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ASGI NEWSLETTER

20 dicembre 2008

 

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

 

 

SOMMARIO

 

 

Assegno sociale  - Circolare INPS applicativa delle nuove disposizioni in vigore dal 1 gennaio 2009 (Art. 20 c. 10 D.L. 112/2008 convertito con modificazioni dalla legge 6.08.2008 n. 133)

 

ATTIVITA’ PARLAMENTARI

 

NORMATIVA SULL’ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA. Iniziato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati l’iter parlamentare di discussione di otto progetti di legge, tutti di iniziativa parlamentare, volti a modificare la disciplina sulla cittadinanza (L. 91/92). L’esame del contenuto dei progetti di legge, della normativa vigente e i dati statistici dal 1992 al 2007 in tre dossier curati dal servizio studi della Camera dei Deputati. Il documento dell’ASGI sulla riforma della legislazione sulla cittadinanza presentato nel corso della precedente legislatura.

 

DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA – LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI COMUNITARI E DEI LORO FAMIGLIARI

 

La Commissione Europea pubblica un documento sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE, rilevando l’incompleta ed insoddisfacente trasposizione della normativa europea nelle legislazioni nazionali. L’Italia non si adegua alle conclusioni vincolanti della sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 25 luglio 2008 (C-127-08) sul soggiorno dei famigliari dei cittadini comunitari. Il rapporto della Commissione europea colloca l’Italia tra i paesi che trattano i partner registrati di cittadini comunitari allo stesso modo dei coniugi ai fini della libera circolazione, ma la prassi sembra smentire tale affermazione.

 

GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALE

 

DIRITTO ALLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE      

 

La Corte europea dei diritti dell’Uomo respinge una richiesta di sospensiva d’urgenza ex art. 39 Regolamento di procedura del trasferimento di un richiedente asilo iraniano dal Regno Unito alla Grecia  in base alla procedura Dublino. La Corte europea si dichiara soddisfatta delle rassicurazioni dell’unità Dublino delle autorità greche che non vi sarebbe un rischio di refoulment del richiedente asilo iraniano verso il paese di origine. Un contributo del Prof. Fulvio Vassallo, Università di Palermo e membro del direttivo ASGI.

 

DIRITTO ANTI-DISCRMINATORIO.

 

Uso dei simboli religiosi e divieto di discriminazioni indirette - Regno Unito, Employment Appeal Tribunal, Sentenza 20 novembre 2008 (Regno Unito: Eweida v. British Airways)

 

 

 

 

Assegno sociale  - Circolare INPS applicativa delle nuove disposizioni in vigore dal 1 gennaio 2009 (Art. 20 c. 10 D.L. 112/2008 convertito con modificazioni dalla legge 6.08.2008 n. 133)

L’INPS ridimensiona  la portata della sentenza della Corte Costituzionale n. 306/2008 e continua a richiedere il permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (ex carta di soggiorno) quale requisito per l’accesso degli stranieri extracomunitari all’assegno sociale. Ignorate pure le disposizioni in materia di parità di trattamento di cui agli accordi euro mediterranei di associazione tra CE e Marocco, Algeria, Tunisia e Turchia e quelle relative al Regolamento CE n. 859/2003.. Il nuovo requisito del soggiorno legale e continuativo di durata decennale suscettibile di introdurre una discriminazione indiretta vietata dal diritto europeo.

 

La circolare INPS n. 105 dd. 02.12.2008

 

L’INPS – Direzione centrale Prestazioni - ha diramato una circolare applicativa  (n. 105 dd. 02.12.2008) delle nuove disposizioni in materia di assegno sociale introdotte con l’art. 20 c. 10 del D.L. 112/2008 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (G.U. n. 195 dd. 21.09.2008 – Suppl. ord. n. 196).

 Le citate nuove  disposizioni  hanno stabilito che, a decorrere dal 1 gennaio 2009, per gli aventi diritto all’assegno sociale, disciplinato dall’art. 3 co. 6, della L.  n. 335/1995,  sia necessario, oltre ai requisiti di stato di bisogno e di età previsti dalla normativa (circolari INPS n. 303 dd. 14.12.1995 e n. 208 dd. 24.11.2006), l’ulteriore requisito del soggiorno legale e continuativo sul territorio nazionale  per almeno dieci anni.

L’introduzione di detto requisito di soggiorno di lunga durata solleva perplessità, in quale appare suscettibile di introdurre un elemento discriminatorio a danno dei cittadini stranieri.

 

 

La portata discriminatoria “indiretta” o “dissimulata” del nuovo requisito di lungo soggiorno alla luce del diritto europeo

 

Sebbene la normativa ora entrata in vigore non contenga, infatti,  una discriminazione di tipo diretto, prevedendo infatti l’applicazione del medesimo requisito di residenza decennale a tutti, senza distinzione di cittadinanza,  si determina ugualmente  una palese situazione di discriminazione indiretta o dissimulata nei confronti dei cittadini stranieri, comunitari ed extracomunitari, in quanto il nuovo requisito di anzianità di soggiorno  finisce per incidere in maniera sproporzionata a svantaggio dei cittadini migranti rispetto a quelli nazionali.

La Corte di Giustizia Europea ha infatti chiarito, con riferimento al principio di non-discriminazione tra cittadini comunitari previsto nel Trattato Europeo, che il requisito della residenza  ai fini dell’accesso ad un beneficio può integrare una forma di illecita discriminazione “dissimulata” in quanto può essere più facilmente soddisfatto dai cittadini piuttosto che dai lavoratori comunitari migranti, finendo dunque per privilegiare in misura  sproporzionata  i primi a danno dei secondi (ad es. Meints, 27.11.1997; Meussen, 8.06.1999; Commissione c. Lussemburgo, 20.06.2002). Si veda ad esempio la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha condannato l’Italia per le agevolazioni tariffarie a vantaggio delle persone residenti per l’accesso ai Musei Comunali (sentenza 16 gennaio 2003 n. C-388/01), nella quale si legge: “…il principio di parità di trattamento,….., vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene, in particolare, nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri” (par. 13 e 14). Il divieto di discriminazioni indirette di cui al diritto europeo, profilerebbe pertanto il contrasto della normativa italiana di cui alla legge 6 agosto 2008 con tutte le disposizioni del diritto europeo che contengono la clausola di parità di trattamento in materia di prestazioni di assistenza sociale a beneficio di cittadini stranieri, comunitari o di paesi terzi.

