Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo

A cura dell'avv. Marco Paggi - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione

(aggiornata a marzo 2008)

Introduzione.
Il decreto legislativo n.3 dell’8 gennaio 2007, pubblicato in G.Uff. n.24 del 30 gennaio 2007, ha dato attuazione a quanto previsto dalla Direttiva2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 (G. Uff. Un. Eur. L 16/44 del 23.01.2004) relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. Gli Stati membri avrebbero dovuto adottare e far entrare in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla citata direttiva entro il 23 gennaio 2006, ma per quanto riguarda l’Italia il suo recepimento opera solo a partire dall’entrata in vigore del D.lgs. 3/2007, ovvero dal 14 febbraio 2007. Attualmente, come comunicato dalla Direzione generale giustizia, libertà e sicurezza della Commissione europea, hanno recepito la direttiva tutti i Paesi membri tranne Belgio, Spagna e Lussemburgo, mentre non sono vincolati dalla direttiva la Danimarca, il Regno Unito e l’Irlanda.
La direttiva ha lo scopo precipuo di armonizzare a livello UE lo status giuridico degli extracomunitari soggiornanti di lungo periodo, ovvero le condizioni per il riconoscimento di un titolo di soggiorno a carattere permanente ed i diritti ad esso connessi. Per l’appunto, le sue disposizioni hanno comportato non solo una denominazione uniforme del titolo, che in Italia si sostituisce a quello sinora denominato “carta di soggiorno”, ma anche una modifica dei requisiti richiesti dall’art. 9 del D.lgs. 286/98 per ottenerlo e per revocarlo, nonché la possibilità del suo utilizzo per la circolazione e lo stabilimento in ambito UE (pur con le limitazioni territoriali anzidette). Come di seguito si vedrà, dunque, non si tratta solo di un cambio di nome.

1) Requisiti

Le condizioni richieste per ottenere questo titolo di soggiorno sono sostanzialmente analoghe a quelle già previste per il rilascio della carta di soggiorno. Il cittadino straniero deve infatti essere in possesso di:
a) un permesso di soggiorno in corso di validità da almeno cinque anni;
b) un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, ovvero, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell’art.29, comma 3), lettera b) del T.U.;
c) un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico sanitaria accertati dalla ASL competente per territorio, nel caso di richiesta relativa ai familiari. In merito al criterio di computo del requisito temporale (ridotto di un anno rispetto ai sei anni previsti dal vecchio testo dell’art.9, come modificato dalla legge 189/2002), il comma 5 dell’art.9 precisa che non si computano nel calcolo dei 5 anni i periodi di soggiorno per i motivi indicati nelle lettere d) ed e) del comma 3 (permessi di soggiorno di breve durata o permessi regolati da apposite convenzioni internazionali), mentre il successivo comma 6 specifica che le assenze dal territorio nazionale non interrompono la durata del periodo computabile quando sono inferiori a sei mesi consecutivi e non superano complessivamente dieci mesi nel quinquennio, salvo che detta interruzione sia dipesa dalla necessità di adempiere agli obblighi militari, da gravi e documentati motivi di salute ovvero da altri gravi e comprovati motivi. Va poi segnalata l’interpretazione recentemente adottata dal TAR Emilia Romagna, con sentenza n.4615 del 20 dicembre 2007, che ritiene computabile ai fini del decorso del termine quinquennale non tanto la data di rilascio indicata nel primo permesso di soggiorno quanto il momento anteriore a partire dal quale inizia il soggiorno regolare sul territorio. La direttiva 2003/109/CE, infatti, si riferisce più precisamente a coloro che “hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio”, sicché il computo del tempo di soggiorno regolare deve intendersi decorrente dalla data della richiesta del primo permesso di soggiorno e, nel caso degli stranieri beneficiari della procedura di emersione di cui all’art.33 della legge 189/2002, a partire dalla data del 10/6/2002 rispetto alla quale retroagisce la regolarizzazione. Per quanto riguarda il requisito reddituale, invariato rispetto alla precedente formulazione dell’art.9 T.U., si segnala che la prassi diffusa, in base alla quale tuttora di ammette quale prova del reddito da lavoro subordinato solo il contratto di lavoro a tempo indeterminato, appare in contrasto con la pur scarsa giurisprudenza formatasi al riguardo, che invece afferma la possibilità di far valere quale dimostrazione del reddito anche i contratti di lavoro a tempo determinato (cfr. sentenze TAR Veneto n.3213 del 8/6/2006, TAR Umbria n.493 del 19/6/2002, ordinanza TAR Lazio n.8031 del 20/12/2001).

