Legislatura 16º - 14ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 17 del 05/11/2008


 

POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA    (14ª) 

 

MERCOLEDÌ 5 NOVEMBRE 2008

17ª Seduta 

 

Presidenza della Presidente

BOLDI 

 

           

La seduta inizia alle ore  13,40.

 

 

IN SEDE REFERENTE 

 

(1078) Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008  

(Doc. LXXXVII n. 1) Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, anno 2007

(Esame congiunto e rinvio) 

 

Prima di dare l’avvio all’esame congiunto, la PRESIDENTE fornisce alcune informazioni riguardanti l’iter dei due provvedimenti, che registrerà, nella corrente e nella prossima settimana, dapprima l’illustrazione da parte dei relatori, rispettivamente, del disegno di legge comunitaria per il 2008 e della Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea (anno 2007), quindi l’inizio della relativa discussione generale congiunta.

            Tiene, comunque, a comunicare fin d’ora che il suddetto esame congiunto potrà subire una sospensione durante l’incipiente sessione di bilancio, in quanto verranno trasmessi, dalla Camera dei deputati, probabilmente già nella giornata del 15 novembre, i documenti attinenti la manovra finanziaria.

            Propone, quindi, alla Commissione, di fissare il termine per la presentazione degli emendamenti al disegno di legge n. 1078  per la giornata di giovedì 13 novembre, alle ore 12 e comunica, infine, che, ad oggi, sono pervenuti la relazione e il parere, rispettivamente, sui due atti in esame, da parte della Commissione igiene e sanità.

 

La presidente BOLDI(LNP) , relatrice alla Commissione, passa, quindi, ad introdurre il disegno di legge comunitaria per il 2008, che giunge all’esame del Parlamento quasi alla fine dell’anno di riferimento a causa del cambio di Legislatura. Il Governo aveva peraltro già presentato all’inizio dell’anno, come previsto dalla legge n. 11 del 2005, il disegno di legge comunitaria per il 2008, che tuttavia, per lo scioglimento anticipato delle Camere, non è stato possibile esaminare e approvare. Il testo attualmente all’esame ne riproduce in buona parte i contenuti, salvo l’introduzione di nuove direttive da recepire e l’espunzione di quelle disposizioni che per motivi di urgenza sono state trasferite nel cosiddetto decreto "salva-infrazioni" (decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59).

            Riguardo alla possibilità di approvare, al di fuori della legge comunitaria annuale, norme dirette ad ottemperare ad obblighi comunitari, la Presidente relatrice ricorda che ciò è previsto espressamente dall’articolo 10 della legge n. 11, secondo cui, in caso di atti normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell’Unione europea che comportano obblighi statali di adeguamento la cui scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso, il Governo può proporre provvedimenti, anche urgenti, necessari a farvi fronte. Tale particolarità, tuttavia, non è espressamente contemplata dal Regolamento del Senato, il quale reca disposizioni specifiche esclusivamente per il disegno di legge comunitaria.

            Inoltre, sempre in tema di norme del Regolamento, ricorda che l’articolo 144-bis dispone che il disegno di legge comunitaria sia discusso congiuntamente alla relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, prevista anch’essa dalla legge n. 11. Sulla base di questa norma, questa Commissione si trova oggi ad esaminare la relazione annuale relativa al 2007 - di cui è relatore la senatrice Licastro Scardino - quasi alla fine dell’anno successivo a quello di riferimento, mentre l’altro ramo del Parlamento si troverà a concluderne l’esame probabilmente nei primi mesi nel 2009, quindi con più di un anno di sfasamento temporale. Tale problematica, unitamente alla considerazione della diversa natura tra i due atti (la relazione, più di carattere politico-programmatico e più attinente alla "fase ascendente"; la legge comunitaria, relativa esclusivamente alla "fase discendente") hanno suggerito già da diversi anni l’opportunità di svincolare l’esame della relazione annuale da quello del disegno di legge comunitaria ed eventualmente abbinarlo all’esame dei documenti programmatici della Commissione europea e del Consiglio.

            Su queste ed altre problematiche, peraltro, inizierà a lavorare – prosegue l’oratore - il gruppo di lavoro informale costituito ad hoc, per valutare l’opportunità di sottoporre alla Giunta per il Regolamento specifiche proposte di modifica.

            Un altro aspetto su cui è utile soffermarsi riguarda gli obblighi di informazione del Governo al Parlamento. Oltre ai dati contenuti nella relazione illustrativa al disegno di legge in esame, di cui all’articolo 8, comma 5, della legge n. 11 del 2005, con le ultime due leggi comunitarie sono stati introdotti, nella stessa legge n. 11, gli articoli 15-bis e 15-ter, in base ai quali il Governo deve riferire alle Camere sulle procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia e sui flussi finanziari con l’Unione europea.

            In particolare, spetta all’Esecutivo presentare al Parlamento, ogni sei mesi, un elenco delle sentenze della Corte di giustizia, dei rinvii pregiudiziali, delle procedure di infrazione e delle indagini sugli aiuti di Stato che riguardino l’Italia, nonché le informazioni sulle eventuali relative conseguenze di carattere finanziario. Quanto alle informazioni di merito relative agli stessi atti, il Governo è tenuto a riferire alle Camere dietro loro specifica richiesta (art. 15-bis, comma 3), ovvero d’ufficio qualora uno di tali atti si ponga alla base di norme proposte dal Governo all’esame del Parlamento (art. 15-bis, comma 3-bis).Su quest’ultimo punto, occorrerebbe forse specificare meglio la necessità che il Parlamento abbia a sua disposizione, per legiferare, non solo le "informazioni relative a tali atti" fornite dal Governo, ma anche gli atti veri e propri o quanto meno i principali atti della Commissione europea.

            Venendo ad esaminare più nel dettaglio il disegno di legge comunitaria per il 2008, la Presidente relatrice rileva che esso è accompagnato dalla relazione illustrativa contenente le informazioni relative alla "nota aggiuntiva" di cui all’articolo 8, comma 5, della legge n. 11 del 2005, e che l’articolato è composto di 26 articoli, suddivisi in 4 capi, e di 2 allegati.

            Per quanto riguarda la relazione che accompagna il disegno di legge, oltre ad illustrare l’articolato, essa reca, come previsto dalla citata legge n. 11, una serie di informazioni relative alle procedure d’infrazione, alle direttive da attuare in via amministrativa e quelle attuate mediante regolamento autorizzato, e agli atti normativi attuativi delle regioni e province autonome.

