e-rassegna periodica di agenzie e notizie

(aggiornata al 16 gennaio 2008)

 

   

Progetto Sud                                               Regione Lazio

SEMINARIO INTERNAZIONALE

Servizi alla persona: chi sono, da dove vengono e come lavorano le assistenti familiari nel Lazio. Roma, sede Uil Nazionale, 28 gennaio 2008

 

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

 

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.it                                                                                           n. 181


  



Immigrazione: prossimi appuntamenti UIL 


 

Roma, 17 gennaio 2008, ore 12

Campagna contro le discriminazioni razziste e xenofobe: incontro al Ministero delle Pari Opportunità con il Sottosegretario Donatella Linguiti

(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Sofia, 23-27 gennaio 2008

Corso ETUI-CES sulla libera circolazione dei lavoratori nella UE

(Michele Berti)

Lunedì 28 gennaio 2008, Uil Nazionale Sala Bruno Buozzi

Seminario conclusivo Progetto Sud e UIL sulle assistenti familiari nel Lazio

Madrid, 30 gennaio – 3 febbraio 2008

Corso ETUI-CES sul tema delle migrazioni nel Mediterraneo

(Quamil Zejnati)



SEMINARIO INTERNAZIONALE

Servizi alla persona: chi sono, da dove vengono e come lavorano le assistenti familiari nel Lazio

L’evento si terrà a Roma, presso la UIL, Via Lucullo, 6 – Sala Bruno Buozzi – VI piano, ore 10.00


Roma, 15 gennaio 2008 - In Italia le assistenti familiari registrate all’INPS solo 460 mila, ma lo stesso istituto valuta che il 57% di questo universo professionale lavori in nero e che il numero delle operatrici straniere superi in Italia quota un milione. Inoltre le condizioni di lavoro e di vita di queste lavoratrici sono precarie: lo stesso INPS denuncia la scomparsa dai propri archivi di circa 200 mila lavoratrici negli ultimi due anni, segno che questo settore sta sprofondando nella irregolarità e nel lavoro nero. Nel Lazio nel 2007 erano 75mila le assistenti regolarmente contrattate ed iscritte all’INPS. La nostra è diventata una regione “badanti-dipendente” in quanto le strutture che assistono gli anziani non autosufficienti e le loro famiglie non riescono a farsi carico sufficientemente del problema. Ma sapere di più su di loro aiuta a formulare risposte adeguate alle molte sfaccettature di un fenomeno cresciuto in maniera esponenziale e disordinata. E’ quello che ha cercato di fare Progetto Sud e la UIL di Roma e del Lazio con la realizzazione del progetto “Badanti: diritti, tutele ed opportunità”. L’iniziativa, nata con il contributo della Regione Lazio, ha operato attraverso una rete di sportelli di informazione, orientamento e supporto a lavoratrici e famiglie: due nel Lazio (a Roma e Latina), uno a Bucarest ed uno al Cairo, cui si sono rivolti più di mille lavoratrici e datori di lavoro per ricevere informazioni ed assistenza adeguata. Ne è uscito un profilo più chiaro di questa figura nel Lazio ed un quadro della situazione complesso e significativo: la cosiddetta “badante” è giovane, proviene soprattutto dall’Est europeo e dall’America Latina;  ha un elevato grado di istruzione scolastica e progetti chiari per il futuro: infatti intende quanto prima cambiare lavoro o cambiare paese; guadagna meno di 800 €  al mese se “in nero” e più di mille se regolare. Oltre la metà di loro manda ogni mese almeno un terzo di quanto guadagna a casa, dove in parte (un terzo circa) spera di ritornare a vivere. Condizione lavorativa:  quasi il 60% delle assistenti familiari lavora in tutto o in parte in nero e quindi la presenza in Italia è fortemente irregolare: oltre la metà tra i non comunitari; più del 55% si prende cura degli anziani, mentre il 18% si occupa di bambini. Lavorano in media molte ore in più di quello che sono pagate e, per chi vive in casa, si arriva a punte di orario settimanale vicine alle 60 ore settimanali.  E’ possibile capire di più di loro e dare risposte adeguate ai bisogni espressi da loro e dalle famiglie che le occupano? Il nostro progetto ha provato a raccontarlo, come cercheremo di spiegare in un Seminario internazionale. L’iniziativa si terrà a Roma, lunedì 28 gennaio 2008, presso la sede della UIL Nazionale, Via Lucullo, 6 – Sala “Bruno Buozzi” al 6° piano, a partire dalle ore 10.00. Nell'ambito del seminario verranno messe a confronto l’esperienza maturata nel progetto (negli sportelli del Lazio e quelli esteri)  con altre significative esperienze maturate in  Italia; sarà inoltre l’occasione per parlare del rilievo politico nazionale di questo fenomeno e della necessità per le istituzioni di dare risposte adeguate ai molti problemi connessi. In questo senso sollecitiamo le strutture della UIL interessate a testimoniare la propria esperienza in materia, a partecipare al seminario con propri esperti e funzionari degli uffici immigrazione, ed in particolare con rappresentanti UIL, italiani e stranieri, impegnati del settore dell’assistenza familiare. Si prega di voler comunicare in anticipo i nominativi dei partecipanti inviandolo via email a Giuseppe Casucci polterritoriali2@uil.it


Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL    


 

 

Assistenti familiari nel Lazio, un progetto di supporto, orientamento e comprensione

In Italia le assistenti familiari registrate all’INPS solo 460 mila, ma lo stesso istituto valuta che il 57% di questo universo professionale lavori in nero e che il numero delle operatrici straniere superi in Italia quota un milione. Inoltre le condizioni di lavoro e di vita di queste lavoratrici sono precarie: lo stesso INPS denuncia la scomparsa dai propri archivi di circa 200 mila lavoratrici negli ultimi due anni, segno che questo settore sta sprofondando nella irregolarità e nel lavoro nero. Nel Lazio nel 2007 erano 75mila le assistenti regolarmente contrattate ed iscritte all’INPS. La nostra è diventata una regione “badanti-dipendente” in quanto le strutture che assistono gli anziani non autosufficienti e le loro famiglie non riescono a farsi carico sufficientemente del problema. Ma sapere di più su di loro aiuta a formulare risposte adeguate alle molte sfaccettature di un fenomeno cresciuto in maniera esponenziale e disordinata. E’ quello che ha cercato di fare Progetto Sud e la UIL di Roma e del Lazio con la realizzazione del progetto “Badanti: diritti, tutele ed opportunità”. L’iniziativa, nata con il contributo della Regione Lazio, ha operato attraverso una rete di sportelli di informazione, orientamento e supporto a lavoratrici e famiglie: due nel Lazio (a Roma e Latina), uno a Bucarest ed uno al Cairo, cui si sono rivolti più di mille lavoratrici e datori di lavoro per ricevere informazioni ed assistenza adeguata. Ne è uscito un profilo più chiaro di questa figura nel Lazio ed un quadro della situazione complesso e significativo: la cosiddetta “badante” è giovane, proviene soprattutto dall’Est europeo e dall’America Latina;  ha un elevato grado di istruzione scolastica e progetti chiari per il futuro: infatti intende quanto prima cambiare lavoro o cambiare paese; guadagna meno di 800 €  al mese se “in nero” e più di mille se regolare. Oltre la metà di loro manda ogni mese almeno un terzo di quanto guadagna a casa, dove in parte (un terzo circa) spera di ritornare a vivere. Condizione lavorativa:  quasi il 60% delle assistenti familiari lavora in tutto o in parte in nero e quindi la presenza in Italia è fortemente irregolare: oltre la metà tra i non comunitari; più del 55% si prende cura degli anziani, mentre il 18% si occupa di bambini. Lavorano in media molte ore in più di quello che sono pagate e, per chi vive in casa, si arriva a punte di orario settimanale vicine alle 60 ore settimanali.  E’ possibile capire di più di loro e dare risposte adeguate ai bisogni espressi da loro e dalle famiglie che le occupano? Il nostro progetto ha provato a raccontarlo, come cercheremo di spiegare in questo seminario conclusivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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     Progetto Sud       Regione Lazio                   

SEMINARIO INTERNAZIONALE

Servizi alla persona: chi sono, da dove vengono e come lavorano le assistenti familiari nel Lazio

Da un progetto  co-finanziato dalla Regione Lazio alcune risposte sull’universo dei servizi alla persona nella nostra regione

 