2) Esclusioni

Come precisato dalla circolare del Ministero dell’Interno del 16 febbraio 2007, “è soppresso il requisito della titolarità di un permesso di soggiorno per un motivo che consenta un numero indeterminato di rinnovi, pertanto è sufficiente la titolarità, all’atto della richiesta, di un permesso di soggiorno di lunga durata in corso di validità”. Tuttavia, a differenza del precedente regime, il permesso di soggiorno CE, in base a quanto espressamente previsto dal comma 3 del nuovo testo dell’art.9, non potrà essere richiesto dallo straniero che, pur avendo maturato i 5 anni di permanenza regolare, risulti attualmente soggiornante per motivi di studio, formazione professionale, motivi umanitari, protezione temporanea o asilo,ovvero sia titolare di un permesso di soggiorno di breve durata o di uno status giuridico speciale regolato da apposite convenzioni internazionali. Tali titoli di soggiorno, quindi, non consentono più di accedere direttamente al permesso di soggiorno CE, ma possono comunque essere computati per il raggiungimento dei 5 anni di permanenza regolare da parte dello straniero che abbia successivamente acquisito un titolo di soggiorno valido per il conseguimento del permesso CE, come ad esempio nel caso di un titolare di permesso per studio o formazione che abbia successivamente ottenuto la conversione per motivi di lavoro subordinato o autonomo.

3) Circostanze ostative

Rispetto alla precedente formulazione dell’art.9 T.U., è stato soppresso l’automatismo per cui si escludeva comunque il rilascio della carta di soggiorno nei confronti degli stranieri condannati –salvo riabilitazione- o anche solo rinviati a giudizio per taluno dei delitti di cui agli artt.380 e (limitatamente ai delitti non colposi) 381 c.p.p.. Ora il permesso CE può essere rifiutato solo se lo straniero è legittimamente ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. A tal fine, “si tiene conto” della condanna anche non definitiva per i medesimi delitti citati, sempre salva l’eventuale riabilitazione, ovvero dell’appartenenza ad una delle categorie di soggetti assoggettabili a misure di prevenzione o sospetti di appartenenza ad organizzazioni mafiose (v. comma 4 art.9), ma tali circostanze assumono valido rilievo solo se ed in quanto possano giustificare una motivata valutazione di pericolosità per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Al riguardo, si segnala la recente ordinanza n.3450 del 3 luglio 2007 del Consiglio di Stato, che proprio in base al testo ora vigente dell’art. 9 T.U. afferma come “non possa essere ritenuta di per se ostativa al rilascio del permesso CE una condanna…rilevato che il fatto ascritto risale a data lontana”, sul presupposto che il diniego debba basarsi su una valutazione della pericolosità riferita all’attualità. Peraltro, come precisa l’ultima parte del comma 4 dell’art.9, la pur discrezionale valutazione della pericolosità deve altresì tenere conto della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero. La necessaria valutazione di tali circostanze si raccorda con i principi stabiliti dal D.lgs. n.5 dell’8 gennaio 2007, che recepisce la direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare e fa venir meno l’analogo automatismo ostativo precedentemente previsto in relazione al rinnovo del permesso di soggiorno, alla ricongiunzione familiare ed all’emanazione del provvedimento di espulsione.