Si profilerebbe, pertanto,   la violazione del Regolamento  CEE n. 1408/71 e successive modifiche (relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale dei lavoratori migranti subordinati, autonomi e loro famigliari, che menziona espressamente l’assegno sociale ex l. 335/95 quale prestazione economica cui il Regolamento medesimo si applica), con riguardo ai cittadini dell’Unione Europea e loro famigliari, nonché, in forza del Regolamento 859/2003 (che estende l’applicazione dei Regolamenti citati ai cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti) con  riferimento ai cittadini non comunitari che provengano da un altro Paese dell’Unione. Ugualmente, verrebbe violato il principio di non-discriminazione nell’accesso alle prestazioni sociali dei cittadini di paesi terzi titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (art. 11 direttiva n. 109/CE), così come il medesimo principio valido per i rifugiati politici di cui all’art. 28 della direttiva n. 2004/83, e il principio di parità di trattamento con i cittadini nazionali previsto per i lavoratori migranti di nazionalità marocchina, tunisina, algerina e turca dagli accordi di associazione euro mediterranei sottoscritti tra la Comunità Europea e i rispettivi paesi.

A supporto di tali considerazioni, vale la pena ricordare la recente risposta del Commissario europeo Barrot dinanzi al Parlamento europeo, il quale non ha escluso che le disposizioni contenute nella manovra finanziaria 2009 voluta dal ministro italiano Tremonti in materia di assegno sociale possano contenere profili discriminatori di natura indiretta, fondati sul criterio della residenza di lungo periodo, rilevando che forme di discriminazione indiretta possono essere consentite dal diritto comunitario solo se "giustificate da considerazioni oggettive indipendenti dalla nazionalità della persona in questione e qualora proporzionate agli obiettivi legittimamente perseguiti". Il Commissario Barrot ha annunciato pertanto che la Commissione Europea chiederà al governo italiano informazioni dettagliate per valutare l'eventuale contrasto della normativa italiana con la legislazione comunitaria.

Sarebbe pertanto auspicabile la promozione di cause pilota sollevando la questione di incompatibilità della nuova normativa con il diritto europeo per violazione del principio del  divieto di discriminazioni indirette a danno di soggetti tutelati dal diritto europeo e chiedendo ai giudici del lavoro un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea.

 

Il quadro dei stranieri beneficiari dell’assegno sociale come riassunto dalla circolare INPS.

L’INPS continua a richiedere il possesso del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (ex carta di soggiorno) quale requisito indispensabile per l’accesso all’assegno sociale nonostante le conclusioni contrarie della Corte Costituzionale (sentenza n. 306/2008). Imprecisioni e lacune nella trattazione della figura degli apolidi. La mancata applicazione delle clausole di parità di trattamento contenute negli accordi di associazione euro-mediterranei con riferimento ai lavoratori migranti (e loro famigliari) di nazionalità marocchina, tunisina, algerina e turca.

 

Con la circolare dd. 2 dicembre 2008, l’INPS riassume il novero dei beneficiari dell’assegno sociale, specificando che sono equiparati ai cittadini italiani nella fruizione del beneficio, a parità di requisiti di reddito e di età e di soggiorno legale decennale,  gli stranieri che si trovano nelle seguenti posizioni:

a)    stranieri o apolidi ai quali è stata riconosciuta la qualifica di “rifugiato politico” o di “protezione sussidiaria” e relativi coniugi ricongiunti (artt. 2 e  22 d.lgs.  n. 251/2007, messaggio n. 4090 dd. 18.02.2008);

b)    stranieri extracomunitari o apolidi titolari della “carta di soggiorno” o del “permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti” (d.lgs. n. 3 dd. 08.01.2007, che ha recepito la direttiva comunitaria n. 109/2003);

c)    cittadini comunitari e loro familiari a carico, soggiornanti in Italia per più di tre mesi ed iscritti all’anagrafe del comune di residenza ai sensi del decreto n. 30/2007;

d)    cittadini della Repubblica di San Marino residenti in Italia.

 

Tale quadro di riferimento, attinente al novero dei beneficiari dell’assegno sociale, presenta diverse lacune, omissioni  ed imprecisioni. Innanzitutto la trattazione riguardante   gli apolidi appare erronea, in quanto trascura che gli apolidi riconosciuti de jure nel nostro paese ai sensi della Convenzione di New York dd. 28 settembre 1954 (ratificata ed eseguita con L. 01.02.1962 n. 306) e, quindi ivi legalmente residenti,  godono, al pari dei rifugiati politici e dei titolari di protezione sussidiaria, del principio di parità di trattamento con i cittadini nazionali in materia di assistenza pubblica (art. 23 della Convenzione di New York citata) e, pertanto, al pari dei rifugiati, non hanno bisogno di soddisfare l’ulteriore requisito del possesso della “carta di soggiorno” o “permesso di soggiorno CE” per accedere alla fruizione del beneficio.

Ulteriormente, l’INPS specifica che agli stranieri extracomunitari debba continuare ad essere richiesto il requisito  del possesso della  “carta di soggiorno”  o “permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti”. Questo  anche dopo le conclusioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 306 dd. 29 luglio 2008, nelle quali la Corte aveva  dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001) e dell’art. 9, comma 1 del T.U. immigrazione, nella parte in cui escludono che l’indennità di accompagnamento, di cui all’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, spettante ai disabili non autonomamente deambulanti o che non siano in grado di compiere da soli gli atti quotidiani della loro vita,  possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché non possiedono i requisiti di reddito necessari per il rilascio  del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti.

Nella motivazione della sentenza, la Corte ha affermato che l’indennità di accompagnamento rientra nelle prestazioni di “sicurezza o assistenza sociale” suscettibili di incidere sul diritto alla salute quale diritto fondamentale della persona, per cui la previsione di una discriminazione a danno degli stranieri legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato appare contraria alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute oltrechè contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza, in quanto introduce una disparità di trattamento fondata su criteri irrazionali ed arbitrari rispetto alle finalità del beneficio.

Peraltro, nonostante la chiara affermazione precedente,  il giudice delle leggi non ha voluto censurare per intero la norma della legge finanziaria 2001 che ha subordinato per gli stranieri extracomunitari l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale che costituiscono diritti soggettivi al possesso della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti), ma si è limitato a dichiararne l’illegittimità soltanto con riferimento ai requisiti reddituali e di alloggio  che sono il presupposto per il rilascio del suddetto titolo di soggiorno. La Corte, invece,  non ha voluto intaccare l’ulteriore requisito della durata quinquennale del soggiorno del cittadino straniero in Italia, già stabilito ai fini del rilascio del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, con l’argomentazione, non pienamente convincente, che tale requisito non era sospettato di illegittimità dal giudice remittente, limitandosi a specificare  come il legislatore possa “subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni – non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza – alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata”. Questo, tuttavia, con l’importante precisazione che “una volta, però, che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali, riconosciuti invece ai cittadini”. Se è vero che con la sentenza n. 306 la Corte Costituzionale ha censurato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge 23.12.2000 in connessione alla sola normativa sull’indennità di accompagnamento di cui alla legge 11.02.1980 n. 18, dovrebbero comunque trovare piena applicazione anche alla normativa di cui all’assegno sociale le conclusioni relative all’ irragionevolezza di subordinare un trattamento riservato alla tutela di diritti di cittadinanza fondamentali   al possesso di un titolo di soggiorno quale la carta di soggiorno che presuppone il soddisfacimento di requisiti reddituali.  Tanto più  il ragionamento ha validità  visto che tale beneficio viene riservato alle persone indigenti, con la conseguente impossibilità logica per gli stranieri di accedervi quando il requisito della carta di soggiorno previsto presuppone invece  la presenza di una soglia di reddito.