“In Italia sono ormai più di un milione, lavorano in famiglia a volte in nero, sono diventate indispensabili in una società in cui la terza età avanza. Sono lavoratrici dell’Est europeo, del Nord Africa e dell’America Latina. Anche nel Lazio sono tante, ma la condizione di irregolarità rende spesso difficile capire chi sono, da dove vengono ed in quali condizioni lavorino. Un progetto che ha goduto del contributo della Regione Lazio, realizzato da Progetto Sud e dalla Uil di Roma e del Lazio , ha creato una rete di sportelli in regione ed all’estero fornendo supporto ed orientamento a famiglie e lavoratrici straniere, ma anche mettendo  a nudo questo fenomeno nella nostra regione e fornendo dati importanti per capirne le dinamiche e suggerire risposte”

lunedì 28 Gennaio 2008

(09.30 – 14.00)

UIL Nazionale – Roma, Via Lucullo, 6
Sala Bruno Buozzi – VI piano
 

              

 

                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Seminario internazionale sui servizi alla persona:

 

Programma dei lavori

 

Ore 9.30 Apertura  dei lavori – Moderatore: Giuseppe Casucci

 

q        Introduzione: Bruno Bruni, Presidente Progetto Sud

 

q        Immigrazione un tema strategico anche per il Lazio. Massimo Pineschi, Presidenza Consiglio Regionale Regione Lazio

 

q        Servizi alla persona: obiettivi e risultati del progetto.  Angela Scalzo, Responsabile Scientifico del progetto

 

q        “L’importanza del lavoro nella legalità, nel nuovo programma normativo sull’immigrazione”                                                               Cristina De Luca,  Sottosegretario di Stato  - Ministero della Solidarietà Sociale

 

q        Flussi migratori regolari e Previdenza - Francesco Di Maggio, direttore della Direzione Flussi Migratori  dell’INPS

 

q        Dalla Romania con un sogno: quello di ritornare a casa. Lo sportello servizi alla persona a Bucarest. Dan Cristescu, Presidente del Sindacato FGS – Famiglia

 

q        Egitto: immigrazione in Italia. Mostafa Rostom, Resp.le Internazionale ETUF- Egyptian Trade Union Federation

 

q        Politiche istituzionali regionali nel campo dei servizi alla persona. Anna Salome Coppotelli, Assessore per le Politiche Sociali, Regione Lazio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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q        “Immigrazione e territorio”. Rosella Giangrazi, Segreteria Regionale Uil di Roma e del Lazio

 

q        Fattori demografici ed immigrazione nella Provincia di Roma. Claudio Cecchini, Assessore alle Politiche Sociali e per la Famiglia, Provincia di Roma

 

q        Good practises nel Comune di Roma. Raffaella Milano, Assessore Politiche Sociali e Servizi alla Persona

 

q        Politiche sociali e servizi alla persona a Latina. Maurizio Galardo, Vicesindaco del Comune di Latina

 

q        Il lavoro di front office tra immigrazione e bisogni degli anziani. Ingrid Caraballo, mediatrice culturale, responsabile dello sportello di Roma nel progetto

 

q        Interverranno inoltre rappresentanti della Uiltucs, della Uil Pensionati e dell’Ital

 

Ore 13.30 - Conclusioni: 

 

q        Guglielmo Loy, Segr. Conf. UIL,               

     

Organizzazione del Seminario a cura di

Progetto Sud – Bruno Bruni

prosud@uil.it tel.064753305

Segreteria politica ed organizzativa del progetto

Giuseppe Casucci ed Angela Scalzo

Prosud@uil.it; Polterritoriali2@uil.it; g.casucci@uil.it

Tel. 064653405 – 064753220

 

 



Decreto Flussi, il Ministro Ferrero: “regolarizzare chi lavora”


Il ministro Paolo Ferrero.

Roma, 13 gennaio 2008 (da Metropoli-Repubblica)

