NEWSLETTER N. 13
31 GENNAIO 2008

 

SERVIZIO DI SUPPORTO GIURIDICO

 

 

ATTUALITA’ ITALIANA

 

LE ORDINANZE E I PROVVEDIMENTI RAZZISTI E DISCRIMINATORI DI ENTI LOCALI DEL NORD ITALIA

 

1.     Azione giudiziaria anti-discriminazione promossa contro il Comune di Milano in relazione alla circolare che impedisce ai cittadini stranieri privi del permesso di soggiorno in Italia di iscrivere i propri figli nelle scuole per l’infanzia.

 

2.     L’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e la C.G.I.L. di Padova  inoltrano al T.A.R. Veneto due distinti ricorsi per l’annullamento –previa sospensione cautelare – dell’ordinanza del Comune di Cittadella in materia di iscrizione anagrafica che penalizza i cittadini stranieri, comunitari e non.

 

3.     Il Servizio di Supporto Giuridico contro le discriminazioni etnico- razziali e religiose dell’ASGI (Progetto Leader) prende posizione contro le delibere dell’Agenzia per la gestione degli immobili del Comune di Verona che attribuiscono punteggi aggiuntivi ai soli cittadini italiani “lungo residenti” e agli anziani “lungo residenti” nei concorsi per l’assegnazione degli alloggi in edilizia residenziale pubblica.

 

 

  1. Un gruppo di organismi non governativi italiani ed europei inoltrano al Comitato ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale un rapporto sulle violazioni dei diritti umani a danno degli appartenenti alle comunità Rom e Sinti in Italia.

 

ATTUALITA’ INTERNAZIONALE

 

DISCRIMINAZIONI E DIRITTO EUROPEO E COMUNITARIO

 

1.     Adozione di minori e violazione del divieto di discriminazione. Secondo la Corte europea per i diritti dell’Uomo di Strasburgo è discriminatorio  rifiutare l’autorizzazione ad adottare un bambino per il solo fatto dell’orientamento sessuale (omosessualità) del richiedente.

2.     Una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo tratta l’argomento dell’onere probatorio nei procedimenti attinenti alla discriminazione razziale, facendo riferimento alle indicazioni contenute nelle direttive europee nn. 97/89/Ce e 2000/43/Ce.

3.     La Corte di Giustizia Europea ritiene che l’obbligo del giuramento di fedeltà alla Repubblica e, di conseguenza, il requisito della cittadinanza italiana per il personale delle aziende che operano nel settore della vigilanza privata, richiesto dal T.u.l.p.s. (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza) è in contrasto con il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, garantiti dal Trattato Ce.

 

DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE

 

SEMINARI E CONFERENZE

 

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

 


 

ATTUALITA’ ITALIANA

 

 

LE ORDINANZE E I PROVVEDIMENTI RAZZISTI E DISCRIMINATORI DI ENTI LOCALI DEL NORD ITALIA.

 



1. Azione giudiziaria anti-discriminazione promossa contro il Comune di Milano in relazione alla circolare che impedisce ai cittadini stranieri privi del permesso di soggiorno in Italia di iscrivere i propri figli nelle scuole per l’infanzia. Il dibattito sulla questione e l’intervento del Ministro della Pubblica Istruzione. Il principio universalistico del diritto all’istruzione ribadito da una Risoluzione del Parlamento Europeo e dal  documento dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale.

 

 

Il 14 gennaio scorso una cittadina marocchina ha presentato un’azione giudiziaria anti-discriminazione ex art. 44 del d.lgs. n. 286/98 contro la decisione dell’Amministrazione comunale di Milano di escludere i “minori non regolarizzati”, in quanto figli di immigrati privi del permesso di soggiorno,  dall’accesso alle scuole materne. Tale decisione dell’Amministrazione comunale è stata adottata con circolare n. 20 del 17.12.2007 volta a disciplinare le modalità di iscrizione alle scuole dell’infanzia per l’anno educativo 2008/2009 che così dispone: “Le famiglie prive di regolare permesso di soggiorno avranno la possibilità di iscriversi, purché ottengano il permesso di soggiorno entro la data del 29 febbraio 2008. La mancata presentazione del permesso di soggiorno entro tale data non consentirà la formalizzazione della domanda di iscrizione”.

