Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Commissione di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom - A.C. 1052
Riferimenti:
AC N. 1052/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 95
Data: 05/12/2008
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Commissione di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom

A.C. 1052

 

 

 

 

 

n. 95

 

 

5 dicembre 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: ac0215.doc

 

 


INDICE

 

Schede di lettura

Le inchieste parlamentari3

§      Istituzione della Commissione  4

§      Nomina dei componenti4

§      Organizzazione interna e dei lavori5

§      Poteri delle Commissioni d’inchiesta  6

§      Il segreto  7

Le proposte di legge in esame  9

§      Oggetto delle proposte di legge  9

§      Finalità dell’inchiesta parlamentare  9

§      Composizione e funzionamento della Commissione  10

§      Attività d’indagine e poteri della Commissione  11

§      Regime del segreto  11

§      Conclusione dei lavori e relazione finale  12

Normativa di riferimento

§      Costituzione della Repubblica (art. 82)15

§      Codice penale (artt. 326, 366-384-bis)16

 

 


Schede di lettura

 


Le inchieste parlamentari

La Costituzione prevede che “ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse” (art. 82, primo comma).

 

Nel prospetto di seguito riportato sono indicati il numero e la tipologia delle inchieste parlamentari finora deliberate nelle legislature repubblicane.

 

Legislatura

Istituite con legge

Istituite con deliberazione monocamerale
dalla Camera

Istituite con deliberazione monocamerale
dal Senato

I

-

2

-

II

-

1[1]

-

III

3

1

-

IV

1

-

1

V

2

-

-

VI

1

-

-

VII

3

-

-

VIII

3[2]

-

-

IX

-

2

-

X

3

1

3

XI

3

-

1

XII

2

2

3

XIII

3

1

1

XIV

5

1

4

XV

2

1

3

XVI

1

1

2

Totale

32

13

18

 

L’inchiesta parlamentare, nell’ambito degli strumenti volti a consentire lo svolgimento dell’attività di controllo del Parlamento, rappresenta quello più incisivo e penetrante del quale le Camere possono avvalersi per acquisire conoscenze; l’art. 82, co. 2°, Cost. dispone infatti che la Commissione parlamentare d’inchiesta “procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”.

Appare quindi evidente la differenza con l’indagine conoscitiva, che, pur essendo anch’essa preordinata a finalità conoscitive, non attribuisce all’organo titolare dell’indagine poteri coercitivi per l’acquisizione delle informazioni.

Istituzione della Commissione

In base all’art. 82 Cost., l’inchiesta può essere deliberata anche da una sola Camera (evidentemente con atto non legislativo).

Si è però andata affermando anche la prassi di deliberare le inchieste con legge, affidandole a Commissioni composte di deputati e senatori, o con atto bicamerale non legislativo.

In ogni caso, per quanto riguarda il procedimento di formazione, l’art. 140 del regolamento della Camera e l’art. 162 del regolamento del Senato stabiliscono che per l’esame delle proposte di inchiesta si segue il procedimento previsto per quelle legislative.

Si ricorda che, qualora le due Camere istituiscano Commissioni monocamerali sulla stessa materia, l’art. 162 del r.S. consente che le Commissioni possano deliberare di procedere in comune, rimanendo tuttavia distinte quanto ad imputazione giuridica dei rispettivi atti.

Nomina dei componenti

Per quanto riguarda la nomina dei commissari, il secondo comma dell’art. 82 Cost. prevede che la composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi; tale nomina, quindi, deve essere improntata al rispetto del principio di proporzionalità.

Di conseguenza si applicano gli art. 56, co. 3, del r.C. e l’art. 25, co. 3, r.S., i quali stabiliscono che per le nomine delle Commissioni che, per prescrizione di legge o regolamento debbano essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi parlamentari, il Presidente comunica ai Gruppi il numero dei posti spettanti a ciascuno in base al suddetto criterio richiedendo la designazione di un eguale numero di nomi.

Qualora sia espressamente previsto dall’atto costituivo, il Presidente è nominato, al di fuori della Commissione, dal Presidente dell’Assemblea ovvero d’intesa tra i Presidenti delle due Camere in caso di Commissione bicamerale.

 

La L. 277/2006[3] e la L. 132/2008[4], istitutive della Commissione antimafia nella XV e nella XVI legislatura, hanno introdotto modifiche concernenti i criteri di nomina dei componenti la Commissione. Entrambe le leggi precisano che la nomina tiene conto della specificità dei compiti assegnati alla Commissione; la seconda aggiunge che i componenti “scelti” (non più “nominati”, come precedentemente stabilito) dai Presidenti delle Camere “dichiarano alla Presidenza della Camera di appartenenza se nei loro confronti sussista una delle condizioni indicate nella proposta di autoregolamentazione”, elaborata dalla Commissione antimafia nella XV legislatura, relativa ai criteri cui attenersi per la designazione dei candidati alle elezioni amministrative[5].

Organizzazione interna e dei lavori

Poteri inerenti alla organizzazione dei lavori sono quelli riguardanti la fissazione del programma dei lavori e l’istituzione di sottocommissioni nonché l’elaborazione e l’approvazione di un regolamento interno. Al riguardo, si è venuta formando la prassi secondo la quale le Commissioni d’inchiesta adottano un proprio regolamento, ferma restando l’applicabilità del regolamento della Camera di appartenenza del Presidente della Commissione per quanto non espressamente previsto dal predetto regolamento interno.