 “Gli antidoti alla clandestinità? Moltiplicare i canali d'ingresso legale in Italia e regolarizzare chi già è qui con un posto di lavoro, ma senza documenti". Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, illustra a Metropoli il suo "manifesto dei migranti": approvazione rapida delle leggi su immigrazione e cittadinanza; grande regolarizzazione di chi lavora clandestinamente in Italia; creazione di una lista per tutte le domande non rientrate nel decreto flussi 2007, da recuperare negli anni successivi. Il ministro di Rifondazione comunista preme sugli alleati: "La riforma della legge sull'immigrazione sarà un punto decisivo della prossima verifica di governo". Sull'emanazione di un decreto flussi nei primi mesi del 2008, invece, frena: "Prima va approvata la nuova legge; quello del 2007 dovrà essere l'ultimo decreto varato con la Bossi-Fini". A proposito di flussi, nel 2007 per 170mila posti disponibili sono arrivate quasi 700mila domande d'assunzione. Perché le quote erano così basse? "Sappiamo bene che il fabbisogno interno è di oltre 200mila lavoratori stranieri all'anno. Nel 2007 abbiamo optato per un cifra bassa, in modo da poter procedere più velocemente nei lavori di smaltimento delle pratiche". Che per i due decreti 2006 sono durati oltre 18 mesi: un tempo assurdo, non crede? "Un tempo pazzesco, figlio delle lungaggini e ipocrisie della legge Bossi-Fini. Ora, con le quote più basse e la macchina rodata, speriamo di concludere la consegna dei nulla osta entro sei mesi". I patronati chiedono la rapida riapertura dei flussi, con l'emanazione di un nuovo decreto. Lo ritiene possibile? "No, non credo si possa continuare a lavorare in regime di Bossi-Fini. Quello del 2007 deve essere l'ultimo decreto disciplinato da una legge che costringe gli immigrati a uscire dal Paese per poi rientrarvi da regolari: una procedura ipocrita, che fa correre al lavoratore straniero il rischio di venir espulso alla frontiera. E poi i nulla osta arrivano troppo tardi, quando spesso il lavoro si è perso". Quindi, per veder emanato un nuovo decreto, dovremo aspettare l'approvazione della legge Amato-Ferrero? "Sì, e per questo dobbiamo procedere velocemente. In consiglio dei ministri, dopo l'approvazione del decreto sicurezza, abbiamo raggiunto un accordo: la nuova legge sull'immigrazione sarà in discussione alla Camera entro fine gennaio, per poi passare rapidamente all'esame del Senato. Ricordo che, insieme ai diritti del lavoro, questo sarà un punto decisivo della prossima verifica di governo. Insomma, l'approvazione della nuova legge resta un elemento qualificante per la mia appartenenza a questo governo". In sintesi, la vostra legge in cosa si distingue dalla Bossi-Fini? "La Bossi-Fini rende difficile l'ingresso legale in Italia e facilita il passaggio dalla regolarità alla clandestinità. La nuova legge premia invece i canali d'ingresso legali e introduce percorsi che facilitano il ritorno nella legalità. Investe inoltre sull'integrazione, riconoscendo il diritto di voto amministrativo e allungando la durata dei permessi di soggiorno". A questo proposito, non crede siano troppi 70 euro per i rinnovi? "Certo, un furto. I costi vanno abbattuti e tutte le competenze passate dalle Poste ai Comuni". Lei ha proposto una lista per gli esclusi dal decreto flussi 2007. A cosa serve? "Tutte le domande inevase andrebbero a finire in una grande lista e da lì sarebbero ripescate gradualmente negli anni successivi con i nuovi decreti flussi". Lei è anche favorevole a regolarizzare i lavoratori stranieri che si trovano già in Italia. Ci spieghi meglio. "Accanto alla nuova legge, ci vorrebbe un provvedimento che regolarizzi quell'esercito di immigrati, circa l'1% della popolazione italiana, che si trova clandestinamente in Italia, ma ha un posto di lavoro. Non solo. Andrebbe anche approvata la nuova legge sulla cittadinanza: oggi ottenere il passaporto italiano è un percorso a ostacoli". A volte non crede di sottovalutare il problema della sicurezza, connesso all'arrivo di tanti immigrati in Italia? "Secondo me bisogna perseguire i criminali, non i poveri. Ho votato a favore del decreto sulle espulsioni dei comunitari e sono andato recentemente in Romania a firmare un protocollo contro l'esclusione sociale. Sono convinto che vadano colpite con forza le mafie della tratta degli esseri umani, della prostituzione e degli stupefacenti, perché l'Italia non venga percepita come un Paese che accoglie i banditi". Intanto nel Nordest si assiste al moltiplicarsi di ordinanze comunali contro gli immigrati. "In Italia, la destra ha deciso di giocare la carta del razzismo e su questo costruire il proprio consenso. Il nazismo puntava il dito contro l'ebreo, quale causa di povertà e insicurezza; ora il nemico è l'immigrato". Quali sono i possibili antidoti al razzismo? "Bisogna ricostruire una rete di legami sociali e di welfare, per combattere l'insicurezza, che dà vita al razzismo. Poi dovrebbe nascere un movimento di migranti, che costruisca un immaginario diverso dello straniero, come colui che lavora e non che delinque. Solo così combatteremo la tesi maggioritaria delle destre".




