolo 38 era previsto il diritto di voto locale esteso ai non comunitari, ma lĠarticolo fu poi stralciato dal corpo della legge[5]. Alcuni comuni  -a seguito delle maggiori competenze a loro assegnate dal Testo Unico sugli enti locali del 2001- hanno avviato procedure per inserire il voto degli immigrati a livello comunale, ma tutte queste iniziative hanno ricevuto pareri negativi dal Consiglio di Stato [Zincone 2006].

La condizione giuridica della semicittadinanza (denizenship) attualmente in Europa costituisce il pi diffuso meccanismo di inclusione nei sistemi di welfare, ma bisogna ricordare che lĠaccesso ai servizi di protezione sociale  subordinato anche ai diritti collegati allo status legale del migrante (una classificazione variegata e complessa): regolare con permesso di soggiorno, regolare con carta di soggiorno, regolare stabilizzato, richiedente asilo, rifugiato, irregolare, clandestino [Spinelli 2005]. Ognuna di queste etichette  dunque collegata ad un pacchetto specifico di diritti.

 

 

 

1.1.Verso una cittadinanza post-nazionale?

Seguendo la terminologia proposta da Hammar [1990] esistono anche altre due categorie di diritti: i diritti connessi alla cittadinanza esterna (quando si possiede la cittadinanza nominale di uno stato ma non si risiede in esso) e i diritti umani universali -pi interessanti nel quadro della nostra analisi-  che non dipendono nŽ dal possesso di una cittadinanza nominale, nŽ dalla residenza in un certo stato. I diritti umani -che dal secondo dopoguerra sono stati oggetto di grande attenzione nella legislazione internazionale[6]- costituiscono lĠunica vera forma di cittadinanza universale [Baubšck 1997].

Il riconoscimento dellĠimportanza dei diritti umani in quanto diritti dei cittadini in senso lato ha portato alcuni studiosi [Soysal 1994, Jacobson 1996] a teorizzare la nascita di una membership post-nazionale, che supererebbe cio sia lĠattuale assetto statuale della cittadinanza, sia quello territoriale: i diritti di appartenenza verrebbero ridefiniti come diritti umani, che spettano agli individui in quanto persone e non in quanto membri di uno stato-nazione (appartenenza formale) o -come sembra delineare il modello della denizenship- in quanto residenti in esso (residenza territoriale). Partendo dallĠesperienza dei lavoratori ospiti (guest workers) in Europa, Soysal [1994] argomenta che giˆ allo stato attuale lĠimportanza crescente dei diritti umani ha come conseguenza una diminuita rilevanza dei benefici connessi alla cittadinanza: i lavoratori ospiti infatti si sono visti riconoscere un nutrito pacchetto di diritti sociali e civili pur non essendo cittadini. Questa studiosa arriva a dire che la significativitˆ dei diritti di cittadinanza  talmente ridotta che ormai i diritti dei non cittadini non sono poi cos“ diversi da quelli dei cittadini [Soysal 1994,44].

Una riconcettualizzazione della cittadinanza  certamente auspicabile alla luce dei processi migratori e su questo punto sono in molti a trovarsi dĠaccordo con Soysal; tuttavia il suo modello di cittadinanza post-nazionale ha incontrato non poche critiche. Per cominciare, cĠ chi ha osservato che se  vero che i guest workers godono da non cittadini dei diritti sociali e civili, non  da sottovalutare il fatto che non sono in possesso dei diritti politici, indispensabili per partecipare alla formulazione e implementazione delle politiche. In mancanza dei diritti politici gli immigrati rimangono perlopi oggetto passivo della policy dello stato, piuttosto che partecipanti attivi [Faulks 2000]. Come fa notare Ambrosini [2005, 217], i diritti sociali, se non sono supportati da una base di diritti politici, rischiano di restare fragili e revocabili, quasi si trattasse di una concessione dei cittadini nei confronti di outsider a cui non si intende attribuire il beneficio pieno dellĠappartenenza. In definitiva, rimangono pur sempre cittadini di serie B. Un altro ordine di critiche riguarda il fatto che, lungi dallĠaver perso ogni potere, gli stati-nazionali gestiscono in maniera praticamente unilaterale i flussi di immigrati in ingresso nel proprio territorio e -anche quando gli immigrati sono giˆ sul territorio nazionale- lo stato ha la facoltˆ di introdurre delle discriminazioni legali per garantire ai propri cittadini un diritto di prioritˆ nellĠaccesso alle risorse e alle opportunitˆ [Zanfrini 2007,59]. Allo stesso modo, le leggi sullĠaccesso alla cittadinanza sono di competenza esclusivamente dei singoli stati nazionali senza vincoli sovranazionali, se non quelli imposti appunto dai diritti umani. Il modello post-nazionale sembra anche peccare di una certa ingenuitˆ o eccessivo ottimismo riguardo al reale godimento dei diritti sociali e civili da parte degli immigrati: sono sempre possibili infatti politiche di immigrazione pi restrittive in seguito, per esempio, a cambiamenti nelle coalizioni di governo; una possibilitˆ che -come si suggeriva poco sopra- deriva anche dalla mancanza dei diritti politici degli immigrati. Infine, ammesso che si concordi sullĠassunto per cui i diritti della persona trascendono quelli dei cittadini, rimane il fatto che essi sono comunque ancora realizzati in gran parte attraverso lĠappartenenza ad uno stato.

 

1.2. In cerca di riconoscimento: i diritti culturali

I diritti per gli immigrati complicano il quadro della teoria della cittadinanza anche in un altro senso: che riconoscimento  opportuno concedere alle culture degli immigrati? Esistono dei Çdiritti culturaliÈ?  E se esistono, con quale modalitˆ possono essere goduti? Chi se ne fa garante?

La cultura  unĠarea esclusa dal mainstream delle teorie della cittadinanza. Secondo la teoria liberale la sfera politica  ÇuniversaleÈ, mentre quella culturale deve essere confinata al privato: si ritiene pertanto necessario separare i diritti e i doveri di un individuo dalla sua appartenenza a gruppi che si fondano sullĠetnicitˆ, la religione, la classe sociale. In realtˆ, osservano Castles e Davidson [2000], ci˜  in conflitto con la stessa formazione dello stato-nazione, che attribuisce lo status di cittadino a seconda dellĠappartenenza alla comunitˆ culturale dominante: per diventare pienamente cittadini  infatti necessario adottare la cultura delle maggioranza.

Il dibattito sui diritti culturali, comunque,  una declinazione della contrapposizione pi generale tra diritti collettivi e diritti individuali di cittadinanza[7]; dibattito che vede liberali e comunitari su due opposti schieramenti e che Kymlicka [1995], da liberale, ha cercato di mediare riconoscendo la possibilitˆ di diritti collettivi, quali appunto quelli culturali delle minoranze etniche allĠinterno di uno stato, o degli immigrati. Kymlicka ha cio cercato di dimostrare che la concessione di diritti differenziati ai membri delle minoranze  compatibile con la concezione liberale della libertˆ individuale.