E’ evidente dunque la volontà manifesta dell’INPS di ignorare o ridimensionare la portata della sentenza della Corte Costituzionale, con la necessità dunque per i cittadini stranieri legalmente soggiornanti da più di dieci anni, ma non in possesso della carta di soggiorno o “permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti” e che vogliano far valere il loro diritto alla fruizione della prestazione   sociale, di dover continuare ad  adire le sedi giudiziarie per ottenere un’interpretazione costituzionalmente orientata dalla norma.

Ulteriormente, la circolare dell’INPS non fa menzione alcuna delle clausole di parità di trattamento in materia di assistenza sociale contenute negli accordi di associazione euro mediterranei sottoscritti tra CEE e rispettivamente Regno del Marocco, Tunisia, Algeria e Turchia. In base a tali disposizioni, i lavoratori dei rispettivi paesi, regolarmente soggiornanti, ed i loro famigliari hanno diritto a fruire delle prestazioni di previdenza sociale, anche a carattere non contributivo, in condizioni di parità con i cittadini nazionali. Di conseguenza, almeno per i lavoratori migranti e loro famigliari appartenenti a tali nazionalità non può comunque essere imposto l’ulteriore requisito della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti per accedere al beneficio dell’assegno sociale, essendo la loro situazione parificata a quella dei cittadini italiani e venendo previsto unicamente il requisito soggettivo della condizione di lavoratore (o di suo famigliare) e quello della legalità del soggiorno. . Questo in virtù della diretta applicazione e prevalenza delle norme di diritto europeo, quali sono quelle contenute in tali accordi di associazione euro mediterranei, sulle norme di diritto interno, come ribadito da numerose pronunce della Corte di Giustizia europea e della stessa Corte Costituzionale italiana (sull’applicazione degli accordi di associazione euro-mediterranei si veda Newsletter progetto Leader n. 7 – luglio 2007, così come il parere dell’UNAR – Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali, riprodotto integralmente  in Newsletter  progetto Leader n. 11 – novembre 2007). Anche in tale caso, pertanto,  appare decisiva la promozione di cause pilota dinanzi ai giudici del lavoro (in proposito si veda Tribunale di Treviso (Sezione Lavoro), Verbale di conciliazione dd. 31.10.2008, causa n. 453/2008 R.G.)

 

 

 

Il nuovo requisito del soggiorno  decennale non ha effetto retroattivo e vale dunque solo per le nuove prestazioni richieste a partire dal 1 dicembre 2008 e liquidate con decorrenza dal 1 gennaio 2009

 

La circolare INPS dd. 2 dicembre 2008 ha precisato che l’ulteriore requisito del soggiorno legale e continuativo per almeno dieci anni introdotto dalla legge n. 133/2008 debba essere accertato indipendentemente dal periodo dell’arco vitale in cui la stessa permanenza si è verificata. Pertanto, tale requisito di permanenza  decennale continuativa potrebbe anche non sussistere al momento in cui viene presentata l’istanza purchè si sia realizzato nel passato, anche in epoche remote.

Per i cittadini italiani, il requisito in questione può essere desunto dal certificato di residenza, ovvero dai certificati di residenza storici, fermo restando la possibilità della dichiarazione sostitutiva di cui al DPR 28.12.2000 n. 445. Per i cittadini stranieri, il requisito di permanenza decennale  potrà essere dimostrato fornendo copia dei permessi/titoli di soggiorno ottenuti in precedenza, facendo fede la data di rilascio dei titoli di soggiorno (ovvero di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria),  mentre non si fa menzione della possibilità di avvalersi della dichiarazione sostitutiva, il che costituisce un’evidente discriminazione e violazione di legge, trattandosi di attestazioni di stati o fatti maturati sul territorio nazionale e dunque attestabili e verificabili dalle autorità italiane (art. 2 d.P.R. n. 394/99).

La circolare INPS chiarisce  che il requisito della permanenza decennale, legale e continuativa, verrà richiesto soltanto a coloro che presentino domanda di assegno sociale a partire dal 1 dicembre 2008 per ottenere l’erogazione della prestazione assistenziale con decorrenza dal 1 gennaio 2009.

Le nuove disposizioni dunque non hanno incidenza su coloro che già prima del 1 dicembre 2008 hanno iniziato a  beneficiare dell’assegno sociale in forza della disciplina previgente, in quanto essi hanno maturato un diritto definitivamente acquisito alla conservazione delle medesime prestazioni, non potendo avere le nuove disposizioni effetto retroattivo. Questo sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione (Cass. Sez. lavoro, n. 16415/2008 e n. 1117/2005), che ha trovato il sostegno della Corte Costituzionale con la sentenza n. 324/2006 dd. 06.10.2006).

 

 

Per il mantenimento del diritto all’erogazione dell’assegno sociale, occorre conservare il requisito della residenza stabile continuativa in Italia, in quanto l’assegno sociale non è una prestazione esportabile nei paesi esteri.  L’INPS può dunque sospendere a anche revocare l’erogazione dell’assegno sociale  in caso di accertata permanenza all’estero del beneficiario.



La circolare INPS dd. 02 dicembre 2008  ribadisce il contenuto del precedente
 messaggio INPS dd. 4 giugno 2008  che individua la residenza effettiva in Italia come “elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale”. Quest’ultima, infatti,  non costituisce una prestazione esportabile all’estero. Pertanto, l’INPS ribadisce che l’accertata  permanenza all’estero del beneficiario, cittadino italiano o straniero,  per un periodo superiore ad un mese, salvo che ciò sia dipeso da comprovati gravi motivi sanitari, comporta la sospensione dell’erogazione dell’assegno sociale, così come la prolungata sospensione per un periodo di un anno, per il perdurare della mancata residenza sul territorio italiano, comporta la revoca del beneficio. A tale fine, le sedi locali dell’INPS sono state sollecitate  ad effettuare verifiche e controlli sull’effettiva presenza continuativa e stabile dei beneficiari del provvedimento, da effettuarsi con l’assistenza dell’autorità di pubblica sicurezza e della polizia municipale, in particolare nei confronti di chi ottenga il pagamento della prestazione tramite un delegato o con accredito su conti correnti postali o bancari.

E’ evidente che in caso di revoca del beneficio, l’interessato potrà presentare nuova istanza solo se sarà in grado di soddisfare anche il nuovo requisito di permanenza continuativa e decennale sul territorio nazionale introdotto con la legge n. 133/2008.