L’azione legale, sostenuta dagli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri, soci dell’ASGI, afferma l’esistenza di una violazione delle norme anti-discriminazione di cui agli artt. 43 e 44 del T.U. immigrazione, in quanto con la decisione dell’amministrazione comunale vengono illegittimamente ristrette delle libertà pubbliche, sancite dal diritto interno ed internazionale, quali il diritto all’istruzione, quando nel contempo tale esclusione avviene su basi di nazionalità (cittadinanza), tutti gli esclusi appartenendo alla categoria dei non-cittadini.

Nell’azione legale si rammenta come a norma dell’art. 38 comma 1 del T.U. immigrazione, ai minori stranieri presenti sul territorio nazionale si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi  e di partecipazione alla vita scolastica. Pertanto, il riferimento al diritto all’istruzione e all’accesso ai servizi educativi a favore dei minori stranieri anche solo presenti sul territorio nazionale fa estendere il suo campo di applicazione al di là dell’obbligo scolastico, ricomprendendo certamente anche la scuola materna. Questo in linea anche con le norme internazionali in materia di protezione dell’infanzia, prime fra tutte quella di cui alla Convenzione sui diritti del fanciullo che all’art. 28, co. 1 impone agli Stati di riconoscere al fanciullo il diritto all’educazione, ma soprattutto all’art. 2 precisa che “gli Stati si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legale, dalla loro origine nazionale, etnico o sociale, dalla loro  situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza”. Ugualmente il medesimo art. 2 della Convenzione prevede un impegno preciso per gli Stati membri a contrastare ogni discriminazione a danno dei minori nell’esercizio dei diritti loro garantiti: “Gli Stati membri prenderanno tutte le misure appropriate affinché il fanciullo venga effettivamente protetto contro ogni forma di discriminazione o di sanzione basata sulla situazione giuridica, le attività, le opinioni dichiarate o le convinzioni dei propri genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei membri della sua famiglia”.

Un’ulteriore considerazione avanzata dai legali della  ricorrente sottolinea  il pregiudizio irragionevole che viene portato dalla decisione dell’amministrazione comunale di Milano al principio costituzionale di uguaglianza, secondo i criteri di riferimento affermati dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 432/2005, in base alla quale  al legislatore (ma lo stesso principio vale anche per provvedimenti di rango inferiore) è consentito “introdurre regimi differenziati circa il trattamento da riservare ai singoli consociati soltanto in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o peggio arbitraria”, dovendo dunque sempre esistere una ragionevole correlazione tra la condizione positiva di ammissibilità al beneficio e gli atri requisiti che ne definiscono la ratio e la funzione. Orbene, nel caso specifico, poichè la ratio e la funzione della scuola materna sono notoriamente quelle di favorire il positivo inserimento di bimbi nel contesto sociale, la loro crescita relazionale e la loro capacità di apprendimento, ne consegue che introdurre un requisito relativo alla condizione giuridica dei genitori, risulta palesemente irragionevole ed in violazione dei principi costituzionalmente ed internazionalmente garantiti della protezione dell’infanzia.

Per tali ragioni, e vista l’urgenza di giungere ad effettivi rimedi alla discriminazione operata, data la prossima scadenza del termine fissato per le iscrizioni (27 febbraio 2008),  i legali della ricorrente hanno deciso di avvalersi della misura cautelare prevista dall’azione giudiziaria anti-discriminazione di cui all’art. 44 c. 5 del T.U. chiedendo al giudice di: a) ordinare al Comune di Milano di ammettere senza riserve la domanda di iscrizione alla scuola materna presentata dalla ricorrente ; b) accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della circolare emanata dal comune di Milano con il conseguente c) ordine al comune di Milano di revocare detta circolare nella parte contestata. In aggiunta i legali della ricorrente chiedono al giudice di condannare il Comune di Milano al risarcimento del danno non patrimoniale, inscindibilmente connesso alla lesione della dignità personale operata con l’avvenuta discriminazione, nonché la pubblicazione del provvedimento del giudice su un quotidiano di tiratura nazionale, così come previsto dalla normativa di recepimento della direttiva europea n. 2000/43/CE (art. 4 c. 6 d.lgs. n. 215/2003).