La durata dei lavori della Commissione è stabilita dal relativo atto istitutivo, che fissa la data di presentazione della relazione (che è atto conclusivo dell’attività, anche se il termine assegnato alla Commissione non è ancora scaduto) o assegna un termine finale ai lavori stessi, a partire dalla costituzione o dall’insediamento della Commissione ovvero dalla data di entrata in vigore della legge istitutiva.

Si ricorda che le Commissioni istituite con atto non legislativo cessano comunque la propria attività con la fine della legislatura mentre quelle istituite con legge possono essere prorogate con una nuova legge.

Le spese per il funzionamento delle Commissioni bicamerali sono poste a carico dei bilanci interni delle due Camere, in parti uguali.

Le più recenti leggi e delibere istitutive di Commissioni di inchiesta hanno introdotto tetti massimi di spesa.

 

La L. 277/2006, istitutiva della Commissione antimafia nella XV legislatura, ha introdotto la fissazione di un “tetto” alle spese della Commissione: in base al comma 5 dell’articolo 6, infatti, “le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 150.000 euro per l’anno 2006 e di 300.000 euro per ciascuno degli anni successivi”. Il “tetto” presenta tuttavia elementi di flessibilità, dal momento che si prevede che i Presidenti delle due Camere, di intesa tra loro, possano autorizzare ogni anno un incremento delle spese in misura non superiore al 30 per cento dell’importo massimo previsto qualora il Presidente della Commissione formuli una richiesta in tal senso per esigenze motivate connesse allo svolgimento dell’inchiesta. Tale previsione è stata integralmente ripresa nella XVI legislatura dalla L. 132/2008, che al comma 5 dell’articolo 7 dispone che le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 150.000 euro per l’anno 2008 e di 300.000 euro per ciascuno degli anni successivi, con autorizzazione di incremento annuo non superiore al 30 per cento.

Per la Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, l’art. 6, co. 6, della L. 271/2006 dispone che “Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 75.000 euro per l’anno 2006 e di 150.000 euro per ciascuno degli anni successivi […]”. È inoltre previsto il medesimo meccanismo di flessibilità del “tetto” previsto per la Commissione “antimafia”.

Con riferimento alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali istituita alla Camera con deliberazione del 25 luglio 2007, si prevede che “le spese di funzionamento […] sono stabilite nel limite massimo di 40.000 euro per l’anno 2007 e di 100.000 euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Il Presidente della Camera può autorizzare un incremento delle spese di cui al precedente periodo, in misura non superiore al 30 per cento, a seguito di richiesta formulata dal presidente della Commissione per motivate esigenze connesse allo svolgimento dell’inchiesta” (art. 6, co. 6, della deliberazione).

Analoghe disposizioni sono infine contenute nelle deliberazioni istitutive di Commissioni monocamerali di inchiesta approvate dal Senato nel corso della XV legislatura. Al riguardo, si vedano:

§         con riferimento alla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, l’art. 8, co. 1, della deliberazione del Senato del 19 luglio 2006;

§         con riferimento alla Commissione parlamentare di inchiesta “sull’uranio impoverito”, l’art. 8, co. 1, della deliberazione del Senato dell’11 ottobre 2006;

§         con riferimento alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo alle cosiddette "morti bianche", l’art. 4, co. 2, della deliberazione del Senato del 18 ottobre 2006.

Poteri delle Commissioni d’inchiesta

L’art. 82, co. 2°, Cost. stabilisce che la Commissione d’inchiesta procede alle indagini ed agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria (c.d. principio del parallelismo).

I poteri coercitivi che la Commissione d’inchiesta può esercitare sono naturalmente quelli propri della fase “istruttoria” delle indagini giudiziarie, dato che la Commissione è priva di poteri giudicanti e non può quindi accertare reati ed irrogare sanzioni.

In particolare, per le convocazioni di testimoni davanti alla Commissione si applicano gli le disposizioni del codice penale che sanzionano i delitti contro l’attività giudiziaria (artt. 366 e seguenti c.p.), ferme restando le competenze dell’autorità giudiziaria.

La Commissione deve comunque assicurare il rispetto dei diritti fondamentali di difesa discendenti dal disposto dell’art. 24 Cost., riconoscendo, ad esempio, il diritto all’assistenza del difensore ogni volta che il suo mancato esercizio possa pregiudicare la posizione processuale della persona interrogata.

Il parallelismo con i poteri della magistratura si estende anche agli aspetti relativi alle limitazioni dei poteri della Commissione stessa. In via generale si può affermare che lo svolgimento dell’inchiesta trova gli stessi limiti che la vigente legislazione pone alle indagini dell’autorità giudiziaria, fermo restando che l’atto istitutivo della Commissione può disporne di ulteriori ovvero prevedere l’inapplicabilità nei confronti della Commissione stessa di disposizioni limitative dell’attività d’indagine dell’autorità giudiziaria.