Secondo i principi liberali della libertˆ e della eguaglianza  lĠindividuo ad avere valore morale e non il gruppo, inteso per esempio come la famiglia o la comunitˆ etnica; le decisioni delle istituzioni politiche e la concessione dei diritti devono pertanto mirare al benessere dei singoli  cittadini e non a promuovere gli scopi collettivi di un gruppo di qualsiasi tipo. Differenziare i diritti secondo lĠappartenenza di gruppo (quindi appunto contemplare diritti culturali) viene vista dai liberarli come una deviazione dai propri principi, mentre viene rivendicato come un provvedimento necessario da una concezione collettivista o comunitaria della cittadinanza.

LĠargomento principale con cui Kymlicka sostiene che i principi liberali non sono violati da diritti culturali di gruppo riguarda il nesso che egli pone tra liberˆ e cultura: la libertˆ secondo lĠautore  intimamente legata alla cultura e dipende da essa; pertanto la tutela della cultura delle minoranze pu˜ favorire lĠestensione della libertˆ degli individui, che  il fine delle concezioni liberali. La cultura a cui egli fa riferimento  una cultura sociale che viene cos“ definita:

Una cultura che conferisce ai propri membri modi di vivere dotati di senso in un ampio spettro di attivitˆ umane, ivi comprese la vita sociale, formativa, religiosa, ricreativa ed economica, nonchŽ la sfera pubblica come quella privata. [É] Ho chiamato questo tipo di cultura ÔsocialeĠ per sottolineare che essa implica la condivisione non solo di ricordi e valori, ma anche di istituzioni e pratiche [Kymlicka 1999, 135, trad. it di 1995].

 

In pratica, secondo questo filosofo gli individui hanno bisogno di un contesto culturale come quello sopra descritto per fare scelte dotate di senso, per fare delle scelte libere; per questo -semplificando lĠargomentazione-  importante sostenere le culture sociali dei gruppi etnici immigrati (o delle minoranze linguistiche allĠinterno degli stati) e andare verso quella che lui chiama una Çcittadinanza multiculturaleÈ[8].

Kymlicka propone tre tipi di diritti di gruppo: i diritti di auto governo per le minoranze allĠinterno degli stati; i diritti polietnici volti a proteggere le identitˆ di gruppo attraverso finanziamenti pubblici alle minoranze culturali e infine i diritti speciali di rappresentanza che aspirano a garantire una rappresentanza delle minoranze nelle istituzioni politiche. Si tratta insomma di non negare le differenze culturali ma di riconoscerle come parte essenziale di uno stato multiculturale.

Tuttavia, quando dalla teoria si passa alla pratica, diventa difficile concretamente ÇgestireÈ la molteplicitˆ di culture e soprattutto trovare dei criteri per decidere quali vanno tutelate; tanto che alcuni paesi come lĠOlanda, partiti con le migliori intenzioni di riconoscimento delle culture, nel giro di una decina di anni si sono convertiti ad un maggior assimilazionismo.

In definitiva, Kymlicka ha certamente il merito di aver sollevato alcuni dilemmi che lĠimmigrazione pone alla teoria della cittadinanza liberale, in particolare i problemi che nascono da societˆ che non sono pi omogenee dal punto di vista delle Çculture socialiÈ (se mai lo sono state). Anche concordando con la sua tesi rimane comunque lĠinterrogativo di come decidere in modo non arbitrario quali sono i gruppi che meritano diritti speciali. Resta inoltre il nodo, impossibile da risolvere, che riguarda la pretesa di disporre di un repertorio fisso di culture da difendere, a meno che per culture degli immigrati non si faccia riferimento allo stato di provenienza (la qual cosa  chiaramente assurda). I diritti culturali sono un incentivo istituzionale a mettere in atto il bricolage culturale, dal momento che non si sa dove finisce una cultura e ne comincia unĠaltra. EĠ sempre in agguato, infine, il rischio di esacerbare le tensioni sia tra maggioranza e minoranza, sia tra le stesse minoranze in cerca di riconoscimento.

 

2. La dimensione locale della cittadinanza sociale in Italia: uno sguardo ai servizi per gli immigrati

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, la linea di demarcazione alieni-cittadini fa sempre pi acqua: esistono ormai posizioni intermedie, linee grigie che spesso diventano a lungo termine e non semplicemente temporanee. Non stiamo parlando, ovviamente, dellĠattribuzione della cittadinanza in senso giuridico, che invece ha ancora confini precisi stabiliti dagli stati nazionali, quanto della possibilitˆ da parte degli stranieri di essere titolari di diritti storicamente concessi solo ai cittadini pleno iure. A questo punto sorge spontaneo un interrogativo: se la cittadinanza si denazionalizza [Bosniak 2001], quale sta diventando la sua location principale?

La letteratura sul tema negli ultimi anni ha posto un forte accento sulla dimensione sovranazionale, empiricamente riscontrabile, per esempio, nella maggiore attenzione ai diritti umani universali, o nel processo di integrazione europea (pensiamo alla cittadinanza europea, che ha realizzato uno spazio sovranazionale di circolazione e residenza, arricchendo i diritti dei cittadini dei paesi membri); meno attenzione  stata invece riservata alle implicazioni locali nel godimento dei diritti, ovvero alla dimensione sub-nazionale della cittadinanza. Tuttavia, se lĠentitlement dei diritti  effettivamente collocabile anche nel livello sovranazionale, lĠendowment dipende fortemente dai contesti locali: regionali o addirittura comunali. EĠ quanto si riscontra in Italia con particolare riferimento, come si diceva, ai diritti sociali, che creano le maggiori difficoltˆ alla teoria della cittadinanza, poichŽ la loro concessione agli immigrati non cittadini (in alcuni casi anche agli irregolari e ai clandestini) fa emergere con chiarezza il distacco tra diritti di cittadinanza e stato-nazione.

In termini generali la legislazione italiana nei confronti degli immigrati  avanzata sul fronte delle politiche sociali, almeno per quanto attiene lĠespansione delle aree di intervento a favore degli stranieri. Questa immagine positiva  per˜ inficiata dallĠosservazione di uno squilibrio lampante tra i diritti che i migranti hanno sulla carta e quelli concretamente fruibili [Pugliese 2006].

Numerosi sono i dati che rivelano una sorta di mappa del Çlocalismo dei dirittiÈ. Cominciamo con unĠindagine condotta nel 2002 dal Dipartimento per le politiche sociali dellĠAnci e che riguarda i comuni con pi di 15.000 abitanti. Scopo dello studio era censire numero e tipo di servizi per gli stranieri offerti dagli enti locali. La rilevazione ha scontato un tasso di caduta notevole per quanto riguarda il ritorno dei questionari[9], ma ci˜ sembra non inficiare la possibilitˆ di proporre unĠidea abbastanza fedele della distribuzione degli interventi delle amministrazioni comunali [Caponio 2006]. I risultati contribuiscono a tratteggiare una spaccatura tra centro-nord e sud del paese: lĠofferta di servizi socio-sanitari ÇdedicatiÈ  presente nel 10,2% dei comuni del sud, nel 18,7% dei comuni del nord e nel 33,3 % di quelli del centro; i posti letto per stranieri sono disponibili nel 23,7% dei comuni del sud, nel 46,1% al nord e nel 33,3% al centro[10]; la consulenza legale per i rifugiati  disponibile nel 11,8% dei comuni del sud, nel 23,4% di quelli del nord e nel 27% di quelli del centro; gli sportelli informativi sono attivi nel 30,5% dei comuni del sud, nel 66,4% dei comuni del nord e nel 79,4% dei comuni del centro; infine, i servizi di mediazione culturale sono attivi nel 28,8% dei comuni del sud, nel 56,2% di quelli del nord e nel 52,4% di quelli del centro.