Sulla questione è intervenuto pure il Ministro dell’Istruzione Fioroni, che ha invitato l’amministrazione di Milano a ritirare la circolare contestata, minacciando il blocco dei contributi ministeriali per le scuole dell’infanzia a Milano (sulla vicenda si può consultare anche l’edizione di “Metropoli” (supplemento a “La Repubblica” ) anno 3 numero 2, pagg. 5 e 10.

 

Il principio universalistico nell’accesso all’istruzione dei minori è stato di recente ribadito anche dal Parlamento europeo nella risoluzione dd. 16 gennaio 2008 (Risoluzione del Parlamento europeo su una strategia dell’Unione Europea sui diritti dei minori, paragrafi 146-148). Nella risoluzione si sottolinea fra l’altro, che “il diritto all’istruzione costituisce un presupposto fondamentale per lo sviluppo sociale dei bambini e che di questo diritto devono poter godere tutti i bambini in base alle loro attitudini individuali, indipendentemente dalle loro origini etniche e sociali e dalla loro situazione familiare”. Si precisa, fra l’altro, che “i minori debbano aver accesso all’istruzione a prescindere dal loro status e/o da quello dei loro genitori; [sottolineando] l’importanza di garantire tale accesso ai figli dei migranti e/o dei rifugiati”. Sull’argomento, la Risoluzione del Parlamento europeo  sollecita l’Unione Europea a definire una strategia che “riconosca il diritto all’istruzione sulla base delle pari opportunità e della non discriminazione”.

 

Il testo integrale  della Risoluzione del Parlamento Europeo può essere consultato sul sito web dell’Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose: www.olir.it/include/stampa.php?id_doc=4517

 

L’assunzione di criteri universalistici per il riconoscimento dei diritti dei minori nell’ambito dell’istruzione, in linea con l’applicazione alla realtà italiana delle norme della  Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, è stata di recente affermata anche in un interessante documento promosso dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale del Ministero della Pubblica Istruzione: “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri”. Il documento propone linee guida rivolte agli insegnanti e ai dirigenti scolastici in materia di pratiche di accoglienza e di inserimento dei minori stranieri nelle scuole, nonché per la definizione di interazioni interculturali.

 

Il testo integrale del documento può essere scaricato dal sito web del Ministero della Pubblica Istruzione:  www.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/pubblicazione_intercultura.pdf

 

 

 

 

 

 

2.  L’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e la C.G.I.L. di Padova  inoltrano al T.A.R. Veneto due distinti ricorsi per l’annullamento –previa sospensione cautelare – dell’ordinanza del Comune di Cittadella in materia di iscrizione anagrafica che penalizza i cittadini stranieri, comunitari e non.

 

L’A.S.G.I. e la C.G.I.L. di Padova hanno inoltrato, rispettivamente il 15 ed il 30 gennaio 2008, dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, due distinti ricorsi contro l’ordinanza emessa dal Sindaco di Cittadella (Pd) in data 16 novembre 2007, con la quale sono state introdotte nuove modalità procedurali e nuovi presupposti sostanziali per l’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri, comunitari e non, nel territorio del Comune di Cittadella, in spregio alla normativa nazionale ed a quella comunitaria, e determinando, inoltre,  il sorgere di profili discriminatori vietati dalla normativa anti-discriminazione, nazionale e comunitaria. Il ricorso è stato presentato dall’A.S.G.I. in quanto associazione esponenziale di interessi diffusi e collettivi direttamente ed attualmente pregiudicati dal provvedimento impugnato poiché con il ricorso l’A.S.G.I. intende tutelare gli interessi dei cittadini stranieri comunitari ed extracomunitari ed in special modo i diritti soggettivi fondamentali di cui essi sono titolari, ivi compreso il diritto di iscrizione all’anagrafe della popolazione residente e quelli ad esso collegati. 

Con il ricorso, l’A.S.G.I., rappresentata dai membri del comitato direttivo dell’Associazione, gli avv. Marco Paggi di Padova e Nazzarena Zorzella di Bologna,  chiede l’annullamento  dell’ordinanza del Sindaco di Cittadella, previa  sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento . Nel ricorso, l’A.S.G.I. elabora le motivazioni che la inducono a ritenere illegittima l’ordinanza del Sindaco, già espresse nella formale richiesta inviata il 3 dicembre scorso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Ministri dell’Interno e della Solidarietà Sociale per l’annullamento del provvedimento; richiesta che aveva trovato sostanziale appoggio e condivisione anche da parte dell’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali) (in proposito si veda Newsletter progetto Leader n. 12 dd. 31 dicembre 2007).