 

 

 

 

ATTIVITA’ PARLAMENTARI

 

NORMATIVA SULL’ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA. Iniziato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati l’iter parlamentare di discussione di otto progetti di legge, tutti di iniziativa parlamentare, volti a modificare la disciplina sulla cittadinanza (L. 91/92). L’esame del contenuto dei progetti di legge, della normativa vigente e i dati statistici dal 1992 al 2007 in tre dossier curati dal servizio studi della Camera dei Deputati. Il documento dell’ASGI sulla riforma della legislazione sulla cittadinanza presentato nel corso della precedente legislatura.

Gli otto progetti di legge, tutti di iniziativa parlamentare, intervengono sulla disciplina della cittadinanza, modificando espressamente (ad eccezione dell’A.C. 104) la L. 91/1992, che attualmente regola la materia.

Per quanto concerne il contenuto, i progetti di legge possono essere così suddivisi:

§         quattro p.d.l. [A.C. 103 e A.C. 104, entrambe presentate dall’on. Angeli (Popolo delle Lbertà), A.C. 718, Fedi ed altri (Partito Democratico), e A.C. 995, Ricardo Merlo ed altri -Gruppo Misto)] disciplinano il riacquisto della cittadinanza da parte degli italiani residenti all’estero che l’abbiano perduta a seguito della naturalizzazione nei Paesi di accoglienza;

§         una p.d.l. (A.C. 1592, Cota ed altri – Lega Nord) è finalizzata all’introduzione di un “test di naturalizzazione” per gli stranieri e gli apolidi che richiedano la cittadinanza;

§         una p.d.l. (A.C. 566, De Corato ed altri – Popolo della Libertà), prevede la revoca della cittadinanza, in caso di condanna definitiva per gravi delitti, per coloro che l’hanno acquistata per matrimonio.

§         due p.d.l. (A.C. 457, Bressa ed altri- Partito Democratico, e A.C. 1048, Santelli – Popolo della Libertà) hanno portata più generale, modificando in varie parti la L. 91/1992.

 

In particolare, la p.d.l. A.C. 457 interviene su puntuali aspetti della vigente disciplina, quali:

§         l’acquisto della cittadinanza per nascita, ampliando il novero dei casi in cui la cittadinanza è attribuita in base al criterio dello jus soli;

§         l’acquisto della cittadinanza da parte del minore, consentendola tra l’altro per il minore figlio di genitori stranieri che abbia frequentato corsi di istruzione presso istituti scolastici del sistema nazionale di istruzione o percorsi di formazione professionale;

§         l’acquisto della cittadinanza per matrimonio, prevedendo modifiche in senso restrittivo della disciplina vigente;

§         i motivi preclusivi dell’attribuzione della cittadinanza;

§         la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, aggiungendo al requisito del periodo minimo di dieci anni di presenza regolare e continuativa in Italia già previsto, quello del possesso di un reddito sufficiente.

La p.d.l. A.C. 457, inoltre, introduce un percorso di attribuzione della cittadinanza ulteriore rispetto a quello attualmente disciplinato dall’art. 9 della L. 91/1992, per il quale sono richiesti un periodo di residenza legale di cinque anni; il possesso di un reddito non inferiore all’assegno sociale annuo; l’accertamento della concreta integrazione linguistica e sociale dello straniero, da cui risulti in particolare una conoscenza elementare della lingua italiana parlata.

 

Le disposizioni introdotte dalla p.d.l. A.C. 1048, Santelli:

§         condizionano l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia e ivi residente legalmente e ininterrottamente all’aver frequentato scuole riconosciute dallo Stato italiano e all’aver adempiuto agli obblighi scolastici;

§         aggiungono, ai requisiti già previsti per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio e per naturalizzazione, quelli dell’accertamento della buona conoscenza della lingua, della storia e della Costituzione italiana, della rinuncia alla precedente cittadinanza e della frequentazione di un corso di formazione di 12 mesi volto ad approfondire le materie suindicate.

 

Nel corso della precedente legislatura, l'ASGI, rappresentata dal Prof. Paolo Bonetti, aveva partecipato all'audizione parlamentare tenutasi il giorno 12 marzo 2007, nel corso della quale aveva presentato un proprio documento.


Il dossier del Servizio studi della Camera dei Deputati con i testi dei progetti di legge in esame (quadro sinottico)


Il dossier del Servizio studi della Camera dei Deputati con il sunto del contenuto dei progetti di legge


Il dossier del Servizio studi della Camera dei Deputati con il quadro normativo di riferimento

Il documento presentato dall'ASGI in occasione dell'audizione parlamentare del 12 marzo 2007

Dati statistici

Tabella: Concessioni e reiezioni della cittadinanza italiana
(1992-2007)

Anno

Concessioni

Reiezioni

Per

matrimonio

Per

residenza

Totale

Per

matrimonio

Per

residenza

Totale

2007

31.609

6.857

38.466

84

63

147

2006

30.151

5.615

35.766

279

243

522

2005

11.854

7.412

19.266

337

829

1.166

2004

9.997

1.948

11.945

261

1.056

1.317

2003

11.271

2.111

13.382

199

1.763

1.962

2002

9.728

917

10.645

143

762

905

2001

9.266

1.203

10.469

99

582

681

2000

8.027

1.518

9.545

121

524

645

1999

9.538

1.753

11.291

141

860

1.001

1998

10.930

1.106

12.036

131

558

689

1997

7.404

813

8.217

101

255

356

1996

6.053

899

6.952

112

325

437

1995

6.396

1.046

7.442

66

817

883

1994

5.498

495

5.993

62

880

942

1993

5.897

579

6.476

37

1.193

1.230

1992

3.844

601

4.445

72

488

560

Fonte: Ministero dell’interno. Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze.

 Note: Il considerevole aumento dei casi di concessione della cittadinanza che si registra a partire dal 2006 è dovuto in larga parte all’adozione di un sistema di gestione informatica delle pratiche, che ne ha ridotto notevolmente i tempi di esame. Nel 2006, per la prima volta, il numero delle domande definite è stato superiore a quello delle domande presentate, il che ha significato una riduzione delle domande pregresse e pendenti.


 

 

DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA – LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI COMUNITARI E DEI LORO FAMIGLIARI

 

La Commissione Europea pubblica un documento sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE, rilevando l’incompleta ed insoddisfacente trasposizione della normativa europea nelle legislazioni nazionali. L’Italia non si adegua alle conclusioni vincolanti della sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 25 luglio 2008 (C-127-08) sul soggiorno dei famigliari dei cittadini comunitari. Il rapporto della Commissione europea colloca l’Italia tra i paesi che trattano i partner registrati di cittadini comunitari allo stesso modo dei coniugi ai fini della libera circolazione, ma la prassi sembra smentire tale affermazione.