 

La L. 277/2006, istitutiva della Commissione antimafia nella XV legislatura, ha introdotto una limitazione esplicita ai poteri astrattamente riconosciuti alle Commissioni di inchiesta ai sensi dell’art. 82 Cost.. L’art. 1, co. 2, secondo periodo, della legge precisa infatti che la Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e delle altre forme di comunicazione, né limitazioni della libertà personale, ad eccezione dell’accompagnamento coattivo di cui all’articolo 133 del codice di procedura penale[6]. Tale previsione è presente anche nella successiva L. 132/2008, istitutiva della Commissione nella XVI legislatura.

Il segreto

Particolarmente complesso è il problema dei rapporti tra l’attività delle Commissioni d’inchiesta e le concorrenti indagini della autorità giudiziaria, specie per quanto riguarda i profili di reciproca opponibilità del segreto.

 

Su questo tema è fondamentale la sentenza n. 231/1975 della Corte costituzionale, che ha risolto il conflitto di attribuzioni tra Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia ed i tribunali di Torino e Milano. La Corte ha stabilito che la Commissione non ha l’obbligo di trasmettere ai Tribunali gli atti e documenti da essa formati o direttamente disposti, gli scritti e gli anonimi ad essa originariamente rivolti, che la Commissione abbia ritenuto di mantenere segreti (c.d. segreto funzionale), nonché gli atti già a disposizione del potere giudiziario. La Corte ha stabilito invece l’obbligo per la Commissione di trasmettere ai Tribunali predetti gli altri atti e documenti in suo possesso che non siano coperti all’origine da segreto o siano coperti da segreto non opponibile all’autorità giudiziaria.

L’esperienza legislativa degli ultimi anni (cfr. art. 4, co. 2, L. 430/1994 cit.), è orientata a disporre (sembra peraltro in via permanente) l’inopponibilità nei confronti dell’autorità giudiziaria (nonchè alla Commissione d’inchiesta istituita con la predetta normativa, con evidente applicazione del principio del parallelismo sopra illustrato) del segreto funzionale cui siano stati assoggettati atti e documenti da parte delle competenti Commissioni d’inchiesta.

Le più recenti leggi istitutive della Commissione antimafia (cfr. da ultimo l’art. 4, co. 2, della L. 277/2006), hanno disposto l’inopponibilità alla Commissione medesima del segreto di Stato. La L. 138/2008 (istitutiva della Commissione antimafia nella XV legislatura) ha invece disposto che relativamente al segreto di Stato si applica quanto previsto dalla sopravvenuta L. 124/2007[7] di riforma dei servizi di informazione e sicurezza e di disciplina del segreto di Stato. Quest’ultima, all’art. 39, co. 11, ha incluso i delitti di cui agli artt. 416-bis e 416-ter c.p. (Associazioni di tipo mafioso e Scambio elettorale politico-mafioso) tra le materie che non possono in nessun caso essere oggetto di segreto di Stato.


Le proposte di legge in esame

Oggetto delle proposte di legge

La proposta di legge in esame (A.C. 1052, on. Santelli) ha ad oggetto l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta, composta di 12 deputati e di 12 senatori, ai sensi dell’articolo 82 della Costituzione.

Il compito che si intende affidare all’istituenda Commissione concerne lo svolgimento di indagini sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom, ovvero, come espressamente dispone l’articolo 1, effettuare indagini sul rispetto dei diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione e dalla legislazione vigente all’interno delle comunità nomadi presenti in Italia.

Sembra opportuna una precisazione in ordine all’ambito di interesse dell’inchiesta: l’espressione “comunità rom” non coincide infatti integralmente con l’espressione “comunità nomadi”, essendo quella rom una delle minoranze comunemente definite nomadi presenti in Italia (accanto a quelle dei sinti e dei cam(m)inanti).

 

I rom, i sinti e i cam(m)inanti presenti in Italia sono stati recentemente stimati in 140.000 presenze[8]. All’interno dellle comunità rom, sinti e cam(m)inanti sono presenti sia cittadini italiani, sia cittadini stranieri (di Paesi membri dell’Unione europea e di paesi terzi). I rom e sinti di cittadinanza italiana hanno iniziato ad insediarsi in Italia a partire dal XV secolo. I rom sono più diffusi al Centro e al Sud e maggiormente tendenti alla sedentarizzazione, i sinti vivono al Nord Italia e hanno mantenuto più viva la tradizione del nomadismo, mentre i cam(m)inanti rappresentano un gruppo insediato prevalentemente in Sicilia, nella valle di Noto[9].

Finalità dell’inchiesta parlamentare

Come dichiarato nella relazione illustrativa, attraverso l’istituzione e il lavoro della Commissione si intende “offrire al legislatore una fotografia chiara della situazione che consenta interventi normativi organici che, da un lato, mirino alla repressione della devianza, e dall’altro garantiscano a queste comunità una corretta integrazione con il paese in cui vivono”.