Gli avvocati dell’ASGI Paggi e Zorzella chiedono che il TAR Veneto si esprima per la sospensiva cautelare dell’efficacia del provvedimento, sostenendo l’esistenza del periculum in mora, sulla base delle stesse affermazioni del Sindaco di Cittadella, secondo il quale  si sarebbe verificata, successivamente all’adozione del provvedimento, una drastica riduzione  delle  iscrizioni anagrafiche di cittadini stranieri, anche in virtù di un mero effetto inibitorio, con conseguente negazione non solo del diritto all’iscrizione anagrafica, ma anche del correlato esercizio di conseguenti diritti fondamentali.

Il TAR Veneto fisserà nelle prossime settimane la data dell’udienza al fine della decisione sulla richiesta di sospensione cautelare avanzata dai ricorrenti.

 

Per maggiori informazioni sul ricorso presentato dall’ASGI ci si può rivolgere al Servizio di Supporto Giuridico contro le Discriminazioni Razziali ASGI- Progetto Leader (tel. Fax. 040 368463 e-mail: walter.citti@asgi.it) .

 

 

 

 

3. Il Servizio di Supporto Giuridico contro le discriminazioni etnico- razziali e religiose dell’ASGI (Progetto Leader) prende posizione contro le delibere dell’Agenzia per la gestione degli immobili del Comune di Verona che attribuiscono punteggi aggiuntivi ai soli cittadini italiani “lungo residenti” e agli anziani “lungo residenti” nei concorsi per l’assegnazione degli alloggi in edilizia residenziale pubblica. I profili discriminatori delle delibere e le conseguenti violazioni del diritto interno, internazionale e comunitario.

 

 

Con una lettera inviata in data 20 gennaio, il Servizio di Supporto Giuridico dell’ASGI (Progetto Leader) ha preso posizione contro le delibere approvate nel settembre scorso dal consiglio di amministrazione dell’AGEC (Agenzia per la gestione degli immobili del Comune di Verona),  d’intesa con il Sindaco di Verona, che attribuiscono punteggi aggiuntivi ai soli cittadini italiani “lungo residenti” (da almeno 8 anni) nel territorio del Comune di Verona e ai nuclei familiari composti da ultrasessantenni con almeno un componente ultrassessantacinquenne, purché residenti da almeno dieci anni nel territorio comunale. Nella lettera, l’ASGI sottolinea i profili di discriminazione, diretta ed indiretta, a danno dei cittadini stranieri, comunitari e non comunitari,  contenuti nelle delibere dell’AGEC, in violazione delle norme di diritto internazionale, di diritto comunitario ed interno che sanciscono il principio di parità di trattamento in materia di accesso all’abitazione.

La lettera è stata inviata pure all’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali) nonché alla Commissione Europea con la richiesta dell’apertura di una procedura d’infrazione europea a carico delle istituzioni italiane per violazione delle norme comunitarie.

 

 

 

 

 

 

 

Di seguito il testo integrale della lettera dell’ASGI.

 

 

Trieste/Torino, 20 gennaio, 2008

 

 

 

 

OGGETTO:  PROFILI DISCRIMINATORI DELLE DELIBERE AGEC n. 4  e n. 23/2007 RELATIVAMENTE ALL’ASSEGNAZIONE DEI PUNTEGGI NELLE GRADUATORIE PER L’ACCESSO AGLI ALLOGGI DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA.

 

                                        

 

                                               Preg.mi. Signori,

 

La presente viene inviata dal Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose dell’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione),  associazione che riunisce avvocati, docenti universitari  ed operatori legali impegnati sulle tematiche dell’immigrazione. Il Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni dell’ASGI partecipa in qualità di partner ad un progetto denominato LEADER (Lavoro e Occupazione senza Discriminazioni Razziali e Religiose) inserito nel programma europeo EQUAL II e che ha l’obiettivo di definire strategie di contrasto e tutela dei cittadini immigrati dalle discriminazioni etnico-razziali e religiose.