 

Documento della Commissione Europea sull’applicazione della direttiva n. 2004/38/CE

 

La Commissione europea ha pubblicato un rapporto sull’applicazione della direttiva in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari (Direttiva n. 2004/38/CE). Nel rapporto si esprime disappunto per una trasposizione della direttiva largamente insoddisfacente e lacunosa da parte degli Stati membri, in particolare per quanto concerne il diritto al soggiorno dei famigliari dei cittadini comunitari, il rilascio dei visti ai medesimi, la previsione di documentazione e procedure non previste dalla direttiva ai fini dell’autorizzazione al soggiorno, l’insoddisfacente equilibrio tra le esigenze di rispetto del principio di libera circolazione e la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica. La Commissione europea quindi annuncia che intensificherà la propria pressione sugli Stati membri per ottenere una migliore applicazione della normativa comunitaria, attraverso l’avvio di procedure d’infrazione, l’intensificarsi dell’assistenza tecnica agli Stati membri, una maggiore diffusione dell’informazione e sensibilizzazione tra i cittadini europei.

 

Riguardo al diritto alla libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari, c’è da sottolineare la sentenza della Corte di Giustizia dd. 25 luglio 2008 (C-127-08) che ha sancito l’incompatibilità con il diritto europeo di ogni normativa nazionale che subordini l’accesso alla carta di soggiorno per il famigliare di un cittadino comunitario alla regolarità del suo ingresso o del suo soggiorno al momento della celebrazione del matrimonio nello Stato membro ospitante.

Sebbene la sentenza della CGE sia nota ormai da diversi mesi, le autorità italiane non hanno fatto nulla sinora per modificare le norme interne, legislative e amministrative, ad  essa incompatibili. 

La normativa italiana di recepimento della direttiva europea nn. 2004/38, infatti, al pari di quanto avvenuto in altri Stati membri, ha inteso applicare in senso restrittivo il principio della libera circolazione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi famigliari di cittadini comunitari. La normativa italiana, infatti,  subordina il rilascio della carta di soggiorno alla presenza del “visto di ingresso, quando richiesto” ( art. 10 c. 3 lett. a d.lgs. 6.2.2007, n. 30, come ribadito successivamente dalla circolare M.I. n. 19 dd. 6 aprile 2007, pag.  8). In tal modo si è affermata una prassi diffusa delle questure di non accordare il rilascio della carta di soggiorno  al cittadino di un paese terzo che abbia contratto matrimonio in Italia con un cittadino comunitario o un cittadino italiano dopo aver fatto ingresso illegale in Italia o quando, al momento di contrarre matrimonio, si trovava in condizione di irregolarità.

Alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea, la normativa italiana e la prassi che conseguentemente si è affermata, sono dunque illegittime  e debbono trovare un’immediata disapplicazione. Come affermato infatti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 113 /1985, il principio dell’immediata applicabilità delle disposizioni comunitarie oltre che ai regolamenti, si applica anche alle “statuizioni risultanti … dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia europea”, così come  la stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 389 dd. 11 luglio 1989 ha previsto che “l’applicazione della normativa comunitaria direttamente efficace all’interno dell’ordinamento italiano non dà luogo ad ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest’ultima, seppure nei limiti di tempo e nell’ambito materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a svolgersi”.

La sentenza della Corte di Giustizia Europea è suscettibile di  dispiegare i suoi effetti nel nostro paese  anche con riferimento ai cittadini  di paesi terzi famigliari di cittadini italiani. Come è noto, infatti,  il nostro paese ha esteso la disciplina della direttiva europea sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea e dei loro famigliari anche ai famigliari extracomunitari del cittadino italiano (art. 23  d.lgs.n. 30/2007), in ossequio al divieto di “discriminazioni alla rovescia”, sancito dalla Corte Costituzionale con le note sentenze 16.06.1995, n. 249 e 30.12.1997, n. 443. Per effetto di tali sentenze,   se in ragione di una normativa comunitaria, una persona o un soggetto comunitario godrebbero di un trattamento  più favorevole di quello previsto in una situazione analoga per il cittadino o soggetto nazionale in virtù della norma di diritto interno, quest’ultima dovrà essere disapplicata in favore di quella comunitaria.

Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, dunque, il cittadino extracomunitario irregolare che contrae matrimonio con il cittadino italiano deve ricevere il documento di soggiorno previsto dalla direttiva europea, cioè la carta di soggiorno quinquennale e non il permesso di soggiorno biennale per i casi previsti dall’art. 30 c. 1 lett. c) ovvero il  permesso di soggiorno annuale rilasciato ai sensi dell’art. 19 del T.U. immigrazione, sempre qualora il coniuge cittadino italiano si trovi nelle condizioni analoghe a quelle del cittadino comunitario che esercita il diritto alla libera circolazione e soggiorno.

Nel rapporto della Commissione Europea, l'Italia non è indicata fra gli stati che rifiutano il permesso di soggiorno ai partner omosessuali. Si ritiene, tuttavia, the tale affermazione della Commissione non sia basata sull’analisi della  prassi e della giurisprudenza effettivamente  esistente.

Un’analisi comparativa indipendente della trasposizione della direttiva 2004/38/CE nei diversi paesi membri  è stata curata  dal Centre for Migration Law di Nijmegen (Paesi Bassi) nel corso del 2007. Il documento è scaricabile dal sito:   http://cmr.jur.ru.nl/cmr/docs/family.rd.eu.pdf

 

Si ringrazia la socia  l’avv. Lara Olivetti di Trento  per la segnalazione

 

 

 

 

GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALE

 

 

DIRITTO ALLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE      

 

La Corte europea dei diritti dell’Uomo respinge una richiesta di sospensiva d’urgenza ex art. 39 Regolamento di procedura del trasferimento di un richiedente asilo iraniano dal Regno Unito alla Grecia  in base alla procedura Dublino. La Corte europea si dichiara soddisfatta delle rassicurazioni dell’unità Dublino delle autorità greche che non vi sarebbe un rischio di refoulment del richiedente asilo iraniano verso il paese di origine. Un contributo del Prof. Fulvio Vassallo, Università di Palermo e membro del direttivo ASGI.

Corte europea dei diritti dell’uomo, IV sezione, decisione sull’ammissibilità, caso K.R.S. contro Regno Unito, 2 dicembre 2008.

 

 

 

 

LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO SCIVOLA NELL’APPLICAZIONE DI UN CASO DUBLINO

 

a cura del Prof. Fulvio Vassallo

 

Una recente decisione della quarta sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha negato l’ammissibilità di un ricorso d’urgenza presentato, ai sensi dell’art. 39 del regolamento di procedura, da parte di un cittadino iraniano richiedente asilo che era giunto in Gran Bretagna, e lì aveva inoltrato domanda di asilo, dopo avere attraversato la Grecia..

