SPECIALE DOSSIER :
LE ORDINANZE E I PROVVEDIMENTI RAZZISTI
E DISCRIMINATORI
DI ENTI LOCALI DEL NORD ITALIA.
ATTUALITA’ ITALIANA
ATTIVITA’ PARLAMENTARE
1.
Camera
dei Deputati: risposte alle interrogazioni sulle problematiche relative
all’ordinanza del Sindaco di Cittadella (Pd) in materia di iscrizione
all’anagrafe dei cittadini stranieri. Seduta di mercoledì 5 dicembre 2007.
DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
ATTUALITA’ ITALIANA
Dedichiamo interamente questa edizione della newsletter del servizio
di supporto giuridico del progetto Leader alla questione delle ordinanze e dei
provvedimenti xenofobi e discriminatori adottati negli ultimi mesi da diversi
enti locali del Nord Italia governati dalla Lega e dal centro – destra
volti a restringere l’accesso a diritti e prestazioni sociali da parte di
cittadini stranieri.
Si sta infatti registrando quasi una rincorsa fra molti
amministratori locali a chi la spara più grossa, a riesce ad inventarsi di
volta in volta, nuove disposizioni e procedure mortificanti per la vita dei
cittadini stranieri con l’intento, neppure celato, di favorirne ed indurne
l’espulsione o l’allontanamento dal territorio dei rispettivi comuni.
Al di là delle violazioni plateali del principio di legalità per cui
tali ordinanze e provvedimenti confliggono apertamente con i principi generali
dell’ordinamento giuridico e con i diritti fondamentali sanciti dalla
Costituzione e dagli strumenti internazionali sui diritti umani, assistiamo ad
un capovolgimento dei principi basilari su cui si regge il patto
costituzionale, per cui amministrazione centrale ed enti locali dovrebbero
concorrere ad assicurare la rimozione degli ostacoli che si frappongono al
raggiungimento di una condizione di
piena eguaglianza di opportunità e di dignità sociale da parte degli
appartenenti ai ceti sociali più deboli. Al contrario, il malessere sociale
diffuso viene deviato nella ricerca dei capri espiatori, nella
colpevolizzazione della povertà e della marginalità sociale. La lotta alla
povertà si trasforma nella lotta ai poveri, agli immigrati, ai Rom, agli
esclusi. Le politiche sociali e
per l’integrazione dei Rom e degli immigrati diventano temi tabù, ignorando ottusamente che esse
rappresentano il miglior
investimento possibile per costruire un futuro di sicurezza per tutti gli abitanti. Il tema della sicurezza
invece viene agitato strumentalmente e a senso unico, alimentando una visione
criminogena della presenza immigrata per legittimare politiche e misure
discriminatorie, su cui magari assicurarsi un facile e demagogico consenso
elettorale.
Nascono così le ordinanze sulle iscrizioni anagrafiche, inaugurate
dal Sindaco di Cittadella (disponibile sul sito: http://newscittadella.nextep.it/news.jsp?idPagina=603 )
e poi addirittura sollecitate dalla Giunta regionale del Veneto con
l’approvazione di uno schema di indirizzo e di riferimento in materia per i
Sindaci (si veda il documento reperibile sul sito: www.regione.veneto.it/Notizie/Primo+Piano/Iscrizione+anagrafica+immigrati.htm),
nonostante siano stati nel frattempo chiariti i molteplici profili di illegittimità che esse presentano.
Poi quelle sul divieto della celebrazione dei matrimoni per gli immigrati
irregolari, sul limite alle iscrizioni nelle scuole, per non parlare delle
affermazioni istigatrici alla discriminazione razziale e religiosa ovvero volte a
diffondere l’odio e la superiorità razziale, pronunciate con una garanzia quasi
di impunità nonostante l’esistenza di una normativa penale precisa applicabile
d’ufficio, ma che appare largamente disattesa per l’inerzia delle Procure.
Di fronte a tale fenomeno, il governo centrale sembra esprimere una
risposta debole, incerta. Come ha affermato in Parlamento il sottosegretario agli Interni,
Rosato, in risposta all’interpellanza dell’on. Frias, il Governo si affida ad
un confronto con gli enti locali prima di prendere in considerazione eventuali interventi sanzionatori, che
pure la legge sugli enti locali consente fin da subito in questi casi e che in
passato sono stati pur adottati. Ugualmente il Ministero della Solidarietà Sociale e quello del Lavoro
non procedono da più di due anni ormai all’aggiornamento periodico dell’elenco
delle associazioni legittimate direttamente ad agire nelle azioni giudiziarie anti-discrminatorie nei
casi di discriminazioni collettive, oltrechè in nome e per conto della vittima
della discriminazione, anche negli altri casi, così come previsto dall’art. 5
del d.lgs. n. 215/2003, limitando
così la portata di uno degli
strumenti essenziali di rimedio e censura degli atti discriminatori
previsto dalla direttiva europea in materia (n. 2000/43/CE).
Tale dossier vuole dunque essere nel nostro piccolo uno strumento per
non essere acquiescenti e subalterni a tali pericolosi sviluppi per la nostra
democrazia e la tutela dei valori fondamentali della nostra convivenza civile.
1.
Di seguito viene riprodotta la lettera
indirizzata dall’ASGI al Ministero dell’Interno, alle Prefetture competenti, al
Ministero della Solidarietà Sociale e all’ANCI per l’annullamento delle
delibere/ordinanze dei Comuni di Cittadella, Thiene ed altri in materia di iscrizione anagrafica.
Trieste/Torino, 3 dicembre, 2007 OGGETTO: Richiesta di annullamento della delibere/ordinanze dei Comuni di Cittadella, Thiene e
altri aventi come oggetto il controllo dei requisiti di legge in materia di
iscrizione anagrafica, in materia igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza. La presente viene
inviata dall’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici
sull’Immigrazione), un’associazione nazionale, fondata nel 1990 tra avvocati,
docenti e ricercatori universitari, operatori professionali qualificati, con
lo scopo di promuovere l’informazione la documentazione e lo studio dei
problemi di carattere giuridico attinenti l'immigrazione, il diritto d’asilo,
e la disciplina della cittadinanza nell’ordinamento italiano. L’A.S.G.I. intende con la
presente sollecitare i Prefetti delle rispettive province
ad esercitare i poteri di autotutela, sostitutivi e di controllo, nei
confronti delle ordinanze
dei Sindaci di
Cittadella, Thiene e altri, altri
aventi come oggetto il controllo dei requisiti di legge in materia di
iscrizione anagrafica, in materia igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza,
verificandone l’illeggitimità e l’illeicità e conseguentemente procedere al loro annullamento. In alternativa, si
sollecita l’autorità di governo
ad esercitare nei confronti delle ordinanze medesime i poteri di controllo straordinario
previsti dall’art. 138 del T.U.O.E.L. (Testo Unico sull’Ordinamento degli
Enti Locali- D.lgs. n. 267/2000), che dà facoltà al Governo, sentito il Consiglio di Stato, di annullare gli atti delle Pubbliche Amministrazioni,
viziati da incompetenza, eccesso di potere, o violazione di leggi o
regolamenti generali o speciali. Si motiva la legittimità di
tali richieste di annullamento in quanto il Sindaco di Cittadella, e così
altri enti locali che hanno emanato ordinanze simili, ha emesso ordinanza in
materia di iscrizione anagrafica e stato civile (dunque su una materia che
l’art. 117 della Cost. affida in via esclusiva allo Stato) agendo in funzione
di Ufficiale di Governo e pertanto nell’ambito di un rapporto gerarchicamente
subordinato al Prefetto, ammettendosi dunque in capo a quest’ultimo il potere
di annullamento, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata (TAR Lombardia,
I sez. n. 10/2001; TAR F.V.G. n. 645 dd. 16.10.2006). Parimenti, presupposto del potere
straordinario di annullamento da parte del Governo – nell’esercizio del
potere di autotutela – di cui all’art. 138 T.U.O.E.L. è la sussistenza
di valide ragioni di pubblico interesse, giustificate dall’esigenza di
salvaguardare “l’unità dell’ordinamento” (cui fa riferimento l’art. 120
Cost.), compromesso dalla vigenza di provvedimenti che, come quello in esame,
procurano un vulnus all’ordinamento generale. (1) L’A.S.G.I.
intende presentare di seguito i motivi per cui ritiene che le suddette
ordinanze siano palesemente illegittime e contrarie a precise norme di legge,
così come ai principi generali dell’ordinamento giuridico e costituzionale. L’ASGI ritiene
che in capo al Sindaco non sussista una competenza ordinaria e generale e
nemmeno straordinaria ad intervenire nella disciplina giuridica dell’anagrafe
e dello stato civile, di competenza esclusiva dello Stato. Infatti, anche in
caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere
esclusivamente locale, gli
artt. 50 e 54 del T.U.O.E.L. affidano al Sindaco, in qualità di
rappresentante della comunità locale,
un potere di ordinanza, contingibile ed urgente (art. 54), ma soltanto
“nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge” (art. 50, comma 4). Va inoltre
specificato che in caso di
emergenza sanitaria o di igiene pubblica, la competenza del Sindaco di
emanare ordinanze contingentabili ed urgenti è limitata alla fattispecie
delle emergenze a carattere esclusivamente locale. Al riguardo, non si ravvede una situazione di tale
emergenza che caratterizzi in modo peculiare il territorio dei Comuni in
oggetto rispetto ad altre
aree vicine o lontane. Il riferimento fatto nelle premesse alle ordinanze in
questione all’”invasione
migratoria” e alle asserite
emergenze sanitarie che ne conseguirebbero, sembrano rivelare ad un osservatore imparziale più una
forma evidente di pregiudizio razziale alla base del provvedimento che
considerazioni obiettive che fondino l’esistenza di un pericolo effettivo,
specificamente rilevato in concreto con accertamenti istruttori idonei. Si
rammenta in proposito che “presupposto
per l’adozione da parte del Sindaco dell’ordinanza contingibile ed urgente è
il pericolo di un danno grave ed
imminente per l’incolumità pubblica al quale, per il suo carattere di
eccezionalità, non possa farsi fronte con rimedi ordinari e che richiede
interventi immediati e indilazionabili”. (2) Né si potrebbe
sostenere la legittimità dell’ordinanza citata in base all’art. 54 c. 2 del
T.U.O.E.L. che affida al Sindaco la competenza di adottare, quale ufficiale
del Governo, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minaccino l’incolumità dei cittadini. Anche a
prescindere dall’inconsistenza delle motivazioni addotte nelle premesse del
provvedimento, che, come già affermato, appaiono segnate più da forme di
pregiudizio razziale e xenofobia che da considerazioni obiettive, la stessa
interpretazione letterale della norma, nonché la dottrina e la giurisprudenza
sono concordi nell’affermare, che tali ordinanze contingibili ed urgenti
devono essere adottate: 1) nel rispetto della Costituzione e delle leggi
costituzionali; 2) dei principi generali dell’ordinamento giuridico; 3) della
riserva assoluta di legge; nonché devono essere ad efficacia definita nel tempo e comunque limitata al
cessare dell’eccezionalità della situazione che ha indotto il Sindaco a porle
in essere. (3) Non una di tali condizioni e requisiti appare soddisfatta
dalle ordinanze in oggetto. L’ordinanza
dei Sindaci infatti incidono sulla materia dell’iscrizione anagrafica, cioè
su funzioni strettamente
connesse a diritti della persona fatti oggetto di espressa previsione e
garanzia costituzionale. Vi è infatti un legame stretto tra funzione anagrafica e l’art. 2 Cost. (rispetto dei diritti
inviolabili dell’uomo) perché il rifiuto della residenza anagrafica od anche
il suo rallentamento o l’interruzione del procedimento implicano la sottrazione,
non solo giuridica, di un soggetto alla partecipazione alla comunità, ponendo
chi ne viene escluso ai margini della cittadinanza civica, così come della
comunità politica. Difatti, anche l’esercizio dei diritti politici è reso
possibile sulla base della residenza anagrafica, che permette la
registrazione della persona nelle liste elettorali, il ché vale anche per il
cittadino dell’Unione Europea a seguito delle norme di diritto comunitario
sulla “cittadinanza europea”,
che sanciscono il diritto all’elettorato attivo e passivo alle elezioni
amministrative locale ed in quelle europee. Viene poi in considerazione
l’art. 14 Cost., che sancisce l’inviolabilità e dunque il rispetto del
domicilio; l’art. 16 Cost.., ove è affermata la libertà di movimento e di
circolazione dell’individuo, comprensive sicuramente della libertà di
domicilio, residenza e di dimora; l’art. 32 Cost., che afferma il diritto
alla salute dei cittadini e della comunità; diritto la cui attuazione è
affidata al servizio sanitario nazionale, il quale eroga le sue prestazioni
in base alla residenzialità degli utenti; l’art. 38 Cost. relativo al diritto
all’assistenza sociale, in quanto la residenza anagrafica permette alla
comunità territoriale di riconoscere i suoi membri più deboli, di raggiungerli
e metterli in condizione di essere tutelati. La residenza
anagrafica ha dunque natura di
diritto soggettivo perfetto e nel contempo presupposto per l’esercizio di
diritti umani di natura fondamentali, come tali spettanti a tutti.
Certamente, a differenza del cittadino italiano, cui il diritto di soggiorno
sul territorio è coessenziale al suo status di cittadino, lo straniero ha diritto
a soggiornare – e quindi a risiedere – solo nei limiti in cui sia
autorizzato dalla legge. E parliamo qui di legge in senso stretto, in ragione
della riserva assoluta prevista dal Costituente, ai sensi dell’art. 10, co. 2
Cost., in favore del solo legislatore ordinario. Ciò dovrebbe dunque inibire
l’emanazione di atti “creativi”, quali le ordinanze in oggetto, in quanto non
meramente attuative delle norme di livello primario in materia di residenza
anagrafica, ma palesemente in contrasto con esse. Le
disposizioni contenute nelle
ordinanze in oggetto non si limitano, infatti, ad applicare
norme vigenti, né innovano nel solo profilo degli aspetti
procedimentali, suscettibili di
appesantire o rallentare il procedimento amministrativo, bensì contengono violazioni
macroscopiche delle leggi in materia, così come sono affette in diversi
punti da palesi violazioni del principio di parità di trattamento e non
discriminazione
che, anche per effetto di quanto affermato dall’art. 13 del Trattato
europeo, in materia di divieto
di discriminazione, nonché dell’entrata in vigore di apposite direttive
europee (in particolare Direttiva n. 2000/43/CE contro le discriminazioni
etnico-razziali), fanno parte integrante dei principi generali
dell’ordinamento europeo e conseguentemente anche di quello nazionale. (4) Nello specifico, con
riferimento al trattamento riservato ai
cittadini comunitari dall’ordinanza in oggetto, la discriminazione ovvero disparità di trattamento appare evidente non tanto avendo in
considerazione i requisiti reddittuali richiesti ai fini dell’accesso
all’iscrizione anagrafica (i mezzi di sostentamento minimi modulati sulla
base dell’importo della pensione sociale). Difatti, tale requisito
costituisce presupposto ai fini dell’esercizio del diritto alla libertà di
circolazione e soggiorno ed è previsto tanto dalla Direttiva 2004/38/CE
quanto dalla norma di recepimento, il D.lgs. n. 30/2007. E’ invece sulle
modalità concrete e procedurali di implementazione di dette disposizioni che
si realizza la discriminazione “diretta” dei cittadini comunitari rispetto ai
cittadini italiani.
Infatti, se da un lato l’ordinanza non manca di
richiamare la possibilità, espressamente prevista dall’art. 7 del citato
D.lgs. n. 30/2007, di omettere la produzione della documentazione comprovante
le fonti di sostentamento e di “autocertificare” il possesso delle medesima
in base agli artt. 46 e 47 del d.P.R. 445/2000, tuttavia realizza un rispetto
solo apparente della norma, dal momento
che prescrive “preventivamente all’iscrizione anagrafica”, ovvero sospendendo il relativo procedimento, di svolgere
“adeguata attività di indagine e verifica in ordine a quanto dichiarato in
particolare modo in merito all’individuazione della provenienza e alla
liceità della fonte da cui derivano le risorse economiche”. In questo modo si viola palesemente quanto disposto
dalle norme di legge citate dai Sindaci, che invece prevedono come
l’autocertificazione non possa
rinviare in alcun modo il
compimento del procedimento e che la verifica non debba essere effettuata sistematicamente,
bensì a campione, o almeno sulla
base di elementi obiettivi, diversi dalla mera condizione di straniero della
persona in oggetto, che possano fondare un sospetto della non veridicità
della dichiarazione rilasciata, cioè nello stesso modo cioè in cui dovrebbe
avvenire per i cittadini. Sotto questo profilo, la disparità di trattamento
tra cittadini comunitari e cittadini nazionali appare evidente. Un ulteriore
profilo di illegittimità per violazione del principio di non discriminazione
tra cittadini italiani e cittadini comunitari potrebbe derivare dalla confusa
ed imprecisa formulazione del punto 5) delle ordinanze, relativa
all’iscrizione anagrafica del cittadino straniero extracomunitario, in cui si
afferma che “nel caso della carta di soggiorno scaduta ed in corso di
rinnovo, analogamente a quanto previsto per i cittadini dell’Unione,
il cittadino straniero deve comunque dimostrare di disporre di idonea
sistemazione alloggiativa…….” [sottolineatura nostra] . La portata della disposizione appare di difficile
comprensione, in quanto segnata da molteplici imprecisioni ed errori nella
formulazione e nel richiamo alle norme in materia di soggiorno dei cittadini
comunitari e di quelli extracomunitari. Non si vede quale possa essere il
significato del richiamo alla carta di soggiorno con riferimento ai cittadini
dell’Unione, il cui soggiorno per un periodo superiore ai tre mesi non è
subordinato al rilascio di un autonomo documento di soggiorno, bensì soltanto
all’iscrizione anagrafica. Qualora si
fosse voluto fare
riferimento ai familiari dei cittadini dell’Unione, il cui soggiorno
superiore ai tre mesi è subordinato al rilascio della carta di soggiorno, la
disposizione apparirebbe invero illegittima in quanto né la direttive europea
2004/38 né il D.lgs. n. 30/2007 menzionano anche solo indirettamente
particolari requisiti sotto il profilo abitativo ai fini dell’esercizio del
principio di libertà di circolazione e di soggiorno all’interno dello spazio
europeo. A ciò si aggiunge il riferimento al principio, ritenuto
pacifico dalla dottrina, nonché sancito dalle norme applicative dalle disposizioni
legislative in materia di anagrafe e nello specifico le circolari del
Ministero dell’Interno n. 8 del 29 maggio 1995 e n. 2 del 15 gennaio 1997,
secondo cui “la funzione dell’anagrafe è essenzialmente di rilevare la
presenza stabile, comunque situata di soggetti sul territorio comunale” per cui la residenza
anagrafica non consiste nell’alloggio in sé, ma nell’essere la persona
abitualmente presente in quel luogo, presenza che assume rilievo non in base
alle caratteristiche del luogo, ma in quanto essa sia inclusa nel territorio comunale. Di conseguenza
l’approssimativa ed imprecisa
previsione dell’ordinanza del comune di Cittadella e di quelle ad essa
analoghe, qualora interpretate nel senso di richiedere ad un cittadino
dell’Unione ovvero ad un suo familiare la disponibilità di un alloggio idoneo
quale
presupposto per la conferma dell’iscrizione anagrafica, costituirebbe non
solo un’evidente violazione della normativa comunitaria, ma anche un
trattamento discriminatorio rispetto a quanto pacificamente previsto per i cittadini
italiani, con ciò violando il principio generale dell’ordinamento europeo di
non discriminazione. Venendo alla questione relativa
al trattamento prefigurato dall’ordinanza in questione per i cittadini
extracomunitari,
le violazioni delle norme di legge nazionali, del principio di riserva di
legge, e del principio di non –discriminazione,
appaiono assolutamente macroscopiche. Il punto in questione, infatti,
cita quale titolo idoneo all’iscrizione anagrafica del cittadino
extracomunitario la sola carta di soggiorno (termine ora identificato con il
Permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti dopo l’entrata in vigore del
d.gls. n. 3/2007, di recepimento della direttiva europea n. 109/2003), e non anche il permesso
di soggiorno, il ché varrebbe ad escludere dall’esercizio del diritto
pacificamente riconosciuto dal T.U. immigrazione la quasi totalità dei
cittadini extracomunitari. Anche qualora si interpretasse la disposizione
delle ordinanze in oggetto come frutto di una svista o di un errore e di una stesura grossolana ovvero di una
approssimativa conoscenza della norme che regolano l’immigrazione, dovendosi
concludere per l’inclusione nel termine usato di
“carta di soggiorno” di
tutti i documenti autorizzanti il soggiorno dello straniero in Italia
e dunque anche del permesso di soggiorno, ne risulterebbe comunque
un’illegittima attività derogatoria realizzata dall’autorità comunale in una
materia (l’iscrizione anagrafica
degli stranieri) di esclusiva competenza del legislatore nazionale.