            Riguardo le procedure di infrazione, i dati riportati nella relazione al disegno di legge risalgono al 31 dicembre 2007. Secondo dati aggiornati ad oggi, messi a disposizione di questa Commissione dal Dipartimento politiche comunitarie, il numero delle procedure di infrazione attualmente aperte nei confronti dell’Italia ammonta a 160 (a marzo del 2007 erano 237), di cui 138 per violazione del diritto comunitario e 22 per mancata attuazione. Di queste 160 infrazioni, 11 sono procedure ex art. 228 del Trattato CE, che rischiano quindi di giungere ad una seconda sentenza di condanna con cui la Corte di giustizia impone anche sanzioni pecuniarie. I settori che sono oggetto del maggior numero delle procedure di infrazione in corso sono quelli dell’ambiente, della fiscalità e degli appalti, soprattutto per le carenze a livello regionale e locale.

            La relazione illustrativa riporta inoltre un elenco, aggiornato al 10 giugno 2008, contenente 71 direttive da attuare o attuate in via amministrativa. Di queste direttive, 27 risultano ancora da attuare, mentre per le restanti 44 si è già provveduto ad emanare gli atti amministrativi di recepimento.

            Al riguardo ricorda che nel 1999, la legge comunitaria annuale aveva introdotto l’articolo 10, comma 3-quater, al Testo unico sulla promulgazione delle leggi (DPR n. 1092/1985), ai sensi del quale, "al fine di agevolare la conoscenza delle direttive delle Comunità europee attuate o da attuare in via amministrativa, la Presidenza del Consiglio dei Ministri predispone l’elenco di tali direttive per la pubblicazione, a titolo informativo, nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale". Tale obbligo, tuttavia, risulta essere stato rispettato solamente in occasione della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge comunitaria per il 1999 e successivamente non è stato più ottemperato. Considerato che una buona parte delle procedure di infrazione per mancata attuazione sono dovute proprio al mancato recepimento delle direttive tecniche da attuare in via amministrativa, potrebbe essere opportuno provvedere, ai sensi della citata disposizione, alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, a titolo informativo, delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa.

            Per quanto riguarda gli atti normativi attuativi, adottati dalle regioni e province autonome, la relazione del Governo indica che alla data del 10 giugno 2008, 12 regioni, ovvero Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto, Lazio, Piemonte, Marche, Sardegna, e le due province autonome di Trento e Bolzano, avevano comunicato di aver dato attuazione a direttive comunitarie, la maggior parte delle quali in materia ambientale. Le regioni Puglia e Toscana hanno comunicato di non aver dato, nell’anno 2007, diretta attuazione a direttive comunitarie, mentre dalle altre 7 regioni non risulta pervenuta alcuna comunicazione.

            La Presidente relatrice si sofferma, quindi, sul capo I che contiene le disposizioni che conferiscono al Governo la delega legislativa, per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B, nonché per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali ed amministrative, e di testi unici per il riordino delle materie interessate dalle direttive comunitarie.

            L’articolo 1 regola il procedimento per la emanazione dei decreti legislativi delegati all’attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B. Come di consueto, per le direttive contenute nell’allegato B e per quelle contenute nell’allegato A che recano disposizioni sanzionatorie, è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari.

            Come per la legge comunitaria precedente, il disegno di legge in esame prevede al comma 1 che il termine per l’esercizio della delega debba, di norma, coincidere con la scadenza del termine di recepimento della direttiva, consentendo così di evitare l’insorgere di ritardi fisiologici nel recepimento delle direttive.

            Per le direttive il cui termine di recepimento sia già scaduto o scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge comunitaria, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi di attuazione entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge. Per quanto riguarda invece le direttive che non prevedono un termine di recepimento, è prevista una delega di dodici mesi.

            Il comma 3 prevede il consueto termine di 40 giorni per l’espressione del parere parlamentare sugli schemi di decreto legislativo. Per quanto riguarda invece il cosiddetto "bonus" di delega di cui all’ultimo periodo del comma 3, il disegno di legge in esame sembra essere tornato ai 90 giorni di proroga, mentre già la scorsa legge comunitaria lo aveva ridotto a 60. In particolare, la disposizione in esame prevede che, qualora il termine del parere parlamentare scada nei 30 giorni che precedono la scadenza del termine di delega, quest’ultimo è prorogato di ulteriori 90 giorni. Sarebbe quindi opportuno, nell’ottica di ridurre i tempi di recepimento, tornare ad una proroga limitata a 60 giorni, in continuità con quanto previsto dall’ultima legge comunitaria e in coerenza con quanto previsto dall’articolo 24 del disegno di legge in esame relativamente all’attuazione delle decisioni quadro.

            Il comma 4 reca la consueta disposizione sul rispetto dell’obbligo di copertura finanziaria sancito dell’articolo 81, comma 4, della Costituzione, per le direttive che comportino conseguenze finanziarie.

            Il comma 5 riguarda la possibilità per il Governo di adottare, entro 24 mesi dall’entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, disposizioni integrative e correttive allo stesso decreto

            Il comma 6 reca la cosiddetta "clausola di cedevolezza" di cui all’articolo 11, comma 8 della legge n. 11 del 2005, secondo cui, i decreti legislativi di attuazione di direttive, adottati nelle materie riservate alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome ai sensi del quinto comma dell’articolo 117 della Costituzione, qualora queste ultime non abbiano provveduto ad emanare proprie norme attuative, costituiscono un intervento "suppletivo, anticipato e cedevole" nel senso che entrano in vigore solo alla scadenza del termine per l’attuazione stabilito dalla stessa direttiva e perdono efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa regionale o provinciale.

            Il comma 7 reca il consueto obbligo per il Governo di trasmettere alle Camere una relazione che giustifichi il mancato esercizio di una o più deleghe entro i termini di scadenza.

            Infine, il comma 8, prevede che nel caso in cui il Governo non intenda conformarsi al parere parlamentare relativo a sanzioni penali contenute negli schemi di decreto legislativo, può sottoporre nuovamente al Parlamento gli schemi, con le sue osservazioni e eventuali modificazioni, per un secondo parere da esprimere entro venti giorni, decorsi i quali i decreti possono essere emanati.