DallĠanalisi dei servizi dei comuni allĠanalisi delle spese a favore degli immigrati. Il rapporto dellĠIstat [2007] mostra che le regioni meridionali spendono per gli immigrati percentuali piuttosto basse, si potrebbe dire quasi residuali (vedi tavola 1). Questo dato, comunque, va letto tenendo conto che la presenza di immigrati nellĠItalia centro-settentrionale  molto pi consistente e questo spiega in parte perch in valori assoluti la spesa per gli stranieri  quattro volte pi alta. Guardando i dati relativi alla percentuale di spesa riservata agli immigrati, nellĠambito del complesso degli interventi e servizi sociali dei comuni, si osserva una marcata differenza regionale. A differenza del centro e del nord-est, le regioni nord occidentali si collocano sotto la media nazionale, insieme alle regioni del sud e alle isole. Tale rigonfiamento delle cifre nel centro Italia trova una spiegazione nel fatto che a Roma si concentrano particolari gruppi sociali di immigrati a cui sono indirizzati pi intereventi rispetto alla norma, come ad esempio i rifugiati politici [Pugliese 2006]. EĠ chiaro che questo incide anche sulla media italiana, che viene innalzata. UnĠanalisi accurata e dunque maggiormente significativa richiederebbe di rapportare gli indici di spesa alla popolazione immigrata effettivamente  residente in ogni area; in mancanza di tale dato, qui ci accontentiamo di valutare una tendenza. Per quanti spuri i dati ci consegnano uno scenario in cui, pur se con alcune differenze, le macro-aree del centro e del nord  presentano valori abbastanza omogenei, mentre il sud spicca per le cifre nettamente pi basse.

 

Tavola 1 - Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per area di utenza e per regione e ripartizione geografica – Anno 2004 (valori percentuali e assoluti)

Ripartizione

geografica

AREA DI UTENZA

 

Famiglie e minori

 

Anziani

 

Disabili

 

Disagio adulti

 

Immigrati

 

Dipendenze

 

Multiutenze

 

Totale

 

Valori percentuali di riga

 

Nord-ovest

39,2

 

26,7

 

19,2

 

5,4

 

2,0

 

0,7

 

6,7

 

100,0

 

Nord-est

35,7

 

26,2

 

22,5

 

5,4

 

2,4

 

1,2

 

6,5

 

100,0

 

Centro

38,6

 

20,5

 

19,4

 

9,1

 

3,7

 

1,0

 

7,7

 

100,0

 

Sud

46,2

 

20,1

 

14,8

 

7,4

 

1,3

 

1,1

 

9,1

 

100,0

 

Isole

41,2

 

23,0

 

20,1

 

9,2

 

1,5

 

1,4

 

3,7

 

100,0

 

ITALIA

39,0

 

24,2

 

19,8

 

6,8

 

2,4

 

1,0

 

6,8

 

100,0

 

Ripartizione

geografica

AREA DI UTENZA

Famiglie e minori

 

Anziani

 

Disabili

 

Disagio adulti

 

Immigrati

 

Dipendenze

 

Multiut.

 

Totale

Valori assoluti

Nord-ovest

673.017.046

 

458.309.945

 

329.325.761

 

93.278.960

 

33.444.593

 

12.543.952

 

114.875.835

 

1.714.796.092

Nord-est

529.005.118

 

388.658.001

 

333.674.289

 

79.936.985

 

36.191.706

 

18.304.245

 

95.654.969

 

1.481.425.313

Centro

447.324.149

 

237.239.617

 

224.760.701

 

105.837.997

 

43.307.387

 

11.691.757

 

89.064.394

 

1.159.226.002

Sud

247.328.155

 

107.473.978

 

79.316.780

 

39.353.422

 

7.154.000

 

5.746.969

 

48.600.943

 

534.974.247

Isole

200.512.811

 

112.056.520

 

98.117.517

 

44.729.618

 

7.158.540

 

6.764.021

 

17.853.357

 

487.192.384

ITALIA

2.097.187.279

 

1.303.738.061

 

1.065.195.048

 

363.136.982

 

127.256.226

 

55.050.944

 

366.049.498

 

5.377.614.038

Fonte: Istat 2007.

 

Gli indici di spesa comunali che riguardano lĠarea immigrazione a nostro avviso sono comunque indicatori strutturalmente controversi: in primo luogo, come giˆ rilevato, gli immigrati non sono distribuiti in maniera omogenea sul territorio e, tuttavia, non disponiamo di una distribuzione che tenga conto del rapporto tra spesa e numero di immigrati a livello territoriale. Anche se questo dato fosse disponibile, non ci permetterebbe di valutare se un comune o una regione spende meno per gli immigrati perchŽ gli stranieri residenti hanno meno bisogno di interventi ad hoc (magari perchŽ sono giˆ ben integrati), o perchŽ invece sottovalutano e/o si disinteressano delle loro necessitˆ. Bisogna infatti considerare, e questo  un altro elemento che rende controverso lĠindicatore di spesa, che gli immigrati regolari fruiscono anche dei servizi socio-sanitari ed educativi al pari degli italiani, mentre i dati Istat si riferiscono alle spese sostenute  dai comuni per interventi e servizi specificamente rivolti agli stranieri e che fanno riferimento per buona parte alla dimensione dellĠassistenza e della prima accoglienza. Nella tavola 2 si pu˜ vedere infatti che il 30% della spesa nellĠarea immigrati riguarda le strutture residenziali o semi-residenziali e un altro 26% riguarda trasferimenti in denaro assegnati soprattutto come contributo per lĠalloggio (33%) e come integrazione al reddito familiare (26,7%). EĠ ovvio che da questi dati rimane in ombra lĠinvestimento degli enti locali nei servizi e nelle strutture in cui utenti italiani e stranieri regolari accedono in condizioni di paritˆ (asili nido, edilizia pubblica, servizi sanitari); rimane in ombra cio la fetta di investimento economico a favore degli immigrati in quanto cittadini, senza ulteriori specifiche che derivano da una possibile condizione di disagio. Non  difficile ipotizzare, tuttavia, che proprio questo sia lĠinvestimento pi consistente e a lungo termine.

 

Tavola 2 – Area immigrati: spesa dei comuni per singoli interventi e servizi sociali. Totale Italia - Anno 2004 (valori assoluti e percentuali)

VOCI DI SPESA

Spesa

Percentuale di spesa su totale macro area

Percentuale di spesa su totale area

                                    INTERVENTI E SERVIZI

 

 

 

Attvitˆ di servizio sociale professionale

     21.971.683

           45,2

            17,3

Integrazione sociale

     19.146.320

           39,4

            15,0

Interventi e servizi educativo-assistenziali  e per l'inserimento lavorativo

     4.602.359

             9,5

             3,6

Assistenza domiciliare

       1.761.709

             3,6

              1,4

Servizi di supporto

      1.086.940

             2,2

             0,9

Totale interventi e servizi

     48.569.011

          100,0

           38,2

                                  TRASFERIMENTI IN DENARO

 

Retta per prestazioni residenziali

              5.293.769

                     15,7

                      4,2

Contributi economici per alloggio

             11.249.700

                    33,4

                      8,8

Contributi economici ad integrazione del reddito familiare

              8.980.027

                    26,7

                       7,1

Contributi generici ad associazioni sociali

              3.632.389

                     10,8

                      2,9

Altro

                 2.271.511

                      13,3

                       3,5

Totale trasferimenti in denaro per il pagamento di interventi e servizi

   33.649.297

          100,0

           26,4

                                 STRUTTURE

 

Totale strutture a ciclo diurno o semi-residenziale

       4.791.871

            10,6

             3,8

Totale strutture comunitarie e residenziali

   37.862.729

            84,1

           29,8

Pronto intervento sociale (unitˆ di strada, ecc.)