Difatti, come già ricordato in precedenza, nel punto 5) dell’ordinanza, si
afferma tra l’altro che “nel caso della carta di soggiorno scaduta ed in
corso di rinnovo,[…], il cittadino straniero deve comunque dimostrare di
disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo,
proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto
dalla legge per l’esenzione alla partecipazione alla spesa pubblica”. Innanzitutto non vi è
norma del TU 286/98 che imponga la dimostrazione di un quantum reddituale per il rinnovo del permesso di
soggiorno lavorativo, essendo prevista la dimostrazione di un determinato
reddito solo nell’ambito del ricongiungimento familiare (normativa, peraltro,
oggi radicalmente modificata dal d.lgs. 5/2007, che esclude ogni automatismo
di astratte cause ostative alla titolarità del permesso di soggiorno
familiare). Ma
l’illegittimità della norma è resa
ancora più palese
nell’ipotesi del cittadino extracomunitario, il quale trovandosi nella
condizione di temporanea disoccupazione, potrebbe sì continuare a soggiornare
regolarmente nel territorio italiano almeno per il periodo di sei mesi
previsto dall’art. 22 comma 11 del T.U. immigrazione, ma non potrebbe
iscriversi all’anagrafe del comune
per mancanza di presunti
requisiti reddittuali e alloggiativi. Ne verrebbe così violato il
principio di parità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in materia di iscrizioni e variazioni anagrafiche, di
cui all’art. 6 c. 7 del T.U.
immigrazione, che deve intendersi
quale derivato del più generale principio di parità di trattamento tra
stranieri e cittadini nell’esercizio dei diritti fondamentali e,
limitatamente agli stranieri regolarmente soggiornanti, nell’esercizio dei
diritti in materia civile e nei rapporti con la P.A. e l’accesso ai pubblici
servizi di cui rispettivamente all’art. 2 c. 1 e all’art. 2 c. 2 e 5 del T.U.
immigrazione. Come precedentemente indicato,
deve essere categoricamente escluso un potere derogatorio in materia di
iscrizione anagrafica in capo all’amministrazione comunale, anche attraverso lo strumento delle
ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’art. 54 c. 2 del T.U.O.E.L. Per i profili discriminatori
sopra indicati, le ordinanze in oggetto
pongono in essere un autonoma violazione di legge anche sotto il
profilo del diritto anti-discriminatorio, di cui all’art. 43 del T.U.
immigrazione e al D.lgs. n. 215/2003. L’art. 43 del Testo Unico
sull’immigrazione, al 1° comma, introduce una sorta di clausola generale di
non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1 della
Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le
forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e
ratificata dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654. Costituisce una discriminazione: “ogni comportamento che, direttamente o
indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o
preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale
o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l’effetto
di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o
l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali
in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore
della vita pubblica”. È pertanto innanzitutto da
considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento
differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in
modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno
favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la
differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di
criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”. Il legislatore ha poi formulato, nel
secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria. L’articolo prevede infatti che compia “in
ogni caso” una
discriminazione: a)
“il
pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona
esercente un servizio di pubblica necessità che nell’esercizio delle sue
funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che,
soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una
determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discriminino
ingiustamente;”. In base alle norme di recepimento della direttiva europea n. 2000/43, cioè il d.lgs. n. 215/2003,
sussiste una discriminazione
diretta ”quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata
meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in
situazione analoga” (artt.
2 d.lgs. n. 215/2003), con riferimento
alle aree dell’impiego, della protezione sociale, dell’assistenza
sanitaria, delle prestazioni sociali, dell’istruzione e dell’accesso ai beni
e servizi. Un
ulteriore motivo di censura dell’ordinanza emanata dal Sindaco di Cittadella
e da quelle ad essa analoghe riguarda la previsione dello svolgimento
sistematico di attività preventive di controllo e verifica da parte degli
organi tecnici competenti
dei requisiti igienico sanitari degli alloggi indicati per l’uso abitativo in sede di istanza di
iscrizione anagrafica, così come delle attività volte all’ottenimento -
effettuato con il coinvolgimento
delle autorità giudiziarie e di polizia - di riscontri attinenti un presunto status di pericolosità sociale dei soggetti richiedenti l’iscrizione
anagrafica. Sebbene si precisi in sede di premessa all’ordinanza che
eventuali esiti delle suddette
verifiche attuate con finalità
preventive non possano avere conseguenze invalidanti sull’iscrizione anagrafica
in quanto diritto soggettivo,
potendo soltanto avviare un
separato procedimento amministrativo finalizzato eventualmente
all’interdizione dell’alloggio indicato quale dimora abituale, resta il fatto
che si dispone che tale verifiche ed accertamenti a natura preventiva abbiano
luogo contestualmente all’accertamento
della dimora abituale ai fini dell’iscrizione anagrafica, con ciò
determinando di conseguenza una probabile paralisi dell’attività
amministrativa ovvero un suo inevitabile rallentamento, con pregiudizio
dell’effettività del diritto. Sebbene si preveda che tali accertamenti di natura
preventiva possano avere luogo nei confronti di chiunque presenti richiesta d’iscrizione
anagrafica, a prescindere dunque dalla nazionalità o cittadinanza, e dunque
anche dei cittadini italiani, avendo in considerazione il quadro generale di
pregiudizio razziale e xenofobo in cui tali ordinanze si collocano e
l’immagine criminogena generalizzata che esse tendano a dare della presenza
di stranieri comunitari e non anche in ragione delle caratteristiche discriminatorie testè
denunciate degli stessi provvedimenti, è presumibile ritenere che tali misure
e prassi di natura preventiva che dovrebbero essere attuate di concerto tra
enti locali, autorità locali di pubblica sicurezza e giudiziarie, magari
nell’ambito dei comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubbliche,
verrebbero svolte prevalentemente o quasi esclusivamente a carico di
cittadini comunitari e non, con conseguente lesione del divieto di
non-discriminazione. In altri termini, si determinerebbe un fenomeno diffuso di “ethnic
profiling”, cioè di
uso da parte delle autorità pubbliche e di quelle di pubblica sicurezza in
particolare, di certe categorie quali l’appartenenza o l’origine razziale o
etnica, il colore della pelle, la nazionalità, nelle attività di controllo,
sorveglianza e investigazione, senza un obiettiva e ragionevole
giustificazione. In sostanza, il “racial profiling” è principalmente la conseguenza dell’uso di stereotipi diffusi
all’interno degli appartenenti alle agenzie di pubblica sicurezza, per cui le
persone appartenenti ad una determinata razza, etnia, nazionalità, religione,
provenienza geografica, si presumono maggiormente inclini di altre al
compimento di attività e atti criminosi e pertanto sono sottoposte ad una più
intesa sorveglianza o a misure specifiche di controllo e investigazione, a
prescindere dal comportamento
individuale o dall’esistenza di informazioni di intelligence che motivino
tali misure. Si sottolinea al riguardo che nella legislazione di taluni paesi
europei ed extraeuropei quali ad es. il Regno Unito ed il Canada, così come
nelle raccomandazioni di autorevoli organismi internazionali quali il
Consiglio d’Europa, l’”ethnic profiling” costituisce espressamente una forma di
discriminazione razziale. (5) A conferma di tali timori, si segnalano già alcune iniziative locali riportate dagli
organi di stampa, quali
l’accordo che sarebbe stato
siglato il 23 novembre scorso tra il Sindaco di Verona Tosi ed il
comandante provinciale della Guardia di Finanza, in base al quale gli uomini
della Guardia di Finanza si sarebbero impegnati a passare al setaccio i redditi degli stranieri
che chiederanno la residenza anagrafica. (6) A tale riguardo, si sottolinea come la legislazione italiana
anti-discriminatoria sia suscettibile di applicazione anche nei casi di “ethnic
profiling” da parte delle
autorità amministrative e di Pubblica Sicurezza. L’art. 43 del T.U.
sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98) impone un divieto generale di
non-discriminazione, anche ai pubblici ufficiali, incluse dunque le autorità di P.S., come si
evince in particolare dalla lettura del già citato comma 2. Di conseguenza
non sussistono dubbi che
comportamenti, atti, provvedimenti di “ethnic profiling” compiuti dalle agenzie di pubblica
sicurezza possono essere sanzionati in Italia ai sensi della normativa
anti-discriminazione di cui al T.U. sull’immigrazione ed essere quindi
oggetto di un’azione civile contro la discriminazione prevista dall’art. 44
del D.lgs. n. 286/98. Pertanto, l’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione),
chiede che vengano accolte le seguenti CONCLUSIONI: 1)
si disponga,
in via principale, a cura dei Prefetti territorialmente competenti
l’annullamento delle ordinanza di cui in premessa; 2)
in subordine,
si proponga al Governo di avvalersi immediatamente della facoltà di
esercitare il potere sostitutivo a tutela dell'unità giuridica della
Repubblica previsto dall'art. 120, comma 2 Cost. nei confronti degli
enti locali e a tal fine si inoltri al Consiglio di Stato la richiesta di
parere necessario in base all'art. 2, comma 3, lett. p) della legge 23
agosto 1988, n. 400, onde sottoporre al Consiglio dei Ministri ogni
determinazione concernente l'annullamento straordinario a tutela
dell'ordinamento degli atti amministrativi illegittimi di cui all’art. 138
del T.U.O.E.L; 3)
in ulteriore
subordine, ai sensi di quanto disposto dall’art. 54, comma 8, del Dlgs
267/2000 (T.U.O.E.L.), disporsi in autotutela la nomina di un commissario ad
acta onde adottare in via
sostitutiva ogni opportuno provvedimento atto a ripristinare la
legalità; 4)
vengano
emanate opportune direttive e
raccomandazioni agli organi locali di Pubblica Sicurezza affinché il
principio di non-discriminazione ed il conseguente divieto di “ethnic
profiling”venga
scrupolosamente seguito, sulla base degli standard internazionali contenuti
nella Raccomandazione dell’ECRI
(Consiglio d’Europa) n. 11. Con
Osservanza. p.
l’ASGI Il
Presidente Avv.
Lorenzo Trucco p. l’ASGI Dott. Walter
Citti NOTE [1] Si rammentano i casi di annullamento governativo
riferiti a regolamenti comunali in materia di concorsi pubblici, che
attribuivano punteggi
preferenziali ai cittadini residenti in determinate Regioni, ponendosi così
in contrasto con i valori supremi di unitarietà dell’ordinamento; cfr.
Lombardi, Concorsi pubblici, residenza e punteggi di favore, in Guida agli enti
locali, n.
23, 24 giugno 2000) 2 CdS, Sez. IV, n. 1537/2006 3 In questo senso: Corte
Costituzionale, n. 8/56 e Corte Costituzionale n. 26/61, TAR Sardegna,
461/95, Consiglio di Stato, sez. V, 1448/96. 4
In relazione
alla garanzia del principio di non discriminazione in base alla
nazionalità, statuito dall’art. 13 del
Trattato CE Con riferimento ai cittadini comunitari, la Corte di Giustizia
Europea ha affermato, che “il
principio di non discriminazione, in ragione del suo carattere imperativo,
costituisce un parametro inderogabile per qualsiasi rapporto giuridico”
(Corte di Giustizia, 12.12.1974 causa 36/74 B.N.O. Walrave). 5
La Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), l’organo indipendente
del Consiglio d’Europa specializzato nella lotta al razzismo e alla
discriminazione razziale, ha presentato lo scorso 4 ottobre la sua
raccomandazione di politica
generale n. 11, dedicata al tema del contrasto alle forme di razzismo e di
discriminazione razziale nelle attività degli organi di pubblica sicurezza,
cioè di quel fenomeno che in
lingua inglese viene definito come “ethnic” o “racial profiling”. L’ECRI, nella relazione esplicativa di
accompagnamento alla raccomandazione (scaricabile in lingua inglese o
francese dal sito: http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/)
sottolinea come le attività di controllo, sorveglianza e investigazione delle
autorità di pubblica sicurezza
dovrebbero essere sempre basate su criteri legati strettamente ed
unicamente alla valutazione concreta del comportamento individuale e/o su
informazioni di intelligence piuttosto che su generalizzazioni e stereotipi
etnici, razziali o religiosi. L’”ethnic profiling” va invece combattuto innanzitutto
perché viola i diritti umani, limitando indebitamente le libertà individuali;
in secondo luogo perché rafforza i pregiudizi e gli stereotipi riguardanti
certi gruppi sociali, generando nei suoi appartenenti sentimenti di
umiliazione e alienazione con conseguenze negative per la coesione sociale;
in terzo luogo, perché a medio e lungo termine si rileva controproducente,
creando un diffuso senso di ostilità tra gli appartenenti alle minoranze
etniche nei confronti delle agenzie di pubblica sicurezza, con conseguente
impoverimento delle forme di collaborazione e dei flussi di informazioni di
intelligence che sono invece lo strumento più efficace per la lotta alla
criminalità. 6
Corriere della Sera - inserto
regionale del Veneto Corriere del Veneto, Sbandati, Tosi firma l’atto.
“Fuori i romeni pericolosi”, 24.11.2007, pag. 2. |
2.
Di seguito viene riprodotta la lettera indirizzata dall’ASGI F.v.g.
al Ministero dell’Interno, alla Prefettura di Pordenone, al Ministero della
Solidarietà Sociale e all’ANCI F.v.g.
per l’annullamento dell’ordinanza del Comune Azzano Decimo (Pn) in materia di iscrizione
anagrafica.
Sez. regionale del Friuli-Venezia Giulia Trieste/Udine, 9 dicembre, 2007 OGGETTO: Richiesta di annullamento
dell’ordinanza del Comune di Azzano Decimo (n. 41/2007)
avente come oggetto l’attuazione delle disposizioni legislative in materia di
iscrizione anagrafica. La presente viene
inviata dalla sez. regionale del F.V.G. dell’A.S.G.I. (Associazione per gli
Studi Giuridici sull’Immigrazione), - un’associazione nazionale, avente sede ed attività anche
nel territorio regionale, fondata nel 1990 tra avvocati, docenti e
ricercatori universitari, operatori professionali qualificati, con lo scopo
di promuovere l’informazione la documentazione e lo studio dei problemi di
carattere giuridico attinenti l’immigrazione, il diritto d’asilo, e la disciplina
della cittadinanza nell’ordinamento italiano. L’A.S.G.I.
intende con la presente sollecitare la Vostra attenzione ed esprimere la
propria preoccupazione su taluni aspetti della recente ordinanza del Sindaco del Comune di Azzano
Decimo in materia di “attuazione delle disposizioni legislative generali
in materia di discrizione nei registri della popolazione residente”. L’A.S.G.I.
intende presentare di seguito i motivi per cui ritiene che la suddetta
ordinanza sia illegittima e
potenzialmente suscettibile di generare prassi e comportamenti contrari alle
disposizioni di legge e regolamentari vigenti, con conseguente lesione di
diritti soggettivi dei soggetti coinvolti. Si esprime innanzitutto una
perplessità di ordine generale per l’emanazione di un’ordinanza espressamente a carattere straordinario, contingibile ed
urgente in materia di iscrizione
anagrafica e stato civile e, dunque, su una materia che l’art. 117 della
Cost. affida in via esclusiva allo Stato, e ove il Sindaco agisce
esclusivamente in funzione di
Ufficiale di Governo e pertanto nell’ambito di un rapporto gerarchicamente
subordinato al Prefetto. L’ASGI
ritiene che in capo al
Sindaco non sussista una competenza ordinaria e generale e nemmeno
straordinaria ad intervenire nella disciplina giuridica dell’anagrafe e dello
stato civile, di competenza esclusiva dello Stato. Infatti, anche in caso di
emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, gli artt. 50 e 54 del T.U.O.E.L. (Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti Locali- D.lgs.
n. 267/2000) affidano al Sindaco, in qualità di rappresentante della
comunità locale, un potere di
ordinanza, contingibile ed urgente (art. 54), ma soltanto “nelle materie
previste da specifiche disposizioni di legge” (art. 50, comma 4). Va inoltre specificato
che in caso di emergenza
sanitaria o di igiene pubblica, la competenza del Sindaco di emanare
ordinanze contingentabili ed urgenti è limitata alla fattispecie delle
emergenze a carattere esclusivamente locale. Al riguardo, non si ravvede una situazione di tale
emergenza che caratterizzi in modo peculiare il territorio del Comune di Azzano Decimo, né
nell’ordinanza vengono citate convincenti motivazioni al riguardo, tranne un
richiamo generico ad un presunto “incremento a livelli esponenziali dei flussi migratori”, alle “numerosissime
richieste di iscrizioni anagrafiche periodicamente presentate” che potrebbero assurgere,
dunque in via soltanto ipotetica e non immediata, ad una “vera e propria
emergenza sotto il profilo della salvaguardia dell’igiene e della sanità
pubblica”.