            L’articolo 2 detta princìpi e criteri di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie. Al riguardo la relatrice rileva che il testo in esame, oltre ad aver introdotto alla lettera a) il principio di semplificazione amministrativa, ha espunto alla lettera c) la disposizione, introdotta con la scorsa legge comunitaria, che prevedeva la riassegnazione delle somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione alle amministrazioni competenti per la loro irrogazione. Tale disposizione nasceva dall’esigenza, più volte rappresentata dalle Amministrazioni competenti in sede di attuazione della delega, di poter usufruire degli introiti derivanti da una ulteriore attività di accertamento che le medesime sono chiamate ad effettuare sulla base dei provvedimenti attuativi delle disposizioni europee. Al riguardo ricorda che la legge finanziaria per il 2006 ha disposto un limite alla riassegnazione di entrate secondo cui, dal 2006 esse non possono superare l’importo complessivo delle riassegnazioni effettuate nel 2005. Inoltre, la legge finanziaria per il 2008 (articolo 2, comma 615) vieta del tutto la riassegnazione prevista da una serie di norme riportate un elenco allegato alla stessa finanziaria. Pertanto potrebbe essere opportuno prevedere anche nel disegno di legge in esame questa norma, che riguarderebbe esclusivamente le sanzioni di nuova istituzione, salvo circoscriverne gli effetti entro i limiti previsti dalla legislazione vigente. Peraltro, analoga norma di riassegnazione era prevista nelle scorse leggi comunitarie, a partire da quella per il 2004, per gli oneri per prestazioni e controlli di cui al successivo articolo 4.

            L’articolo 3 conferisce una delega biennale al fine di stabilire disposizioni sanzionatorie per la violazione di precetti comunitari non trasfusi in leggi nazionali, perché contenuti o in direttive attuate con fonti non primarie, inidonee quindi a istituire sanzioni penali, o in regolamenti comunitari, direttamente applicabili. Come è noto, infatti, non esiste una normazione comunitaria per le sanzioni in ragione della netta diversità dei sistemi nazionali. I regolamenti e le direttive lasciano quindi agli Stati membri di regolare le conseguenze della loro inosservanza.

            Al riguardo, ricorda che anche l’ultima legge comunitaria 2007 reca una delega biennale, la quale risulta tuttora aperta e quindi sovrapponibile a quella prevista dall’articolo in esame. Pertanto, al fine di evitare sovrapposizioni di delega, potrebbe essere opportuno modificare il suddetto art. 3, prorogando il termine della delega vigente, alla scadenza dei due anni dall’entrata in vigore della legge comunitaria per il 2008.

            L’articolo 4 richiama la disposizione dell’articolo 9, comma 2 della legge n. 11, secondo cui gli oneri relativi a prestazioni e controlli sono posti a carico dei soggetti interessati. La norma è quindi quella contenuta nella legge n. 11, che l’articolo in esame si limita a richiamare. Pertanto, così come formulato, esso appare del tutto privo di contenuto normativo e potrebbe essere soppresso.

            D’altra parte, a partire dalla legge comunitaria per il 2004, le precedenti leggi comunitarie recano una disposizione secondo cui le entrate relative alle prestazioni e i controlli effettuati in ottemperanza alle direttive comunitarie sono riassegnate alle amministrazioni che effettuano tali prestazioni e controlli. Come già accennato in relazione all’articolo 2, la legge finanziaria per il 2006 ha disposto un limite alla riassegnazione di entrate secondo cui, dal 2006 esse non possono superare l’importo complessivo delle riassegnazioni effettuate nel 2005. Potrebbe quindi essere opportuno - analogamente e per gli stessi motivi indicati in relazione all’articolo 2, lettera c) - reintrodurre questa disposizione che consentirebbe alle amministrazioni che effettuano le prestazione e i controlli richiesti dalle direttive comunitarie, di disporre delle entrate derivanti da tali attività, pur nei limiti previsti dalla legislazione vigente.

            L’articolo 5 delega il Governo all’emanazione di testi unici o codici di settore, al fine di coordinare le disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie. In particolare, si fa riferimento ai princìpi ed ai criteri previsti dall’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, così come modificata, tra le altre, dalla legge 28 novembre 2005 n. 246 (legge di semplificazione per l’anno 2005).

            Il capo II contiene come di consueto le disposizioni particolari di adempimento e i criteri specifici di delega. Si tratta di due tipologie di norme, di cui le prime sono quelle di diretta esecuzione degli obblighi comunitari e che a loro volta possono essere dettate dall’esigenza di provvedere ad un’attuazione immediata di una direttiva (o di una parte di essa), ovvero possono essere dettate dalla necessità di porre fine ad una procedura d’infrazione o di ottemperare ad una sentenza della Corte di giustizia. Le seconde sono quelle che recano criteri specifici di delega, ad integrazione dei criteri di delega generali gia contenuti nell’articolo 2 del disegno di legge.

            Con riferimento a queste ultime, la relatrice segnala che, gli articoli 7, 8, 9, 17, 19 e 20 così come formulati, prefigurano una seconda delega rispetto a quella già prevista all’articolo 1 relativamente alle direttive contenute negli allegati. Potrebbe quindi essere opportuno riformularli facendo riferimento alla delega di cui all’articolo 1, come del resto è stato fatto per la legge comunitaria 2006 (legge 6 febbraio 2007, n. 13).

            L’articolo 6 reca una delega al Governo ai fini del riordino della normativa in materia di igiene degli alimenti e dei mangimi.          Il riordino è inteso anche al coordinamento tra la disciplina interna, quella che ha dato attuazione alla direttiva 2004/41/CE, ed i regolamenti comunitari in materia.

            Si ricorda che la suddetta direttiva 2004/41/CE è stata recepita con il decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193. Quest’ultimo ha, in primo luogo, abrogato esplicitamente la normativa nazionale di attuazione delle direttive comunitarie abrogate dalla direttiva 2004/41/CE, in quanto erano stati nel contempo emanati una serie di regolamenti comunitari in materia. Lo stesso decreto ha inoltre disposto alcune delle norme necessarie per assicurare un raccordo con i predetti regolamenti comunitari. L’articolo in esame interviene quindi proprio per dare un compiuto e organico assetto alla normativa.

            L’articolo 7 reca una delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/47/CE, la quale modifica precedenti direttive comunitarie sui dispositivi medici, e per il riordino delle norme interne in materia.