4) Revoca ed espulsione

Il permesso CE è revocato: a) se è stato acquisito fraudolentemente; b) in caso di espulsione; c) quando mancano o vengano a mancare le condizioni per il rilascio di cui al comma 4 (cioè quando si verifichino le condizioni ostative di cui al paragrafo precedente); d) in caso di assenza dal territorio dell’Unione per un periodo di dodici mesi consecutivi; e) in caso di conferimento di permesso CE da parte di altro Stato membro dell’Unione, previa comunicazione da parte di quest’ultimo e, comunque, in caso di assenza dal territorio dello Stato per un periodo superiore a tre anni (v. comma 7 art.9). Nelle ultime due ipotesi, precisa il successivo comma 8, è riconosciuta la possibilità di riacquistare il permesso CE con le stesse modalità previste per il rilascio, ripristinando il soggiorno in Italia per un periodo minimo di tre anni. Negli altri casi, in pratica, il permesso CE può essere revocato solo in relazione ad una valutazione di pericolosità connessa alla condotta dell’interessato, che può dar luogo anche all’espulsione, ovvero se a suo tempo è stato ottenuto dimostrando falsamente i requisiti, in realtà mancanti, per il rilascio. In caso di revoca, sempre che non si tratti di un caso in cui è contestualmente adottata l’espulsione, si attua una sostanziale retrocessione ed è rilasciato un permesso di soggiorno per altro tipo, fra quelli previsti dal T.U., in base ai requisiti posseduti dall’interessato. Non è invece ammessa la revoca nel caso in cui vengano meno successivamente al rilascio gli altri requisiti previsti, quali il reddito minimo o la disponibilità di alloggio idoneo; ciò anche in relazione ai familiari per i quali sia stato ottenuto il medesimo titolo. Sembra invece che permanga la possibilità di rifiutare il rilascio del permesso CE nei confronti degli ulteriori familiari di chi sia già titolare di permesso CE che intendano beneficiarne, come ad esempio nuovi figli o coniuge o genitori a carico che siano sopraggiunti nel territorio nazionale, qualora non sussistano anche per essi i requisiti di reddito e idoneità alloggiativa. Le ipotesi di espulsione del titolare di permesso CE sono rimaste sostanzialmente le stesse di quelle precedentemente previste nei confronti del titolare di carta di soggiorno, ovvero la ritenuta pericolosità per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, l’appartenenza ad una delle categorie di soggetti assoggettabili a misure di prevenzione o sospetti di appartenenza ad organizzazioni mafiose, l’applicazione delle nuove norme in materia di espulsioni degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo. Tuttavia, precisa il comma 11 dell’art.9, ai fini dell’adozione del provvedimento di espulsione di cui al comma 10, si tiene conto anche dell’età dell’interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell’espulsione per l’interessato e i suoi familiari, dell’esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell’assenza di tali vincoli con il Paese d’origine. L’espulsione, dunque, per essere legittimamente adottata deve comunque fornire adeguata motivazione sulla valutazione discrezionale in concreto adottata, con riferimento alla prevalenza o meno di tali circostanze rispetto al grado di pericolosità considerato nel caso specifico. Qualora, in considerazione di tali circostanze, non sia disposta l’espulsione è rilasciato un permesso di soggiorno di altro tipo, come nei casi di revoca. Il titolare di permesso CE rilasciato in Italia che abbia subito un provvedimento di espulsione adottato da altro Stato membro, in deroga alle disposizioni previste dal c.d. “Acquis Schengen”, non è automaticamente interdetto dal soggiorno nel territorio nazionale e può essere autorizzato alla riammissione se non costituisce un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.