Tali considerazioni non vengono suffragate da alcun dato statistico o
quantitativo, né da risultanze di indagini sociali aventi natura obiettiva.
Il riferimento fatto nelle premesse all’ ordinanza in questione all’”invasione migratoria” e alle
asserite emergenze sanitarie che
ne conseguirebbero, sembrano rivelare
ad un osservatore imparziale più una forma evidente di pregiudizio
razziale alla
base del provvedimento che considerazioni obiettive che fondino l’esistenza
di un pericolo effettivo, grave e immediato, specificamente rilevato in
concreto con accertamenti istruttori idonei. Si rammenta in proposito
che “presupposto per
l’adozione da parte del Sindaco dell’ordinanza contingibile ed urgente è il
pericolo di un danno grave ed
imminente per l’incolumità pubblica al quale, per il suo carattere di
eccezionalità, non possa farsi fronte con rimedi ordinari e che richiede
interventi immediati e indilazionabili”. (1) Né si potrebbe
sostenere la legittimità dell’ordinanza citata in base all’art. 54 c. 2 del
T.U.O.E.L. che affida al Sindaco la competenza di adottare, quale ufficiale
del Governo, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minaccino l’incolumità dei cittadini. Anche a
prescindere dall’inconsistenza delle motivazioni addotte nelle premesse del
provvedimento, che, come già affermato, appaiono segnate più da forme di
pregiudizio razziale e xenofobia che da considerazioni obiettive, la stessa
interpretazione letterale della norma, nonché la dottrina e la giurisprudenza
sono concordi nell’affermare, che tali ordinanze contingibili ed urgenti
debbano essere adottate: 1) nel rispetto della Costituzione e delle leggi
costituzionali; 2) dei principi generali dell’ordinamento giuridico; 3) della
riserva assoluta di legge; nonché devono essere ad efficacia definita nel tempo e comunque limitata al
cessare dell’eccezionalità della situazione che ha indotto il Sindaco a porle
in essere. (2) Non una di tali condizioni e requisiti appare soddisfatta
dall’ ordinanza in oggetto. L’ordinanza
del Sindaco infatti incide sulla materia dell’iscrizione anagrafica, cioè su
funzioni strettamente connesse a
diritti della persona fatti oggetto di espressa previsione e garanzia
costituzionale.
Vi è infatti un legame stretto tra
funzione anagrafica e l’art. 2 Cost. (rispetto dei diritti inviolabili
dell’uomo) perché il rifiuto della residenza anagrafica od anche il suo
rallentamento o l’interruzione del procedimento implicano la sottrazione, non
solo giuridica, di un soggetto alla partecipazione alla comunità, ponendo chi
ne viene escluso ai margini della cittadinanza civica, così come della
comunità politica. Difatti, anche l’esercizio dei diritti politici è reso
possibile sulla base della residenza anagrafica, che permette la
registrazione della persona nelle liste elettorali, il ché vale anche per il
cittadino dell’Unione Europea a seguito delle norme di diritto comunitario
sulla “cittadinanza europea”,
che sanciscono il diritto all’elettorato attivo e passivo alle elezioni
amministrative locale ed in quelle europee. Viene poi in considerazione
l’art. 14 Cost., che sancisce l’inviolabilità e dunque il rispetto del
domicilio; l’art. 16 Cost.., ove è affermata la libertà di movimento e di
circolazione dell’individuo, comprensive sicuramente della libertà di
domicilio, residenza e di dimora; l’art. 32 Cost., che afferma il diritto
alla salute dei cittadini e della comunità; diritto la cui attuazione è
affidata al servizio sanitario nazionale, il quale eroga le sue prestazioni
in base alla residenzialità degli utenti; l’art. 38 Cost. relativo al diritto
all’assistenza sociale, in quanto la residenza anagrafica permette alla
comunità territoriale di riconoscere i suoi membri più deboli, di
raggiungerli e metterli in condizione di essere tutelati. La residenza
anagrafica ha dunque natura di
diritto soggettivo perfetto e nel contempo presupposto per l’esercizio di
diritti umani di natura fondamentali, come tali spettanti a tutti.
Certamente, a differenza del cittadino italiano, cui il diritto di soggiorno
sul territorio è coessenziale al suo status di cittadino, lo straniero ha diritto
a soggiornare – e quindi a risiedere – solo nei limiti in cui sia
autorizzato dalla legge. E parliamo qui di legge in senso stretto, in ragione
della riserva assoluta prevista dal Costituente, ai sensi dell’art. 10, co. 2
Cost., in favore del solo legislatore ordinario. Ciò dovrebbe dunque inibire
l’emanazione di atti “creativi”, quali l’ ordinanza in oggetto, in quanto non
meramente attuativa delle norme di livello primario in materia di residenza
anagrafica, ma in taluni punti palesemente in contrasto con esse. Al contrario di
quanto affermato nel titolo dell’ordinanza (“Attuazione delle disposizioni
legislative generali in materia di iscrizione nel registro della popolazione
residente”),
le disposizioni contenute nell’
ordinanza in oggetto non si limitano, infatti, ad applicare
norme vigenti, né innovano nel solo profilo degli aspetti
procedimentali, suscettibili di
appesantire o rallentare il procedimento amministrativo, bensì contengono
alcune significative violazioni delle leggi e delle disposizioni
amministrative ministeriali vigenti in materia, così come sono affette in alcuni
punti dai violazioni del principio di parità di trattamento e non
discriminazione
che, anche per effetto di quanto affermato dall’art. 13 del Trattato
europeo, in materia di divieto
di discriminazione, nonché dell’entrata in vigore di apposite direttive
europee (in particolare Direttiva n. 2000/43/CE contro le discriminazioni
etnico-razziali), fanno parte integrante dei principi generali
dell’ordinamento europeo e conseguentemente anche di quello nazionale. (3) Nello specifico, con
riferimento al trattamento riservato ai
cittadini comunitari dall’ordinanza in oggetto, la discriminazione ovvero disparità di trattamento appare evidente non tanto avendo in
considerazione i requisiti reddittuali richiesti ai fini dell’accesso
all’iscrizione anagrafica (i mezzi di sostentamento minimi modulati sulla
base dell’importo della pensione sociale). Difatti, tale requisito
costituisce presupposto ai fini dell’esercizio del diritto alla libertà di
circolazione e soggiorno ed è previsto tanto dalla Direttiva 2004/38/CE
quanto dalla norma di recepimento, il D.lgs. n. 30/2007. E’ invece sulle
modalità concrete e procedurali di implementazione di dette disposizioni che
si realizza la discriminazione “diretta” dei cittadini comunitari rispetto ai
cittadini italiani.
Infatti, se da un lato l’ordinanza non manca di
richiamare la possibilità, espressamente prevista dall’art. 7 del citato
D.lgs. n. 30/2007, di omettere la produzione della documentazione comprovante
le fonti di sostentamento e di “autocertificare” il possesso delle medesima
in base agli artt. 46 e 47 del d.P.R. 445/2000, tuttavia realizza un rispetto
solo apparente della norma, dal momento
che prescrive “preventivamente all’iscrizione anagrafica”, ovvero sospendendo il relativo procedimento, di svolgere
“adeguata attività di indagine e verifica in ordine a quanto dichiarato in
particolare modo in merito all’individuazione della provenienza e alla
liceità della fonte da cui derivano le risorse economiche”. E’ ben vero che l’art. 71 del
d.P.R. 28.12.2000 n. 445 (T.U.
in materia di documentazione amministrativa ) dispone in materia di autocertificazioni che
le amministrazioni siano tenute “ad effettuare idonei controlli, anche a
campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla
veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47” [sottolineatura nostra]. L’A.S.G.I. ritiene in proposito che il tenore
dell’ordinanza del Sindaco di Azzano Decimo si discosta in misura
significativa da un’interpretazione letterale della norma di cui all’art. 71
del d.P.R. n. 445/2000, in quanto quest’ultima non impone idonei
controlli in tutti i casi in cui vengano rese
dichiarazioni sostitutive, ma solo in tutti quei casi in cui sorgano fondati
dubbi sulla loro veridicità,
collegati al possesso di informazioni specifiche ovvero di altri elementi
obiettivi, mentre in via generale, al di fuori quindi del
criterio del dubbio fondato, si
dovrebbe ricorrere allo strumento del controllo a campione . Il Sindaco del Comune di Azzano
Decimo, prevedendo, invece, un
sistema di controlli sistematici sulle dichiarazioni sostitutive rese in
materia di mezzi di sostentamento dai cittadini comunitari che chiedono
l’iscrizione anagrafica, in ogni
caso e dunque non a campione, e a prescindere da ogni criterio ed elemento
obiettivo che possa fondare il requisito del dubbio fondato previsto dalla legge, viola palesemente
quanto previsto dalle norme di legge, dal lui stesso
citate. Ulteriore elemento per cui
l’ordinanza del Comune di Azzano Decimo si discosta sensibilmente da un
criterio di corretta applicazione delle norme in materia di dichiarazioni
sostitutive è rappresentato
dalla previsione in base alla quale i controlli sulla veridicità
dell’autocertificazione resa avvengono preventivamente all’iscrizione anagrafica, rinviando così il compimento
del procedimento amministrativo.
Sotto questo profilo, si palesa un ‘evidente violazione delle norme di
legge in materia di documentazione amministrativa ed una disparità di trattamento rispetto a quanto pacificamente accettato per i procedimenti
amministrativi riguardanti i
cittadini nazionali. In base, infatti, all’art. 71 c. 3 del d.P.R. 28.12.2000, n.
445, la sospensione del procedimento amministrativo può avere luogo solo ed
esclusivamente in presenza di
dichiarazioni sostitutive che
presentino irregolarità e omissioni rilevabili d’ufficio, in relazione alle
quali il funzionario competente dà notizia all’interessato e qualora
quest’ultimo non provveda al loro
completamento. Come opportunamente chiarito dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato (sez. V, sent. N. 2131 dd. 08-05-2007), tale facoltà di
regolarizzazione o rettifica delle dichiarazioni incomplete fornite, l’unica
che prevede l’ipotesi della conseguente sospensione del
procedimento amministrativo, non deve confondersi con la differente
situazione di dichiarazioni non veritiere nel loro contenuto. Di conseguenza,
appare illegittima l’ipotesi di una verifica preventiva della veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese dal
cittadino comunitario, con conseguente sospensione del procedimento
amministrativo ordinario di accertamento della dimora abituale, previsto per
la generalità dei richiedenti l’iscrizione anagrafica, fermo restando che
l’eventuale rilascio di dichiarazioni mendaci determina l’insorgenza di l’illecito penale, nonché la revoca
dell’atto amministrativo di iscrizione anagrafica, se non sanabile per fatti
sopravvenuti (ad es. il conseguimento di un contratto di lavoro,…). Discostandosi da quanto
previsto dalla norma di legge in materia di procedimento amministrativo in
presenza di dichiarazioni sostitutive e da quanto pacificamente accettato per
i cittadini italiani, ed avendo in considerazione come i controlli preventivi
generalizzati indurrebbero un rallentamento ingiustificato, in quanto
generalizzato e dunque sproporzionato, del procedimento amministrativo per i
soli cittadini comunitari, la prassi prefigurata nei confronti dei cittadini
comunitari dal Sindaco del Comune di Azzano Decimo nella sua ordinanza appare
suscettibile di violare il principio di non discriminazione. Venendo alla questione relativa
al trattamento prefigurato dall’ordinanza in questione per i cittadini
extracomunitari,
le violazioni delle norme di legge nazionali, delle disposizioni
amministrative applicative, del principio di riserva di legge, e del
principio di non –discriminazione,
appaiono sussistenti, nonostante il carattere apparentemente neutro della previsione, secondo
cui “l’iscrizione anagrafica dello straniero –nel quadro normativo
attuale – subordinata alla
regolarità del soggiorno (art. 6 e 7 d.lgs. n. 286/98) […], resta subordinata
al rilascio da parte della questura del richiamato titolo in corso di
validità”
[sottolineatura nostra]. Sul punto in questione, si
rammenta che con l’approvazione dell’art. 7 del T.U. sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98), il
legislatore aveva proceduto
all’abrogazione dell’art. 6 della “Legge Martelli” (l. n. 39/90) – dove
il diritto all’iscrizione anagrafica veniva riconosciuto ai soli “stranieri
in possesso del permesso di soggiorno”, sostituendolo con una norma,
compendiata poi dall’art 14 del regolamento di attuazione (d.P.R. n. 394/99),
ove invece tale diritto viene
riferito, più correttamente, allo “straniero regolarmente soggiornante”. Le due diverse formulazioni,
infatti, non appaiono perfettamente sovrapponibili, la seconda (regolarità
del soggiorno) essendo più ampia e comprensiva della prima (il possesso del
permesso di soggiorno). In altri termini, non vi è completa coincidenza tra la regolarità del
soggiorno ed il possesso materiale del permesso di soggiorno da parte dello
straniero, sussistendo delle situazioni in cui lo straniero, benché
regolarmente soggiornante, non sia in materiale possesso del titolo di
soggiorno in corso di validità. Ci si riferisce, in particolare, a due situazioni: a) la prima, quella
dello straniero che attenda il compiersi della pratica di rinnovo del
permesso di soggiorno e che, nelle more del procedimento, chieda l’iscrizione
all’anagrafe di un diverso comune esibendo la sola ricevuta della domanda di
rinnovo del permesso di soggiorno assieme alla copia del permesso di
soggiorno ormai scaduto; b) la seconda, quella dello straniero che abbia
fatto primo ingresso in Italia sulla base del rilascio di un visto per motivi
di lavoro subordinato, e che dopo avere sottoscritto il contratto di
soggiorno con il datore di lavoro e depositato presso lo sportello unico
immigrazione la richiesta di permesso di soggiorno, chieda al servizio
comunale l’iscrizione anagrafica nelle more del rilascio del permesso di
soggiorno. In entrambe le situazioni sopraccitate, non sussistono dubbi sulla
regolarità del soggiorno dello straniero, anche se egli non è in possesso
materiale del titolo di soggiorno in corso di validità, alla condizione, per
quanto concerne l’ipotesi del procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno, che egli abbia
presentato l’istanza nei termini
previsti dalla legge (prima della scadenza ovvero entro il periodo di tolleranza
dei 60 giorni successivi). (4) Una corretta e coerente
applicazione della norma legislativa richiede dunque che in tali
situazioni il diritto
all’iscrizione anagrafica dello straniero venga pienamente ed immediatamente
attuato e garantito senza impedimenti di sorta ovvero senza che venga richiesto
il previo rilascio del permesso di soggiorno, che spesso avviene ben al di là del termine di venti
giorni previsto dalla legge (art. 5 c. 9 d.lgs. n. 286/98), in ragione
dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione. A tali conclusioni, giungono
concordi, peraltro, tutte le disposizioni regolamentari ed amministrative
emanate sulla materia e più precisamente: a) L’art. 15, co. 2 del nuovo
regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione ove si dispone, con
breve inciso, che gli stranieri comunque non decadono dall’iscrizione
anagrafica nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno; b) La direttiva del Ministero
dell’Interno sui diritti dello straniero nelle more del rinnovo del permesso
di soggiorno dd. 05.08.2006; c) La direttiva del Ministero
dell’Interno sui diritti dello straniero nelle more del rilascio del primo
permesso di soggiorno per lavoro subordinato, dd. 20.02.2007: (“ il
lavoratore straniero, nelle more della consegna del primo permesso di
soggiorno per lavoro subordinato, può legittimamente esercitare i diritti
derivanti dal medesimo permesso,…”); d) La circolare del Ministero
dell’Interno, Dip. Affari interni e territoriali, Direz. Centrale per i
Servizi demografici, dd. 19.04.2005, poi ribadita dalla circ. Min. Interno,
Dip. Affari interni e territoriali dd. 17.11.2006, n. 42, che appunto
dispongono esplicitamente che lo straniero che attenda il compiersi della
pratica di rinnovo del permesso di soggiorno possa mantenere l’iscrizione
anagrafica od anche iscriversi all’anagrafe di diverso comune; e) La circolare del Ministero
dell’Interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, dd.
2.04.2007, che appunto dispone che lo straniero che attenda il rilascio del
primo permesso di soggiorno dopo averne depositato istanza allo sportello
unico, previa sottoscrizione del
contratto di soggiorno, possa
immediatamente esercitare il diritto all’iscrizione anagrafica; f) La circolare del Ministero
dell’Interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, dd.