da www.stranieriinitalia.it

Tassista? No se sei straniero

Abdelhamid Ben el Ouja ci ha provato, ma i regolamenti comunali di Firenze e Lucca riservano la professione agli italiani.  “È una discriminazione”

 


Roma  - 15 gennaio 2007 – Dimenticate tutti gli immigrati che sui loro cab gialli scorazzano per le strade di New York,  qui da noi per un cittadino straniero diventare tassista può essere un’impresa impossibile. Ne sa qualcosa Abdelhamid Ben el Ouja, Hamid per gli amici, un tunisino che vive ormai da venti  anni a Empoli. Hamid ha un carta di soggiorno in tasca, una bambina  che va a scuola, una casa di proprietà e qualche risparmio da parte. La scorsa primavera crede che sia arrivato il momento giusto per lasciare il suo impiego in un’azienda agricola e realizzare il sogno di mettersi in proprio come tassista. L’occasione sembra dietro l’angolo, visto per la prima volta dopo venti anni il comune di Firenze ha messo in palio sessanta nuove licenze. “Sapevo che le richieste sarebbero state tante, ma ho deciso di provarci lo stesso” racconta Hamid. Ma a quella gara non viene nemmeno ammesso. “La commissione giudicatrice – si legge in una lettera inviatagli dal Comune - ha disposto la sua esclusione dal concorso, in quadro Ella non è in possesso della cittadinanza italiana o di uno degli stati membri dell’Unione Europea”,  requisito che, a onor del vero, era specificato sul bando. Anche il regolamento comunale per il servizio taxi, del resto, specifica che l’esercizio della professione è riservato ai “cittadini italiani od equiparati” . Hamid non si perde d’animo. “Visto che a Firenze mi era andata male, ho provato a Lucca. Non c’erano bandi per nuove licenze, così ne ho cercata una in vendita facendomi aiutare da un’agenzia” racconta. L’intermediazione gli costa 500 euro, ma sembra dare i suoi frutti quando salta fuori un tassista prossimo alla pensione pronto a vendere la sua licenza per 70mila euro. Anche stavolta, però, il Comune ferma tutto. Come scrive un dirigente del settore Sviluppo Economico, per ottenere l’ok alla cessione della licenza Hamid dovrebbe presentare “una dichiarazione, rilasciata dall’ufficio tunisino competente in materia o dal Consolato Tunisino, dalla quale risulti che la Nazione Tunisina riconosce ai cittadini italiani il diritto di esercitare l’attività di tassista”. Il requisito della reciprocità è previsto dal regolamento comunale. Il nostro aspirante tassista, caparbio, chiama allora il suo consolato, ma dall’altro capo del telefono cascano dalle nuvole. “Mi hanno detto che non sanno come rilasciarmi quella dichiarazione, perché pare che non esistono accordi su questa materia [d’altronde, non saranno molti i tassisti italiani a Tunisi... n.d.r.]. A questo punto non so più dove sbattere la testa”, ammette.

I regolamenti per il servizio taxi a Firenze e Lucca sono stati emanati sulla  base della legge quadro nazionale 21/1992 e della legge regionale 67/1993, testi nei quali non si fa riferimento alla cittadinanza dei conducenti. Sarebbero stati quindi i Comuni a decidere di introdurre quelle restrizioni, forse per analogia con il divieto di assumere stranieri nella pubblica amministrazione. Ad Hamid in realtà importa poco scoprire chi è il colpevole. “Secondo me, questa è una discriminazione. Sono una persona onesta, pago le tasse e vorrei solo avviare un’attività. Sto chiedendo di guidare un taxi, non di diventare poliziotto. Vi sembra giusto tagliarmi fuori?”
 