 

La decisione della Corte si riferisce ad un caso particolare perché il richiedente, internato in un centro di detenzione inglese per oltre diciotto mesi, era stato già ammesso ad una procedura Dublino. La stessa decisione dunque non risulta applicabile ai casi nei quali venga negato persino l’accesso alla procedura, come è prassi quotidiana nei porti dell’Adriatico, in Italia, rispetto a quanti provengono da Patrasso, e vengono immediatamente respinti in frontiera senza alcun provvedimento formale. Nel caso del cittadino iraniano che ricorre ai giudici di Strasburgo, in un primo momento la corte Europea aveva accolto un ricorso presentato sempre ai sensi dell’art. 39 del regolamento imponendo al governo inglese di non procedere alla riammissione in Grecia fino a quando non si fosse definito il giudizio davanti al giudice nazionale. Chiamata a decidere una seconda volta dopo la definizione del giudizio interno la quarta sezione della Corte nega invece l’applicazione della sospensiva d’urgenza ex art. 39.

 

Dopo il rigetto delle istanze contro il provvedimento di riammissione in Grecia, da parte del giudice inglese, il richiedente asilo aveva  infatti inoltrato una successiva richiesta alla Corte per la sospensione della procedura di allontanamento forzato verso la Grecia. La quarta sezione della Corte, pur confermando la precedente giurisprudenza della Corte e l’attendibilità dei rapporti dell’ACNUR circa la situazione deficitaria del diritto di asilo in Grecia anche per il rischio di un successivo refoulement, nel caso concreto ritiene non ammissibile la procedura di urgenza perché l’Unità Dublino della Grecia avrebbe fornito assicurazioni alla Corte Europea circa la assenza di un rischio effettivo di refoulement verso l’Iran, paese originario del richiedente asilo e sembrerebbe anche sulla base delle assicurazioni fornite dal rappresentante del governo inglese circa la possibilità di presentare in Grecia un ulteriore ricorso d’urgenza ex at. 39, ove si profilasse il rischio di un successivo refoulement verso l’Iran..

 

Occorre segnalare la portata esatta della decisione della Corte e alcune sue contraddizioni interne per evitare che questa pronuncia di inammissibilità venga strumentalizzata come copertura per le politiche di rimpatrio o di riammissione che alcuni governi europei, l’Italia in testa, stanno praticando in violazione della Convenzione di Dublino e dei principi e degli obblighi di protezione affermati nelle Convenzioni internazionali,  nei Trattati, nei Regolamenti e nelle Direttive comunitari.

 

La Corte prende atto innanzitutto della mancata risposta del governo greco alla richiesta di chiarimenti circa la possibilità di un successivo refoulement del richiedente asilo verso il paese di origine, e ciò malgrado si limita a ritenere sufficiente la risposta dell’Unita Dublino greca per ritenere non provato “con assoluta certezza”, da parte del richiedente il rischio concreto di respingimento successivo dalla Grecia in Iran. In questo modo la corte eleva l’onere probatorio richiesto a quanti fanno ricorso ex art. 39 del regolamento di procedura, imponendo che siano proprio le potenziali vittime del refoulement a provare che il paese verso il quale rischiano di essere trasferiti ha già praticato respingimenti in contrasto con il divieto di refoulement, sancito oltre che dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, tra le altre disposizioni interne ed internazionali, dall’art. 3 della Convenzione a salvaguardia dei diritti dell’uomo.

 

La decisione della Corte Europea omette di considerare come, a distanza di oltre dieci anni dal Trattato di Amsterdam una normativa effettiva e comune in materia di asilo e protezione umanitaria, a livello comunitario, resti ancora una chimera, malgrado gli sforzi di uniformazione dei livelli di accoglienza e degli standard sulle qualifiche e sulle procedure posti in essere con le direttive 2003/9/CE e poi con le direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE. Direttive che la Grecia è ancora ben lontana dall’avere implementato, a partire dalla banale considerazione che la competenza dell’intera procedura rimane ancora alla polizia. Si omette inoltre di attribuire valore alle violazioni del diritto comunitario da parte della Grecia, o della mancata attuazione di direttive che regolano l’accoglienza dei richiedenti asilo, o si dà atto della attuazione interna delle direttive comunitarie senza affrontare il problema della loro effettiva attuazione.. I giudici di Strasburgo rilevano così come

“The above Directive (2003/9/CE) requires that Member States ensure a dignified standard of living to all asylum-seekers, paying specific attention to the situation of applicants with special needs or who are detained. It regulates matters such as the provision of information, documentation, freedom of movement, healthcare, accommodation, schooling of minors, access to the labour market and to vocational training. It also covers standards for persons with special needs, minors, unaccompanied children and victims of torture.

In a judgment given on 19 April 2007 in Commission v. Greece (Case C-72/06), the Court of Justice of the European Communities (“the ECJ”) found that Greece had failed to implement the Directive. It appears from the United Nations High Commissioner for Refugees Position Paper (set out below) that it has now done so”.

Nessun cenno, naturalmente, all’attuazione effettiva in Grecia della Direttiva sulle procedure di asilo 2005/85/CE, che appare in contrasto frontale con la vigente legislazione greca in materia di asilo e con le prassi attuative della polizia di quel paese. Una omissione grave in una decisione che avrebbe dovuto essere incentrata proprio su questo tema, in quanto le garanzie procedurali in favore dei richiedenti asilo possono venire soltanto da norme di legge interna che attui fedelmente le direttive comunitarie e non certo da lettere di esponenti ministeriali o di unità amministrative riconducibili agli stessi organi.

 

       Di fronte a questa evidente inadempienza del governo greco, e di fronte alle prassi abusive documentate da numerosi rapporti internazionali e specificamente anche dall’ACNUR, la semplice lettera del Capo dell’Unita Dublino in Grecia e le rassicurazioni che vi sono contenute circa il rispetto da parte della Grecia degli standard comunitari ed internazionali in materia di protezione dei rifugiati e dei richiedenti protezione internazionale, convince la quarta sezione della Corte di Strasburgo a rifiutare il provvedimento di urgenza e di fatto consente la riammissione forzata del cittadino iraniano in Grecia.  Scrive il capo dell’Unità greca Dublino ( Sezione asilo) “In general, no alien who submits an asylum application is put in detention for that sole reason. “In any case, the expulsion procedure that regards illegal aliens or asylum applicants, who were firstly arrested for illegal entry, is going through various stages of remedy (administrative or judicial) [sic]. No asylum applicant is expelled, unless all the stages of the asylum procedure are finished and all the legal rights for review have been exhausted, according to the provisions of the Geneva Convention and the non refoulement clause. Furthermore, according to the Procedural Rules of the European Court of Human Rights, they have the right to appeal against any expulsion decision and have a Rule 39 indication on their case.”

    Secondo una successiva lettera del 31 ottobre del Ministero greco “for Aliens Affairs”, il numero di richieste di asilo così basso in Grecia si spiegherebbe con il fatto che i migranti intenderebbero presentare la loro istanza di protezione internazionale i altri paesi europei, e dunque per questa ragione non presenterebbero domanda alle autorità greche.