La proposta di legge, all’articolo 2, comma 1, elenca dettagliatamente le questioni oggetto di accertamento da parte della Commissione. In sintesi, la Commissione dovrà:

§         svolgere una indagine sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom presenti in Italia (lettera a));

§         accertare il rispetto nonché le violazioni dei diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione e dalla legislazione vigente (lettera b)); alla luce della lettera precedente, sembra che tale accertamento debba riguardare unicamente i diritti fondamentali delle donne e dei minori, ma la lettera b) non appare esplicita al riguardo;

§         valutare la congruità della normativa vigente nelle materie d’interesse della Commissione, e le modalità di attuazione di tale normativa (lettera c));

§         formulare proposte in ambito sia legislativo, sia amministrativo, tese a realizzare una più adeguata prevenzione e un più efficace contrasto alle violazioni dei diritti fondamentali della persona (lettera d)).

Composizione e funzionamento della Commissione

La Commissione è formata da dodici deputati e dodici senatori, nominati rispettivamente dai Presidenti di Camera e Senato in proporzione al numero di componenti dei gruppi parlamentari, assicurando la presenza di almeno un rappresentante per ciascun gruppo costituito in almeno un ramo del Parlamento (articolo 3, comma 1).

Con gli stessi criteri e le stesse procedure sopra illustrate si procede alla sostituzione dei membri della Commissione in caso di dimissioni o di cessazione del mandato parlamentare dei membri nominati (articolo 3, comma 2).

Per quanto riguarda la scelta del presidente della Commissione (nonché del vicepresidente e dei due segretari), la proposta ne prevede l’elezione da parte dei componenti la Commissione stessa tra i propri membri a scrutinio segreto (articolo 3, comma 3).

Prima dell’inizio dell’attività di inchiesta, la Commissione adotta, un regolamento interno, che ne disciplina il funzionamento. Ogni membro della Commissione può proporre modifiche al regolamento (articolo 3, comma 4).

Le sedute della Commissione sono pubbliche (articolo 5). È tuttavia data alla Commissione la possibilità di riunirsi in seduta segreta, della quale è steso verbale, su deliberazione adottata a maggioranza dei propri componenti, ovvero di decidere che singoli atti, documenti e testimonianze siano coperti dal segreto. La Commissione può avvalersi di tutte le collaborazioni che ritiene necessarie per l’espletamento dei propri compiti (articolo 7).

Le spese di funzionamento della Commissione sono poste in parti uguali a carico dei bilanci interni delle due Camere  e sono stabilite nel limite massimo di 40.000 euro per l’anno 2008 e di 80.000 euro per ciascuno degli anni successivi (articolo 8, comma 1).

 

Come si è accennato in precedenza, analoghe disposizioni di contenimento delle spese sono state introdotte nelle più recenti leggi e delibere istitutive di Commissioni di inchiesta parlamentare.

Attività d’indagine e poteri della Commissione

La proposta – ribadendo la previsione costituzionale – prevede che la Commissione operi con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria (articolo 4, comma 1, primo periodo).

Per le audizioni a testimonianza in Commissione si prevede l’applicazione degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale, che sanzionano una serie di delitti contro l’attività giudiziaria[10](articolo 4, comma 1, secondo periodo).

Per il perseguimento delle proprie finalità, la Commissione può richiedere copie di atti relativi a procedimenti in corso presso l’autorità giudiziaria e altri organi inquirenti, ovvero relativi a indagini o inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto (articolo 4, comma 2, primo periodo). Se l’autorità giudiziaria ritiene di non poter derogare all’obbligo del segreto delle indagini preliminari (art. 329 c.p.p.), emette decreto motivato di rigetto e provvede a trasmettere gli atti richiesti dalla Commissione quando, e nel caso in cui, le ragioni del rigetto vengono meno (art. 4, comma 2, secondo periodo).

Regime del segreto

Riguardo agli atti coperti da divieto di divulgazione ai sensi del testé menzionato articolo 4, comma 2, secondo periodo ovvero degli atti, documenti o testimonianze sui quali la Commissione decida di apporre il segreto ai sensi dell’articolo 5, comma 2, e nei casi in cui la Commissione abbia deciso di riunirsi in seduta segreta, l’articolo 6 prevede il vincolo del segreto per i membri della Commissione, per il personale di qualsiasi ordine e grado addetto alla Commissione e per tutti i soggetti che, per ragioni d’ufficio o di servizio, ne vengono a conoscenza. In caso di violazione, si applicano le sanzioni di cui all’art. 326 c.p. che dispone la reclusione da sei mesi a tre anni per la Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio.

Conclusione dei lavori e relazione finale

Il termine per il completamento dei lavori della Commissione è fissato alla data di presentazione al Parlamento della relazione conclusiva e comunque non oltre il termine di durata della XVI Legislatura (articolo 1, comma 2). La relazione conclusiva, da approvarsi a maggioranza assoluta dei componenti, dovrà illustrare l’attività svolta, le conclusioni raggiunte e le proposte di carattere amministrativo e legislativo per una più efficace prevenzione nonché per il contrasto delle violazioni, eventualmente accertate, dei diritti fondamentali della persona (articolo 4, comma 3).

 

 

 

 


Normativa di riferimento

 


 

Costituzione della Repubblica
(art. 82)

 

 

Art. 82

Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della autorità giudiziaria.

 

 

 


 

Codice penale
(artt. 326, 366-384-bis)

 

 

Art. 326

Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio. (1)

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d’ufficio (2), le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.