Nasce l’Istituto che cura i migranti

di Valeria Pini La Repubblica


Roma, 10 gennaio 2008 - E' stato inaugurato oggi, a Roma, il primo Istituto nazionale per la promozione della Salute delle popolazioni migranti e il per il contrasto delle malattie della povertà. Si tratta della prima esperienza di questo tipo in Italia e in Europa e lavora in collaborazione con l'Organizzazione mondiale della sanità. Il centro si rivolge agli immigrati e alle persone vicine alla soglia di poverta', nomadi, senza fissa dimora, rifugiati, vittime di tortura e non autosufficienti. Ma anche famiglie e anziani soli, giovani coppie non abbienti e pensionati minimi. Si trova nella sede dell'Ospedale San Gallicano, a Trastevere, nel cuore della capitale. La struttura è stata inaugurata dal ministro della Salute Livia Turco e dal presidente della Repubblica Giorgio Napoletano. In questa stessa sede dal 1993, il professor Aldo Morrone si dedica alla salute dei migranti. Una squadra composta da sette medici e un centinaio di collaboratori volontari. Fra loro ci sono mediatori culturali, medici, psicologi e nutrizionisti che accolgono circa 10.000 pazienti all'anno. Persone arrivate dai diversi Continenti e qui trovano aiuto. Sarà proprio Morrone a dirigere l'Istituto nazionale per la promozione della Salute delle popolazioni migranti e il per il contrasto delle malattie della povertà. Fra i pazienti molte persone senza regolare permesso di soggiorno. Numerose le vittime di sfruttamento e violenza, di tortura, le donne, i bambini che ricevono cure ogni giorno. Fra gli obiettivi c'è quello di creare una rete nazionale, diffusa in ogni regione italiana, per promuovere la salute, la prevenzione, la cura, la formazione e la ricerca sanitaria sulle patologie legate alle situazioni di poverta' e di immigrazione clandestina in crescita nel Belpaese. Fino a oggi hanno aderito all'Inmp le Regioni Sicilia, Puglia e Lazio.

L'istituto punta anche alla formazione di operatori che possano seguire rifugiati o immigrati che vogliano ottenere questo status. "Va detto che è
incredibile come ancora oggi- ha detto Morrone- possano esistere nel mondo casi di persone maltrattate e sottoposte a tortura". Quello "che abbiamo cercato di fare con questo gruppo e' stato ridare dignita' a persone che ne sono state private - ha aggiunto Morrone - nei modi piu' tremendi e inimmaginabili".
Morrone ha infine sottolineato l'importanza dei mediatori culturali nell'affrontare i problemi dei pazienti stranieri. "I mediatori culturali creano integrazione perché traducono una domanda spesso non esplicita e facilitano l'accesso ai servizi socio-sanitari determinando integrazione. Quando si ammalano molti immigrati hanno paura, perché vedono crollare il loro progetto migratorio, il loro futuro, quello della loro famiglia. Anche in questi casi i mediatori hanno una funzione importante".


 


 LA GIORNATA DEI MIGRANTI

«Il grado di civiltà si misura dalla scuola»