            Tale riordino deve essere inteso a: il conseguimento di una "maggior coerenza" tra le norme interne ivi comprese quelle a contenuto sanzionatorio, anche al fine di superare "incongruenze e contraddizioni presenti"; la definizione di una più adeguata disciplina della vigilanza sugli incidenti; la revisione delle norme sulle indagini cliniche; la ridefinizione delle norme sulla pubblicità dei dispositivi medici, anche individuando, nell’àmbito dei dispositivi per i quali è ammessa la pubblicità sanitaria, le fattispecie che non necessitano di autorizzazione ministeriale.

            L’articolo 8 reca una delega al Governo per il recepimento della direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Si tratta di una direttiva di rifusione che quindi riunifica e sostituisce, abrogandoli, precedenti atti, apportandovi le modifiche ritenute necessarie, anche sostanziali.

            La direttiva concerne la parità di trattamento in materia di: remunerazione; regimi professionali di sicurezza sociale; accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale; condizioni di lavoro.

            Il termine di delega previsto dall’articolo in esame è quello del 15 agosto 2009, il quale si avvale della proroga di un anno concessa dalla direttiva stessa "ove necessario per tener conto di particolari difficoltà".

            L’articolo 9 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2008/50/CE, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.

            Si prevede che con il decreto delegato si abroghino tutte le disposizioni nazionali adottate per l’attuazione delle direttive precedenti in materia e si modifichi la parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativa alle norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, coerentemente e con il nuovo quadro normativo comunitario.

            L’articolo introduce inoltre specifici principi e criteri direttivi per l’adozione del decreto legislativo: la previsione di strumenti per i coordinamento delle competenze fra Stato e regioni nelle gestione della qualità dell’aria e per la risoluzione di casi di inadempimento; il coordinamento fra i piani di qualità dell’aria e le normative sulle emissioni atmosferiche; il riparto di competenze per l’approvazione delle norme sulle delle modalità di misurazione e di controllo della qualità dell’aria.

            La direttiva 2008/50/CE fissa il termine di recepimento all’11 giugno 2010. Tuttavia essa prevede che già entro il 10 gennaio 2009 dovranno essere adottate determinate misure, inserendosi nel contesto generale del VI Programma europeo di azione ambientale (Decisione 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio) costituendo in particolare una parte della strategia tematica sull’inquinamento atmosferico adottata dalla Commissione nel settembre 2005 (Clean Air for Europe).

            L’articolo 10 modifica l’articolo 5 della legge n. 164 del 1992, recante "Nuova disciplina delle denominazioni d’origine".

            Il primo comma di tale articolo 5 dispone che la specificazione "classico" sia riservata ai vini non spumanti della zona di origine più antica ai quali possa essere attribuita una regolamentazione autonoma anche nell’ambito della stessa DOCG o DOC e stabilisce che per il Chianti classico questa zona storica è quella delimitata con decreto interministeriale del 31 luglio 1932. 

            Pertanto l’articolo 10 in esame vieta, in tale zona, di piantare e iscrivere vigneti all’albo dei vigneti del Chianti DOCG e di produrre vini Chianti DOCG (non "classico"). L’intendimento di tale norma - asserisce la relazione illustrativa - è quello di ottenere una migliore produzione dei due vini Chianti e Chianti classico, i cui disciplinari di produzione sono autonomi e separati.

            L’articolo 11 reca alcune modifiche all’articolo 2 della legge n. 898 del 1986, che prevede sanzioni  a carico di chi consegue indebitamente aiuti comunitari nel settore agricolo, al mero scopo di aggiornare la disciplina sanzionatoria nazionale rispetto alle novità introdotte dal regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al finanziamento della politica agricola comune che ha istituito i due nuovi fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR).

            L’articolo 12 modifica la legge n. 157 del 1992, recante norme per la tutela della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, al fine di adeguarla alla direttiva 79/409/CE e superare le censure formulate dalla Commissione europea nel parere motivato adottato il 28 giugno 2006 nell’ambito della procedura d’infrazione 2006/2131.

            Si prevede quindi che le Regioni e le province autonome assicurino un livello di fauna selvatica corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative e, comunque, evitando, nell’adottare i provvedimenti di competenza, il deterioramento della situazione attuale; si richiede, inoltre, che il Ministro per le politiche europee, trasmetta alla Commissione europea tutte le informazioni utili per le ricerche riguardanti la fauna selvatica;  si stabilisce  il divieto di caccia durante il periodo della nidificazione o durante le fasi della riproduzione e della dipendenza, ovvero, per quanto concerne le specie migratrici, durante il periodo della riproduzione e il ritorno al luogo di nidificazione;  si prevede  che l’introduzione dall’estero della fauna selvatica, possa avvenire dietro autorizzazione,  previa consultazione della Commissione europea; si inserisce espressamente il divieto di distruzione e danneggiamento deliberato dei nidi e delle uova, il divieto di disturbare deliberatamente le specie di uccelli protette e il divieto di trasporto per la vendita.

            L’articolo 13 abroga l’articolo 2 del decreto legislativo n. 49 del 2004, di attuazione della direttiva 2001/114/CE, che permetteva l’aggiunta di vitamine nella produzione di alcuni tipi di latte conservato destinati all’alimentazione umana, attuando parzialmente la direttiva 2007/61/CE riguardante, tra l’altro, la standardizzazione del tenore proteico di tali tipi di latte.

            La restante parte della direttiva, che reca le modifiche all’allegato, sarà recepita in via amministrativa.

            L’articolo 14 abroga le norme attuative della direttiva 84/539/CEE, concernente gli apparecchi elettrici impiegati in medicina umana e veterinaria. Tale abrogazione è richiesta dalla direttiva 2008/13/CE, la quale ha disposto l’abrogazione della suddetta direttiva 84/539/CEE a decorrere dal 31 dicembre 2008.

            Nelle premesse alla direttiva 2008/13/CE si osserva che il metodo di valutazione e il relativo marchio di conformità istituiti dalla direttiva 84/539/CEE, non sono più necessari per le finalità del mercato interno e del commercio con i Paesi terzi, e che il funzionamento del mercato interno e la protezione delle persone fisiche e degli animali possono essere garantiti in misura maggiore mediante altre disposizioni comunitarie.