 

Siamo venuti a conoscenza che l’AGEC, l’Agenzia che gestisce gli immobili di proprietà del Comune di Verona, d’intesa con il Sindaco di Verona, ha approvato lo scorso mese di settembre due delibere suscettibili di incidere sull’accesso dei cittadini extracomunitari legalmente residenti nel territorio del comune di Verona agli alloggi pubblici in condizione di parità di trattamento con i cittadini italiani. Si tratta nello specifico della delibera del 04.09.2007 n. 4 e di quella dd. 25.09.2007, n. 23; entrambe  in materia di assegnazioni relative ai bandi di concorso di cui alla L.R. 10/96, cioè agli alloggi comunali in edilizia residenziale pubblica. Dalla lettura complessiva di entrambe le delibere, quella n. 23 dd. 25.09.2007 contenendo un emendamento a parte del contenuto della delibera precedente n. 4 dd. 04.09.2007,  si evince che per la formazione della graduatoria per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nel Comune di Verona nell’ambito del bando di concorso per l’anno 2007, sono state introdotte  due apposite  maggiorazioni di punteggio: la prima  – da uno fino a quattro punti – a favore dei soli cittadini italiani residenti nel Comune di Verona o che vi svolgano l’attività lavorativa principale da almeno 8, 10, 15 o 20 anni; la seconda –di quattro punti- a favore dei nuclei familiari composti esclusivamente da persone di età superiore o uguale ad anni sessanta e con almeno un componente con età superiore od uguale ad anni sessantacinque, purché residenti nel comune di Verona da almeno dieci anni.

Le delibere dell’AGEC citano quale loro fondamento legale l’art. 7, comma 1, lett. a) punto 10) della Legge Regionale del Veneto n. 10/96 che prevede la possibilità per le autorità comunali di assegnare, nella formazione della graduatoria, un punteggio aggiuntivo per particolari condizioni relative a situazioni particolari presenti nel territorio comunale.

 

L’A.S.G.I. ritiene che le presenti delibere introducono nella materia dell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica di gestione comunale una disparità di trattamento a danno tanto dei cittadini di paesi membri dell’Unione Europea, quanto dei cittadini appartenenti a paesi terzi regolarmente residenti e che pertanto, tali delibere siano in contrasto il divieto di discriminazione di cui al Trattato Europeo (art. 12), con le altre  norme di diritto comunitario vietanti le discriminazioni su base etnico-razziale (Direttiva n. 2000/43/CE), con le norme di diritto internazionale sulla parità di trattamento tra lavoratori migranti e nazionali (Convenzione OIL n. 143/1975) e con  norme di diritto interno (d.lgs. n. 286/98 T.U. immigrazione e d.lgs n. 215/2003).

 

Per quanto concerne i cittadini comunitari, il trattamento differenziato su base di nazionalità e di residenza  introdotto dalle delibere dell’AGEC viola il principio di non discriminazione di cui all’art. 12 del Trattato sulla Comunità Europea, il quale dispone che “nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”. La Corte di Giustizia europea ha affermato che il divieto contenuto nell’articolo 12 T CE “richiede la perfetta parità di trattamento, negli Stati membri,  tra i soggetti che si trovano in una posizione disciplinata dal diritto comunitario e i cittadini dello Stato membro in questione”. (1) Per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, che ha progressivamente esteso l’ambito di applicazione dell’art. 12 del T CE, la regola della parità di trattamento trova applicazione anche ai diritti e vantaggi sociali e fiscali non direttamente connessi all’impiego del lavoratore comunitario che ha esercitato il diritto alla libera circolazione. Così, a partire dal Regolamento n. 1612/68/CEE (art. 9) è stata pacificamente prevista  la parità di trattamento del lavoratore comunitario migrante con i lavoratori nazionali per quanto concerne i diritti e i vantaggi accordati in materia di abitazione, in quanto funzionali alla piena realizzazione della libertà di circolazione dei lavoratori. (2).

Di conseguenza, il trattamento preferenziale su basi di nazionalità introdotto dalla delibera AGEC n. 4 dd. 04.09.2007 per l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo gradualmente maggiore – da uno a quattro punti -  a favore dei soli cittadini italiani residenti nel comune di Verona da almeno 8 - 20 anni costituisce una  palese violazione dell’art. 12 del Trattato Europeo, con riferimento alla discriminazione operata nei confronti dei cittadini comunitari.