      2.383.318

             5,3

              1,9

Totale strutture

     45.037.918

          100,0

           35,4

Totale  spesa per immigrati

   127.256.226

 

          100,0

Fonte: Istat 2007.

Questo tema mette in luce un aspetto non secondario per chi si avvicina allo studio delle politiche per gli immigrati, ovvero la necessitˆ di distinguere tra le politiche rivolte in modo specifico agli immigrati e le politiche generali di integrazione sociale, a cui anche gli stranieri accedono, ma non in quanto stranieri. Due potrebbero essere i criteri di distinzione: 1) le competenze delle politiche (dirette: lĠintegrazione  lĠobiettivo principale; indirette: lĠintegrazione  declinata allĠinterno di temi pi specifici quali la sanitˆ, lĠistruzione, il lavoro, ecc.); 2) i beneficiari finali delle politiche (gli immigrati in maniera esclusiva o tutta la popolazone). Sulla base di questi criteri Busso [2007, 460] propone una tipologia che individua quattro classi di politiche per gli immigrati: le politiche di accoglienza (rivolte unicamente agli immigrati); le politiche di convivenza (rivolte a tutta la popolazione); le politiche di settore (rivolte unicamente agli immigrati, puntano a compensare lo svantaggio degli stranieri nellĠaccedere a servizi quali la sanitˆ, gli sportelli per lĠimpiego, ecc.); le politiche di cittadinanza (rivolte a tutta la popolazione; gli immigrati regolari vi accedono a paritˆ di condizioni con  gli italiani).

Che cosa, allora,  preferibile e da valorizzare: le politiche e gli interventi specifici o quelli generali? Il buon senso suggerirebbe di mantenere un equilibrio, ma una riflessione pi accurata fa dire a Zincone [2000, 106] che, pi delle politiche specificamente dirette allĠimmigrazione, conta la qualitˆ generale delle politiche di integrazione sociale: essa condiziona infatti la capacitˆ di rispondere alla sfida migratoria, essendo il piedistallo su cui si costruiscono anche gli interventi specifici. Ottime politiche ad hoc in assenza di servizi ordinari di integrazione sociale sarebbero semplicemente specchietti per le allodole. Al contrario, una buona base di servizi sociali, in termini di qualitˆ e accessibilitˆ, garantisce un livello minimo di integrazione anche in una situazione di carenza di politiche ÇdedicateÈ. Tornando allora alla questione dellĠattendibilitˆ degli indicatori di spesa delle amministrazioni comunali per gli immigrati, un altro elemento di debolezza deriva dal fatto che la necessitˆ di interventi ad hoc potrebbe diminuire laddove i servizi legati alla cittadinanza sociale sono facilmente accessibili. Non  corretto insomma postulare una proporzionalitˆ diretta tra il peso degli interventi specifici per lĠintegrazione e lo spessore del pacchetto di diritti di cittadinanza di cui gli stranieri possono godere [Busso 2007]. Guardare unicamente alla spesa per gli interventi specifici porta a sovrastimare la dimensione ÇemergenzialeÈ del fenomeno, a scapito degli aspetti strutturali tipici dei paesi di immigrazione in cui la popolazione immigrata tende a stabilizzarsi. Ci˜ non significa, si badi bene, svalutare o non considerare gli interventi rivolti ai migranti, soprattutto quando sono finalizzati a facilitare una reale fruibilitˆ di alcuni servizi (si pensi ad un settore delicato quale lĠassistenza sanitaria, in cui le differenze culturali giocano un ruolo non di poco conto).

Ricostruire la mappa della cittadinanza sociale degli immigrati non pu˜ comunque prescindere dallĠosservazione di un quadro pi ampio, in cui si tiene conto non solo delle politiche socialiÇdedicateÈ, ma del complesso degli interventi e servizi sociali a livello locale.

 

3. Dai servizi per gli immigrati al welfare complessivo

La lunga marcia del processo di regionalizzazione non sembra aver attenuato le distanze tra nord e sud, che rimane tuttora la frattura fondamentale nellĠevoluzione delle politiche del welfare in Italia. Segnali di convergenza si sono invece registrati nel centro-nord per quanto riguarda le diverse impostazioni delle maggioranze politiche regionali: in particolare, cĠ stato un avvicinamento tra un modello tipicamente ÇrossoÈ, improntato sulla rete di servizi sociali pubblica, e un modello ÇpluralistaÈ, pi cauto e orientato a salvaguardare e valorizzare il terzo settore [Fargion 1998]. Se il centro-nord si  progressivamente emancipato rispetto alla definizione di welfare familista[11], con cui viene etichettato il modello italiano di stato sociale, il mezzogiorno non ha invece avviato un reale percorso verso la ÇdefamilizzazioneÈ delle funzioni di care. Come  noto, il divario tra nord e sud riguarda comunque in primo luogo la sfera economica. A questo proposito, occorre notare che nellĠultimo quindicennio lo sviluppo economico del mezzogiorno  rallentato: mentre le altre regioni dellĠUnione Europa definite a Çritardo di sviluppoÈ[12] hanno avuto un andamento che segnala un miglioramento (di entitˆ pi o meno rilevante), in Italia, invece, la situazione  addirittura peggiorata (il numero delle regioni svantaggiate  passato da quattro a cinque[13]). E lo scenario non migliora neppure passando dallĠUnione a 15 stati a quella a 25 stati: la situazione di svantaggio del sud del nostro paese permane grave anche se comparata con i nuovi paesi membri [Ponzini 2006].

Ritornando alla sfera del welfare, uno dei primi dati che colpisce  la distanza tra i comuni del sud e  del nord rispetto alla spesa nel settore socio-assistenziale[14] (vedi tavola 3). A fronte di una media nazionale di 92 euro pro capite, ampiamente superata dalla maggior parte dei comuni del centro-nord, i comuni del sud spendono appena 38 euro per abitante e la Calabria tocca il punto pi basso con una spesa di 27 euro. Addentrandoci nei dettagli della spesa (vedi tavola 4) e, in particolare, analizzando le classi di utenza, si nota come le differenze pi eclatanti tra mezzogiorno e centro-nord non sono tanto nelle spese finalizzate agli interventi specifici per gli immigrati, quanto nelle spese riservate a famiglia e minori (37 euro pro capite al sud contro una media dei comuni del centro-nord che si aggira sui 120 euro), nelle spese per la cura dei disabili (448 euro al sud contro pi di 2000 euro pro capite nel resto del paese, escludendo Sicilia e Sardegna) e per la cura degli anziani (46 euro al sud a fronte di cifre superiori a 100 euro nel centro-nord). Detto questo, bisogna aggiungere che oltre i due terzi delle persone e delle famiglie in condizione di povertˆ relativa sono concentrati nel mezzogiorno e che la percentuale di famiglie con disabili  pi elevata al sud che al centro-nord [Ministero del Lavoro 2003]. Mentre sulle spese relative agli immigrati si poteva sostenere che le pi basse risorse economiche messe in campo dai comuni del mezzogiorno sono in parte da imputare ad una minore popolazione straniera residente, sulle altre spese socio-assistenziali  vero il contrario: nei comuni del sud si spende meno pur in presenza di un numero maggiore di persone in situazione di bisogno.