Marcella Corrà, il Corriere delle Alpi

Nell’omelia di don Del Favero si è parlato molto di integrazione


Belluno, 14 gennaio 2008 - «Dio non fa preferenze, accoglie chi pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga». Parole di monsignor Luigi Del Favero, vicario del vescovo, pronunciate ieri durante l’omelia nella chiesa di Cavarzano dove si è celebrata la giornata dei migranti e dei rifugiati. Ma qualcun altro le differenze le fa. Come a Quero, dove l’amministrazione comunale pensa a classi separate tra bambini italiani e stranieri. Un progetto che fa a pugni con l’integrazione. Ne è convinto Patrizio De Martin, direttore dell’Associazione Bellunesi nel mondo: «I nostri emigranti conoscono bene questo tipo di situazione: in Germania dopo la guerra i ragazzi italiani frequentavano classi diverse dai tedeschi. Che cosa sono questi, se non ghetti? Dividere gli studenti stranieri da quelli italiani non è integrazione». Di integrazione ha parlato Del Favero durante la sua omelia, in una affollata chiesa di Cavarzano, di fronte a fedeli provenienti da tutto il mondo: «Integrazione è abitare insieme in una casa comune, ma senza snaturare la propria identità, la propria storia. Non rinunciare a ciò che hai portato con te, di buono, di ricco, di importante».
Non è facile l’integrazione, ammette il vicario. Non lo è per i giovani, che vivono durante il giorno immersi nella società italiana e che la sera ritornano nelle loro famiglie, nelle loro tradizioni.
Ed è proprio qui che si inserisce il ruolo della scuola «luogo dove trovarsi senza smarrirsi. Il grado di civiltà di una nazione si misura dalle sue scuole». E infine «tutti coloro che respirano la stessa aria devono avere le stesse opportunità».
Proprio commentando questo passaggio dell’omelia di don Del Favero, il direttore dell’Abm punta il dito contro il caso di Quero, dove l’ipotesi di dividere gli studenti sta suscitando polemiche che escono dai confini comunali. La Giornata dei migranti ha visto presenti in chiesa rappresentanti di alcune delle tante etnie (100 in Italia) che sono presenti anche a Belluno. I canti dell’Africa (la splendida voce di una donna nigeriana) e delle Filippine hanno fatto da contraltare ai canti del coro parrocchiale.
Sia alla messa che al successivo incontro conviviale, erano presenti i vertici della Abm, con il presidente Bratti, i vice De Fanti e Patrizia Burigo, una giovane bellunese impegnata anche a livello regionale nelle associazioni di emigranti. «Stiamo lavorando a livello regionale - spiega - per costruire un data base con le professionalità dei giovani veneti che sono in giro per il mondo: una specie di censimento per contrastare la fuga dei cervelli ma anche per aiutare i nuovi emigranti che si muovono adesso per il mondo, o quelli che vogliono tornare».
Presente alla giornata il direttore della Caritas, don Claudio Soccol. Un osservatorio particolare, il suo, sulle povertà e sui problemi degli immigrati ma anche dei bellunesi. In una provincia con la piena occupazione, o quasi, c’è il problema del lavoro precario: «Molti stranieri lavorano per due o tre mesi, poi devono trovarsi un altro lavoro. E a differenza dei bellunesi che hanno una base, una casa, gli stranieri devono continuamente spostarsi, cambiare. E’ difficile».



Immigrazione, 2 mila morti nel 2007 sulle rotte per l’Europa

Il 2007 si chiude con un bilancio negativo per gli immigrati che dal Nord Africa solcano il Mediterraneo o l'Atlantico nella speranza di mettere piede nel vecchio continente. Sono 1.684 i morti in mare censiti nell'anno appena concluso, contro i 1.625 del 2006. Lo rivela l'osservatorio Fortress Europe- di abriele Carchella, 10 gennaio 2008


La maglia difensiva dell'Europa è sempre più impenetrabile, mentre il mare esige un dazio crescente di vite umane. Il 2007 si chiude con un bilancio negativo per gli immigrati che dal Nord Africa solcano il Mediterraneo o l'Atlantico nella speranza di mettere piede nel vecchio continente. Sono 1.684 i morti in mare censiti nell'anno appena concluso, contro i 1.625 del 2006. Lo rivela l'osservatorio Fortress Europe, che dal 1988 registra i casi di migranti morti sulla rotta per l'Europa apparsi sulla stampa. Si tratta quindi di cifre approssimate per difetto, perché alcune vittime rimangono per sempre ignote. Considerando anche coloro che non sono morti in mare, il bilancio varia poco: almeno 1.861 morti nel 2007 contro i 2.088 del 2006. Ma la sostanza non cambia: il numero delle vittime è pressoché stabile. Dicembre 2007, in particolare, è stato un mese nero: 243 vittime tra migranti e rifugiati. Di questi, 120 nel mar Egeo, 96 diretti alle Canarie, 17 al largo delle coste algerine e 10 nelle acque dell’isola francese di Mayotte, nell’Oceano Indiano. Al tempo stesso, il numero dei migranti che riescono ad arrivare in Europa è diminuito in modo consistente: attraverso il Mediterraneo e l’Atlantico, nel corso del 2007, sono giunte meno di 50mila persone. Un dato, quest'ultimo, frutto dei respingimenti in mare ad opera di Frontex, l’agenzia comunitaria incaricata del controllo delle frontiere, e degli arresti dei migranti in Nord Africa.
Basta incrociare i dati relativi ai morti e agli arrivi per capire come le politiche migratorie dell'Unione europea riescano a diminuire l'afflusso di migranti, soprattutto clandestini, ma abbiano fallito nello sradicare il fenomeno alla radice. Non diminuisce, insomma, la quantità dei migranti né il numero dei morti. Vittime che gravano innanzitutto sulla coscienza degli scafisti che organizzano le traversate dei disperati. Ma sulle quali i paesi europei non possono chiudere gli occhi. L'accordo siglato il 29 dicembre scorso tra l'Italia e la Libia preoccupa gli osservatori. In base al patto, le imbarcazioni italiane potranno navigare in acque libiche con equipaggi misti per rafforzare il controllo e respingere i clandestini. Gli accordi prevedono inoltre la fornitura di un sistema avanzato di controllo alle autorità libiche finanziato dall'Ue. Tutte le operazioni si svolgeranno sotto la direzione di un comando interforze con sede in libia. Se per il ministro dell'Interno Amato sarà così possibile salvare molte vite, per organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch e Afvic la cooperazione con la Libia rischia di costare caro in termini di diritti umani. Sono infatti 60mila i migranti arrestati e deportati in Libia solo nel 2006. Tra di loro anche donne e bambini, migranti economici e rifugiati politici. Molti di loro sono tenuti agli arresti senza processo, mentre altri sono stati abbandonati alla frontiera meridionale con Niger, Chad, Sudan ed Egitto andando incontro alla morte. L'altra novità è l'adesione di dieci stati europei agli accordi di Schengen, avvenuta il 21 dicembre scorso. Tra questi le repubbliche baltiche, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia. Il confine dell'Europa si sposta così a est e nuove barriere vengono erette. Secondo Fortress Europe, lungo la frontiera tra Slovacchia e Ucraina, attraversata anche da rifugiati ceceni e uzbeki, è stato costruito un “muro virtuale” fatto di telecamere, visori notturni e altri apparecchi sofisticati costati all'Ue ben 50 milioni di euro. E chi riesce a entrare rischia di finire in uno dei 224 campi di detenzione sparsi sul territorio europeo.