            L’articolo 15 riformula il comma 4 dell’articolo 13 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, con il quale è stata recepita la direttiva 1999/5/CE, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità, al fine di eliminare un contrasto normativo con l’articolo 12, paragrafo 4.

            La predetta modifica quindi rende maggiormente conforme la normativa nazionale a quella comunitaria, rimuovendo un fattore di ostacolo alla libera circolazione. La norma nazionale attualmente vigente in Italia prevede infatti che gli apparecchi debbano essere contraddistinti sia dal numero di serie sia dal numero di lotto, mentre la disciplina comunitaria prevede che vi possa essere uno solo di tali contrassegni.

            L’articolo 16 reca due modifiche al Codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206).

            Con la prima si provvede ad eliminare un refuso contenuto nell’articolo 67, comma 6, del predetto Codice. Si tratta infatti di sostituire il riferimento al "presente articolo" con il riferimento alla "presente sezione", in quanto, con l’entrata in vigore del Codice del consumo che ha sostituito la precedente normativa, le disposizioni sull’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore sono contenute non più in un unico articolo ma in più articoli.

            Con la seconda modifica viene integralmente sostituito l’articolo 144-bis del Codice del consumo (cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori), introdotto dall’articolo 19 della legge comunitaria 2006 (legge 6 febbraio 2007, n. 13). La modifica si rende necessaria per far salve le molteplici "autorità competenti" che operano a tutela dei consumatori,  mentre le disposizioni attualmente vigenti indicano il Ministero dello sviluppo economico quale unica "autorità competente" ai sensi del regolamento (CE) n. 2006/2004 relativo alla cooperazione per la tutela dei consumatori.

            L’articolo 17 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2007/65/CEche modifica la direttiva 89/552/CE "TV senza frontiere" allo scopo di adeguarla allo sviluppo tecnologico e agli sviluppi del mercato nel settore audiovisivo in Europa.

            La scadenza della delega coincide con il termine per l’attuazione della direttiva 2007/65/CE previsto per il 19 dicembre 2009. Il comma 2 specifica inoltre che l’esercizio della delega deve avvenire nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 2 del disegno di legge in esame, nonché di quelli indicati dalle lettere a) e b).

            In particolare la lettera a) vincola l’esercizio della delega in materia di "inserimento dei prodotti" al rispetto di tutte le condizioni e dei divieti previsti direttiva 89/552/CEE, come modificata dalla direttiva 2007/65/CE, tra cui per esempio il divieto di introdurre pubblicità nei programmi per bambini e, in ogni caso, di pubblicizzare prodotti a base di tabacco o medicinali soggetti a prescrizione medica.

            L’articolo 18, in attuazione della direttiva 200768/CE, modifica l’elencodegli ingredienti classificati come allergeni alimentari, contenuto nel decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, di attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

            Si tratta, in particolare di integrare l’elenco con una parte degli ingredienti che erano stati temporaneamente esclusi in quanto oggetto di studi scientifici. Per la restante parte di questi ultimi ingredienti, viene escluso, invece, in via definitiva, il carattere di allergene.

            Si ricorda che, ai sensi della citata normativa nazionale e comunitaria, i prodotti contenenti allergeni alimentari devono indicare nelle etichette la presenza di tali ingredienti.

            L’articolo 19 delega il Governo all’attuazione della direttiva 2007/23/CE, relativa alla commercializzazione di articoli pirotecnici, nel rispetto di specifici criteri di delega, tra cui, per esempio, la finalità di coordinare le norme di recepimento della direttiva con quelle nazionali vigenti in materia di sicurezza delle fabbriche, dei depositi e degli esercizi di vendita, anche sotto il profilo della prevenzione incendi. È prevista inoltre l’introduzione di sistemi informatizzati di trattamento dei dati e di gestione delle procedure, delle domande e dei procedimenti per l’accertamento della conformità degli articoli pirotecnici, nonché la corretta ed univoca tracciabilità dei prodotti esplodenti su tutto il territorio nazionale.

            L’articolo 20 delega il Governo all’attuazione della direttiva 2008/43/CE relativa all’istituzione di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile, nel rispetto anche di specifici criteri di delega, tra cui la competenza del Ministero dell’interno alla gestione del sistema previsto dalla citata direttiva, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

            Il capo III reca specifiche disposizioni finalizzate a consentire l’applicazione del regolamento (CE) n. 1082/2006 istitutivo dei GECT, i gruppi europei di cooperazione territoriale.

            In particolare, l’articolo 21 tratta della costituzione e della natura giuridica dei GECT. Esso ne disciplina i profili fondamentali (obiettivi, natura giuridica, componenti, atti costitutivi, compiti), in attuazione del regolamento (CE) n. 1082/2006.

            I GECT sono qualificati come enti pubblici, senza fini di lucro, aventi l’obiettivo di facilitare e promuovere la cooperazione transfrontaliera, transnazionale o interregionale, al fine di rafforzare la coesione economica e sociale. Essi possono essere costituiti da Stati membri, regioni e province autonome, enti locali, e organismi di diritto pubblico, attraverso la stipula di specifiche convenzioni e statuti da sottoporre ad autorizzazione.

            Nella relazione illustrativa il Governo rende noto che l’intervento legislativo in esame origina da un parere del Consiglio di Stato, sfavorevole all’attuazione in via regolamentare della normativa comunitaria "de qua". Al fine di dare attuazione al regolamento comunitario era infatti stato predisposto uno schema di regolamento governativo, che riconosceva la personalità giuridica di diritto privato al nuovo organismo.

            Su tale schema il Consiglio di Stato ha espresso parere non favorevole ritenendo: (1) che l’atto comunitario in questione, malgrado la denominazione, è nella sostanza assimilabile a una direttiva; (2) che lo strumento normativo idoneo a dare attuazione a siffatta normativa comunitaria è costituito dalla norma legislativa; (3) che l’opzione di attribuire personalità giuridica di diritto privato al GECT non è condivisibile, essendo i soggetti contemplati dalla normativa comunitaria "enti di rango costituzionale", chiamati a svolgere azioni e iniziative di rilevanza generale.

            L’articolo 22 delinea il regime autorizzatorio e i controlli sull’attività dei GECT. In particolare, l’istanza di autorizzazione alla costituzione del GECT deve essere presentata, da uno o più dei membri potenziali, al Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, corredata delle bozze degli atti costituivi (ossia, dello statuto e della convenzione).