In generale, un gran numero di regioni del sud spende per abitante una cifra che si situa tra il 30% e il 50% in meno rispetto alle regioni centro-settentrionali. Il dato relativo alla spesa nellĠarea famiglia e minori  particolarmente significativo anche ai fini di unĠanalisi che punta a ricostruire una mappa dei diritti sociali degli immigrati in Italia.

UnĠimmigrazione che, anche al sud, comincia ad assumere una connotazione familiare, non pu˜ che essere penalizzata dalla scarsitˆ di investimenti nel settore degli interventi di sostegno alle famiglie. Ad essere carenti sono soprattutto i servizi per la prima infanzia, fondamentali per incentivare il lavoro femminile, il quale a sua volta potrebbe dare pi respiro dal punto di vista economico alle famiglie di immigrati (non solo!), caratterizzate generalmente dalla presenza di un male breadwinner con redditi medio-bassi. La presenza di una sola fonte di reddito costituisce infatti uno dei fattori che espone le famiglie al rischio di povertˆ economica (soprattutto in presenza di figli minori) e di emarginazione sociale in caso di perdita del lavoro dellĠunico componente che percepisce uno stipendio. Anche su questo fronte emerge un divario tra le regioni del nord, in cui le coppie con minori mono reddito non superano il 15%, e le regioni del sud, in cui questo  il modello prevalente, rappresentando quasi il 30% delle famiglie [Ranci 2002]. DĠaltro canto, unĠosservazione dei dati sulla copertura del servizio degli asili nido a livello territoriale mostra chiaramente lĠimpronta familista del welfare meridionale, che demanda in gran parte alla famiglia la cura dei bambini piccoli (tavola 5).

LĠindice di copertura territoriale degli asilo nido registra che, su cento bambini di etˆ compresa tra 0 e 2 anni, al sud solo 41 possono usufruire del servizio, mentre al centro-nord i fruitori sono esattamente il doppio. LĠindice di copertura pi basso (32%) spetta alla Campania, che  anche la regione del sud con la maggiore presenza di stranieri.

Rimanendo nellĠarea famiglia e minori, un altro dato significativo riguarda le strutture residenziali, di cui sono forniti solo il 32% dei comuni del sud a fronte di una media nazionale del 62% e di una copertura dellĠ83% da parte dei comuni del nord-est. Anche lĠindicatore sulla presa in carico degli utenti evidenzia che al nord la presa in carico della popolazione di riferimento  quasi doppia rispetto al sud (tavola 6).

 

 

 

 

 

 

Tavola 3 - Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per regione e ripartizione geografica - Anno 2004 (valori assoluti , percentuali e spesa media pro-capite)[15]

 

REGIONE E RIPARTIZIONE GEOGRAFICA

Spesa(1)

Spesa media pro-capite

Valori assoluti

Valori percentuali

Piemonte

533.564.093

9,9

124,1

Valle d'Aosta(2)

42.200.920

0,8

344,6

Lombardia

974.492.199

18,1

104,6

Trentino - Alto Adige

249.733.410

4,6

257,8

Bolzano - Bozen(3)

136.600.810

2,5

288,0

Trento(4)

113.132.600

2,1

228,9

Veneto

442.355.415

8,2

94,7

Friuli - Venezia Giulia

178.874.516

3,3

148,9

Liguria

164.538.880

3,1

103,8

Emilia - Romagna

610.461.972

11,4

148,3

Toscana

415.758.895

7,7

116,1

Umbria

66.132.884

1,2

77,5

Marche

140.936.680

2,6

93,2

Lazio

536.397.543

10,0

102,4

Abruzzo

67.111.034

1,2

51,9

Molise

13.909.251

0,3

43,2

Campania

213.498.725

4,0

37,0

Puglia

159.710.139

3,0

39,4

Basilicata

26.580.770

0,5

44,5

Calabria

54.164.328

1,0

26,9

Sicilia

320.430.174

6,0

64,0

Sardegna

166.762.210

3,1

101,3

Nord-ovest

1.714.796.092

31,9

111,9

Nord-est

1.481.425.313

27,5

135,2

Centro

1.159.226.002

21,6

103,6

Sud

534.974.247

9,9

38,1

Isole

487.192.384

9,1

73,2

ITALIA

5.377.614.038

100,0

92,4

Fonte: Istat 2007.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tavola 4 - Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per area di utenza e per ripartizione geografica – Anno 2004 (valori medi pro-capite[16]).

Regione e ripartizione geografica

Famiglie e minori

Anziani

Disabili

Disagio adulti

Immigrati

Dipendenze

Multiutenze

Totale

Nord-ovest

123,7

                 145,1

2.588,7

9,5

42,3

0,9

7,5

111,9

Nord-est

135,5

                 173,2

4.181,6

11,4

60,4

1,9

8,7

135,2

Centro

109,5

                 101,5

2.169,3

14,9

81,7

1,2

8,0

103,6

Sud

36,5

                   45,6

448,3

4,4

36,7

0,5

3,5

38,1

Isole

64,2

                   96,8

1.285,0

10,6

87,9

1,2

2,7

73,2

ITALIA

89,9

                 115,8

1.889,0

9,8

57,9

1,1

6,3

92,4

Fonte: Istat 2007

 

 

Tavola 5 – Gli asili nido(1) :  indicatori territoriali – Anno 2004

REGIONE E RIPARTIZIONE GEOGRAFICA

Percentuale di comuni coperti dal servizio

Indice di copertura territoriale del servizio(a) (per 100 persone) (b)

Indicatore di presa in carico degli utenti(c) (per 10.000 persone)(b)

 

Nord-ovest

43

80

1.246

 

Nord-est

46

79

1.284

 

Centro

35

80

1.164

 

Sud

12

41

232

 

Isole

22

63

594

 

ITALIA

34

67

897

 

 

 

 

 

 

(1) Questa voce comprende sia le strutture che le rette per gli asilo nido.

(a) Popolazione di riferimento che risiede in un comune in cui  presente il servizio considerato rispetto al totale della popolazione di riferimento della regione o della ripartizione.

(b) Popolazione di riferimento: popolazione di etˆ compresa tra  0 e 2 anni.

(c) Utenti rispetto al totale della popolazione di riferimento della regione o della ripartizione.

Fonte: Istat 2007.