2.4.2007 n. 17, che prevede che
agli stranieri che abbiano presentato istanza di rinnovo del permesso di
soggiorno nelle forme e nei tempi previsti possa essere rilasciata o
rinnovata la carta di identità, con la sola esclusione della validità per
l’espatrio. Dalle osservazioni sopra
indicate, si può concludere che la sibillina formula usata dal Sindaco di
Azzano Decimo
per riassumere la disciplina nazionale dell’iscrizione anagrafica dei
cittadini stranieri confonde – non si sa se volutamente o per difetto di analisi
o scarsa ed approssimativa conoscenza della disciplina – tra la regolarità del soggiorno ed il possesso del permesso di soggiorno in
corso di validità, con ciò rischiando di ledere in concreto posizioni
soggettive in un ambito
attinente a diritti umani
fondamentali. Se così fosse, ne verrebbe altresì
violato il principio di parità di trattamento tra cittadini italiani e
cittadini stranieri regolarmente
soggiornanti
in materia di iscrizioni e variazioni anagrafiche, di cui all’art. 6 c. 7 del T.U.
immigrazione, che deve intendersi
quale derivato del più generale principio di parità di trattamento tra
stranieri e cittadini nell’esercizio dei diritti fondamentali e,
limitatamente agli stranieri regolarmente soggiornanti, nell’esercizio dei
diritti in materia civile e nei rapporti con la P.A. e l’accesso ai pubblici
servizi di cui rispettivamente all’art. 2 c. 1 e all’art. 2 c. 2 e 5 del T.U.
immigrazione. Come precedentemente indicato,
deve essere categoricamente escluso un potere derogatorio in materia di
iscrizione anagrafica in capo all’amministrazione comunale, anche attraverso lo strumento delle
ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’art. 54 c. 2 del T.U.O.E.L. Per i profili discriminatori
sopra indicati, l’ ordinanza in oggetto
pone in essere un autonoma violazione di legge anche sotto il profilo
del diritto anti-discriminatorio, di cui all’art. 43 del T.U. immigrazione e
al D.lgs. n. 215/2003. L’art. 43 del Testo Unico
sull’immigrazione, al 1° comma, introduce una sorta di clausola generale di
non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1 della
Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le
forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e
ratificata dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654. Costituisce una discriminazione: “ogni comportamento che,
direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione,
restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o
l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia
lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il
godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in
ogni altro settore della vita pubblica”. È pertanto innanzitutto da
considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento
differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in
modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno
favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la
differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di
criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”. Il legislatore ha poi
formulato, nel secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle
condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria. L’articolo prevede infatti
che compia “in ogni caso” una discriminazione: “il pubblico ufficiale o la
persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di
pubblica necessità che nell’esercizio delle sue funzioni compia od ometta
atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza,
religione, etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;”. In base alle norme di recepimento della direttiva europea n. 2000/43, cioè il d.lgs. n. 215/2003,
sussiste una
discriminazione diretta ”quando, per la razza o l’origine etnica, una
persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe
trattata un’altra in situazione analoga” (artt. 2 d.lgs. n. 215/2003), con
riferimento alle aree
dell’impiego, della protezione sociale, dell’assistenza sanitaria, delle prestazioni
sociali, dell’istruzione e dell’accesso ai beni e servizi. Un ulteriore motivo di
censura dell’ordinanza emanata dal Sindaco di Azzano Decimo riguarda la previsione dello
svolgimento sistematico di attività preventive di controllo e verifica da
parte degli organi tecnici competenti dei requisiti igienico sanitari degli
alloggi indicati per l’uso abitativo in sede di istanza di iscrizione
anagrafica. Sebbene si precisi in sede di premessa all’ordinanza che
eventuali esiti delle suddette
verifiche attuate con finalità
preventive non possano avere conseguenze invalidanti sull’iscrizione
anagrafica in quanto diritto
soggettivo, potendo soltanto
avviare un separato procedimento amministrativo finalizzato
eventualmente all’interdizione dell’alloggio indicato quale dimora abituale,
resta il fatto che si dispone che tale verifiche ed accertamenti a natura
preventiva abbiano luogo contestualmente all’accertamento della dimora abituale ai fini
dell’iscrizione anagrafica, con ciò determinando di conseguenza una probabile
paralisi dell’attività amministrativa ovvero un suo inevitabile
rallentamento, con pregiudizio dell’effettività del diritto. Sebbene si preveda che
tali accertamenti di natura preventiva possano avere luogo nei confronti di
chiunque presenti richiesta
d’iscrizione anagrafica, a prescindere dunque dalla nazionalità o
cittadinanza, e dunque anche dei cittadini italiani, avendo in considerazione
il quadro generale di pregiudizio razziale e xenofobo in cui l’ ordinanza si
colloca e l’immagine criminogena generalizzata che essa tenda a dare della
presenza di stranieri comunitari e non anche in ragione delle caratteristiche discriminatorie testè
denunciate degli stessi provvedimenti, è presumibile ritenere che tali misure
e prassi di natura preventiva, verrebbero svolte prevalentemente o quasi
esclusivamente a carico di cittadini comunitari ed extracomunitari, con
conseguente lesione del divieto di non-discriminazione. In altri termini, si
determinerebbe un fenomeno diffuso di “ethnic profiling”, cioè di uso da
parte delle autorità pubbliche e di quelle di pubblica sicurezza in
particolare, di certe categorie quali l’appartenenza o l’origine razziale o
etnica, il colore della pelle, la nazionalità, nelle attività di controllo,
sorveglianza e investigazione, senza un obiettiva e ragionevole
giustificazione. In sostanza, il “racial profiling” è principalmente la
conseguenza dell’uso di
stereotipi diffusi all’interno degli appartenenti alle agenzie di sicurezza o
enti pubblici, per cui le persone appartenenti ad una determinata razza,
etnia, nazionalità, religione, provenienza geografica, si presumono
maggiormente inclini di altre al compimento di attività e atti criminosi e
pertanto sono sottoposte ad una più intesa sorveglianza o a misure specifiche
di controllo e investigazione, a prescindere dal comportamento individuale o dall’esistenza di informazioni
di intelligence o “riservate” che motivino tali misure. Si sottolinea al riguardo
che nella legislazione di taluni paesi europei ed extraeuropei quali ad es.
il Regno Unito ed il Canada, così come nelle raccomandazioni di autorevoli
organismi internazionali quali il Consiglio d’Europa, l’”ethnic profiling”
costituisce espressamente una forma di discriminazione razziale. (5) A tale riguardo, si
sottolinea come la legislazione italiana anti-discriminatoria sia
suscettibile di applicazione anche nei casi di “ethnic profiling” da parte
delle autorità amministrative e di Pubblica Sicurezza. L’art. 43 del T.U.
sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98) impone un divieto generale di
non-discriminazione, anche ai pubblici ufficiali, come si evince in
particolare dalla lettura del già citato comma 2. Di conseguenza non
sussistono dubbi che
comportamenti, atti, provvedimenti di “ethnic profiling” compiuti
dalle autorità pubbliche, e dunque anche gli enti locali, possono essere
sanzionati in Italia ai sensi della normativa anti-discriminazione di cui al
T.U. sull’immigrazione ed essere quindi oggetto di un’azione civile contro la
discriminazione prevista dall’art. 44 del D.lgs. n. 286/98. Pertanto, l’A.S.G.I.
(Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), sez. regionale del
F.V.G., chiede che vengano
accolte le seguenti CONCLUSIONI: 1) si disponga, in via principale,
a cura del Prefetto
territorialmente competente l’annullamento dell’ ordinanza di cui in
premessa. Si motiva la legittimità di tale richiesta di annullamento in
quanto il Sindaco di Azzano Decimo, ha emesso ordinanza in materia di
iscrizione anagrafica e stato civile (dunque su una materia che l’art. 117
della Cost. affida in via esclusiva allo Stato) agendo in funzione di
Ufficiale di Governo e pertanto nell’ambito di un rapporto gerarchicamente
subordinato al Prefetto,
ammettendosi dunque in capo a quest’ultimo il potere di annullamento, come
riconosciuto da giurisprudenza consolidata (TAR Lombardia, I sez. n. 10/2001;
TAR F.V.G. n. 645 dd. 16.10.2006). 2) in subordine, si proponga al
Governo di avvalersi immediatamente della facoltà di esercitare il
potere sostitutivo a tutela dell’unità giuridica della Repubblica previsto
dall’art. 120, comma 2 Cost. nei confronti dell’ ente locale e a tal
fine si inoltri al Consiglio di Stato la richiesta di parere necessario in
base all’art. 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400,
onde sottoporre al Consiglio dei Ministri ogni determinazione concernente l’annullamento
straordinario a tutela dell’ordinamento degli atti amministrativi illegittimi
di cui all’art. 138 del T.U.O.E.L; (6) 3) in ulteriore subordine, ai
sensi di quanto disposto dall’art. 54, comma 8, del Dlgs 267/2000
(T.U.O.E.L.), che nel caso si accerti un applicazione dell’ordinanza che si
discosti da quanto previsto dalle disposizioni nazionali in materia con
lesione di posizioni soggettive, si disponga in autotutela la nomina di un commissario ad acta onde
adottare in via sostitutiva ogni opportuno provvedimento atto a ripristinare
la legalità; 4) vengano emanate opportune direttive e raccomandazioni
agli organi dell’ente locale affinché il principio di non-discriminazione ed
il conseguente divieto di “ethnic profiling” venga scrupolosamente seguito,
sulla base degli standard internazionali contenuti nella Raccomandazione
dell’ECRI (Consiglio d’Europa)
n. 11. Con
Osservanza. p. l’ASGI sez. reg. F.V.G Dott.
Walter Citti Note [1] CdS, Sez. IV, n. 1537/2006 2
In questo senso: Corte Costituzionale, n. 8/56 e Corte Costituzionale n.
26/61, TAR Sardegna, 461/95, Consiglio di Stato, sez. V, 1448/96. 3
In relazione
alla garanzia del principio di non discriminazione in base alla
nazionalità, statuito dall’art. 13 del
Trattato CE, con riferimento ai cittadini comunitari, la Corte di
Giustizia Europea ha affermato,
che “il principio di non discriminazione, in ragione del suo carattere
imperativo, costituisce un parametro inderogabile per qualsiasi rapporto
giuridico” (Corte di Giustizia, 12.12.1974 causa 36/74 B.N.O. Walrave). 4
Art. 5 c. 4 d.lgs. n. 286/98 letto congiuntamente all’art. 13 c. 2 lett. b)
d.lgs. n. 286/98; in proposito la giurisprudenza di legittimità: Cass. Civ.
sent. 29 giugno 1999, n. 6374. 5
La Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), l’organo indipendente
del Consiglio d’Europa specializzato nella lotta al razzismo e alla
discriminazione razziale, ha presentato lo scorso 4 ottobre la sua
raccomandazione di politica
generale n. 11, dedicata al tema del contrasto alle forme di razzismo e di
discriminazione razziale nelle attività degli organi di pubblica sicurezza,
cioè di quel fenomeno che in
lingua inglese viene definito come “ethnic” o “racial profiling”. L’ECRI, nella relazione esplicativa di
accompagnamento alla raccomandazione (scaricabile in lingua inglese o
francese dal sito: http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/)
sottolinea come le attività di controllo, sorveglianza e investigazione delle
autorità di pubblica sicurezza o degli enti pubblici in generale dovrebbero
essere sempre basate su criteri legati strettamente ed unicamente alla
valutazione concreta del comportamento individuale e/o su informazioni di intelligence
(per le agenzie di pubblica sicurezza) piuttosto che su generalizzazioni e
stereotipi etnici, razziali o religiosi. L’”ethnic profiling” va invece combattuto
innanzitutto perché viola i diritti umani, limitando indebitamente le libertà
individuali; in secondo luogo perché rafforza i pregiudizi e gli stereotipi
riguardanti certi gruppi sociali, generando nei suoi appartenenti sentimenti
di umiliazione e alienazione con conseguenze negative per la coesione
sociale; in terzo luogo, perché a medio e lungo termine si rileva
controproducente, creando un diffuso senso di ostilità tra gli appartenenti
alle minoranze etniche nei confronti delle agenzie di pubblica sicurezza e
delle amministrazioni pubbliche in generale, con conseguente impoverimento
delle forme di collaborazione e dei flussi di informazioni “riservate” che
sono invece lo strumento più efficace per la lotta alla criminalità. 6 Si rammentano i casi di annullamento governativo
riferiti a regolamenti comunali in materia di concorsi pubblici, che
attribuivano punteggi
preferenziali ai cittadini residenti in determinate Regioni, ponendosi così
in contrasto con i valori supremi di unitarietà dell’ordinamento; cfr.
Lombardi, Concorsi pubblici, residenza e punteggi di favore, in Guida agli enti
locali, n.
23, 24 |
3.
Di seguito viene riprodotta la lettera indirizzata dall’ASGI al
Ministero dell’Interno, alla Prefetture di Bergamo, al Ministero della
Solidarietà Sociale e all’ANCI per l’annullamento della circolare del Sindaco
del Comune di Caravaggio (Bg) e di analoghe
circolari di altri comuni della Provincia di Bergamo in materia di divieto di
celebrazione dei matrimoni in cui uno o entrambi i nubendi siano immigrati
irregolari.
Trieste/Torino, 11 dicembre, 2007 OGGETTO: Richiesta di annullamento delle circolari del Sindaco
del comune di Caravaggio e di altri Sindaci di comuni della provincia di Bergamo altri
aventi come oggetto e finalità l’impedimento alla celebrazione di matrimoni
ove almeno uno degli sposi sia nella condizione di straniero non regolarmente
presente in Italia. La presente viene
inviata dall’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici
sull’Immigrazione), un’associazione nazionale, fondata nel 1990 tra avvocati,
docenti e ricercatori universitari, operatori professionali qualificati, con
lo scopo di promuovere l’informazione, la documentazione e lo studio dei
problemi di carattere giuridico attinenti l'immigrazione, il diritto d’asilo,
e la disciplina della cittadinanza nell’ordinamento italiano. Abbiamo
appreso dagli organi di stampa che 43 sindaci di altrettanti comuni della
provincia di Bergamo sembrano intenzionati a seguire l’esempio del loro
collega di Caravaggio, emanando un provvedimento nelle forme di una circolare o di un’ordinanza o di una
delibera rivolta ai rispettivi uffici di stato civile, in base alla quale
verrebbe rifiutata la celebrazione del matrimonio al cittadino
extracomunitario che si trovi in Italia privo del titolo di soggiorno. Dalle cronache giornalistiche, sembrerebbe che il Prefetto di Bergamo abbia già comunicato un invito
formale al Sindaco di Caravaggio a revocare tale determinazione,
preavvertendo l'adozione, in difetto di ottemperanza, di una vera e propria
diffida e, in caso di perdurante inottemperanza, di un eventuale
provvedimento in autotutela. In effetti, il Prefetto può in base al comma 8
dell'art.54 Dlgs 267/2000 nominare un commissario ad acta anche per
adottare ogni "contrarius actus" (CdS V^ Sez. n°1551/2007). In considerazione quindi della
falsa rappresentazione che da questi fatti i cittadini possono trarre con
riferimento ai poteri del Sindaco – il proliferare di dette iniziative
induce a ritenere le città italiane
“governate” e non “amministrate” dai Sindaci - e della conclamata lesione ai diritti della persona che
dette iniziative possono comportare – come di seguito meglio
analiticamente esposto, l’A.S.G.I. intende quindi con la presente sollecitare
il Prefetto della provincia di Bergamo a perseguire nell’azione di esercizio dei poteri di autotutela,
sostitutivi e di controllo, nei confronti delle circolari di detti Sindaci, verificandone
l’illeggitimità e l’illeicità e
conseguentemente procedere al loro annullamento, qualora i Sindaci non intendano autonomamente
revocare i provvedimenti. In alternativa,
si sollecita l’autorità di
governo ad esercitare nei confronti delle circolari medesime i poteri di controllo straordinario
previsti dall’art. 138 del T.U.O.E.L. (Testo Unico sull’Ordinamento degli
Enti Locali- D.lgs. n. 267/2000), che dà facoltà al Governo, sentito il Consiglio di Stato, di annullare gli atti delle Pubbliche Amministrazioni,
viziati da incompetenza, eccesso di potere, o violazione di leggi o
regolamenti generali o speciali. Si motiva la legittimità di
tali richieste di annullamento in quanto il Sindaco di Caravaggio, e così
altri enti locali che hanno emanato circolari simili, ha emesso un atto in
materia di stato civile (dunque su una materia che l’art. 117 della Cost.
affida in via esclusiva allo Stato) agendo in funzione di Ufficiale di
Governo e pertanto nell’ambito di un rapporto gerarchicamente subordinato al
Prefetto, ammettendosi dunque in capo a quest’ultimo il potere di
annullamento, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata (TAR Lombardia,
I sez. n. 10/2001; TAR F.V.G. n. 645 dd. 16.10.2006). (1) Parimenti, presupposto del potere
straordinario di annullamento da parte del Governo – nell’esercizio del
potere di autotutela – di cui all’art. 138 T.U.O.E.L. è la sussistenza
di valide ragioni di pubblico interesse, giustificate dall’esigenza di
salvaguardare “l’unità dell’ordinamento” (cui fa riferimento l’art. 120
Cost.), compromesso dalla vigenza di provvedimenti che, come quello in esame,
procurano un vulnus all’ordinamento generale. (2) L’A.S.G.I. intende
presentare di seguito i motivi per cui ritiene che le suddette circolari
siano palesemente illegittime e contrarie a precise norme di legge, così come
ai principi generali dell’ordinamento giuridico e costituzionale. L’ASGI ritiene
che in capo al Sindaco non sussista una competenza ordinaria e generale e
nemmeno straordinaria ad intervenire nella disciplina giuridica dello stato civile, di competenza
esclusiva dello Stato. E’ del tutto evidente che l’intento manifestato dai
Sindaci in questione di non consentire il matrimonio di cittadini stranieri
presenti irregolarmente sul territorio nazionale rivela ad un osservatore imparziale una
forma evidente di xenofobia e pregiudizio razziale alla base del provvedimento, in quanto
non si può comprendere altrimenti come un certo numero di matrimoni etnicamente e nazionalmente
misti all’anno nel territorio di
riferimento possano essere ritenuti di per sè un pericolo effettivo per la
comunità locale. Si rammenta in proposito che “presupposto per l’adozione da parte del Sindaco di
poteri di ordinanza contingibili ed urgenti è il pericolo di un danno
grave ed imminente per
l’incolumità pubblica al quale, per il suo carattere di eccezionalità, non
possa farsi fronte con rimedi ordinari e che richiede interventi immediati e
indilazionabili”.