            Entro il termine massimo di sei mesi dall’autorizzazione, ciascuno dei membri del GECT (o il relativo organo di gestione) ne chiede l’iscrizione nel Registro istituito presso il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, allegando all’istanza copia autentica della convenzione e dello statuto nel frattempo approvati. Infine, dopo una verifica di natura formale la Presidenza del Consiglio dispone che lo statuto e la convenzione siano pubblicati, a cura e spese del GECT, nella Gazzetta Ufficiale, dando comunicazione dell’avvenuta iscrizione alle amministrazioni coinvolte nel procedimento.

            Qualora un GECT svolga di fatto attività contrarie alle disposizioni statali in materia di ordine pubblico, pubblica sicurezza, salute pubblica o moralità pubblica, ovvero contrarie all’interesse pubblico dello Stato, quest’ultimo può intervenire per porre fine a tali attività.

            L’articolo 23 reca norme in tema di contabilità, bilanci e disciplina dell’insolvenza del GECT. In particolare, il comma 1 prevede che il GECT rediga: il bilancio economico preventivo annuale e pluriennale; lo stato patrimoniale; il conto economico; il rendiconto finanziario e la nota integrativa. Detti documenti devono essere quindi sottoposti all’approvazione dei membri del GECT, e al parere delle amministrazioni vigilanti "di cui al comma 2".

            Al riguardo la relatrice segnala l’opportunità di precisare meglio il predetto riferimento alle "amministrazioni vigilanti di cui al comma 2", in quanto il comma 2 tratta dell’attività di verifica non solo delle amministrazioni vigilanti in senso stretto, ovvero quelle dello Stato ove ha sede il GECT, ma anche delle omologhe amministrazioni degli Stati di appartenenza e dei competenti organi dell’Unione europea.

            Il comma 2 prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotti - con decreto interministeriale - le norme per la gestione economica, finanziaria e patrimoniale dei GECT, al fine di conferire struttura uniforme alle voci dei documenti di bilancio e a rendere omogenei i valori inseriti in tali voci, consentendo così alle amministrazioni vigilanti dello Stato ove ha sede il GECT, alle omologhe amministrazioni degli Stati di appartenenza degli altri membri del GECT, nonché ai competenti organi dell’Unione europea, di comparare le gestioni dei GECT.

            Per inciso, la relatrice rileva l’incongruenza di prevedere l’emanazione di un decreto interministeriale da parte del solo Ministro dell’economia e delle finanze, seppure previo concerto e intesa con altri soggetti istituzionali.

            Infine, per quanto riguarda la rubrica dell’articolo, rileva che, mentre essa fa riferimento anche alla disciplina dell’insolvenza del GECT, nel testo non si rinviene alcuna norma espressa in tal senso.

            Il capo IV reca, infine, come per l’ultima legge comunitaria, le disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, alle decisioni quadro, adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (il cosiddetto "terzo pilastro" dell’Unione europea) ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera c), della legge n. 11 del 2005.

            L’articolo 24 delega il Governo a dare attuazione, entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, a due decisioni quadro e disciplina il procedimento per la formazione dei relativi decreti legislativi di attuazione. I principi ed i criteri direttivi che il Governo dovrà rispettare nell’attuare le decisioni quadro sono contenuti nei successivi articoli 25 e 26.

            Le due decisioni quadro sono relative: all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca; e alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’UE incaricate dell’applicazione della legge.

            Il procedimento di adozione dei decreti legislativi di attuazione delle decisioni quadro è simile a quello previsto per l’attuazione delle direttive comprese nell’allegato B (e quelle dell’allegato A che richiedono disposizioni sanzionatorie), salvo l’assenza di ogni riferimento alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome e alla clausola di cedevolezza, in quanto si tratta di materie che rientrano nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.

            In questo senso, è previsto che gli schemi dei decreti legislativi di attuazione siano trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi 60 giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al comma in esame, ovvero i diversi termini previsti dai commi 5 e 7, scadano nei 30 giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 6 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di 60 giorni. Se non intende conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari, il Governo ritrasmette i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi 20 giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono adottati anche in mancanza di nuovo parere.

            Al riguardo la Presidente relatrice segnala che il termine per il parere parlamentare è stato esteso da 40 a 60 giorni. D’altra parte il "bonus" di proroga è stato mantenuto a 60 giorni, come già previsto dalla scorsa legge comunitaria, anziché essere stato riesteso a 90 giorni, come quello proposto dall’articolo 1, comma 3, del disegno di legge.

            In fine si prevede, come per l’articolo 1, commi 4 e 5, le disposizioni sul rispetto dell’obbligo di copertura finanziaria sancito dell’articolo 81, comma 4, della Costituzione, per le direttive che comportino conseguenze finanziarie, e sulla possibilità per il Governo di adottare, entro 18 mesi (e non 24 mesi, come previsto dall’articolo 1, comma 5) dall’entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, disposizioni integrative e correttive.

            L’articolo 25 reca i principi ed i criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere nel dare attuazione alla decisione quadro 2006/783/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.

            Per quanto riguarda i tempi del recepimento, rileva che, ai sensi dell’articolo 22 della decisione quadro, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le necessarie misure attuative entro il 24 novembre 2008.

            La decisione quadro in esame costituisce, dopo il mandato d’arresto europeo e la decisione quadro sull’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio, il terzo esempio di applicazione del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, ossia quel principio, espressione di fiducia reciproca tra gli ordinamenti giuridici, in base al quale nonostante uno Stato possa non trattare una specifica questione in maniera uguale o simile a quella di un altro Stato, la decisione adottata dal primo sarà tale da essere accettata dal secondo come equivalente alla decisione che esso secondo avrebbe adottato, e viceversa. Il principio del reciproco riconoscimento procede spesso di pari passo con un determinato grado di armonizzazione degli istituti e delle procedure degli Stati membri. Tale armonizzazione, attraverso l’introduzione di standard comuni, costituisce spesso il necessario presupposto perché gli Stati membri possano poi accettare l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento.

            Il comma 1 dell’articolo in esame prevede che, nel dare attuazione a quanto disposto dalla decisione quadro 2006/783/GAI, il Governo dovrà attenersi, oltre che ai principi ed ai criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), del disegno di legge, e alle disposizioni previste dalla decisione quadro medesima, anche ad ulteriori specifici principi e criteri direttivi.