 

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie d’ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni (3).

 

 

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(1) Vedi la L. 10 maggio 1978, n. 170, sui procedimenti d’accusa, l’art. 12, L. 1 aprile 1981, n. 121, sull’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’art. 21, L. 22 maggio 1978, n. 194, sull’interruzione volontaria di gravidanza, e l’art. 36, L. 3 agosto 2007, n. 124, sulla disciplina del segreto di Stato.

(2) Vedi la L. 10 maggio 1978, n. 170, sui procedimenti d’accusa, l’art. 12, L. 1 aprile 1981, n. 121, sull’Amministrazione della pubblica sicurezza, e l’art. 21, L. 22 maggio 1978, n. 194, sull’interruzione volontaria di gravidanza.

(3) Articolo così sostituito dall’art. 15, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione. Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore.

 

 

Art. 366

Rifiuto di uffici legalmente dovuti. (1)

Chiunque, nominato dall’autorità giudiziaria perito [c.p.c. 61; c.p.p. 221], interprete [c.p.c. 122; c.p.p. 143], ovvero custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale [c.p.p. 259], ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 30 a euro 516 (2).

 

Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all’autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità [c.p. 495], ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime.

 

Le disposizioni precedenti si applicano alla persona chiamata a deporre come testimonio dinanzi all’autorità giudiziaria [c.p.c. 244; c.p.p. 196] e ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria [c.p.c. 256; c.p.p. 4, 97].

 

Se il colpevole è un perito o un interprete, la condanna importa l’interdizione dalla professione o dall’arte [c.p. 30].

 

 

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(1) Vedi l’art. 3, L. 23 marzo 1988, n. 94, e l’art. 4, L. 17 maggio 1988, n. 172, sulle commissioni parlamentari d’inchiesta.

(2) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

 

 

Art. 367

Simulazione di reato.

Chiunque, con denuncia [c.p.p. 331, 333], querela [c.p.p. 336], richiesta [c.p.p. 341, 342] o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni [c.p. 370].

 

 

Art. 368

Calunnia.

Chiunque, con denunzia [c.p.p. 331, 333], querela [c.p.p. 336], richiesta [c.p.p. 341, 342] o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni [c.p. 29, 32, 370].

 

La pena è aumentata [c.p. 64] se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.

 

La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte [c.c. 463, n. 3] (1).

 

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(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, ad essa ha sostituito la pena dell’ergastolo.

 

 

 

Art. 369

Autocalunnia.

Chiunque, mediante dichiarazione ad alcuna delle autorità indicate nell’articolo precedente, anche se fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione innanzi all’autorità giudiziaria, incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri, è punito con la reclusione da uno a tre anni [c.p. 29, 370].

 

 

Art. 370

Simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione.

Le pene stabilite negli articoli precedenti sono diminuite [c.p. 65] se la simulazione o la calunnia concerne un fatto preveduto dalla legge come contravvenzione.

 

 

 

Art. 371

Falso giuramento della parte.

Chiunque, come parte in giudizio civile [c.p.c. 238], giura il falso è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Nel caso di giuramento deferito d’ufficio [c.c. 2736; c.p.c. 240], il colpevole non è punibile, se ritratta il falso prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile [c.p.c. 324] (1).

 

La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici [c.p. 28] (2).

 

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(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 8-20 novembre 1995, n. 490 (Gazz. Uff. 29 novembre 1995, n. 49 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma in riferimento all’art. 3 Cost.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 13-19 gennaio 1972, n. 7 (Gazz. Uff. 26 gennaio 1972, n. 23), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all’art. 3, comma primo, Cost.

 

 

Art. 371-bis

False informazioni al pubblico ministero.

Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni (1).

 

Ferma l’immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (2).

 

Le disposizioni di cui ai commi primo e secondo si applicano, nell’ipotesi prevista dall’articolo 391-bis, comma 10, del codice di procedura penale, anche quando le informazioni ai fini delle indagini sono richieste dal difensore (3).

 

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 11, primo comma, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa e così modificato dall’art. 25, L. 8 agosto 1995, n. 332. Il testo precedentemente in vigore prevedeva, per il reato di cui al presente articolo, la pena della reclusione da uno a cinque anni.

(2) Comma aggiunto dall’art. 25, L. 8 agosto 1995, n. 332. L’art. 28, primo comma, della stessa legge ha così disposto: «1. La sospensione del procedimento penale prevista dal secondo comma dell’articolo 371-bis del codice penale, come modificato dall’articolo 25 della presente legge, non si applica relativamente ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stata già esercitata l’azione penale ai sensi dell’articolo 405 del codice di procedura penale. In tali casi resta ferma la competenza del tribunale».

(3) Comma aggiunto dall’art. 19, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2).

 

 

Art. 371-ter

False dichiarazioni al difensore.

Nelle ipotesi previste dall’articolo 391-bis, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, chiunque, non essendosi avvalso della facoltà di cui alla lettera d) del comma 3 del medesimo articolo, rende dichiarazioni false è punito con la reclusione fino a quattro anni.

 

Il procedimento penale resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le dichiarazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 20, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2).