(3) Né si potrebbe
sostenere la legittimità dell’atto
citato in base all’art. 54 c. 2 del T.U.O.E.L. che affida al Sindaco
la competenza di adottare, quale ufficiale del Governo, provvedimenti
contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che
minaccino l’incolumità dei cittadini. Anche a prescindere dall’inconsistenza
delle motivazioni addotte nelle premesse del provvedimento, che, come già
affermato, appaiono segnate più da forme di pregiudizio razziale e xenofobia
che da considerazioni obiettive, la stessa interpretazione letterale della
norma, nonché la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell’affermare,
che tali atti contingibili ed urgenti debbano essere adottate: 1) nel
rispetto della Costituzione e delle leggi costituzionali; 2) dei principi
generali dell’ordinamento giuridico; 3) della riserva assoluta di legge;
nonché devono essere ad
efficacia definita nel tempo e comunque limitata al cessare
dell’eccezionalità della situazione che ha indotto il Sindaco a porle in
essere. (4) Non una di tali condizioni e requisiti appare soddisfatta dagli
atti in oggetto. La
circolare dei Sindaci del
bergamasco infatti incide sulla materia del diritto e della libertà di sposarsi e di formare una
famiglia, cioè su un diritto fondamentale della persona fatto oggetto di
espressa previsione e garanzia costituzionale (art. 29), così come definito
anche da norme internazionali in vigore per l’Italia e perciò
costituzionalmente vincolanti (ad es. Art. 12 della Convenzione Europea dei
diritti dell’Uomo sul diritto al matrimonio: “A partire dall’età maritale,
l’uomo e la donna hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia,
secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di questo diritto”). Ne consegue che,
come confermato da un consolidato orientamento della
giurisprudenza costituzionale,
allo straniero deve applicarsi il principio di eguaglianza col
cittadino previsto dall’art. 3 Cost. per quanto riguarda la titolarità dei diritti
inviolabili dell’uomo
riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost., ed ulteriormente assicurati allo straniero anche sulla
base degli strumenti internazionali di tutela dei diritti umani per effetto
dell’art. 10 c. 2 Cost., a prescindere dalla regolarità o meno del suo soggiorno
in Italia. Tale principio ha trovato
compiuta affermazione nell’art. 2 del d.lgs 25.7.1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, nei commi 2 e 3,
i quali prevedono espressamente che: “Allo straniero comunque
presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i
diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme del diritto
interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti”. E’ del tutto ovvio che non
esistono poteri derogatori in capo agli enti locali su tali materie. La giustificazione addotta
dai Sindaci che il divieto di celebrare matrimoni di cittadini stranieri
irregolari avrebbe lo scopo di contrastare il fenomeno dei matrimoni di
comodo, volti
semplicemente al conseguimento di un titolo di soggiorno in Italia ovvero
all’accesso alla cittadinanza italiana,
non ha alcuna legittimità e liceità giuridica in quanto considerazioni
di opportunità politica –peraltro fondate su un evidente pregiudizio e
stereotipo etnico-razziale, secondo il quale tutti i matrimoni nei
quali uno degli sposi sia un migrante irregolare sono necessariamente dei matrimoni
“bianchi” o di comodo – non possono certo fondare la lesione di un diritto umano fondamentale
riconosciuto costituzionalmente ed internazionalmente. (5) A tale scontate conclusioni è
giunto ad es. il Tribunale Costituzionale francese, il quale chiamato ad
esprimersi su un disegno di
legge francese in materia
di immigrazione (26.11.2003) che prevedeva inizialmente che il carattere irregolare del
soggiorno del nubendo faceva presumere di per sé stesso l’assenza del libero
consenso alle nozze, ha censurato la disposizione motivando che : “se il
carattere irregolare del soggiorno di uno straniero potrebbe costituire in
certe circostanze, unitamente ad altri elementi, un indizio serio tale
da far presumere che il
matrimonio viene desiderato per fini diversi dall’unione matrimoniale, il
legislatore, ritenendo che il fatto che lo straniero non possa giustificare
una presenza regolare costituirebbe in ogni caso un grave indizio dell’assenza di un libero consenso,
ha portato offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio”. In sintesi, come affermato dal Consiglio
costituzionale francese, la libertà di matrimonio “è una componente della
libertà personale” e, in
quanto tale, “si oppone alla possibilità che il carattere irregolare del
soggiorno di uno straniero possa costituire un ostacolo, di per sé soltanto,
al matrimonio dell’interessato”. In conclusione, la libertà di contrarre
matrimonio è un diritto umano fondamentale,e come tale applicabile a tutti, senza condizione
di nazionalità e di regolarità della presenza sul territorio nazionale, così
come la negazione di tale diritto nei confronti del cittadino straniero in virtù soltanto della sua presenza
irregolare non può che determinare in aggiunta il realizzarsi di un profilo
discriminatorio, vietato tanto dal diritto internazionale (ad es. art. 14
Convenzione Europea dei diritti umani) (6) , quanto da quello interno. Per i profili
discriminatori
sopra indicati, le circolari in oggetto
infatti pongono in essere un autonoma violazione di legge ai
sensi dell’art. 43 del T.U.
immigrazione e del D.lgs. n. 215/2003. L’art. 43 del Testo Unico
sull’immigrazione, al 1°
comma, introduce una sorta di clausola generale di non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1
della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di
tutte le forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo
1966 e ratificata dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654. Costituisce una discriminazione: “ogni comportamento che, direttamente o
indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o
preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale
o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l’effetto
di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o
l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà
fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni
altro settore della vita pubblica”. È pertanto innanzitutto da
considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento
differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in
modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno
favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la
differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di
criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”. Il legislatore ha poi formulato, nel
secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria. L’articolo prevede infatti che compia “in
ogni caso” una
discriminazione: b)
“il
pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona
esercente un servizio di pubblica necessità che nell’esercizio delle sue
funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che,
soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una
determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discriminino
ingiustamente;”. In base alle norme di recepimento della direttiva europea n. 2000/43, cioè il d.lgs. n. 215/2003, sussiste una discriminazione diretta ”quando, per la razza o l’origine
etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o
sarebbe trattata un’altra in situazione analoga” (artt. 2 d.lgs. n. 215/2003), con
riferimento alle aree
dell’impiego, della protezione sociale, dell’assistenza sanitaria, delle
prestazioni sociali, dell’istruzione e dell’accesso ai beni e servizi. Anche sotto
l’autonomo profilo del principio
di legalità,
le circolari dei sindaci del bergamasco rappresentano una violazione grave
dell’unitarietà dell’ordinamento italiano. Poichè, come già sottolineato, non
esiste un autonomo potere deliberativo dei sindaci nella materia dello stato
civile, ove essi agiscono quali “ufficiali di Governo”, ad essi spetta il
dovere di rispettare ed applicare puntualmente il quadro legislativo
nazionale vigente in materia di celebrazione del matrimonio dello straniero
in Italia, di cui all’art. 27 della legge n. 218/1995, all’art. 116 c.c. e ai rimandi agli ulteriori
art. 85, 86, 87, 88, 89 c.c.
concernenti la capacità matrimoniale e le condizioni per contrarre
matrimonio. Ovviamente, in nessuna di dette disposizioni, si prevede un impedimento al matrimonio
derivante dalla condizione di irregolarità di uno o entrambi i nubendi sul
territorio italiano e, pertanto, i Sindaci che intendessero introdurre questa
limitazione, commetterebbero un atto illegittimo ed illecito, configurabile
potenzialmente quale reato di compimento di atti di discriminazione per
motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi di cui all’art. 1 c. 1 lett.
b) della legge n. 205/1993. (7) Infine, si evidenzia che
l’art. 6, co. 2 del TU immigrazione d.lgs. 286/98 e s.m., esclude espressamente
che debba essere esibito il permesso di soggiorno per i provvedimenti
“inerenti agli atti di stato civile”: tra questi rientra, indubbiamente,
anche il matrimonio, che pertanto può essere contratto dallo straniero anche
se egli sia privo di titolo di soggiorno. Pertanto, l’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici
sull’Immigrazione), chiede: 1)
Al Prefetto
di Bergamo territorialmente competente per l’annullamento delle circolari in
premessa di provvedere ai sensi di legge in caso di inottemperanza dei
Sindaci all’invito loro rivolto a revocare i provvedimenti illegittimi; 2)
ed,
nell’ipotesi in cui dette iniziative non siano assunte a livello locale, che
il Governo si avvalga
immediatamente del potere
sostitutivo a tutela dell'unità giuridica della Repubblica previsto dall'art.
120, comma 2 Cost. nei confronti degli enti locali e a tal fine si
inoltri al Consiglio di Stato la richiesta di parere necessario in
base all'art. 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400,
onde sottoporre al Consiglio dei Ministri ogni determinazione concernente
l'annullamento straordinario a tutela dell'ordinamento degli atti
amministrativi illegittimi di cui all’art. 138 del T.U.O.E.L; 3)
diversamente,
valendosi del disposto dall’art. 54, comma 8, del Dlgs 267/2000 (T.U.O.E.L.),
disporsi in autotutela la nomina di un commissario ad acta onde adottare in via sostitutiva ogni
opportuno provvedimento atto a ripristinare la legalità. Con
Osservanza p. l’ASGI Dott. Walter
Citti NOTE 1 Il sindaco è ufficiale di stato
civile e come tale è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono
impartite dal Ministero dell'Interno e gli uffici anagrafici sono sottoposti
alla vigilanza del Prefetto (art. 1, 2, 9 del regolamento di riordino
dell'ordinamento dello stato civile approvato con D.P.R. 3 novembre 2000, n.
396). 2 Si rammentano i casi di annullamento governativo
riferiti a regolamenti comunali in materia di concorsi pubblici, che
attribuivano punteggi
preferenziali ai cittadini residenti in determinate Regioni, ponendosi così
in contrasto con i valori supremi di unitarietà dell’ordinamento; cfr.
Lombardi, Concorsi pubblici, residenza e punteggi di favore, in Guida agli enti
locali, n.
23, 24 giugno 2000) 3 CdS, Sez. IV, n. 1537/2006 4 In questo senso: Corte
Costituzionale, n. 8/56 e Corte Costituzionale n. 26/61, TAR Sardegna,
461/95, Consiglio di Stato, sez. V, 1448/96. 5
Peraltro, occorre ricordare che nella disciplina giuridica dell’immigrazione
in Italia sono già vigenti norme
volte a contrastare il fenomeno dei matrimoni di comodo: L'art. 30, comma 1-bis del T.U.
immigrazione contiene già un rimedio, seppure discutibile per il suo
carattere ampiamente discrezionale,
contro eventuali matrimoni di comodo celebrati con cittadini italiani
consistente nella revoca del permesso di soggiorno se non è seguita effettiva
convivenza alla celebrazione del matrimonio, salva la nascita della prole. Inoltre,
nei casi estremi indicati dall'art. 102 cod.civ. è sempre consentita ai
parenti dei nubendi e al P.M. di presentare al
tribunale opposizione al matrimonio . 6
Art. 14 CEDU: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciute nella
presente convenzione deve essere garantito, senza alcuna distinzione, fondata
soprattutto sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le
opinioni politiche o le altre opinioni, l’origine nazionale o sociale,
l’appartenenza ad una minoranza nazionale, sui beni di fortuna o ogni altra
condizione”. 7
A tale riguardo, seguendo un
approccio di diritto comparato, si possono citare esempi tratti dalla
giurisprudenza francese, quali l’ordinanza del Tribunale di Grande Istanza di
Draguignan dd. 27.09.2006, che
ha condannato per il reato penale di discriminazione il sindaco della città
di Cogolin con conseguente pagamento di un’ ammenda per essersi rifiutato di
celebrare un matrimonio con il pretesto che uno dei richiedenti era in
situazione irregolare sul territorio francese. Nell’ordinanza il giudice
francese ha ricordato che
nessuna disposizione legale sottopone la celebrazione del matrimonio alla
verifica della legalità del soggiorno dello straniero sul territorio
francese; cfr. Tribunale di Draguignan, n. 646/2006, 27.09.2006, in Halde
Haute Autorité de Lutte contre les Discriminations et pour l’Egalité, Rapport
Annuel 2006,
pag. 226-227). |
4.
Di seguito viene riprodotto il parere espresso dall’UNAR (Ufficio
Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali) in merito all’ordinanza del Comune di
Cittadella in materia di iscrizioni anagrafiche e in merito alla circolare del
Sindaco del Comune di Caravaggio (Bg) in materia di pubblicazioni per contrarre
matrimonio.
Presidenza
del Consiglio dei Ministri Dipartimento
per i Diritti e le Pari Opportunità Ufficio
per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle
discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica prot. 1267/UNAR/17.12.2007 Illustre
Prefetto Dott. Paolo
Padoin Prefettura di
Padova Piazza
Antenore, 3 35121 Padova E p.c. Comitato
contro la discriminazione e l’antisemitismo Ministero
dell’Interno Palazzo
Vicinale R O
M A Illustre
Prefetto Padoin, in attuazione della direttiva comunitaria n. 2000/43/CE, il decreto
legislativo 9 luglio 2003 n. 215 ha istituito nell’ambito del Dipartimento
per i Diritti e le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, avente il compito
di garantire efficacemente il principio della parità di trattamento e di non
discriminazione indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. Fra i compiti più rilevanti affidati all’Ufficio dal decreto
legislativo, vi è quello di fornire ausilio ed assistenza alle vittime delle
discriminazioni e di svolgere, nel rispetto dei poteri dell’Autorità
giudiziaria, inchieste autonome su fenomeni discriminatori e, in particolare,
sulle segnalazioni ricevute da parte di associazione m,vittime o testimoni di
fattispecie discriminatorie. In questi giorni, sono giunte diverse segnalazioni riguardanti le
ordinanze emanante da alcuni comuni del Nord Italia, in particolare nella
materia del riconoscimento della residenza anagrafica a cittadini comunitari
e non comunitari. A seguito dell’istruttoria svolta dall’ufficio, risulta che la maggior
parte dei provvedimenti comunali prevedono requisiti o adempimento ulteriori
rispetto a quanto richiesto dalla legge per la titolarità di determinati
status che costituiscono la base per l’esercizio di diritti fondamentali
della persona, venendo così ad integrare delle potenziali fattispecie di
discriminazione indiretta. Sotto questo profilo, i provvedimenti potrebbero
rappresentare un vulnus al diritto della parità di trattamento sancito
espressamente dal decreto legislativo n. 215/2003 e richiamato, di recente,
dalla risoluzione del parlamento europeo del 15 novembre scorso. Poiché da tali provvedimento rischia di svilupparsi una prassi che si
sta moltiplicando per effetto dell’emulazione di altri enti locali, abbiamo
elaborato un parere di carattere giuridico che desideriamo sottoporLe. La questione è stata peraltro posta all’attenzione del Comitato
interministeriale contro la discriminazione operante presso il Ministero
dell’Interno nella seduta del 13 dicembre u.s. Le sarei grato se potesse darci un riscontro circa l’attivazione di
eventuali interventi di controllo ed autotutela. Distinti Saluti . Il
Direttore Generale
(cons. Marco De Giorgi) Presidenza
del Consiglio dei Ministri Dipartimento
per i Diritti e le Pari Opportunità Ufficio
per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle
discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica prot. 1253/UNAR PARERE
UNAR Nel quadro delle attribuzioni demandate all’UNAR dal d.lgs. n.
215/2003 per lo svolgimento delle attività di promozione della parità di
trattamento e di rimozione di ogni forma di discriminazione, si ritiene
opportuno formulare, attraverso la segnalazione alle Prefetture, le seguenti
osservazioni sulle ordinanze e sui provvedimenti, qui di seguito citati, adottati di recente da diversi Comuni del Nord Italia. A) Ordinanza n. 258 prot. datata 16 novembre 2007 del Sindaco di
Cittadella (PD) in materia di iscrizione nel registro della popolazione
residente, nonché ordinanze analoghe di pari contenuto emesse successivamente
dai Sindaci di altri Comuni. Tali ordinanze hanno come oggetto il controllo dei requisiti di legge
in materia di iscrizione anagrafica, in materia igienico-sanitaria e in materia
di pubblica sicurezza, ma appaiono per certi versi viziate da incompetenza,
eccesso di potere e violazione di leggi o regolamenti generali o speciali,
essendo pacifico, da un lato, che le materie su cui incidono sono ambiti che
l’art. 117 della Costituzione affida in via esclusiva allo Stato, mentre
dall’altro, sembra altrettanto pacifico che nelle ordinanze non sono
contemplate situazioni emergenziali di carattere esclusivamente locale
– sotto il profilo della sanità ed igiene pubblica – tali da
rientrare nel potere sindacale di ordinanza “contingibile ed urgente”. Nel caso specifico, i Sindaci si sono avvalsi del potere loro
attribuito dall’art. 54, c. 2 del Testo Unico enti locali, che consente di
emanare ordinanze urgenti e contingibili per prevenire ed eliminare gravi
pericoli per l’incolumità dei cittadini. La norma citata prevede, tuttavia, dei chiari limiti nell’uso del
potere di ordinanza dei sindaci: essa, infatti, stabilisce che le ordinanze
devono essere motivate e rispettare i principi generali dell’ordinamento; è
evidente che si tratti di limiti non formali ma sostanziali. Nella
motivazione dell’atto di ordinanza del comune di Cittadella, che peraltro è
stato preso a modello anche da altri comuni, si legge che il provvedimento
sarebbe emesso per far fronte a una non meglio identificata “invasione
migratoria” che appare, a
dir di verità, più un pretesto che una condizione dimostrata di fatto da cui
scaturisca un grave pericolo per l’incolumità pubblica. Infatti, non risulta
affatto chiara la correlazione tra incremento delle richieste di iscrizione
anagrafica, flusso immigratorio e pericolo per l’incolumità pubblica. Si
tratta di una motivazione del tutto vaga e indeterminata da cui non si può
evincere la proporzionalità dell’uso del potere rispetto alle esigenze
effettivamente avvertite. Quanto, invece, al rispetto dei principi generali dell’ordinamento,
preme ribadire che la materia su cui incidono le ordinanze in parola è di
competenza esclusiva dello Stato, sia che la si guardi sotto il profilo del
governo dell’immigrazione (art. 117 c. 2, lett. B)), sia che la si guardi
sotto il profilo dell’amministrazione dello stato civile e dell’anagrafe
(art. 117, c. 2, lett. I)) o dell’ordine pubblico e sicurezza (art. 117, c.
2, lett. h)). Ora è ben vero che i sindaci hanno emesso le ordinanze in
esercizio delegato delle funzioni di governo statale, ma è evidente che il
presupposto delle ordinanze resta la dimensione locale dei fatti supposti a
rischio dell’incolumità pubblica. E’ noto, invece, che la gestione dei flussi
immigratori e l’amministrazione dell’anagrafe, dello stato civile e della
sicurezza pubblica esigono una politica di governance complessiva ed una valutazione unitaria
dei numerosi interessi coinvolti che solo un organo statale può esercitare o
esplicitamente delegare. A ciò si aggiunge la considerazione, evidenziata dall’Associazione
ASGI nella nota del 3 dicembre, che le ordinanze in argomento intervengono su
funzioni anagrafiche che sono strettamente connesse ai diritti fondamentali della persona
espressamente garantiti dalla Costituzione. E’ innegabile, infatti, che il
rifiuto della residenza anagrafica, od anche l’interruzione o
l’appesantimento del relativo procedimento, implicano la compressione di
alcuni diritti di cittadinanza per la quale un soggetto rischia di essere
escluso dalla partecipazione alla vita sociale e politica della comunità di
riferimento. Anche l’esercizio di taluni diritti politici è reso possibile sulla
base della residenza anagrafica, che permette la registrazione della persona
nelle liste elettorali. Ciò vale in particolare per il cittadino dell’Unione
Europea che, per effetto delle norme di diritto comunitario, è titolare del
diritto all’elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative locali
ed in quelle europee. La residenza anagrafica ha, dunque, natura di diritto soggettivo
perfetto e nel contempo costituisce un presupposto per l’esercizio di alcuni
diritti di natura fondamentale, come tali spettanti in modo indifferenziato a
tutti. E’ ovvio che lo straniero, sia comunitario che non comunitario, ha
diritto a soggiornare e risiedere solo nei limiti in cui sia autorizzato
dalla legge. Ma è altrettanto ovvio che i limiti e le condizioni devono
essere fissate dalla legge in senso stretto, in ragione della riserva assoluta prevista
dall’art. 10 c. 2, della Costituzione, ragione per la quale dovrebbe essere
illegittima l’emanazione di atti di altro genere volti ad incidere in via
anomala sulla relativa materia, quali le ordinanze in oggetto. Queste ultime,
infatti, presentano alcuni punti che si pongono in contrasto con le leggi in
materia e che potrebbero costituire una violazione del principio di parità di
trattamento e di non discriminazione, così come sancito dalle direttive
europee (in particolare, la Direttiva n. 2000/43/CE contro le discriminazioni
etnico-razziali) e dai decreti di attuazione (in particolare, d.lgs. n.