            A tale riguardo, la relazione illustrativa afferma che il principio che dovrà ispirare la normativa (così come quella relativa al mutuo riconoscimento delle decisioni di sequestro e blocco dei beni, di cui alla decisione quadro 2003/577/GAI) è quello secondo cui il procedimento di riconoscimento avviene tramite il contatto diretto tra le autorità giudiziarie competenti dello Stato di emissione e dello Stato di esecuzione, in analogia con la disciplina attualmente vigente tra gli Stati aderenti al trattato di Schengen per quanto concerne l’assistenza giudiziaria in materia penale ed a quanto previsto dalla Convenzione (cosiddetta "MAP") relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e del Protocollo alla Convenzione firmato a Lussemburgo il 16 ottobre 2001.

            In ogni caso, dovranno essere previste forme di comunicazione al Ministero della giustizia (anche a fini statistici), il quale viene designato, alla lettera b), quale autorità competente ai sensi della decisione quadro.

            L’articolo 26 reca i principi ed i criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere nel dare attuazione alla decisione quadro 2006/960/GAI relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge.

            Per quanto riguarda i tempi del recepimento, si rileva che, ai sensi dell’articolo 11 della decisione quadro, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le necessarie misure attuative entro il 19 dicembre 2008.

            La decisione quadro 2006/960/GAI mira a stabilire le norme in virtù delle quali le autorità degli Stati membri incaricate dell’applicazione della legge (polizia, autorità doganali, ecc.) possano scambiarsi le informazioni e l’intelligence esistenti efficacemente e rapidamente ai fini dello svolgimento di indagini penali o di operazioni di intelligence criminale. Ciò in quanto il tempestivo accesso ad informazioni ed intelligence accurate ed aggiornate è un elemento essenziale affinché le autorità incaricate dell’applicazione della legge possano efficacemente individuare, prevenire e indagare su reati o attività criminali, specialmente in uno spazio in cui sono stati aboliti i controlli alle frontiere interne.

            Il comma 1 dell’articolo in esame prevede che, nel dare attuazione a quanto disposto dalla decisione quadro 2006/960/GAI, il Governo dovrà attenersi, oltre che ai principi ed ai criteri direttivi generali di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), del disegno di legge, e alle disposizioni previste dalla decisione quadro medesima, anche ad ulteriori specifici principi e criteri direttivi, relativi, tra l’altro alle modalità procedurali di comunicazione, nonché alle modalità di richiesta alle autorità competenti, anche con riferimento alle misure volte ad assicurare le esigenze di tutela dei dati personali e della segretezza dell’indagine.

            Completano il disegno di legge gli allegati A e B, che contengono l’elencazione delle direttive da recepire con decreto legislativo. Come per gli anni precedenti, la differenza tra i due elenchi è data dall’iter di approvazione parzialmente diverso, nel senso che per le sole direttive contenute nell’allegato B (e per quelle contenute nell’allegato A la cui attuazione richiede disposizioni sanzionatorie) è previsto l’esame degli schemi di decreto da parte delle competenti commissioni parlamentari.

            Tra le diverse direttive contenute nei predetti allegati, merita un richiamo specifico – sottolinea la Presidente relatrice - la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno. Si tratta di una direttiva che è giunta all’approvazione comunitaria in seguito ad un lungo e travagliato iter procedurale, che ha per una certa misura contenuto la sua originaria portata innovativa.

            La "direttiva servizi" si inquadra nell’ambito della più vasta cornice del rilancio della strategia di Lisbona e mira a realizzare un mercato dei servizi competitivo, al fine di incoraggiare la crescita economica. Scopo della direttiva è quello di abbattere le barriere legislative e amministrative che impediscono l’effettivo realizzarsi della libertà di stabilimento e della libertà di prestare servizi negli Stati dell’Unione, assicurando al tempo stesso un elevato livello di qualità dei servizi stessi. Essa, inoltre, si prefigge di abolire le restrizioni alla fornitura di servizi transfrontalieri e di garantire maggiore protezione degli interessi dei consumatori attraverso una maggiore trasparenza e un maggiore accesso all’informazione. 

            Sono esclusi dall’ambito di applicazione alcune tipologie di servizi, ovvero i servizi non economici di interesse generale; i servizi finanziari; i servizi di comunicazione elettronica; i servizi nel settore dei trasporti; i servizi delle agenzie di lavoro interinale; i servizi sanitari; i servizi audiovisivi; i servizi legati all’esercizio dei pubblici poteri; le attività di azzardo; i servizi sociali (ad esempio quelli relativi agli alloggi); i servizi privati di sicurezza; i servizi forniti da notai e ufficiali giudiziari.

            In particolare, circa la libera prestazione dei servizi, la direttiva prevede che gli Stati membri debbano rispettare il diritto dei prestatori di servizi di operare in uno Stato diverso da quello in cui sono stabiliti. In questo senso, "lo Stato membro in cui il servizio è prestato deve assicurare il libero accesso ad un’attività di servizi e al libero esercizio della medesima sul proprio territorio". Gli Stati membri non potranno, pertanto, ostacolare la libertà di esercizio nel loro territorio sulla base di requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati, o di altri requisiti tra cui l’obbligo per il prestatore di stabilirsi nel territorio dove presta il servizio, di ottenere un’autorizzazione, o di essere registrato in un albo professionale.

            Secondo la relatrice, per l’attuazione di questa direttiva, potrebbe essere opportuno prevedere delle specifiche norme di delega al fine di dare al Governo indicazioni il più possibile condivise, per l’elaborazione della normativa di recepimento.

            La Presidente relatrice segnala, infine, un altro provvedimento comunitario ovvero la direttiva 2007/66/CE, sul miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici, con cui l’Unione europea pone riparo a una serie di lacune nei meccanismi di ricorso esistenti negli Stati membri avverso le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori in materia di appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, di cui alla direttiva 2004/18/CE, e di appalti in materia di acqua, energia, trasporti e servizi postali, di cui alla direttiva 2004/17/CE.