 

     Tanto basta ai giudici di Strasburgo per ritenere infondata la richiesta di sospensione del trasferimento del richiedente asilo dalla gran Bretagna alla Grecia, negando dunque una seconda applicazione dell’art. 39 del regolamento di procedura.

Certo, il rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura riferito dai giudici di Strasburgo non appare cogliere le diffuse violazioni di diritti fondamentali dei potenziali richiedenti asilo che si registrano in Grecia e che altre agenzie umanitarie internazionali hanno ben limitato, limitandosi ad osservare solo problemi legati ai servizi igienici ed alla illuminazione dei centri di detenzione visitati. Ma una indagine più approfondita sulle condizioni dei potenziali richiedenti asilo, e aggiungiamo, dei minori non accompagnati e quanto mai urgente e necessaria, e le associazioni raccoglieranno presto un dossier per sollecitare una nuova visita del comitato in Grecia. Secondo il Report dell’8 febbraio 2008, rispetto ad una visita effettuata dal 20 al 27 febbraio 2007,  il CPT ( Comitato per la prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa) osserva soltanto:

 “With respect to all the centres visited, the CPT calls upon the Greek authorities to ensure that:

 -        repair work is carried out immediately so that:

 §       all centres have functioning toilet and shower facilities with a constant supply of water, at an appropriate temperature;

§       appropriate artificial lighting is installed, and access to natural light and ventilation improved.

 -        all detainees are allocated a bed/plinth and provided with a clean mattress and clean bedding;

 -        occupancy rates be revised so as to offer a minimum of 4m² of space per detainee;

 -        all detainees are provided with the necessary products and equipment to keep their accommodation clean, as well as with products for personal hygiene (i.e. toilet paper, soap, toothpaste, toothbrush, etc.);

 -        all detainees have unimpeded access to toilet facilities;

 -        all detainees are allowed to spend a large proportion of the day outside their cells and have at least one hour of outdoor exercise a day. (emphasis in original)”

The Committee also noted that there was no regime offering purposeful activities to detainees, that staffing arrangements in the detention facilities were totally inadequate and that proper health care services had to be provided to detainees.

 

Una posizione questa del Rapporto del Comitato di prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, gravemente omissiva rispetto alle diverse violazioni dei diritti fondamentali delle persone richiedenti asilo, accertate dall’Alto Commissariato delle nazioni unite per i rifugiati nel suo Rapporto. Persino i grandi mezzi di informazione ed i network sociali sono pieni di immagini e di testimonianze delle violenze e degli abusi subiti dai minori e dai potenziali richiedenti asilo nelle città, alle frontiere e nei porti ( a Patrasso in particolare) della Grecia. Una recente indagine penale della magistratura greca, alla fine di novembre del 2008, ha comportato l’arresto di undici agenti di polizia che a Patrasso ricevevano denaro in cambio del passaggio dei migranti verso l’Italia.

:

On 15 April 2008, the United Nations High Commissioner for Refugees published the above paper in which it advised the European Union Member States to refrain from returning asylum seekers to Greece under the Dublin Regulation until further notice. It also recommended that they make use of Article 3(2) of the Dublin Regulation (see relevant European Union law above) and examine asylum applications themselves. The Position Paper criticised reception procedures for “Dublin returnees” at Athens airport and the Central Police Asylum Department, which was responsible for registering asylum appeals. It also expressed concerns in respect of those whose asylum claims were deemed to be “interrupted” as a result of their having left Greece before their claims had been decided:

“While a number of positive changes in the practice have been noticed in 2007, the legal framework underpinning the practice of ‘interruption’ continues to leave room for different interpretations and fails to guarantee that ‘Dublin returnees’ with ‘interrupted claims’ are granted access to the procedure. This situation calls into question whether ‘Dublin returnees’ will have access to an effective remedy as foreseen by Article 13 of the European Convention on Human Rights as well as Article 39 of the Asylum Procedures Directive [Council Directive 2005/85/EC of 1 December 2005 on minimum standards on procedures in Member States for granting and withdrawing refugee status – see relevant European Union law above]. Of relevance is the decision taken by the European Commission on 31 January 2008 to refer a case to the European Court of Justice against Greece for the infringement of the Dublin Regulation based on Greece’s failure to enact legislative amendments to abolish the practice of ‘interruption’. (footnotes omitted)”

The Position Paper also characterised the percentage of asylum seekers who were granted refugee status as “disturbingly low” and criticised the quality of asylum decisions, noting in particular their short, standardised format and the absence of legal reasoning in some decisions.

 

 

Nelle sue motivazioni finali la Corte riconosce il rilievo delle considerazioni contenute nel documento dell’ACNUR, ma sembra attribuire maggiore rilievo alla cittadinanza iraniana del richiedente asilo, alla circostanza che non risulterebbero provati casi di refoulement di richiedenti asilo dalla Grecia verso l’Iran, e soprattutto dall’argomentazione che la Grecia avrebbe attuato nel suo ordinamento interno le norme di diritto comunitario concernenti l’accoglienza, le qualifiche e le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale.

 

The Court notes the concerns expressed by the UNCHR whose independence, reliability and objectivity are, in its view, beyond doubt. It also notes the right of access which the UNHCR has to asylum seekers in European Union Member States under the European Union Directives set out above. Finally, the Court notes that the weight to be attached to such independent assessments of the plight of asylum seekers must inevitably depend on the extent to which those assessments are couched in terms similar to the Convention (see, mutatis mutandis, NA., cited above, § 121). Accordingly, the Court attaches appropriate weight to the fact that, in recommending that parties to the Dublin Regulation refrain from returning asylum seekers to Greece, the UNHCR believed that the prevailing situation in Greece called into question whether “Dublin returnees” would have access to an effective remedy as foreseen by Article 13 of the Convention. The Court also observes that the UNHCR’s assessment was shared by both Amnesty International and the Norwegian Organisation for Asylum Seekers and other non-governmental organisations in their reports.

Despite these concerns, the Court considers that they cannot be relied upon to prevent the United Kingdom from removing the present applicant to Greece, for the following reasons.

The Court notes that the present applicant is Iranian. On the evidence before it, Greece does not currently remove people to Iran (or Afghanistan, Iraq, Somalia or Sudan – see Nasseri above) so it cannot be said that there is a risk that the applicant would be removed there upon arrival in Greece, a factor which Lord Justice Laws regarded as critical in reaching his decision (see above).  In reaching this conclusion the Court would also note that the Dublin Regulation, under which such a removal would be effected, is one of a number of measures agreed in the field of asylum policy at the European level and must be considered alongside Member States’ additional obligations under Council Directive 2005/85/EC and Council Directive 2003/9/EC to adhere to minimum standards in asylum procedures and to provide minimum standards for the reception of asylum seekers. The presumption must be that Greece will abide by its obligations under those Directives. In this connection, note must also be taken of the new legislative framework for asylum applicants introduced in Greece and referred to in the letters provided to the Court by the Agent of the Government of Greece through the United Kingdom Agent. In addition, if Greece were to recommence removals to Iran, the Dublin Regulation itself would allow the United Kingdom Government, if they considered it appropriate, to exercise their right to examine asylum applications under Article 3.2 of the Regulation.