 

 

 

 

 

 

Tavola 6 – Le strutture residenziali(1) nellĠarea famiglia e minori:   indicatori territoriali – Anno 2004

REGIONE E RIPARTIZIONE GEOGRAFICA

Percentuale di comuni coperti dal servizio

Indice di copertura territoriale del servizio(a) (per 100 persone) (b)

Indicatore di presa in carico degli utenti(c) (per 10.000 persone)(b)

 

Nord-ovest

78

91

18

 

Nord-est

83

89

15

 

Centro

54

84

14

 

Sud

32

67

9

 

Isole

35

74

16

 

ITALIA

62

80

14

 

(1) Questa voce comprende sia le strutture che le rette per le prestazioni residenziali.

(a) Popolazione di riferimento che risiede in un comune in cui  presente il servizio considerato rispetto al totale della popolazione di riferimento della regione o della ripartizione.

(b) Popolazione di riferimento: persone appartenenti a famiglie con almeno un minore.

(c) Utenti rispetto al totale della popolazione di riferimento della ripartizione.

Fonte: Istat 2007.

 

Se dalle politiche socio-assistenziali passiamo alla sanitˆ -un altro segmento di policy rilevante nellĠintegrazione degli immigrati- ci ritroviamo ancora di fronte ad una situazione di marginalitˆ del sud.  A partire dalla seconda metˆ degli anni novanta, la razionalizzazione del settore ha portato ad una riduzione generale degli ospedali, a cui  seguita una riduzione dei posti letto, particolarmente vistosa nel mezzogiorno e che si associa ad una bassa dotazione di strutture residenziali e semi-residenziali. Il sud risulta comunque svantaggiato anche per quanto riguarda i posti letto in day hospital e lĠassistenza domiciliare integrata. Altre carenze poi si rilevano a livello di dotazione tecnologica negli ospedali pubblici e privati accreditati: nel sud i macchinari sono sia pi carenti come quantitˆ, sia pi vecchi e quindi maggiormente soggette a guasti (con conseguenti interruzioni dei servizi ai cittadini) [Corcione 2006].

Una traduzione dei dati appena presentati in termini di diritti fruibili porta a concludere che sul territorio nazionale ci sono cittadinanze sociali pi forti e pi deboli e che il luogo geografico in cui ci si trova a vivere, o che viene eletto come propria residenza, ha una notevole influenza sulla forza della cittadinanza, al di lˆ delle attribuzioni formali. Nel proseguo del saggio si cerca di mettere a tema le origini e le implicazioni di quanto i dati hanno fotografato.

 

4. Regionalizzazione:verso la  legittimazione delle disuguaglianze?

La letteratura politologica da alcuni anni sta dedicando una certa attenzione ai governi locali [Bobbio 2002; Baccetti 1999; Goldsmith M., Klausen K.K. 1997]. La letteratura sullĠimmigrazione, in particolare, considera questo livello il contesto privilegiato per osservare le dinamiche di integrazione degli immigrati: dallĠinizio degli anni duemila si  assistito ad un fiorire di studi che hanno come oggetto di indagine le cittˆ, spesso le grandi cittˆ, le cities [Pennix et al. 2004, Ireland 2004, Caponio 2006]. Si comincia insomma a guardare ai contesti regionali e locali come contenitori di cittadinanza, soprattutto per quanto riguarda i diritti di welfare e, allo stesso tempo, sembra che stia maturando un riconoscimento della rilevanza della dimensione locale della cittadinanza stessa. Ci chiediamo allora quali sono in Italia i fattori che concorrono ad accentuare il localismo dei diritti.

Non sarebbe certamente corretto imputare al processo di regionalizzazione lĠorigine dei localismi. Di fatto, il divario tra nord e sud del paese viene da lontano e si inquadra in un ritardo nello sviluppo economico-industriale del sud, laddove giˆ a livello nazionale lo sviluppo  stato tardivo rispetto ai principali paesi europei. UnĠindagine condotta nel 1953 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulla miseria e sui mezzi per combatterla documentava un forte dualismo a livello di reddito pro capite (in media 138 dollari per il nord e 58 per il sud) e allo stesso tempo sottolineava la debolezza del sistema assistenziale nelle regioni meridionali, con problemi sia di disponibilitˆ finanziaria, sia di dotazione di strutture [Ponzini 2006]. Semmai, si pu˜ affermare che la regionalizzazione si innesta in una situazione di disuguaglianze territoriali pre esistenti, ma che -nel momento in cui punta al superamento di un eccessivo centralismo- corre il rischio di perpetuare o addirittura peggiorare le disuguaglianze stesse.

Il tema del welfare locale, dunque, si colloca allĠinterno di un trade-off tra lĠesigenza di superare le profonde disuguaglianze territoriali del sistema italiano [É] e quella di superare lĠassetto tradizionalmente assicurativo e centralistico del sistema di welfare a favore dello sviluppo, connotato territorialmente, di un welfare di servizi. [Ranci 2005, 10].

 

Il welfare state in Italia, comunque, ha seguito una parabola tipica dei paesi europei: si  passati da un processo di nazionalizzazione[17] (principalmente attraverso le assicurazioni sociali obbligatorie), iniziato allĠinizio del novecento e consolidato negli anni cinquanta e sessanta, ad un processo di regionalizzazione del welfare, che coincide con lĠistituzione delle regioni nel 1970. In questa prima fase di decentramento, in realtˆ, i vincoli allĠazione delle regioni sono rimasti importanti (per esempio ogni atto delle regioni doveva essere approvato da Roma per diventare operativo; inoltre il potere di una tassazione autonoma era decisamente limitato). Tuttavia, tanto  bastato perchŽ alcune regioni del nord -mettendo a frutto le proprie ereditˆ storiche di cultura civica e capacitˆ istituzionale- riuscissero a sfruttare i margini di manovra aperti dal nuovo assetto, soprattutto in settori cruciali, dal punto di vista della spesa di welfare, come sono la sanitˆ e lĠassistenza sociale [Ferrera 2005]. A partire dagli anni novanta, il processo di regionalizzazione ha avuto unĠaccelerazione, dovuta sia a fattori esterni quali il trattato di Maastricht del 1992, che impone agli stati membri un impegno nel risanamento finanziario, sia a fattori interni legati alla crisi di legittimitˆ dei partiti a seguito degli scandali di Tangentopoli. Due sono le iniziative pi rilevanti: la prima, contenuta nella legge n. 59/1997, ha come obiettivo un sostanziale decentramento di materie e funzioni dello stato alle regioni e alle autonomie locali. Viene rafforzata lĠautonomia tributaria di regioni, comuni e province e garantita una discrezionalitˆ molto maggiore nelle proprie spese; inoltre viene creato un nuovo Fondo di Solidarietˆ allĠinterno del Ministero del Tesoro, finalizzato alla distribuzione tra le regioni. La seconda iniziativa riguarda un progetto di riforma costituzionale allo scopo di istituire un vero sistema federale (legge costituzionale n.1/1999 con la quale viene introdotta lĠelezione diretta dei presidenti della Regione, la possibilitˆ per le regioni di adottare un proprio statuto e di autoderminare la forma di governo). Nel 2001 si  poi arrivati alla completa riscrittura del titolo V della Costituzione (legge cost. n. 3/2001) che ha attribuito alle regioni delle competenze esclusive in unĠampia varietˆ di settori. Il referendum del 2006 sulla devolution ha comunque bocciato la proposta di una completa trasformazione in stato federale. Questo processo ha avuto un notevole impatto su diversi programmi di welfare, che sono diventati in gran parte competenza delle regioni. Analizzando le aree di policy legate alla sanitˆ, allĠassistenza sociale, al mercato del lavoro e alle pensioni integrative, Ferrera [2005] descrive una dinamica di differenziazione regionale piuttosto accentuata. Le implicazioni sulla vita concreta delle persone  notevole in quanto la differenziazione nelle regioni italiane riguarda non solo la qualitˆ della protezione sociale, ma anche lĠaccessibilitˆ, lĠintensitˆ e la portata [Ferrera 2005, 202]. EĠ sotto gli occhi di tutti, per esempio, la mobilitˆ a livello sanitario che porta molte persone del sud bisognose di cure particolari a trasferirsi negli ospedali del nord, spesso pi attrezzati ed efficienti. Un altro elemento che va nella direzione di una maggiore autonomia delle regioni, questa volta nello specifico ambito della issue immigrazione, pu˜ essere individuato nella legge finanziaria del 2003 (legge n.289/2002), che ha fatto confluire il Fondo Nazionale per le Politiche Migratorie (istituito dalla legge Turco-Napolitano del 1998) allĠinterno del Fondo per le Politiche Sociali, ripartito alle regioni senza vincolo di destinazione. Se dunque prima le regioni avevano lĠobbligo di destinare una quantitˆ di risorse economiche prefissata in interventi a favore degli immigrati (risorse che poi venivano trasferite ai comuni sulla base della presentazione di progetti), dal 2003 ogni regione sceglie in base alla propria sensibilitˆ sul tema se e quanto stanziare per questo tipo di politiche.