            Fra le carenze a cui la direttiva pone rimedio figura in particolare l’assenza di un termine che consenta un ricorso efficace tra la decisione d’aggiudicazione di un appalto e la stipula del relativo contatto. La direttiva prevede quindi che la conclusione di un contratto in seguito alla decisione di aggiudicazione di un appalto non possa avvenire prima dello scadere di un termine compreso tra dieci e quindici giorni dall’aggiudicazione, al fine di consentire agli offerenti di valutare se sia opportuno avviare una procedura di ricorso. Circa le conseguenze derivanti dall’annullamento di un’aggiudicazione per l’efficacia del relativo contratto. Al riguardo, la direttiva prevede che un contratto risultante da un’aggiudicazione di appalto mediante affidamento illegittimo debba risultare in linea di principio privo di effetti. La carenza di effetti, tuttavia, non dovrebbe essere automatica ma dovrebbe essere accertata da un organo di ricorso indipendente. Peraltro, sempre secondo la direttiva, le conseguenze di un contratto considerato privo di effetti sono disciplinate dal diritto nazionale. In questo senso, il diritto nazionale può prevedere la soppressione con effetto retroattivo di tutti gli obblighi contrattuali o viceversa limitare la portata della soppressione agli obblighi che rimangono da adempiere.

 

            Interviene sull’ordine dei lavori la senatrice MARINARO (PD) , la quale, in attesa di ricevere le relazioni e i pareri elaborati dalle restanti Commissioni, auspica che la Presidente si attivi nei confronti della presidenza del Senato affinché le suddette Commissioni vengano sollecitate ad esprimere il loro punto di vista sostanziale su un provvedimento di vitale importanza per la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione comunitaria, quale è il disegno di legge comunitario.

Ricorda come, anche in presenza del Ministro per le politiche europee, abbia richiamato l’attenzione su alcuni atti comunitari, contenuti negli allegati A e B del disegno di legge comunitaria per il 2008, i quali - pur comportando cambiamenti non secondari nell’ordinamento nazionale vigente, e più in generale, nella vita quotidiana di tutti i cittadini - sono stati gravemente sottovalutati dallo stesso Governo nel momento di sottoporre alle Camere la legge comunitaria.

            Si riferisce, a titolo di esempio, alla cosiddetta "direttiva servizi", per la quale non è stata prevista, nell’articolato dell’Atto Senato 1078, alcun tipo di autonoma regolamentazione dei criteri di delega per la sua attuazione da parte del Governo.

            Diversamente, per una direttiva di tale rilevanza sarebbe stato necessario, in luogo di una sua anonima inserzione in un elenco di direttive che richiederanno un parere parlamentare, definire delle specifiche disposizioni  di attuazione, tali da permettere un adeguato approfondimento delle conseguenze, nei vari livelli, di un provvedimento che prevede un’accentuata liberalizzazione dei servizi su scala europea.

            Al riguardo, si riserva di richiedere una sorta di stralcio della direttiva in questione, nonché, al contempo, un programma di audizione dei vari soggetti istituzionali – comuni, regioni e ministeri – coinvolti nella sua applicazione.

            Conclude osservando come il termine fissato dalla Presidente per la presentazione degli emendamenti vada riconsiderato anche alla luce del citato sopravvenire della sessione di bilancio, che viene, di tal guisa, ad intersecarsi con l’esame del disegno di legge comunitaria.

 

            Si associa ai rilievi formulati nel precedente intervento la senatrice SOLIANI (PD) mettendo, in particolare, l’accento sull’esigenza che il coinvolgimento delle rimanenti Commissioni permanenti all’esame del disegno di legge comunitaria non si risolva in una partecipazione meramente burocratica, bensì nell’elaborazione, ciascuna per la propria parte di competenza, di un contributo avente valore politico e sostanziale.

            E’ altresì importante, prosegue l’oratore, che il Senato nel suo complesso si renda conto, in maniera convinta, che la materia comunitaria costituisce ormai un pilastro dell’assetto costituzionale del nostro Paese e, conseguentemente, merita i giusti tempi di disamina e di approfondimento, sia in sede di Commissioni che di Aula.

           

            Il senatore DI GIOVAN PAOLO (PD) , relativamente alle questioni sollevate dalla senatrice Marinaro in merito al recepimento della "direttiva servizi", osserva che andrebbe, preliminarmente, sondato il Ministro per le politiche europee per verificare se esistono le condizioni per dedicare maggiore attenzione a questa fondamentale direttiva comunitaria.

            Prescindendo dalla percorribilità, dal punto di vista procedurale, della via dello stralcio della suddetta direttiva, si rischia, a suo avviso, di incamminarsi in un terreno scivoloso che, di fatto, priverebbe, in ogni caso, la Commissione per le politiche dell’Unione europea dell’esame, in sede referente, di un provvedimento comunitario di grande rilievo, come, appunto, la "direttiva servizi".

            Se, invece, lo scopo che si vuole raggiungere è quello di attribuire la dovuta visibilità e il dovuto approfondimento a tale direttiva, egli è dell’avviso che, re melius perpensa,la soluzione pragmatica del problema possa risiedere nella preparazione di un emendamento che preveda un articolo aggiuntivo nel quale vengano fissati i criteri specifici di delega per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quella singola direttiva.

           

            La presidente BOLDI(LNP) , dopo aver dichiarato che si farà parte diligente presso le Commissioni chiamate ad esprimere il parere sul disegno di legge comunitaria affinché svolgano tale funzione consultiva con la massima ponderazione e tempestività, ricorda che i tempi di esame del disegno di legge comunitaria e della Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea sono stabiliti, come noto, in maniera piuttosto precisa dallo stesso Regolamento del Senato, il quale, comunque, è stato sempre interpretato, per una prassi ormai consolidata, considerando i vari termini procedimentali secondo una accezione ordinatoria e non perentoria.

            Avuto riguardo alla questione richiamata dalla senatrice Marinaro sulla cosiddetta "direttiva servizi", nel riservarsi di fornire, attraverso gli uffici, una esaustiva definizione dei termini del problema dal punto di vista regolamentare, afferma di prediligere, per il superamento della questione, l’ipotesi suggerita dal senatore Di Giovan Paolo, ossia la formulazione di un articolo aggiuntivo che determini i limiti della delega per l’attuazione della suddetta direttiva.

Sotto tale profilo, infatti, l’utilizzo dello strumento dello stralcio, indipendentemente dalla fattibilità regolamentare, rischia di concretarsi, inevitabilmente, in una oggettiva amputazione di una competenza propria della 14ª Commissione, conferitagli, in quanto tale, dal Regolamento del Senato.

 

            Il seguito dell’esame congiunto è, quindi, rinviato ad altra seduta.

 

La seduta termina alle ore  14,30.