 

 

Art. 372

Falsa testimonianza (1)

Chiunque, deponendo come testimone [c.p.c. 244; c.p.c. 194] innanzi all’autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni (2) [c.c. 463, n. 3; c.p.c. 256; c.p.p. 499].

 

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(1) Per le commissioni parlamentari d’inchiesta sul fenomeno della mafia e del terrorismo vedi la L. 23 marzo 1988, n. 94, e la L. 17 maggio 1988, n. 172.

(2) Articolo così modificato dall’art. 11, comma secondo, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa; vedi, anche, l’art. 25-septies dello stesso provvedimento.

 

 

Art. 373

Falsa perizia o interpretazione.

Il perito [c.p.c. 61; c.p.p. 220] o l’interprete [c.p.c. 122; c.p.p. 143] che, nominato dall’autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell’articolo precedente.

 

La condanna importa, oltre l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione dalla professione o dall’arte [c.p. 28, 30].

 

 

Art. 374

Frode processuale.

Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale [c.p.p. 218, 219, 244, 246], ovvero il perito [c.p.c. 61] nell’esecuzione di una perizia [c.p.p. 220], immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni [c.p. 29].

 

La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela [c.p. 120; c.p.p. 336], richiesta [c.p. 8, 9, 10, 11, 12, 127, 313; c.p.p. 342] o istanza [c.p. 9, 10; c.p.p. 341], e questa non è stata presentata.

 

 

Art. 374-bis

False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti dall’autorità giudiziaria condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all’imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione.

 

Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 11, comma terzo, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

 

Art. 375

Circostanze aggravanti.

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372, 373 e 374, la pena è della reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; è della reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed è della reclusione da sei a venti anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 11, comma quarto, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, e poi così modificato dall’art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2). Il testo in vigore prima di quest’ultima modifica così disponeva: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 372, 373 e 374, la pena è della reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; è della reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed è della reclusione da sei a venti anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo».

 

 

Art. 376

Ritrattazione.

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento [c.p.p. 524] (1).

 

Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva [c.p.c. 279], anche se non irrevocabile [c.p.c. 324] (2).

 

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(1) Comma prima sostituito dall’art. 11, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, e poi così modificato dall’art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2). Il testo in vigore prima di quest’ultima modifica era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 372 e 373, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 22-30 marzo 1999, n. 101 (Gazz. Uff. 7 aprile 1999, n. 14 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità, nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi, richiesto dalla polizia giudiziaria, delegata dal pubblico ministero a norma dell’art. 370 del codice di procedura penale, di fornire informazioni ai fini delle indagini, abbia reso dichiarazioni false ovvero in tutto o in parte reticenti. La stessa Corte, con sentenza 9-16 ottobre 2000, n. 424 (Gazz. Uff. 18 ottobre 2000, n. 43 - Prima serie speciale), ne ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità, in riferimento all’art. 3 Cost.

(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 13-22 dicembre 1982, n. 228 (Gazz. Uff. 29 dicembre 1982, n. 357), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo nella sua precedente formulazione, nella parte in cui prevedeva l’esimente della ritrattazione solo per il reato di cui all’art. 372 c.p. e non anche per quello di cui all’art. 378 c.p., in riferimento all’art. 3 Cost.

 

 

Art. 377

Intralcio alla giustizia (1).

Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazione davanti all’autorità giudiziaria ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell’attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla metà ai due terzi (2).

 

La stessa disposizione si applica qualora l’offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa.

 

Chiunque usa violenza o minaccia ai fini indicati al primo comma, soggiace, qualora il fine non sia conseguito, alle pene stabilite in ordine ai reati di cui al medesimo primo comma, diminuite in misura non eccedente un terzo (3).

 

Le pene previste ai commi primo e terzo sono aumentate se concorrono le condizioni di cui all’articolo 339 (4).

 

La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici [c.p. 28].

 

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(1) Rubrica così sostituita dall’art. 14, L. 16 marzo 2006, n. 146.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Subornazione.».

(2) Comma prima sostituito dall’art. 11, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, e poi così modificato dall’art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2).

Il testo in vigore prima di quest’ultima modifica era il seguente: «Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazione davanti all’autorità giudiziaria ovvero a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla metà ai due terzi».

(3) Comma aggiunto dall’art. 14, L. 16 marzo 2006, n. 146. Vedi, anche, l’art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, come modificato, da ultimo, da citato articolo 14.

(4) Comma aggiunto dall’art. 14, L. 16 marzo 2006, n. 146.

 

 

Art. 377-bis

Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia, o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti alla autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 20, L. 1 marzo 2001, n. 63. Vedi, anche, l’art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146. L’art. 26 della citata legge n. 63 del 2001 ha così disposto:

«Art. 26.

1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5.

2. Se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l’esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197-bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste.

3. Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6 del previgente articolo 500 del codice di procedura penale.

4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell’articolo 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1-bis dell’articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall’articolo 19 della presente legge.

5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse.».

 

 

Art. 378

Favoreggiamento personale (1)

Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte (2) o l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo [c.p. 110], aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni [c.p. 29].

 

Quando il delitto commesso è quello previsto dall’art. 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni (3).

 

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516 (4).