215/2003) che fanno oramai parte integrante dei principi generali
dell’ordinamento giuridico europeo e nazionale. Su questo ultimo aspetto, appare quanto mai opportuno richiamare la
recente risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2007 relativa alla
libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari e al
contrasto di ogni forma di discriminazione fondata sulla nazionalità e
sull’origine etnica delle persone. Più specificamente con riferimento al trattamento riservato ai
cittadini comunitari, il profilo discriminatorio appare evidente non tanto
per i requisiti reddituali richiesti ai fini dell’accesso all’iscrizione
anagrafica (che sono previsti sia dalla Direttiva 2004/38/CE che dal D.lgs. n. 30/2007), quanto per le
modalità concrete del relativo controllo. Sono previsti, infatti, una serie
di controlli preventivi e di carattere sistematico che causano un appesantimento
della procedura di concessione della residenza con ciò stesso creando una
discriminazione indiretta ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 215/2003. Infatti, l’art. 9, comma 4 del
d.lgs. n. 30/2007 prevede che il cittadino dell’Unione possa
dimostrare di disporre di “risorse economiche sufficienti a non gravare
sul sistema di assistenza pubblica” anche attraverso l’autocertificazione prevista dagli artt. 46
e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, laddove le ordinanze in argomento
prevedono, invece, che “preventivamente all’iscrizione anagrafica dovrà
essere attivata, da parte degli uffici comunali, adeguata attività di
indagine e verifica in ordine a quanto dichiarato in particolar modo in
merito all’individuazione della provenienza alla liceità della fonte da cui derivano le risorse
economiche”. Si tratta
evidentemente di una previsione che si presenta come fortemente
discriminatoria poiché vanifica del tutto le finalità dell’istituto
dell’autocertificazione e, perdipiù, come arbitraria perché un’indagine preventiva
(tale quindi da allungare ab
libitum i tempi
burocratici) non è affatto prevista dalla legge. Appare, inoltre, esorbitante
dalle competenze comunali il compito affidato dall’ordinanza agli uffici
comunali di svolgere adeguata attività di indagine sulla “liceità” delle
risorse. Anche da una lettura
delle circolari emanate dal Ministero dell’Interno in materia si nota come i
Comuni abbiano optato per un’applicazione estensiva del loro contenuto
attribuendo ai propri uffici competenze e funzioni non espressamente previste
dalla legge e ampliando la funzione di controllo in modo generalizzato e
preventivo. Un ulteriore profilo di discriminazione sarebbe ravvisabile nelle
ordinanze in argomento laddove si prescrive che “i cittadini della Romania
e della Bulgaria, dovranno inoltre esibire il nulla osta rilasciato dallo
Sportello Unico per l’Immigrazione nei settori diversi da quello agricolo,
turistico alberghiero, lavoro domestico e di assistenza alla persona,
edilizio, metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, lavoro
stagionale”, non
precisando che tale ulteriore documentazione potrà essere chiesta
legittimamente solo fino al 31 dicembre del 2007, data in cui viene a cessare
il periodo transitorio di un anno (circolari Min. Int. n. 2 del 28 dicembre
2006 e n. 19 del 6 aprile 2007). Infine, appaiono fortemente discriminatorie le disposizioni contenute
nelle ordinanze de quibus
in materia di alloggio. Non si può fare a meno, infatti, di sottolineare l’approssimativa ed
imprecisa previsione dell’ordinanza del comune di Cittadella, e di quelle ad
essa analoghe, laddove si richiede che i cittadini dell’Unione e i loro
familiari dispongano “di un alloggio idoneo” quale presupposto per la conferma dell’iscrizione
anagrafica; ciò costituisce non solo un’evidente violazione della normativa
comunitaria, ma anche un trattamento discriminatorio rispetto a quanto
previsto per i cittadini italiani, con ciò contravvenendo al principio
generale dell’ordinamento europeo di non discriminazione (art. 14 Convenzione
europea dei diritti dell’Uomo). Anche in questo caso, discriminatoria appare
la previsione dello svolgimento sistematico di attività preventive di
controllo e verifica da parte degli organi tecnici competenti dei requisiti
igienico sanitari degli alloggi indicati per l’uso abitativo in sede di
istanza di iscrizione anagrafica. B) Circolare emessa dal Sindaco del Comune di Caravaggio (BG) in
materia di pubblicazioni per contrarre matrimonio con stranieri. La circolare del 30 novembre 2007 emessa dal Sindaco di Caravaggio
dispone che il Servizio di stato civile, all’atto del ricevimento della
richiesta di pubblicazione di matrimonio da parte di cittadini stranieri,
accerti, fra l’altro, la loro regolare permanenza sul territorio nazionale,
statuendo che “la mancanza di idonea documentazione (…) costituisce
impedimento alla esecuzione della pubblicazione per la contrazione del
matrimonio”. Si tratta in tutta evidenza anche in questo caso di un ambito
riservato alla legge dello Stato. Nello specifico, la previsione che lo
straniero che fa richiesta di pubblicazione per contrarre matrimonio debba
dimostrare la regolarità della sua presenza sul territorio nazionale esorbita
del tutto da quanto previsto dalla legislazione vigente. Anche in questa fattispecie non si può far a meno di considerare
l’illegittimità del provvedimento adottato sotto diversi profili. Va
sottolineato innanzitutto l’inidoneità di un atto meramente interno
all’amministrazione a produrre effetti che restringano i diritti sanciti dalla
legislazione nazionale. Diversamente dal caso precedente, pertanto, l’atto in
questione dovrebbe essere privo di effetti giuridici validi e non dovrebbe
essere applicato. Se, tuttavia, a seguito di tale atto, gli uffici comunali esigessero
effettivamente la produzione di un documento che non appare necessario ai
sensi della legislazione nazionale, si porrebbe un problema di legittimità
suscettibile di essere rilevata dagli organi competenti amministrativi e, in
modo particolare, dai Prefetti. E’ infatti noto che secondo la giurisprudenza
amministrativa e la dottrina, ogni qualvolta le circolari siano in grado di
produrre effetti che si ripercuotono nelle situazioni giuridiche soggettive
di relazione esterne all’amministrazione stessa, esse assumono rilevanza per l’ordinamento generale
e, quindi, sono suscettibili di provocare le reazioni necessarie per
ripristinare una condizione di legittimità all’interno dell’ordinamento.
Peraltro anche in questa circostanza si tratta di poteri che i Sindaci
esercitano in quanto ufficiali rappresentanti del Governo in materia civile
e, dunque, sussiste un rapporto gerarchicamente condizionato che
legittimerebbe in capo al Prefetto l’esercizio del potere sostitutivo e di
autotutela. Inoltre, è da sottolineare che il diritto di sposarsi è fissato anche
nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la quale condiziona
tale diritto al solo rispetto della legislazione nazionale, sicché è del tutto inammissibile che un diritto
fondamentale sancito a livello comunitario possa essere limitato per effetto
di una deroga di un atto interno all’amministrazione comunale. Le stesse
considerazione valgono in ordine al protocollo d’intesa, stipulato con le
medesime finalità, fra il Comune di Morazzone, Azzio, Besano e molti atri
della provincia di Varese in data 20 settembre 2007. Roma, 14 dicembre 2007 Il
direttore Generale
(cons. Marco De Giorgi) |
5.
TABELLA RIEPILOGATIVA
LE ORDINANZE RAZZISTE DEI SINDACI DEL NORD
I casi |
Violazione di norme sostanziali |
Violazione di norme anti-discriminatorie |
Il sindaco leghista emette un’ordinanza che vieta la residenza
anagrafica a stranieri
comunitari ed extracomunitari con reddito inferiore ai 420 euro al mese. L’ordinanza viene firmata da una
quarantina di sindaci veneti. Aderiscono anche sindaci del bresciano, il
Comune di Corso (Pc) e, con
contenuti leggermente diversi, il
comune di Azzano Decimo (Pn). |
Artt. 2, 10, 14,32,38,117 Cost. Art. 50, 54 d.lgs. 267/2000 Art. 7 D.lgs. n. 30/2007 Artt. 46 e 47 d. P.R. 445/2000 D.lgs. n. 286/98 |
Art. 13 del Trattato Europeo Art. 43 c. 1 e
c. 2 let. b) d.lgs. n. 286/98 (clausola generale di non discriminazione); |
Il sindaco forzista toglie il bonus bebè agli immigrati, assegna I pacchi natalizi della Croce Rossa solo agli italiani ed
esclude gli stranieri dalle borse di studio. |
|
Art. 3 c. 1 lett. g) e i) d.lgs. n. 215/2003 (parità di trattamento senza distinzioni di
razza o origine etnica nell’accesso alle prestazioni sociali e ai beni e
servizi); Art. 43 c. 1 e c. 2 lett. b) e c) d.lgs. n. 286/98 (clausola generale di non discriminazione) |
Il Sindaco di AN non mette la firma sul decreto che concede la cittadinanza
italiana se il richiedente
non conosce bene la lingua italiana e la Costituzione. |
Artt. 1, 2, 9 d.P.R. 3.11.2000, n. 396 (regolamento di riordino dello stato civile) L. n. 91/92 (legge
in materia di cittadinanza italiana) |
Art. 43 c. 1 e
c. 2 let. b) d.lgs. n. 286/98 (clausola generale di non discriminazione); |
La giunta leghista vieta agli stranieri senza permesso di soggiorno di
celebrare il matrimonio
con un/a cittadino/a italiano/a |
Artt. 2, 3, 29, 117 Cost. Art. 12 CEDU (diritto
di formare una famiglia) Artt. 1, 2, 9 d.P.R. 3.11.2000, n. 396 Art. 27 l. n. 218/1995, Art. 116 c.c. Art. 6 c. 2 d.lgs. n. 286/98 |
Art. 14 CEDU Art. 2 D.lgs.
n. 286/98 Art. 43 c. 1 e
c. 2 let. b) d.lgs. n. 286/98 (clausola generale di non discriminazione); Art. 3 c. 1 lett. g) e i) d.lgs. n. 215/2003 (parità di trattamento senza distinzioni di
razza o origine etnica nell’accesso ai servizi); |
Il consiglio comunale vota un tetto all’iscrizione dei bambini
stranieri nelle scuole:
non più del 30%. |
Art. 38 d.lgs. n. 286/98 (istruzione degli stranieri) |
Art. 3
c. 1 lett. h) d.lgs. n. 215/2003 (parità di trattamento senza distinzioni di razza o origine etnica
nell’accesso all’istruzione Art. 43 c. 1 e c. 2 let. c) d.lgs. n. 286/98 (clausola generale di non discriminazione) |
Un consigliere comunale della Lega afferma che per risolvere la
questione immigrati bisogna usare i metodi delle Ss: “Punirne dieci per ogni torto fatto ad un
nostro cittadino” |
|
Art. 3 c. 1 legge 13.10.1975, n. 654 ( propaganda di idee fondate sulla superiorità o
sull’odio etnico o razziale; istigazione a commettere atti di
discriminazione) |
Il sindaco leghista sfratta la comunità musulmana in preghiera. L’esponente leghista Gentilini: “Sono un
tumore che può trasformarsi in metastasi”. |
Art. 403 del codice penale (Offese ad una confessione religiosa mediante
vilipendio di persone); |
Art. 3 c. 1 legge 13.10.1975, n. 654 (compimento di atti di discriminazione per motivi
religiosi; propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico o razziale) |
ATTIVITA’
PARLAMENTARE
Camera
dei Deputati: risposte alle interrogazioni sulle problematiche relative
all'ordinanza del sindaco di Cittadella (Padova) in materia di iscrizione
all'anagrafe di cittadini stranieri. Seduta di mercoledì 5 dicembre 2007.
[…]
Camera: il Sottosegretario di Stato per la Giustizia risponde
all’interrogazione in merito all’ordinanza del Sindaco di Cittadella in materia
di iscrizione all’anagrafe dei cittadini stranieri.
Eventuali iniziative, anche ispettive, in relazione ai provvedimenti
adottati dal procuratore della Repubblica di Padova con riguardo all'ordinanza
del sindaco di Cittadella (Padova) in materia di iscrizione all'anagrafe dei
cittadini stranieri
Seduta n. 253 di
mercoledì 5 dicembre 2007
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei
ministri e i Ministri della giustizia e dell'interno, per sapere - premesso
che:
il sindaco del comune di Cittadella, provincia di Padova, in data 16
novembre 2007 ha emesso ordinanza per l'attuazione delle disposizioni
legislative generali in materia di iscrizione nel registro della popolazione residente;
tale ordinanza dettava i principi per le iscrizioni anagrafiche del cittadino
italiano, del cittadino dell'Unione europea, del familiare del cittadino dell'Unione
europea, del familiare del cittadino dell'Unione europea non avente la
cittadinanza in uno Stato membro e del cittadino straniero extracomunitario;
a seguito di questa precisa suddivisione il sindaco ha ulteriormente disposto
la verifica di una serie di fatti la cui legittimità non è contestata;
è stata costituita una commissione interna al comune, costituita
dall'ufficiale di anagrafe da un funzionario dell'ufficio demografico e da un
appartenente della polizia locale con il compito di esaminare le richieste di
iscrizione all'anagrafe;
tale commissione aveva anche come ulteriore compito quello di stabilire
la necessità di inoltrare l'informativa preventiva al prefetto e al questore
quando per notizie e informazioni direttamente acquisite ovvero per atti emessi
e/o procedimenti precedentemente adottati, da parte dell'autorità giudiziaria
e/o di pubblica sicurezza venga accertato un presunto stato di pericolosità
sociale tale da porre a rischio il mantenimento e la salvaguardia dell'ordine e
della sicurezza pubblica;
il procuratore della Repubblica, presso il tribunale di Padova ha
ritenuto che tali fatti costituissero il reato previsto e punito dall'articolo
347, 1o comma del codice penale in quanto si riteneva la costituzione della
commissione un procedimento non previsto anzi contrastante con la previsione
del citato decreto;
pur avendo nelle sue mani copia autentica dell'ordinanza (che peraltro è
facilmente ricavabile da internet) ha ritenuto di acquisire al procedimento, in
quanto corpo di reato, l'originale dell'ordinanza;
il provvedimento con cui il procuratore della Repubblica assume vi sia
contrasto è il decreto legislativo n. 30 del 2007 che come finalità ha quello
di disciplinare la libera circolazione all'interno dello Stato da parte dei cittadini
dell'Unione europea e relativi familiari, il loro diritto di soggiorno e le
relative limitazioni per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza;
all'articolo 7 di tale decreto legislativo si leggono i criteri per il
diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, all'articolo 9 si
regolamentano le formalità amministrative per i cittadini dell'Unione e
all'articolo 19 si regolamentano le disposizioni comuni al diritto di soggiorno
e al diritto di soggiorno permanente;
addirittura l'articolo 9, comma 7, recita: «Le richieste di iscrizioni
anagrafiche dei familiari del cittadino dell'Unione europea che non abbiano la
cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse (...) a cura delle
amministrazioni comunali alla questura competente per territorio»;
ad avviso degli interpellanti, fermo restando il rispetto della sfera di
autonomia della magistratura, il provvedimento del magistrato di Padova
presenta evidenti profili di abnormità. Al riguardo è possibile osservare che:
a) una cosa è l'iscrizione al registro della popolazione residente e
cosa diversa è l'esercizio del diritto di libera circolazione;
b) lo stesso decreto legislativo prevede la trasmissione di atti alla
questura e, proprio in quanto tali, non si può che ritenere che la trasmissione
sia prevista a fini di pubblica sicurezza;
c) ai sensi dell'articolo 54, comma 6, del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, nell'ambito dei servizi di competenza statale svolti dal sindaco, il
prefetto può disporre ispezioni per accertare il regolare funzionamento dei
servizi stessi nonché per l'acquisizione di dati e notizie interessanti altri
servizi di carattere generale;
d) il sindaco, nella sua ordinanza, è evidente che non usi il termine di
pericolosità sociale in senso tecnico, cioè non intende che la commissione
emetta una sentenza che la dichiari ma intende, e basta leggerlo, riferirsi al
rischio del mantenimento e la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza
pubblica;
e) non vi ha dubbio che l'ordinanza sia in coerenza ai principi di buona
amministrazione;
f) chiunque è capace di leggere al decreto legislativo n. 267 del 2000 che il
sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende alla vigilanza su tutto
quanto possa interessare alla sicurezza e l'ordine pubblico informandone il prefetto.
Di più. Tale prerogativa non è un escamotage espositivo dell'esponente
ma è positivamente richiamato all'articolo 54 nel testo del provvedimento. In
altri termini il sindaco proprio per la sua prerogativa qui descritta ha adottato
il provvedimento de quo;
g) è evidente che quindi il comportamento del sindaco non era solo
legittimo, ma era dovuto;
h) l'atto della procura della Repubblica non indica ove vi sia contrasto tra
l'ordinanza e il decreto legislativo n. 30 del 2007;
inoltre, e questo è il motivo più pregnante della presente
interpellanza, l'atto amministrativo subisce una sorta di vaglio (interna
corporis dell'amministrazione del prefetto) che, dopo aver esercitato i
predetti poteri ispettivi potrebbe anche eventualmente impugnare l'atto in questione
ovvero il vaglio esterno del cittadino interessato che può impugnare l'atto al
tribunale amministrativo regionale per i vizi di legittimità (eccesso di
potere, incompetenza e violazione di legge).