Per chiarire, la valorizzazione di un welfare locale non nasce dallĠintento di abbandonare la lotta alle disuguaglianze territoriali, obiettivo perseguito nei decenni delle grandi riforme sulla scuola, negli anni sessanta, e sulla sanitˆ negli anni settanta e ottanta. Piuttosto, si fa strada lĠidea di reinventare un nesso tra protezione sociale e sviluppo economico e produttivo, considerando il welfare come un vero e proprio investimento e non un semplice costo [Esping-Andersen 2002]. Inoltre, questi provvedimenti sono ispirati dalla tensione verso un avvicinamento dei cittadini allĠesercizio delle funzioni pubbliche, che  tanto pi possibile quanto pi i livelli di governo vicini ai cittadini hanno funzioni rilevanti riguardo al proprio territorio. Non si pu˜ tuttavia ignorare che negli anni ottanta lĠascesa di partiti etno-regionalisti come le Leghe ha dato un forte impulso alle richieste delle regioni del nord in direzione di una maggiore autonomia e, nello stesso tempo, di una minore redistribuzione delle risorse verso il sud. Nel campo delle politiche del welfare la Lega Nord  invoca anche il riconoscimento di speciali privilegi (per esempio nel campo educativo o abitativo) riservati ai ÇregionaliÈ opposti ai Çnon-regionaliÈ [Ferrera 2005].

In questo quadro, dunque,  concreto il rischio di vedere proclamata dalle riforme una sorta di legittimitˆ degli squilibri: si rischia cio di passare dal tentativo di superare il divario nord-sud alla regionalizzazione delle differenze, nelle quali la povertˆ di partenza si riflette in un pi ridotto accesso ai diritti sociali [Pugliese 2006]. Detto in altro termini, le riforme in senso federale, applicate senza alcun correttivo (o con modesti correttivi) rischiano di approfondire il solco che separa nord e sud in quanto a servizi di welfare e -nel momento in cui permettono con pi agilitˆ ad alcuni contesti di eccellere mostrando le proprie competenze istituzionali e la propria attenzione verso i diritti sociali- rischiano di condannare i cittadini di alcune regioni ad un ulteriore impoverimento dei propri diritti.

 

Note per unĠagenda di ricerca

A questo punto  possibile tracciare una geografia della cittadinanza sociale dei migranti in Italia? I dati che abbiamo riportato e la linea di argomentazione scelta da questo saggio hanno privilegiato il mettere in evidenza le differenziazioni e gli squilibri tra nord e sud del paese, al fine di mettere in guardia sul perseguimento di un federalismo miope, che rischia di creare vere e proprie voragini nei diritti sociali di italiani e immigrati. Sappiamo comunque che il sud non  unĠarea omogenea, standardizzata su cittadinanze sociali deboli, inefficienza amministrativa, basso grado di sviluppo economico, ecc.. Da una parte, anche nel mezzogiorno ci sono contesti territoriali particolarmente vivaci, dal punto di vista dello sviluppo economico, e caratterizzati da amministrazioni locali ÇilluminateÈ; dallĠaltra, bisogna considerare che i dati statistici non dicono tutto e andrebbero integrati da rilevazioni pi puntuali e qualitative. Per fare un esempio, nel Rapporto annuale del Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, la Campania si classifica per ultima (preceduta da Calabria, Sicilia e Molise). Leggendo il dato in termini puramente statistici lĠimmagine  senza dubbio sconfortante, ma se si guarda alle iniziative concrete, che soprattutto la Regione sta portando avanti, emerge un tentativo di miglioramento a partire dal 2001: lĠattivazione di corsi di alfabetizzazione in ogni provincia, lĠapertura di sportelli di orientamento e informazione, la costruzione di strutture di accoglienza, gli interventi di formazione culturale per mediatori e ÇbadantiÈ, e altro ancora [Caritas 2006].

Allo stesso modo, il centro e il nord sono aree composite, caratterizzate da stili amministrativi differenziati, che derivano da tradizioni politiche profondamente radicate, a dispetto degli enormi cambiamenti nel sistema politico e partitico

locale. EĠ chiaro dunque che parlare genericamente di nord e sud  una semplificazione, utile a fini analitici, ma non esaustiva della reale articolazione territoriale.

Come si diceva nellĠintroduzione, le riforme in senso regionalista rendono particolarmente interessante lo sviluppo di una ricerca approfondita e dettagliata, che punti a mappare le regioni italiane sulla base delle politiche in cui hanno acquisito rilevanti poteri di governo: le politiche sociali, di loro esclusiva competenza, ma anche le politiche sanitarie, le politiche abitative (fondamentali, tra lĠaltro, per una buona integrazione degli immigrati e su cui cĠ carenza di analisi complete), le politiche dello sviluppo locale (anche queste di competenza regionale esclusiva). UnĠindagine siffatta dovrebbe innanzi tutto testare gli effetti delle autonomie acquisite e verificare se, come e quanto le regioni hanno preso sul serio le nuove competenze e i nuovi poteri. Inoltre, si dovrebbe puntare a verificare se e in che misura il regionalismo ha degli effetti (e quali) sullĠannosa questione delle disuguaglianze su base geografica e, in particolare, sullĠannosa Çquestione meridionaleÈ. Utilizzando i concetti e gli strumenti della policy analysis dovrebbe emergere per ogni politica la composizione del network di attori impegnati, i rispettivi ruoli e, in particolare, i rapporti tra attori istituzionali e attori della societˆ civile (privato sociale, ma anche organizzazioni di categoria e sindacati). In una parola, dovrebbe emergere la dimensione della governance, costitutiva delle politiche pubbliche.