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile [c.p. 85, 88, 91, 93, 96, 97] o risulta che non ha commesso il delitto (5) (6).

 

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(1) Vedi l’art. 2, comma primo, L. 18 febbraio 1987, n. 34, sulla dissociazione dal terrorismo. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall’art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l’art. 1, quarto comma, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, in L. 15 marzo 1991, n. 82, in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e protezione di coloro che collaborano con la giustizia.

(2) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena dell’ergastolo.

(3) Comma aggiunto dall’art. 2, L. 13 settembre 1982, n. 646, sulle misure di prevenzione a carattere patrimoniale.

(4) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

 

(5) Per i casi di non punibilità di coloro che hanno commesso, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, uno o più reati previsti in questo articolo, se forniscono completa informazione sul favoreggiamento commesso, vedi l’art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull’ordinamento costituzionale il cui comma terzo, lett. a), esclude la non punibilità per le ipotesi di importazione, esportazione, rapina e furto di armi, munizioni od esplosivi. La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolato dall’art. 10 della stessa legge, il cui art. 12 limita l’applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l’art. 1, D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882. Vedi, anche, l’art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146.

(6) La Corte costituzionale, con sentenza 11-18 gennaio 1996, n. 8 (Gazz. Uff. 24 gennaio 1996, n. 4 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost.; b) non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all’art. 29 Cost.

 

 

Art. 379

Favoreggiamento reale (1)

Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648, 648-bis, 648-ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di contravvenzione [c.p. 29, 32, 39] (2) (3).

 

Si applicano le disposizioni del primo e dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente (4).

 

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(1) Vedi l’art. 2, comma primo, L. 18 febbraio 1987, n. 34, sulla dissociazione dal terrorismo. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall’art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l’art. 1, quarto comma, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, in L. 15 marzo 1991, n. 82, in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e protezione di coloro che collaborano con la giustizia. Per i casi di non punibilità di coloro che hanno commesso, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, uno o più reati previsti in questo articolo, se forniscono completa informazione sul favoreggiamento commesso, vedi l’art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull’ordinamento costituzionale il cui comma terzo, lett. a), esclude la non punibilità per le ipotesi di importazione, esportazione, rapina e furto di armi, munizioni od esplosivi. La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolato dall’art. 10 della stessa legge, il cui art. 12 limita l’applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l’art. 1, del D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882.

(2) Comma così modificato dall’art. 25, L. 19 marzo 1990, n. 55, in tema di criminalità mafiosa.

(3) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(4) Comma così sostituito dall’art. 3, L. 13 settembre 1982, n. 646, sulle misure di prevenzione a carattere patrimoniale.

 

 

Art. 379-bis

Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 391-quinquies del codice di procedura penale (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 21, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2).

 

 

Art. 380

Patrocinio o consulenza infedele.

Il patrocinatore [c.p.c. 82; c.p.p. 96] o il consulente tecnico [c.p.c. 61, 201; c.p.p. 225], che rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a euro 516 [c.p. 29] (1).

 

La pena è aumentata [c.p. 64]:

 

1. se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;

 

2. se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

 

Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a euro 1.032 (2), se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena di morte (3) o l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni.

 

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(1) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(2) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(3) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena dell’ergastolo.

 

 

Art. 381

Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico.

Il patrocinatore [c.p.c. 82; c.p.p. 96] o il consulente tecnico [c.p.c. 61, 201; c.p.p. 225], che, in un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103 [c.p. 29, 31, 383] (1).

 

La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da euro 51 a euro 516 (2), se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.

 

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(1) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(2) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

 

 

Art. 382

Millantato credito del patrocinatore. (1)

Il patrocinatore [c.p.c. 82; c.p.p. 96], che, millantando credito [c.p. 346] presso il giudice o il pubblico ministero che deve concludere, ovvero presso il testimone [c.p.c. 244], il perito [c.p.c. 61; c.p.p. 220] o l’interprete [c.p.c. 122; c.p.p. 143], riceve o fa dare o promettere dal suo cliente, a sé o ad un terzo, denaro o altra utilità, col pretesto di doversi procurare il favore del giudice o del pubblico ministero, o del testimone, perito o interprete, ovvero di doverli remunerare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa non inferiore a euro 1.032 [c.p. 29, 31, 32] (2).

 

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(1) Vedi l’art. 42, R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sulla professione di avvocato e procuratore.

(2) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

 

 

Art. 383

Interdizione dai pubblici uffici.

La condanna per i delitti preveduti dagli articoli 380 e 381, prima parte, e 382 importa l’interdizione dai pubblici uffici [c.p. 28, 31, 37].

 

 

Art. 384

Casi di non punibilità.

Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore (1).

 

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione (2).