Solo in questi due casi, e con questi procedimenti l'atto viene meno. Il
pubblico ministero che ben poteva avere la prova della intervenuta ordinanza
avendone acquisito copia autentica, ha ritenuto di sequestrare l'originale
dell'atto inibendone di fatto la sua attuazione. La Corte costituzionale si è già
pronunziata con sentenza n. 98/81 (il nostro assunto si ricava ex adverso)
stabilendo quanto alla magistratura, che «per aversi invasione occorre che la
menomazione lamentata si concreti nell'esplicazione della giurisdizione fuori
dei presupposti che per legge ne condizionano l'esercizio». Con il conforto di
questa autorevole pronunzia non vi è dubbio che mentre potrebbe essere
legittima, seppur infondata, l'informazione di garanzia e atti consequenziali
del procuratore della Repubblica di Padova è evidente che il sequestro
dell'originale, che dal punto di vista giuridico appare produrre gli stessi
effetti di una pronunzia di annullamento del tribunale amministrativo
regionale, ponendo nel nulla l'atto amministrativo esorbita dai presupposti che
condizionano l'esercizio dell'azione giurisdizionale di annullamento dell'atto
amministrativo;
la giurisprudenza costante ha affermato che per esservi violazioni all'articolo
347 del codice penale occorre che le funzioni vengano svolte senza legittima
investitura e per fini esclusivamente propri (personali ndr) e in contrasto con
quelli della pubblica amministrazione vedi per tutte le sentenze della Corte di
cassazione 9348/95, 79/97;
quindi, per quanto detto sopra, appare del tutto abnorme ad avviso degli
interpellanti il provvedimento del procuratore della Repubblica di Padova in
quanto esso ha sostanzialmente natura di inibizione di efficacia all'atto
amministrativo la qual cosa mai può intervenire da parte di un magistrato
penale, sia esso giudicante
e a maggior ragione sia esso inquirente -:
quali iniziative intenda assumere al riguardo, inclusa l'elevazione del
conflitto di attribuzione;
se non intenda avviare iniziative ispettive nei confronti del magistrato
interessato ai fini dell'eventuale esercizio dell'azione disciplinare.
(2-00877)
«Brigandì, Maroni, Cota, Gibelli, Bricolo, Goisis». (Lega Nord)
(Presentata il 3 dicembre 2007)
[…]
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato
per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il capo dell'ufficio
requirente citato nell'interpellanza ha comunicato di aver iscritto il 21
novembre 2007 nei confronti di Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella, un
procedimento penale per il reato di cui all'articolo 347, primo comma,
ipotizzato con riferimento all'emissione dell'ordinanza n. 258 del 16 novembre
2007 avente ad oggetto l'attuazione delle disposizioni legislative generali in
materia di iscrizione nel registro della popolazione residente e disposizioni
congiunte in materia igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza.
All'indagato, Massimo Bitonci, nel corso della presentazione spontanea -
avvenuta, ai sensi dell'articolo 374 del codice di procedura penale, il 29
novembre 2007 - sono state contestate le seguenti circostanze. In primo luogo,
nel corpo dell'ordinanza si legge testualmente che il sindaco istituisce una
commissione interna con il compito di esaminare le singole richieste di
iscrizione anagrafica da parte di soggetti aventi diritto di soggiorno nel
territorio nazionale e al fine di accertare, anche per acquisizione diretta di
notizie ed informazioni, un presunto status di pericolosità sociale tale da
porre a rischio il mantenimento e la salvaguardia dell'ordine e la sicurezza pubblica.
In tal guisa, viene introdotto di fatto un sub-procedimento caratterizzato
dall'esercizio di funzioni e attribuzioni di esclusiva spettanza degli organi
di Governo centrale e periferici dello Stato (Ministro dell'interno, prefetto e
questore). In secondo luogo, l'accertamento sopra descritto da parte della
commissione comunale è stabilito nell'ordinanza come preventivo all'iscrizione
anagrafica, così come preventiva è espressamente qualificata l'informazione che
la stessa commissione deve darne al prefetto e al questore di Padova.
Conseguentemente, il diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica viene
subordinato a due condizioni non previste ed anzi contrastanti con la legge
(accertamento diretto di pericolosità e segnalazione preventiva al prefetto e
al questore).
Il procuratore della Repubblica riferisce altresì che il procedimento è tuttora
in fase di indagine preliminare e se ne prevede la definizione in data
prossima.
La sicurezza dei cittadini e l'ordinata convivenza sono priorità nell'azione di
questo Governo, come testimoniato anche dalle recenti iniziative legislative
inserite nel cosiddetto pacchetto sicurezza. La materia è complessa e delicata
e i buoni esiti dell'azione dei pubblici poteri dipendono anche dalle sinergie
fra l'amministrazione centrale e quelle locali, ciascuna nella propria sfera di
competenza.
Non è questa la sede, ovviamente, per operare definitive valutazioni di
legittimità e opportunità delle iniziative assunte dal sindaco di Cittadella,
le quali pongono complesse questioni anche di carattere giuridico - peraltro
segnalate dagli stessi interpellanti - come il rapporto fra il diritto
all'iscrizione all'anagrafe e i diritti di libera circolazione e stabilimento
dei cittadini europei nel territorio dell'Unione. Non si può tuttavia non
segnalare quanto, al riguardo, ha osservato il Ministero dell'interno, secondo
il quale l'ordinanza in questione appare presentare possibili profili di
illegittimità nella misura in cui subordina l'iscrizione anagrafica a controlli
sul contenuto dell'autodichiarazione, che invece deve considerarsi di per sé
sufficiente a dimostrare il possesso del requisito richiesto, fatta salva la
possibilità di successiva verifica da parte dell'amministrazione.
Deve poi specificamente porsi attenzione al
punto 5 dell'ordinanza, con riguardo all'iscrizione anagrafica di stranieri
extracomunitari. Tale punto prevede invero che gli stessi debbano comunque
dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un sufficiente
reddito annuo, proveniente da fonti lecite, anche nel caso in cui la carta di
soggiorno sia scaduta e in corso di rinnovo. La disposizione non tiene peraltro
conto della situazione evidentemente diversa in cui si trovano, da un lato, i
soggetti che abbiano già ottenuto un permesso o addirittura la carta di
soggiorno, pure scaduti ma rinnovabili e, dall'altro, coloro che invece siano
in attesa di un primo atto autorizzativo.
Per quanto attiene poi all'attività di verifica dei requisiti igienico-sanitari
dell'alloggio indicato per uso abitativo, si osserva che tali controlli - pur
rientrando tra le competenze del sindaco sotto il profilo della salvaguardia
dell'igiene pubblica e della salubrità ambientale - possono ostacolare la
corretta applicazione della legislazione anagrafica nella misura in cui il
carattere preventivo degli accertamenti disposti sia inteso nel senso che gli
stessi possano condizionare l'esito del procedimento di iscrizione pur in
difetto di alcuna prescrizione normativa in tal senso.
Quanto all'attività della procura della
Repubblica di Padova, va intanto affermato che in questa sede non può
sindacarsi, nel merito, la valutazione operata dall'ufficio requirente che ha
ritenuto di ravvisare nei fatti una possibile notizia di reato e di condurre,
dunque, un'obbligatoria verifica degli stessi mediante gli strumenti di
indagine ritenuti opportuni. Si tratta, come evidente, di una iniziativa che
deve ricondursi all'esercizio delle autonome prerogative dell'organo inquirente
che, peraltro, allo stato non ha ancora esplicitato con atti conclusivi delle
indagini - che auspico rapide - le proprie definitive valutazioni.
[…]
Camera: il Sottosegretario di Stato per
l’interno risponde all’interrogazione in merito alle iniziative per
l’annullamento straordinario dell’Ordinanza del Sindaco di Cittadella in
materia di iscrizione all’anagrafe dei cittadini stranieri.
5 dicembre 2007
Iniziative per l'annullamento
straordinario dell'ordinanza del sindaco di Cittadella (Padova) in materia di
iscrizione all'anagrafe dei cittadini stranieri
Seduta n. 253 di mercoledì 5 dicembre 2007
I sottoscritti chiedono di interpellare il
Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
in data 16 novembre 2007 il sindaco di Cittadella, dottor Massimo Bigonci, ha
emesso un'ordinanza per l'attuazione delle disposizioni legislative generali in
materia di iscrizione nel registro della popolazione residente e disposizioni
congiunte in materia igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza;
il pregiudizio derivante dalle disposizioni contenute nell'ordinanza non si
limita al maggior disagio in sede di iscrizione all'anagrafe, poiché
dall'iscrizione e dal rilascio dell'attestato di diritto di soggiorno dipende
per i cittadini comunitari (ma anche per gli extracomunitari) l'esercizio di
una lunga serie di diritti fondamentali Ne deriva, quindi, che il diniego di
iscrizione, ma anche il rallentamento o l'interruzione del relativo
procedimento, risultano gravemente lesivi dei diritti di libertà di
circolazione e di stabilimento e, soprattutto, per quanto attiene i comunitari,
del fondamentale principio di non discriminazione (che è stato ribadito da
ultimo dallo stesso decreto legislativo n. 30 del 2007, salvo quanto in esso
diversamente disposto in attuazione della direttiva 2004/38/CE, e che è sempre
stato pacificamente riaffermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia);
la discriminazione, ovvero la disparità di
trattamento tra cittadini italiani e comunitari, risulta evidente in virtù del
fatto che l'ordinanza prevede di richiedere soltanto agli stranieri di
dimostrare la disponibilità di fonti di sostentamento minime pari all'importo
annuo dell'assegno sociale (5061,68 euro), laddove è evidente che se si dovesse
applicare tale parametro anche ai cittadini italiani moltissime persone
dovrebbero essere cancellate dall'anagrafe;
se è vero che formalmente la «disparità» è
espressamente prevista tanto dalla direttiva 2004/38/CE, quanto dalla norma di
recepimento di cui al decreto legislativo n. 30 del 2007 e dalle relative
circolari ministeriali, nei fatti il trattamento riservato ai comunitari
evidenzia una concreta discriminazione. Da un lato, infatti, l'ordinanza
richiama la possibilità di «autocertificare» il possesso di lecite e
sufficienti fonti di sostentamento in base agli articoli 46 e 47 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 e, quindi, di omettere la
produzione della documentazione comprovante le fonti di sostentamento
(omissione espressamente prevista dall'articolo 7 del citato decreto
legislativo). L'ordinanza, però, realizza un rispetto solo apparente della
norma, dal momento che prescrive «preventivamente all'iscrizione anagrafica»,
ovvero sospendendo il relativo procedimento, «di svolgere adeguata attività di
indagine e verifica in ordine a quanto dichiarato, in particolare modo in
merito all'individuazione della provenienza e alla liceità della fonte da cui
derivano le risorse economiche». In questo modo, ad avviso degli interpellanti,
si viola palesemente quanto disposto dalle norme di legge citate dal sindaco,
norme che invece prevedono come l'autocertificazione non possa rinviare in
alcun modo il compimento del procedimento e che la verifica non debba essere
effettuata sistematicamente (paralizzando tutti i procedimenti per tempi
incalcolabili), bensì a campione, allo stesso modo di come dovrebbe avvenire
per i cittadini. Sotto questo profilo la violazione del principio di divieto di
discriminazione, a parità di condizioni sostanziali, è evidente;
né la direttiva 2004/38/CE, né il decreto
legislativo n. 30 del 2007 menzionano o richiedono anche solo indirettamente
particolari requisiti sotto il profilo abitativo (si richiede, infatti, di
dimostrare solo lo stato di occupazione lavorativa o, in alternativa, la
disponibilità di risorse minime e la copertura sanitaria). Il cittadino
comunitario non è tenuto né a documentare che dispone di un alloggio, né deve
dimostrare a quale titolo ne dispone più o meno legittimamente (contratto di
locazione, atto di proprietà, concessione in uso, comodato, ospitalità o
altro), né tanto meno deve dimostrare l'idoneità di tale alloggio o comunque
sottoporsi alla verifica del rispetto di parametri di igienicità/salubrità o di
adeguatezza dell'alloggio che rappresenta la sua dimora abituale e presso il
quale chiede sia accertata la sua residenza;
nell'ordinanza non si accenna a quali dovrebbero essere i parametri applicabili
sotto il profilo dell'idoneità abitativa: quelli stabiliti ai fini del rilascio
del certificato di abitabilità? Oppure quelli di «alloggio adeguato» stabiliti
dalla legislazione regionale in materia di edilizia residenziale pubblica? O
quelli di «affollamento» indicati dalla stessa normativa regionale, oppure
ancora quelli di igienicità e salubrità indicati dal decreto del ministero
della sanità del 1975? Ma quali che siano i parametri cui avrebbe inteso
riferirsi l'ordinanza, nessuno di questi può essere imposto ai soli comunitari
- come invece di fatto avviene - quale condizione per il perfezionamento
dell'iscrizione anagrafica. Il dispositivo è chiaro: «contestualmente all'accertamento
della dimora abituale (...) venga attuata con finalità preventive atte alla
salvaguardia dell'igiene pubblica e della salubrità, ambientale (...)
un'attività di verifica volta ad accertare il persistere dei requisiti
igienico-sanitari dell'alloggio». Risulta, quindi, che si pone come requisito
generale per i comunitari una condizione che, invece, non può avere mai valore
ostativo per i cittadini italiani. Inoltre, i comunitari vengono obbligati ad
una procedura notevolmente più lunga, anche questo in evidente violazione del
principio di non discriminazione. Non vi è, infatti, alcun motivo per non
applicare ai comunitari le medesime disposizioni impartite dal ministero
dell'interno con le circolari n. 8 del 29 maggio 1995 e n. 2 del 15 gennaio 1997,
mai rettificate o revocate e a tutt'oggi generalmente applicate;
l'ordinanza diffonde, di fatto, un'immagine criminogena della presenza di
stranieri comunitari. Essa dispone, infatti, sempre in forma preventiva (vale a
dire paralizzando il procedimento sino all'ottenimento dei riscontri da parte
di questura e prefettura), l'accertamento del «presunto status di pericolosità
sociale», con l'acquisizione diretta di informazioni o per il tramite di atti
emessi e/o provvedimenti precedentemente adottati da parte dell'autorità
giudiziaria e/o di pubblica sicurezza. A parte il fatto che i tempi di tali
verifiche potrebbero essere incalcolabili, specie se si considera che non
sussiste alcun dovere di riscontrare simili richieste da parte dell'ufficio
anagrafe, va sottolineato che in questo modo si realizza una condotta che
sostanzialmente anticipa in funzione preventiva gli effetti di provvedimenti
sanzionatori che potrebbero essere invece adottati solo caso per caso ed a
fronte di accertamenti aventi carattere definitivo. Questi provvedimenti
sanzionatori, peraltro, non competono minimamente al sindaco o all'ufficiale di
anagrafe. In pratica, non si può paralizzare una buona parte delle iscrizioni
anagrafiche solo perché si presume una possibile pericolosità che deve essere
accertata da altri, specie se si considera che l'iscrizione anagrafica non
toglierebbe comunque nulla alla possibilità di adottare i provvedimenti
sanzionatori del caso - da parte degli organi realmente competenti - se e
quando necessario;
al paragrafo 5) dell'ordinanza si può rilevare quella che gli interpellanti
reputano una violazione macroscopica per quanto attiene il diritto di
iscrizione dei cittadini extracomunitari, laddove si prevede quale titolo di
soggiorno idoneo allo scopo solo la carta di soggiorno e non anche il permesso
di soggiorno. Ciò significa che verrebbero esclusi dall'esercizio del diritto
pacificamente riconosciuto la quasi totalità dei cittadini extracomunitari;
si prevede la costituzione di una commissione
composta anche dalla polizia locale per il vaglio delle singole domande di
iscrizione: ciò comporta una devoluzione di poteri-doveri, che sono tipicamente
statali (in specie di carattere decisionale e non di semplice supporto
all'istruttoria delegata dall'ufficiale di anagrafe), ad organi che non hanno
alcuna attribuzione legale per svolgere funzioni di ufficiali del Governo;
sebbene dal punto di vista formale l'ordinanza impartisca disposizioni, che
appaiono destinate a regolare le condizioni per l'iscrizione anagrafica della
generalità della popolazione («da parte di chiunque ne presenti richiesta»),
tuttavia non si può trascurare che nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa
le intenzioni del sindaco di Cittadella sono molto più evidenti e che nella
pratica è fin troppo chiaro che tali disposizioni, come si evince dalle ampie
premesse dell'ordinanza, saranno applicate di fatto soltanto nei confronti dei
soli stranieri, comunitari e non;
non sussiste una situazione di emergenza che
caratterizzi in modo peculiare il territorio del comune di Cittadella rispetto ad
altre aree vicine o lontane;
risulta in questo caso del tutto privo di
fondamento l'esercizio del potere del sindaco di adottare provvedimenti urgenti
in materia di salute e sicurezza pubblica;
esiste una palese violazione delle norme di
non discriminazione, mentre il Governo ha impartito specifiche disposizioni in
relazione al procedimento di iscrizione anagrafica;
in una precedente occasione, il prefetto di Alessandria ha invalidato
un'ordinanza del sindaco di Alessandria del marzo 1999, che stabiliva che, per
ricevere servizi dal comune come la residenza, i cittadini non comunitari
dovevano possedere tutta una serie di requisiti e presentare un certificato di
sana e robusta costituzione, e che tale azione della prefettura era motivata
proprio dalla presenza evidente nell'ordinanza di un incitamento alla
discriminazione -:
se non ritenga necessario che i competenti
organi - prefetto e Ministro interpellato - dispongano l'annullamento
straordinario dell'ordinanza, ai sensi dell'articolo 138 del testo unico degli
enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000).
(2-00863)
«Frias, Mascia, Franco Russo, Migliore, Acerbo, Burgio, Cacciari, Cardano,
Caruso, Cogodi, De Cristofaro, Khalil detto Alì Rashid, Dioguardi, Duranti,
Falomi, Daniele Farina, Ferrara, Folena, Forgione, Locatelli, Guadagno detto
Vladimir Luxuria, Mungo, Olivieri, Pegolo, Perugia, Provera, Andrea Ricci,
Mario Ricci, Rocchi, Siniscalchi, Smeriglio, Sperandio, Zipponi».
(27 novembre 2007) (Rifondazione Comunista).
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato
per l'interno, Ettore Rosato,
ha facoltà di rispondere.
ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, il
sindaco di Cittadella, in provincia di Padova, lo scorso 16 novembre, ha
emanato un'ordinanza attuativa delle disposizioni legislative generali
sull'iscrizione nel registro delle popolazioni residenti, dettando norme anche
in materia igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza, riguardanti in
particolare gli stranieri, comunitari e non.