NellĠambito di una tale ricerca sarebbe realizzabile anche lĠobiettivo di tracciare una mappa della cittadinanza sociale degli immigrati, integrando e facendo dialogare i dati relativi agli interventi ÇdedicatiÈ con quelli delle politiche che hanno come destinatari tutti i residenti in un dato territorio. Lo studio delle politiche per gli immigrati ne sarebbe certamente arricchito e potrebbe uscire dalle sacche di unĠanalisi del fenomeno che non di rado tende ad essere parziale, proprio perchŽ non tiene sufficientemente conto della strutturale trasversalitˆ di questo tipo di politica, che si sovrappone, si mischia e, allo stesso tempo, si nutre dellĠinsieme delle politiche locali, nonchŽ del grado complessivo di efficienza delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali.

 

 

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[1]           Gli stati nazionali sono sempre stati segnati da diversitˆ di tanti tipi e hanno da sempre dovuto fare i conti con esse. Si pensi alla diversitˆ tra le tradizioni e la cultura urbana e quelle rurali; alle differenze religiose; alle minoranze linguistiche e culturali presenti in molti stati [Pennix et al. 2004].

[2]           Tutto ci˜  avvenuto in un momento storico in lĠimmigrazione era entrata con forza nellĠagenda politica, tanto che era stata appena varata la legge Martelli (n.39/1990 ) con la conseguente sanatoria.

[3]           In Italia lo stato di denizen corrisponde al possesso della Carta di Soggiorno, che si pu˜ ottenere dopo almeno 6 anni di residenza regolare.

[4]           QuestĠultima possibilitˆ ha fatto parlare di denizens di serie A (i cittadini di un qualche paese Ue, che per esempio godono anche del diritto di voto a livello locale in tutti gli stati membri) e di serie B (gli stranieri non provenienti da un paese Ue).

[5]           La medesima proposta  stata ripresa nel 2004 da Gianfranco Fini, senza che si arrivasse a decisioni concrete.

[6]           La Dichiarazione dei Diritti Umani approvata nel 1948 dallĠassemblea delle Nazioni Unite rimane il primo e pi importante documento in proposito. A partire a questo hanno ottenuto un sostegno internazionale anche altre dichiarazioni, per esempio sulla messa al bando di strumenti come la tortura, e di forme di discriminazione contro donne e bambini; anche la promozione dei diritti dei migranti ha ottenuto riconoscimenti a livello internazionale [Bretherton 1996].

[7]           Di questo dibattito si sono occupati molti filosofi politici; citiamo tra tutti Taylor C. [1992] e Habermas J. [1992].

[8]           Kymlicka offre alcuni esempi concreti di cosa intende per riconoscimento di diritti culturali; essi riguardano i simboli statali, le festivitˆ pubbliche, la lingua che Çimplicano il riconoscimento, il lĠaccettazione e il sostegno delle esigenze e delle identitˆ di specifici gruppi etnici e nazionali. Lo stato inevitabilmente aiuta determinate identitˆ culturali e pertanto ne danneggia altreÈ [1999, 188, trad. it. di 1995]. Egli cita le festivitˆ pubbliche nei paesi di grande immigrazione, che attualmente rispecchiano le esigenze dei cristiani e che possono svantaggiare chi aderisce ad unĠaltra fede. Lo stesso vale per i codici di abbigliamento nelle divise ufficiali: non proibiscono di portare le fedi nuziali (simbolo religioso per i cristiani), mentre per esempio proibiscono ai sikh e agli ebrei ortodossi di essere esentati dalle regole sullĠuso dei copricapo nella polizia e nelle forze armate.

 

[9]           I questionari raccolti sono stati 250 su 660 (il 38%). Si rimanda a Caponio [2006] per ulteriori dettagli sulle caratteristiche dei comuni che hanno risposto di pi al questionario. Qui segnaliamo solo che il maggior tasso di risposta si  verificato nei comuni del nord e, in particolare, nei comuni capoluogo (ovvero laddove lĠimmigrazione  una issue pi pressante).

[10]          UnĠindagine dellĠIstat [2005] segnala che,  su 296 centri di accoglienza per immigrati attivi nel 2003,  250 si trovano al Nord, 26 al Centro e solo 20 nel Sud e nelle Isole. Inoltre, pi di due terzi di tali centri, cos“ come dei posti letto, sono concentrati in unĠunica regione (lĠEmilia-Romagna).

[11]          Il modello familista di welfare si caratterizza per una bassa spesa sociale, una bassa offerta di servizi e un alto livello di attivazione della famiglia [Caltabiano 2004].

[12]          Con questa espressione si fa riferimento alle regioni con un Pil pro capite inferiore di almeno un quarto alla media euopea.

[13]            La Basilicata  lĠunica regione in crescita nel sud. Calabria, Sardegna e Molise hanno ridotto il proprio indice di qualche punto, mentre Abruzzo, Puglia, Campania e Sicilia sono nettamente in  caduta [Ponzini 2006].

[14]          Nelle indagini dellĠIstat [2005 e 2007] la classificazione dellĠutenza degli interventi socio-assistenziali procede in accordo alla legge quadro sullĠassistenza n.328/2000 e comprende sette categorie: famiglie e minori, disabili, dipendenze, anziani, immigrati, disagio adulti, multiutenza.

[15]          Per spesa si intendono gli impegni di spesa (relativi al 2004) di comuni e associazioni di comuni finalizzati allĠerogazione dei servizi e degli interventi socio-assistenziali. Sono incluse le spese per il personale, per lĠaffitto di immobili o attrezzature e per lĠacquisto di beni e servizi (spesa gestita direttamente). Nel caso in cui il servizio venga gestito da altre organizzazioni (ad esempio: cooperative sociali) la spesa  data dai costi dellĠaffidamento a terzi del servizio (spesa gestita indirettamente).

[16]          1) I valori medi pro-capite sono il rapporto tra la spesa e la popolazione di riferimento per ogni area di utenza. La popolazione di riferimento per l'area famiglia e minori  costituita dal numero di componenti delle famiglie con almeno un minore calcolati dai dati del Censimento della popolazione 2001. La popolazione di riferimento per lĠarea disabili  costituita dal numero di disabili che vivono in famiglia come risulta dallĠindagine Multiscopo sulle ÇCondizioni di salute e ricorso ai servizi sanitariÈ, anno 2004-2005 e dal numero di disabili ospiti nelle strutture residenziali come risultano dalla ÇRilevazione statistica sui presidi residenziali socio-assistenzialiÈ anno 2004. La popolazione di riferimento per lĠarea dipendenze  costituita dalla popolazione con etˆ maggiore di anni 15  (anno 2004). La popolazione di riferimento per lĠarea anziani  costituita dalla popolazione con etˆ maggiore di anni 65 (anno 2004). La popolazione di riferimento per lĠarea immigrati e nomani  costituita dagli immigrati residenti (ano 2004). La popolazione di riferimento per lĠarea disagio adulti  costituita dalla popolazione con etˆ compresa tra i 18 e i 65 anni (anno 2004). La popolazione di riferimento per lĠarea multiutenza  costituita dalla popolazione residente (anno 2004).

 

 

[17]          Il processo di nazionalizzazione  tipico dellĠesperienza europea nel momento in cui, per rafforzare gli stati nazionali, si cerca di ridurre al minimo le differenze regionali, retaggio -soprattutto in Italia- dei diversi regimi precedenti alla costruzione della nazione.