 

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(1) Comma così modificato dall’art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2). La Corte costituzionale, con sentenza 24-28 giugno 2004, n. 200 (Gazz. Uff. 7 luglio 2004, n. 26 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 397 del 2000 era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 11-18 gennaio 1996, n. 8 (Gazz. Uff. 24 gennaio 1996, n. 4 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost.; b) non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all’art. 29 Cost.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 11, comma settimo, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa. Successivamente il secondo comma è stato così modificato dall’art. 22, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2) e dall’art. 21, L. 1 marzo 2001, n. 63. Il testo in vigore prima di quest’ultima modifica era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione». Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla legge n. 397 del 2000 era il seguente: «Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione». In relazione alla suddetta formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 12-27 dicembre 1996, n. 416 (Gazz. Uff. 3 gennaio 1997, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità, nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle, a norma dell’art. 199 del codice di procedura penale. L’art. 26 della suddetta legge n. 63 del 2001 ha così disposto:

«Art. 26.

1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5.

2. Se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l’esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197-bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste.

3. Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6 del previgente articolo 500 del codice di procedura penale.

4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell’articolo 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1-bis dell’articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall’articolo 19 della presente legge.

5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse.».

 

 

Art. 384-bis

Punibilità dei fatti commessi in collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria dall’estero.

I delitti di cui agli articoli 366, 367, 368, 369, 371-bis, 372 e 373, commessi in occasione di un collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria all’estero, si considerano commessi nel territorio dello Stato e sono puniti secondo la legge italiana (1).

 

 

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 17, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

 

 


 

Codice di procedura penale
(art. 329)

 

 

Art. 329

Obbligo del segreto. (1)

1. Gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

 

2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall’articolo 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero.

 

3. Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma 1, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato:

 

a) l’obbligo del segreto per singoli atti, quando l’imputato lo consente o quando la conoscenza dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone;

 

b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni (2).

 

 

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(1) Vedi gli artt. 97-103, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza e l’art. 6, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito, con modificazioni, con la L. 14 febbraio 1994, n. 120.

(2) Deroga al divieto previsto in questa lettera è stabilita dall’art. 4, L. 30 giugno 1994, n. 430.

 


 

 



[1]     La Commissione di inchiesta sulle condizioni dei lavoratori fu istituita con distinte deliberazioni della Camera e del Senato.

[2]     Nella VIII Legislatura la Commissione di inchiesta sulle commesse d’armi e mezzi di uso militare, già costituita nella legislatura precedente, fu nuovamente istituita per due volte con leggi successive (L. 18 dicembre 1980, n. 865 e L. 29 aprile 1982, n. 186), che qui non sono considerate.

[3]    Legge 27 ottobre 2006, n. 277, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare.

[4]    L. 4 agosto 2008, n. 132, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

[5]    Approvata all’unanimità, con apposita relazione, dalla Commissione nella seduta del 3 aprile 2007, la proposta costituisce una sorta di Codice di autoregolamentazione definito “il mezzo anticipato per contribuire alla trasparenza, alla tutela e alla libera determinazione degli organi elettivi locali, troppo spesso eterodiretti e condizionati dagli inquinamenti mafiosi”. Esso è finalizzato alla volontaria esclusione dalle liste per le elezioni amministrative di coloro che risultino rinviati a giudizio, nei cui confronti siano state adottate misure cautelari personali, o che siano detenuti in esecuzione di pena ovvero in stato di latitanza per taluni gravi delitti; di coloro nei cui confronti sia stata disposta l'applicazione di misure di prevenzione personali o patrimoniali; degli amministratori locali rimossi o sospesi per fenomeni di infiltrazione mafiosa.

[6]    La norma richiamata prevede che il giudice possa ordinare l’accompagnamento coattivo del testimone, del perito, del consulente tecnico, dell’interprete o del custode di cose sequestrate, quando questi, regolarmente convocati o citati, omettano senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti. In tal caso, il giudice può altresì condannarli, con ordinanza, al pagamento di una ammenda da euro 51 a euro 516, nonché al pagamento delle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa.

[7]    L. 3 agosto 2007, n. 124, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto.

[8]     Cfr. Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (ISPO), Italiani, Rom e Sinti a confronto: una ricerca quali-quantitativa, presentata alla Conferenza Europea sulla popolazione Rom, Roma 22-23 gennaio 2008. Consultabile dal sito del Ministero dell’interno http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/15/0963_Conferenza_Europea_sulla_popolazione_rom_sinti.ppt.

[9]    Ministero dell’interno, Pubblicazione sulle minoranze senza territorio, 2006 consultabile dal sito del Ministero http://interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/13/La_pubblicazione_sulle_minoranze_senza_territorio.pdf

[10]    Si tratta in particolare dei seguenti reati: rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366); simulazione di reato (art. 367); calunnia (art. 368); autocalunnia (art. 369); simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione (art. 370); falso giuramento della parte (art. 371); false informazioni al pubblico ministero (art. 371-bis); false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter); falsa testimonianza (art. 372); falsa perizia o interpretazione (art. 373); frode processuale (art. 374); false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria (art. 374-bis); circostanze aggravanti (art.375); ritrattazione (art. 376); intralcio alla giustizia (art. 377); induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 377-bis); favoreggiamento personale (art. 378); favoreggiamento reale (art. 379); rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art. 379-bis); patrocinio o consulenza infedele (art. 380); altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico (art. 381); millantato credito del patrocinatore (art. 382); interdizione dai pubblici uffici (art. 383); casi di non punibilità (art. 384); punibilità dei fatti commessi in collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria all’estero (art. 384-bis).