L'iniziativa, che era stata preannunciata
dalla stampa locale già qualche giorno prima con grande enfasi e pubblicizzata
quale strumento in grado di rispondere alle richieste di sicurezza della
cittadinanza, è stata accolta con favore da numerosi sindaci dei comuni del
settentrione, che hanno emanato provvedimenti di analogo contenuto ispirati
all'ordinanza.
Negli ultimi giorni, altri sindaci hanno
fatto ricorso allo strumento derogatorio anche per disciplinare materie diverse
da quella anagrafica. Almeno in qualche caso, l'esercizio del potere di
ordinanza può porre dubbi sulla legittimità.
Come ricordato dagli onorevoli interroganti e
secondo quanto riferito dal Ministero della giustizia e anche dal collega Li
Gotti poc'anzi, la procura della Repubblica presso il tribunale di Padova ha
ipotizzato, a carico del sindaco di Cittadella, il reato di usurpazione di
funzione pubblica, previsto dall'articolo 347 del codice penale.
Le contestazioni riguardano, in particolare,
l'istituzione di una commissione interna, alla quale è affidato il compito di
esaminare le richieste di iscrizione di stranieri e di accertare il presunto
status di pericolosità sociale, tale da porre a rischio il mantenimento della
salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica. Attraverso tale
previsione, secondo l'autorità giudiziaria, si creerebbe un subprocedimento
caratterizzato dall'esercizio di funzioni e compiti che il vigente ordinamento
giuridico attribuisce al Ministro dell'interno, al prefetto e al questore.
Una seconda circostanza di fatto contestata
al sindaco riguarda gli accertamenti preventivi disposti attraverso detta
commissione comunale, relativi allo status di pericolosità, che comporterebbero
un condizionamento del diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica, non
previsto dalla legge e consistente nell'accertamento diretto della pericolosità
e nella conseguente segnalazione al prefetto e al questore.
Inoltre, sempre secondo le informazioni rese dal Ministero della giustizia, a
fondamento dell'ipotesi di reato figura anche il fatto che della commissione
interna prevista dall'ordinanza fa parte un appartenente alla polizia locale,
poi individuato nella persona del comandante della polizia municipale di
Cittadella, il quale, in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, è
astrattamente legittimato all'acquisizione e al trattamento dei dati relativi
alla pericolosità sociale.
In attesa della definizione del procedimento
giudiziario relativo all'ordinanza emanata dal sindaco di Cittadella, che è
tuttora in fase di indagini preliminari, occorre focalizzare l'attenzione sul
problema che si sta ponendo, sempre con maggiore enfasi, sulla corretta
utilizzazione del potere di ordinanza da parte dei sindaci, atteso che in
alcuni recenti casi, come già accennato, possono emergere dubbi sul legittimo
ricorso allo strumento derogatorio.
Sul tema esiste una consolidata
giurisprudenza, anche costituzionale, che, nel tener conto del carattere di
urgenza e di necessità dei presupposti che sottendono all'emanazione delle
ordinanze, sottolinea che le stesse devono avere un'efficacia limitata nel
tempo, un'adeguata motivazione e un'efficace pubblicazione, conformemente ai
principi dell'ordinamento giuridico.
Nel caso dell'ordinanza del sindaco del
comune di Cittadella, appare preliminarmente necessario puntualizzare che
suscita qualche perplessità la scelta di fare ricorso ad un provvedimento
contingibile ed urgente, finalizzato a prevenire e ad eliminare gravi pericoli
che minacciano l'incolumità dei cittadini.
Peraltro, il provvedimento detta disposizioni interne ai propri uffici, senza
stabilire nuove norme a carattere straordinario e temporaneo, pur senza addurre
particolari motivazioni a sostegno dello strumento prescelto. In effetti, il
sindaco ha fondato il provvedimento su un asserito incremento dei livelli
esponenziali dei flussi migratori (e conseguentemente delle richieste di
iscrizione nel registro anagrafico della popolazione), che potrebbe causare
emergenza sotto il profilo dell'igiene e della sanità pubblica, nonché dell'ordine
pubblico della sicurezza.
Richiamo, in proposito, la recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 2109 dell'8
maggio 2007, sezione V, ha stabilito che il potere del sindaco di emanare
ordinanze contingibili e urgenti non può prescindere dalla sussistenza di uno
stato di effettivo e concreto pericolo per la pubblica incolumità, non
fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, da
motivare sempre e debitamente ad esito di approfondita istruttoria.
Riguardo ai contenuti del provvedimento, come
noto, l'ordinanza disciplina l'iscrizione ai registri anagrafici degli
stranieri, con particolare riguardo ai cittadini comunitari.
Ricordo, a tal proposito, che i sindaci, in materia di stato civile ed anagrafe
operano quali ufficiali del Governo, applicando la normativa vigente, nel
rispetto delle leggi della Repubblica. In particolare, ad essi spetta, nella
loro qualità di ufficiali di anagrafe, di sovrintendere alla tenuta dei
registri di stato civile e di popolazione, secondo quanto previsto dagli
articoli 50 e 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000. A livello statale la
materia è affidata al Ministero dell'interno, ai sensi dell'articolo 14 del
decreto legislativo n. 300 del 1999.
La normativa comunitaria concernente le
iscrizioni nei registri anagrafici dei cittadini dell'Unione, di recente
recepita nel nostro ordinamento nazionale, non consente di subordinare detta
iscrizione a condizioni diverse da quella relativa all'accertamento - necessario
al fine di non gravare sul sistema assistenziale dello Stato ospitante - della
disponibilità dei mezzi di sostentamento. La direttiva è stata recentemente
attuata con il decreto legislativo n. 30 del 2007, che opera un rinvio alla
vigente disciplina in materia anagrafica, anche in relazione alle condizioni
per l'iscrizione al procedimento amministrativo. All'autorità locale non è
quindi consentito di modificare o integrare le norme nazionali con interventi
di carattere amministrativo.
Eventuali problemi che possono derivare a
livello locale dall'applicazione della normativa nazionale potranno essere
affrontati solo attraverso un processo di modifica delle disposizioni
comunitarie.
In tal senso, il Presidente del Consiglio, insieme al Premier rumeno, ha già
chiesto al Presidente della Commissione europea l'adeguamento della normativa
comunitaria alle attuali diverse esigenze. Alla richiesta si è associato il
Governo francese, che ha condiviso l'opportunità di iniziative congiunte in
questa direzione.
Tutto ciò premesso, il Governo è consapevole
che occorre dare una risposta alla richiesta di sicurezza della cittadinanza. È
indiscutibile, infatti, che tra la popolazione è diffuso un preoccupante senso
di allarme, particolarmente accentuato nelle popolazioni delle aree
maggiormente esposte all'immigrazione, per motivi sia geografici che economici,
che ha negativamente inciso sulla percezione di sicurezza dei cittadini.
A tale proposito, ricordo che il tema della
sicurezza costituisce una priorità nell'azione del Governo, che è intervenuto
sia in via normativa che attraverso strumenti amministrativi. Lo scorso 30
ottobre il Governo, infatti - lo ricordava in precedenza il sottosegretario Li
Gotti -, ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza, costituito da cinque
disegni di legge, per contrastare la criminalità diffusa. Mi riferisco, in
particolare, alle disposizioni per garantire la sicurezza urbana, quelle in
tema di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena,
all'istituzione della banca dati del DNA e alle misure di contrasto alla
criminalità organizzata.
Al fine di dare concreta applicazione alla
direttiva 2004/38/CE, attuata nel nostro ordinamento attraverso il decreto
legislativo n. 30 del 2007, ricordo in particolare l'approvazione del decreto-legge
n. 181 del 2007 in materia di sicurezza urbana, che consente l'allontanamento,
anche immediato, dei cittadini comunitari la cui permanenza in Italia risulti
incompatibile per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Ma è soprattutto attraverso la ricerca di collaborazione con le regioni e le
autonomie locali che il Governo sta operando, cercando convergenze e strategie
comuni per mettere a punto misure mirate al contrasto alla criminalità e
all'illegalità.
Si tratta di un nuovo approccio al problema,
espressione di una rinnovata solidarietà interistituzionale che, in un'ottica
di condivisione delle responsabilità, mira a superare la collaborazione
limitata alla fase emergenziale, favorendo le strategie di prevenzione e
contrasto alla criminalità organizzata e all'illegalità diffusa, destinata a
durare nel tempo.
Cito a tale proposito l'accordo quadro del 20
marzo 2007 stipulato dal Ministro dell'interno con l'ANCI, che coinvolge tutti
i comuni italiani, i patti per la sicurezza, ormai ampiamente diffusi sul
territorio, con le principali città metropolitane e quelli stipulati con la
regione Friuli-Venezia Giulia e con la Calabria.
Proprio nell'ottica della collaborazione, deve essere condivisa la proposta
formulata dal presidente dell'ANCI finalizzata a promuovere un confronto con
gli enti territoriali e locali in sede di Conferenza unificata relativamente
alle questioni tecniche riguardanti le regole sulle iscrizioni anagrafiche,
nella convinzione che il prospettato accordo interistituzionale sia l'unico
modo per approfondire, affrontare e condividere le preoccupazioni comuni sulla
sicurezza dei cittadini e per studiare insieme le modalità concrete per
applicare e dare la massima effettività alle disposizioni, anche recenti, in
tema di sicurezza. In quella sede potrà validamente essere affrontato il tema
dei poteri dei sindaci quali ufficiali del Governo.
Nel ribadire comunque che ogni iniziativa locale deve essere attuata nel
rispetto delle leggi della Repubblica, il Governo ritiene opportuno percorrere
la via della collaborazione, cercando soluzioni condivise e rinviando solo
all'esito del confronto eventuali iniziative anche in termini sanzionatori.
[…]
DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE
1.
Mark Bell Isabelle Chopin Fiona Palmer, Developing Anti-Discrimination
Law in Europe. The 25 EU Member States compared, European Legal Network of
Legal Expert in the non-discrimination field – Migration Policy Group,
Brussels, July 2007.
Il rapporto fa il punto
sulla trasposizione nei 25 Paesi dell’Unione Europea delle due direttive
europee in materia di diritto anti-discriminatorio (Direttiva n. 2000/43 e n.
2000/78), effettuando una comparazione tra il quadro legislativo dei diversi
paesi sulla base delle informazioni contenute nei rapporti nazionali forniti
dagli esperti facenti parte dell’European Network of Legal Experts in the
non–dicrimination field, gestito dal Migration Policy Group e
dall’European Human Consultancy per conto della Commissione Europea.
Il quadro comparativo che viene fornito verte sugli aspetti delle
definizioni di discriminazioni, dell’ambito di applicazione della normativa
anti-discriminatoria, delle modalità di applicazione e dei mezzi di ricorso
giudiziario ed amministrativo, delle attribuzioni e funzioni delle autorità nazionali
anti-discriminazione.
Il testo
integrale del rapporto può essere scaricato dal sito web del Migration Policy Group:
2.
European Commission,
Tackling Multiple Discrimination. Practices, policies and laws, September 2007.
Il rapporto, commissionato dalla Commissione Europea, è stato redatto con il contributo decisivo del
Danish Institute for Human Rights al termine di un’indagine compiuta in 10
paesi dell’Unione Europea mediante la consultazione di Ministeri, Autorità
Nazionali Anti-Discriminazione e ONG. Il rapporto mette in evidenza la
crescente diffusione del fenomeno della “discriminazione multipla”, per cui la
discriminazione viene subita sulla
base della combinazione di due o più elementi (ad es. razza e genere,
orientamento sessuale e disabilità,…). Tuttavia, manca tuttora nella
legislazione europea anti-discriminatoria una definizione di discriminazione
multipla, per cui nella trasposizione delle direttive n. 2000/43 e 2000/78,
solo una parte minoritaria dei paesi europei hanno espressamente fatto
riferimento a tale fenomeno (Austria, Germania e Spagna). Il rapporto illustra le esperienze
positive, sotto il profilo degli sviluppi legislativi e giurisprudenziali in
materia, esistenti in Australia, Canada e Stati Uniti, ove un approccio fondato
sul concetto di “discriminazione multipla” o “intersettoriale” è stato ritenuto
maggiormente appropriato per affrontare situazioni discriminatorie complesse,
in quanto in grado di concentrarsi maggiormente sulla risposta della società
verso un determinato individuo piuttosto che sulle singole categorie cui collocare la vittima
della discriminazione. Per comprendere meglio tale approccio, particolarmente
significativo è l’esempio seguente, riportato a pagina 21 del rapporto, sulla
base di un’ intervista con un
esperto britannico di diritto antidiscriminatorio:
Un giovane di religione islamica uso a indossare gli indumenti
tradizionali della sua tradizione nazionale e religiosa viene licenziato dal
suo luogo di lavoro al termine del periodo di prova in quanto alcuni dei suoi
colleghi di lavoro avevano espresso timori che lui potesse essere legato ad
ambienti terroristici islamici per il solo fatto che indossava indumenti
tradizionali ed era stato visto pregare
in luoghi appartati. Al suo posto viene ad essere assunta una giovane
donna, sempre di origini asiatiche e di fede islamica. Il giovane licenziato
inoltra un ricorso sostenendo di essere rimasto vittima di una discriminazione
su base cumulativa di sesso e religione. Il datore di lavoro si difende
sostenendo che su nessuno dei due
elementi, genere e appartenenze religiosa, presi separatamente, si poteva
sostenere la sussistenza della discriminazione, avendo egli assunto al posto
del giovane una donna di fede islamica e pure lei vestita tradizionalmente,
mentre altri uomini erano impiegati presso l’impresa. L’avvocato del giovane
sostiene invece che gli elementi di genere e di religione devono essere invece
analizzati in maniera combinata, in quanto nell’immaginario collettivo solo uomini di fede islamica vengono generalmente associati con il
terrorismo religioso e dunque rimangono vittime di tale pregiudizio. Il caso è
stato poi oggetto di una conciliazione extragiudiziale.
Nel caso italiano, pur mancando nella normativa di recepimento delle
direttive europee anti-discriminazione una definizione di discriminazione
multipla, il fenomeno viene pur sempre preso in considerazione nell’art. 1 del
d.lgs. n. 215/2003 ove si sottolinea l’esigenza che “si tenga conto del diverso
impatto che le stesse forme di discriminazione [per razza e/o origine etnica]
possono avere su donne e uomini, nonché dell’esistenza di forme di razzismo a
carattere culturale e religioso”.
Il rapporto contiene una serie di raccomandazioni di natura giuridica e
sociale, indirizzate alla Commissione Europea, agli Stati membri e alle
Organizzazioni Non Governative per un approfondimento della questione.
Il rapporto può essere scaricato dal sito web:
http://ec.europa.eu/employment_social/emplweb/publications/index_en.cfm
3.
Patrick Simon - ECRI
(European Commission against Racisme and Intolerance), “Ethnic” statistics and
data protection in the Council of Europe countries. Study Report, Council of
Europe, October 2007.
Nella sua ultima comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo
sull’applicazione della Direttiva n. 2000/43, la Commissione Europea ha
enfatizzato il ruolo cruciale che le indagini statistiche dovrebbero svolgere nella formulazione di
adeguate politiche anti-discriminatorie, mediante in particolare lo strumento
delle azioni positive, al fine di promuovere un più elevato standard di
inclusione e coesione sociale. Eppure in molti paesi dell’Unione Europea, tra
cui l’Italia, le statistiche ufficiali, a cominciare dal censimento, non
raccolgono dati che, direttamente o indirettamente, possano offrire indicazioni
sulle appartenenze etnico-nazionali e religiose della popolazione immigrata.
Lo studio compiuto da Patrick
Simon, dell’Institut National d’Etudes Démographiques, per conto
dell’ECRI, l’organo specializzato del Consiglio d’Europa per la lotta contro il
razzismo e l’intolleranza, sfata il luogo comune secondo il quale la raccolta e
l’utilizzo di dati “sensibili” relativi all’identificazione etnico- religiosa
ai fini della definizione di strategie di contrasto alla discriminazione
razziale e religiosa, sarebbero impediti dalla legislazione sulla protezione dei
dati personali, e dai vincoli internazionali cui essa deve adeguarsi, nello
specifico la Convenzione del Consiglio d’Europa n. 108 e la direttiva europea
95/46/EC. In realtà, tali strumenti prevedono espresse eccezioni al principio
della protezione dei dati personali
“sensibili”, quando siano in gioco interessi pubblici, tra i quali si
colloca certamente il contrasto alla discriminazione razziale e la protezione
delle minoranze etnico-nazionali.
Riferendosi anche alle recenti raccomandazioni elaborate dalle Nazioni Unite in vista della
prossima tornata di censimenti della popolazione nei diversi paesi del mondo
del 2010, così come ad un quadro comparativo dell’evoluzione degli schemi di
questionario relativo ai censimenti della popolazione registrato nei diversi
paesi europei nel corso dell’ultimo decennio, l’autore mette in evidenza la crescente importanza assunta dalla
raccolta dei dati di tipo
etnico-culturale per una adeguata visione dell’evoluzione della coesione
sociale nei paesi sottoposti a rilevanti processi migratori interni ed
internazionali. L’autore sottolinea come nei paesi dell’Europa occidentale tale
raccolta di dati etnico-culturali avvenga sempre di più per via indiretta,
attraverso il rilevamento del paese di nascita dei genitori dell’individuo,
dato oramai raccolto nei censimenti di paesi quali ad es. la Danimarca, i Paesi Bassi, la Norvegia e di cui si
discute l’introduzione anche in Francia.
La ricerca contiene anche uno studio di casi nazionali (Francia,
Ungheria, Germania , Regno Unito) centrati sulle situazioni considerate più
emblematiche in Europa e che riflettono diverse concezioni del rapporto storico
tra Nazione, Stato, Minoranze etnico-nazionali e presenza immigrate, da cui
deriva un complesso e discordante atteggiamento sulla questione della
complementarietà tra raccolta di dati “etnici” e protezione della “privacy”.
Lo studio può essere scaricato integralmente dal sito web
dell’ECRI:
http://www.coe.int/t/e/human_rights/ecri/1-ecri/Ethnic%20statistics%20and%20data%20protection.pdf
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Roma Rights, web magazine dell’European Roma
Rights Center, n. 3/2007: Perceptions.
L’ultima edizione della rivista on-line in lingua inglese
dell’European Roma Rights Center di Budapest esplora l’universo della
percezione dei Rom da parte delle popolazioni maggioritarie in diversi paesi
europei e nei diversi strati sociali. Ulteriori saggi sono dedicati alla
protezione dei Roma nel sistema normativo ungherese e ai meccanismi di
formazione della retorica anti-Rom in Europa.
L’edizione della rivista può essere scaricata dal sito web: http://www.errc.org/cikk.php?cikk=2921
Di seguito l’indice completo dell’edizione della rivista.