 


Cina: Migranti cinesi, braccia da lavoro senza paga e senza diritti
La “ordinaria” storia di un migrante pestato e reso invalido dal datore di lavoro per non pagarlo. Lunghi orari di lavoro senza giornate di riposo, privi di assistenza sanitaria e antinfortunistica, se non sono pagati nessuno li aiuta e non hanno nemmeno i soldi per fare causa.


Pechino (AsiaNews/Agenzie), 14 gennaio 2008 – Massacrato di botte e reso invalido dal datore di lavoro per non pagarlo. Storie di ordinaria ingiustizia nel Grande Paese del miracolo economico, dove lo sviluppo prospera sul sudore dei migranti ma nessuno ne tutela i diritti elementari. Liu Hongjiang ha lasciato il proprio villaggio nel 1990, a 29 anni, per cercare fortuna come operaio edile. A Rizhao (Shandong) lavora per oltre un anno e nell’autunno 1991 chiede i salari arretrati, circa 30mila yuan. Il padrone lo fa pestare a sangue finché sviene. Si risveglia in un fosso lungo una strada al confine con la provincia del Jiangsu, distante molti chilometri, con una ferita al tendine che gli toglie l’uso della gamba sinistra. Senza soldi, storpio, impiega mesi per tornare a Rizhao, ma i palazzi sono finiti e il datore di lavoro è scomparso. I suoi fratelli lo ritrovano solo il mese scorso, dopo che per anni è sopravvissuto mangiando quanto ha trovato tra i rifiuti. Ora la polizia sta svolgendo indagini e la sua famiglia raccoglie gli elementi per fare causa al datore di lavoro. Ma la situazione generale dei migranti non è molto migliore. Uno studio dell’università di Fudan condotto su un campione di 30mila migranti, ha accertato che circa l’80% di loro lavora più di 8 ore al giorno, più del 55% ha meno di 2 giorni di riposo al mese. Questo lavoro senza soste aumenta il rischio di infortuni e li priva della possibilità di studiare e migliorare la loro condizione, come pure di avere una vita normale. Sono privi di assistenza sanitaria o antinfortunistica Ma il problema maggiore sono i ritardi o il rifiuto di pagare il salario da parte del datore di lavoro. Qin Hushao, venuto dall’Hebei a Pechino, racconta al South China Morning Post che anche lui ha lavorato per oltre 50 giorni e poi non è stato pagato, e non ha trovato nessuno che lo aiutasse a ottenere i soldi.

“Senza denaro – spiega – non puoi sopravvivere qui [a Pechino]. E senza denaro non puoi fare causa”. Ora vuole solo avere i suoi soldi e poi tornare a

 

casa.