Quite apart from these considerations, and from the standpoint of the Convention, there is nothing to suggest that those returned to Greece under the Dublin Regulation run the risk of onward removal to a third country where they will face ill-treatment contrary to Article 3 without being afforded a real opportunity, on the territory of Greece, of applying to the Court for a Rule 39 measure to prevent such. It is true that the Greek authorities, in their letters of 31 October and 4 November 2008, have not specifically addressed this matter, even though they were requested to do so. However, the Court notes in this regard that assurances were obtained by the Agent of the United Kingdom Government from the Greek “Dublin Unit” – in particular in the letter dated 11 July 2008 from the Head of Aliens Division (Asylum Section) of that unit – that asylum applicants in Greece have a right to appeal against any expulsion decision and to seek interim measures from this Court under Rule 39 of the Rules of Court. There is nothing in the materials before the Court which would suggest that returnees to Greece under the Dublin Regulation, including those whose asylum applications have been the subject of a final negative decision by the Greek authorities, have been, or might be, prevented from applying for an interim measure on account of the timing of their onward removal or for any other reason.

 

La decisione finale dei giudici di Strasburgo si basa su una mera presunzione, che purtroppo è ampiamente smentita, al di là del caso individuale, del quale non si conosce la sorte, dalle centinaia di casi che ancora a ottobre del 2008 l’associazione umanitaria tedesca Pro Asyl ha pubblicizzato in un suo importante rapporto.

 

The Court recalls in this connection that Greece, as a Contracting State, has undertaken to abide by its Convention obligations and to secure to everyone within their jurisdiction the rights and freedoms defined therein, including those guaranteed by Article 3. In concrete terms, Greece is required to make the right of any returnee to lodge an application with this Court under Article 34 of the Convention (and request interim measures under Rule 39 of the Rules of Court) both practical and effective. In the absence of any proof to the contrary, it must be presumed that Greece will comply with that obligation in respect of returnees including the applicant. On that account, the applicant’s complaints under Articles 3 and 13 of the Convention arising out of his possible expulsion to Iran should be the subject of a Rule 39 application lodged with the Court against Greece following his return there, and not against the United Kingdom.

Finally, in the Court’s view, the objective information before it on conditions of detention in Greece is of some concern, not least given Greece’s obligations under Council Directive 2003/9/EC and Article 3 of the Convention. However, for substantially the same reasons, the Court finds that were any claim under the Convention to arise from those conditions, it should also be pursued first with the Greek domestic authorities and thereafter in an application to this Court

 

 For the above reasons, the United Kingdom would not breach its obligations under Article 3 of the Convention by removing the applicant to Greece. Accordingly, it is appropriate to lift the interim measure indicated under Rule 39 of the Rules of Court and to reject the application as manifestly ill-founded pursuant to Article 35 §§ 3 and 4 of the Convention.

 

 

Si può osservare a questo punto che la decisione della quarta sezione Corte Europea di Strasburgo, probabilmente assai preoccupata della crescita esponenziale dei ricorsi d’urgenza ex art. 39 del regolamento di procedura, imporrà u impegno ancora maggiore in futuro alle organizzazioni non governative ed alle reti di protezione legale. Queste reti dovranno articolarsi anche su scala internazionale, per promuovere la  denuncia, attraverso appositi dossier, non solo al Comitato di prevenzione della tortura (CPT)del Consiglio di Europa, ma anche ad altre autorità internazionali ( come l’Alto Commissariato delle nazioni Unite per i diritti umani) e comunitarie ( dal Parlamento alla Commissione), di tutti i casi di refoulement che i singoli paesi comunitari realizzano abitualmente, a partire dagli abusi perpetrati dalla polizia greca ai danni di potenziali richiedenti asilo, spesso soggetti vulnerabili e minori, come nel caso eclatante di Patrasso, documentato anche da una recente trasmissione della RAI.

In modo che si possano verificare le responsabilità della Grecia non solo davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ma anche davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che sarà chiamata a verificare, anche in base alla nuova procedura di urgenza prevista dall’art. 234 del Trattato Comunitario (TCE), quanto la nuova legislazione e le prassi applicative della normativa in materia di asilo in Grecia rispettino gli standard comunitari.

 Quando poi si porranno altri ricorsi individuali, a livello interno o comunitario, si potrà così disporre di una base probatoria certa che possa agevolare la tutela delle singole persone destinatarie di provvedimenti di allontanamento lesivi del principio di non refoulement. In questo modo sarà forse possibile ottenere anche la condanna di quei governi europei  che violano l’art. 3 della CEDU, direttamente o indirettamente, trasferendo richiedenti asilo che hanno subito il diniego per effetto dell’applicazione del Regolamento Dublino, spesso senza neppure la possibilità di proporre un ricorso effettivo ( e qui in violazione dell’art. 13 della CEDU), verso paesi nei quali possono subire trattamenti inumani o degradanti o che possono a loro volta respingere, come ad esempio la Turchia, verso gli stati di provenienza dai quali i richiedenti asilo o protezione internazionale sono fuggiti.

 

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo

 

 

 

 

DIRITTO ANTI-DISCRMINATORIO.

 

Uso dei simboli religiosi e divieto di discriminazioni indirette

 

Regno Unito, Employment Appeal Tribunal, Sentenza 20 novembre 2008 (Regno Unito: Eweida v. British Airways)

 

Sommario:  L'obbligo di indossare una divisa, senza mostrare oggetti di gioielleria né simboli religiosi, non costituisce una discriminazione nei confronti di una dipendente che intenda indossare un crocifisso. La ricorrente, hostess di British Airways, lamentava in particolare di aver subito una discriminazione indiretta, poiché il divieto di mostrare gioielli e simboli sulla divisa, applicato indistintamente a tutti, le causava una situazione di svantaggio, impedendole di indossare il crocifisso, mentre agli appartenenti ad altre religioni era permesso l'uso di indumenti religiosi. In base all'"Employment Equality Regulations (Religion or Belief) 2003" una discriminazione indiretta è dimostrata quando uno svantaggio sussiste non solo per il ricorrente, ma anche per il gruppo confessionale di appartenenza. Nel caso di specie, il regolamento aziendale sulle divise non causa un “disparate impact" per tutti i dipendenti cristiani della British Airways, ma solo uno svantaggio per la ricorrente: infatti, a differenza dei simboli religiosi che debbono essere indossati obbligatoriamente in base ai precetti confessionali, portare un crocifisso non rappresenta un obbligo per tutti i cristiani, ma è solo un'espressione personale del credo della ricorrente”.

 

Fonte:  OLIR Newsletter 9 dicembre 2008, in www.olir.it

 

 

 

Newsletter a cura di Walter Citti, segreteria organizzativa ASGI