5) Permessi CE rilasciati da altro Stato membro-libertà di circolazione

Il D.lgs. n.3/07 introduce nel corpo del Testo Unico il nuovo art. 9 bis, che disciplina specificamente la condizione dello straniero extracomunitario che abbia ottenuto un permesso di soggiorno CE da altro Stato membro dell’Unione. Questi può fare ingresso senza visto e soggiornare sino a tre mesi, senza poter svolgere attività economiche, alle stesse condizioni degli stranieri extracomunitari muniti di “normale” permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro, con il solo obbligo di presentare entro otto giorni dall’ingresso la dichiarazione di soggiorno di cui alla legge n.68 del 28/5/2007, come regolata dal D.M. 26/7/07. Il titolare di permesso CE rilasciato da altro Stato membro può anche chiedere --ma con le limitazioni che si esporranno più oltre-- di essere autorizzato a soggiornare sul territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi, ovvero con permesso di soggiorno di tipo rinnovabile, al fine di: a) esercitare un’attività economica in qualità di lavoratore subordinato o autonomo; b) frequentare corsi di studio o di formazione professionale, ai sensi della vigente normativa; c) soggiornare per altro scopo lecito previa dimostrazione di essere in possesso di mezzi di sussistenza non occasionali, di importo superiore al doppio dell’importo minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e di una assicurazione sanitaria per il periodo del soggiorno. Per i familiari del titolare di permesso CE rilasciato da altro Stato membro che abbia ottenuto il soggiorno nel territorio nazionale è quindi previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di famiglia, sempre che titolari di permesso di soggiorno rilasciato nel medesimo Stato membro ed in possesso dei requisiti previsti dal T.U. per la ricongiunzione familiare. L’art.9 bis si limita a prevedere che il titolare di permesso CE rilasciato da altro Stato membro può chiedere di soggiornare per le citate finalità, ma non specifica tuttavia quali siano le condizioni per ottenere il permesso di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi. Al riguardo l’art.14 della direttiva 2003/109/CE consente rilevanti limitazioni all’esercizio di tale diritto di stabilimento, prevedendo ai commi 3 e 4 quanto segue:

3. In caso di attività economica in qualità di lavoratore autonomo o dipendente di cui al paragrafo 2, lettera a), gli Stati membri possono esaminare la situazione del loro mercato del lavoro e applicare le procedure nazionali relative rispettivamente alla copertura di un posto vacante o all’esercizio di dette attività. Per ragioni di politica del mercato del lavoro, gli Stati membri possono dare la preferenza ai cittadini dell’Unione europea, ai cittadini di paesi terzi, quando previsto dalla legislazione comunitaria, nonché a cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nello Stato membro interessato e vi ricevono sussidi di disoccupazione. 4. In deroga alle disposizioni del paragrafo 1, gli Stati membri possono limitare il numero totale di persone che possono rivendicare il diritto di soggiorno, a condizione che tali limitazioni siano già previste per l’ammissione di cittadini di paesi terzi dalla legislazione vigente al momento dell’adozione della presente direttiva. .

Per l’appunto, proprio in base alla citata facoltà di applicazione delle procedure nazionali, il D.P.C.M. 30/10/2007 (c.d. “decreto flussi” per il 2007) ha previsto delle specifiche quote per il rilascio dell’autorizzazione al soggiorno per lavoro nei confronti di stranieri titolari di permesso CE rilasciato da altro Stato membro. La procedura di autorizzazione al lavoro differisce parzialmente rispetto a quella generalmente stabilita, in quanto si consente l’ingresso nel territorio nazionale in esenzione da visto e si prescinde, ai fini del rilascio del nulla osta al lavoro, dalla verifica della effettiva residenza all’estero nelle more della procedura. Oltre all’ipotesi della indisponibilità di “quote” in base ai provvedimenti che regolano i flussi migratori, i motivi di un eventuale diniego del permesso di soggiorno sono gli stessi previsti dall’art.9, comma 4, per gli stranieri già soggiornanti in Italia che richiedono il permesso CE. Una volta acquisito il permesso di soggiorno, per lo straniero titolare di permesso CE rilasciato da altro Stato membro le condizioni per l’ottenimento in Italia di un permesso CE sono le stesse previste per gli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio nazionale, vale a dire che si riprende da zero il computo dei cinque anni di regolare soggiorno nel territorio nazionale (dell’avvenuto rilascio è informato lo Stato membro che ha rilasciato il permesso CE).

6) Diritti

Oltre a quanto previsto per lo stranieri regolarmente soggiornante, il titolare di permesso CE può:
a) fare ingresso nel territorio nazionale in esenzione dal visto, potendovi soggiornare fino a tre mesi, dovendo comunque presentare la dichiarazione di soggiorno entro 8 giorni lavorativi dall’ingresso, e potendo altresì perfezionare la procedura di autorizzazione al soggiorno alle condizioni già illustrate nel paragrafo precedente;
b) svolgere ogni attività lavorativa subordinata (senza dover stipulare il contratto di soggiorno) o autonoma, salvo quelle che la legge espressamente riserva al cittadino o vieta allo straniero; non viene tuttavia precisato se tale previsione comporti una gamma di diritti effettivamente più ampia di quelli riconosciuti al titolare di “normale” permesso di soggiorno, in particolare per quanto riguarda l’accesso al pubblico impiego alle stesse condizioni di relativa equiparazione previste per i cittadini comunitari (che al momento viene generalmente escluso nella prassi amministrativa), mentre per quanto concerne l’accesso alle professioni si dovrebbe ritenere che per i titolari di permesso di soggiorno CE non possa più operare la limitazione per “quote” di cui all’art.37, comma 3, del T.U.;
c)usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l’accesso alla procedura per l’ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale; sotto tale profilo non sembra siano intervenute sostanziali modifiche rispetto al regime applicabile in relazione ai titolari della “vecchia” carta di soggiorno;
d)partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla vigente normativa, che però non ammette ancora il diritto di voto amministrativo.

7) Durata

La direttiva 2003/109/CE stabilisce all’art.8, comma 1, che, fatte salve le ipotesi di revoca, lo status di soggiornante di lungo periodo è permanente. L’art.9, comma 2, come modificato dal D.lgs. n.3/07, prevede che il permesso CE è a tempo indeterminato. Quindi solo nei casi di revoca di cui al successivo comma 7, da ritenersi tassativamente previsti, è possibile il venir meno di tale titolo. Ovviamente, non può avere alcun legittimo rilievo il fatto che le relative disposizioni contenute nel regolamento di attuazione (artt. 16 e 17 del D.P.R. 394/99) non siano state modificate in corrispondenza col recepimento della direttiva citata, dovendosi considerare ormai prive di efficacia le norme regolamentari in contrasto con le modifiche apportate al T.U.. Non sembra tuttavia incompatibile la disposizione di cui al comma 2 dell’art.17 del regolamento: essa prevede infatti che –analogamente a quanto stabilito per la carta di identità rilasciata dal comune di residenza-- la carta di soggiorno (ora permesso CE) costituisce documento di identificazione personale per non oltre cinque anni dalla data del rilascio; per converso, sembra venuta meno l’ipotesi del rinnovo, in quanto mancando un termine di scadenza essa non è più compatibile con l’attuale formulazione della norma di legge. La prassi tuttora seguita da alcune questure di rilasciare il permesso CE con indicazione della data di scadenza non sembra quindi conforme alla norma citata, anche perché non si potrebbe argomentare a sostegno di essa il corrispondente termine di scadenza quinquennale previsto per la carta di soggiorno rilasciata ai familiari extracomunitari di cittadini di Stati membri in base al D.lgs. n.32/2008, dal momento che in tal caso la scadenza dei cinque anni coincide con l’inizio del diritto di soggiorno permanente. Nella prassi amministrativa è tuttora previsto il c.d. “aggiornamento” della carta di soggiorno, che però dovrebbe intendersi letteralmente quale aggiornamento dei dati in essa riportati (quali ad es.: residenza, numero di passaporto, stato civile, fotografia), quindi senza la possibilità di revoca nel caso in cui vengano meno successivamente al rilascio gli altri requisiti previsti, quali il reddito minimo o la disponibilità di alloggio idoneo. La stessa richiesta di “aggiornamento” non dovrebbe quindi intendersi come un atto dovuto da parte dello straniero, specie in mancanza di qualsivoglia previsione sanzionatoria al riguardo, bensì quale mera facoltà: da un lato, infatti, la variazione dei dati riportati nel permesso CE potrebbe essere fatta constare validamente con specifici documenti (ad es.: nuova carta di identità, aggiornata con la nuova residenza, nuovo passaporto e contestuale esibizione del passaporto scaduto ed appositamente annullato), mentre d’altro canto l’interessato potrebbe optare per la richiesta di aggiornamento allo scadere dei cinque anni onde utilizzare il permesso CE quale documento di identità, senza per ciò soggiacere ad una nuova verifica dei requisiti previsti per il rilascio. E’ comunque doveroso far presente che la giurisprudenza non ha ancora avuto modo di chiarire, se non nei pochi casi citati, l’interpretazione della nuova normativa in tale materia, sicché tutte le questioni applicative qui trattate potranno essere condizionate in senso restrittivo od estensivo dalla futura elaborazione interpretativa della competente Autorità Giudiziaria.

 


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