Occorre altresì ricordare come tanto i regolamenti comunitari quanto  la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea hanno affermato che il principio della parità di trattamento deve essere salvaguardato  anche in relazione alle discriminazioni indirette, nel senso di rendere incompatibili le disposizioni e i provvedimenti nazionali che, pur formalmente applicabili tanto ai cittadini quanto agli stranieri comunitari, finiscano con il produrre, quale effetto esclusivo o principale, quello di escludere da un vantaggio  o un diritto, i cittadini degli altri Stati membri dell’Unione Europea. In altri termini, il principio di parità di trattamento di cui all’art. 12 del Trattato vieta non soltanto le discriminazioni palesi fondate  sulla cittadinanza, ma altresì qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato discriminatorio. In tal senso, la Corte di Giustizia europea ha ritenuto in numerosi pronunciamenti che criteri fondati sulla residenza possono integrare ipotesi di discriminazione dissimulata. (3) Ricadono sotto questa ipotesi tutte le normative ed i provvedimenti nazionali che subordinino la concessione di un beneficio alla residenza nello Stato ovvero alla residenza di lungo periodo in una determinata porzione del territorio dello Stato, condizioni che possono essere più facilmente soddisfatte dal cittadino nazionale piuttosto che dal lavoratore migrante comunitario che abbia esercitato il diritto alla libera circolazione. (4) Ne consegue, pertanto, che anche la condizione di residenza di lungo periodo (10 anni) nel territorio del comune di Verona richiesta per i componenti i nuclei familiari composti esclusivamente  da persone ultrasessantenni e in cui almeno un componente sia ultrasessantacinquenne, ai fini dell’attribuzione di un punteggio aggiuntivo,  così come introdotta dalla delibera AGEC n. 4 dd. 04.09.2007, costituisce una forma di discriminazione indiretta o dissimulata secondo i parametri della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, in quanto atta comunque a privilegiare in misura sproporzionata i cittadini nazionali rispetto a quelli comunitari. Ne consegue anche in questo caso  la violazione dell’art. 12 del Trattato CE in materia di parità di trattamento tra cittadini nazionali e cittadini comunitari di altri paesi membri.

 

Per quanto concerne i cittadini extracomunitari, la disamina del quadro normativo deve necessariamente muoversi dal T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, il cui art. 2 commi 2 e  3 così prevedono:

Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano…”.

La Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.

Viene dunque ribadito che  il principio della parità di trattamento tra lavoratori migranti regolarmente residenti e lavoratori nazionali deriva da una precisa fonte di diritto internazionale, quale la Convenzione Internazionale dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n.143 del 1975 alla quale l’Italia ha dato adesione fin dal 1986. Detta Convenzione stabilisce il principio di piena parità di trattamento e di opportunità tra lavoratori immigrati regolarmente soggiornanti e lavoratori nazionali, anche per quel che riguarda l’accesso ai servizi di sicurezza sociale e agli alloggi. (5) E’ importante sottolineare che detta norma internazionale  garantisce alla generalità dei migranti, che si trovano legalmente sul territorio di uno Stato membro, senza discriminazioni di reddito, o basate sull’anzianità,  o sul consolidamento del loro soggiorno, o altri requisiti, il principio di   parità di opportunità e trattamento rispetto ai cittadini nazionali anche  in materia di accesso agli alloggi pubblici. Pertanto, appare di dubbia costituzionalità ed in evidente  contrasto con gli artt. 10 c. 2 e 35 Cost., (6) la nuova stesura dell’art. 40 c. 6 d.lgs. n. 286/98 introdotta con la legge “Bossi-Fini”, che ha ristretto il principio della parità di trattamento con i cittadini italiani per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica,  ai servizi di intermediazione per l’agevolazione all’accesso alle locazioni abitative, nonché al credito agevolato in materia di prima casa, ai soli cittadini stranieri di paesi terzi titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti) e agli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso del permesso di soggiorno di durata almeno biennale e che esercitano regolare attività di lavoro subordinato o lavoro autonomo.

Resta peraltro fermo che la norma di cui all’art. 40 c. 6 d.lgs. n. 286/98, pur avendo circoscritto -  all’interno della più ampia categoria dei lavoratori di paesi terzi regolarmente soggiornanti – un ambito più ristretto dei suoi beneficiari, ha pur sempre ribadito a favore di quest’ultimi il principio della parità di trattamento con i cittadini italiani, per quanto riguarda l’accesso all’edilizia residenziale pubblica e agli interventi per l’agevolazione all’accesso alla prima casa. Ne consegue che, una volta accertato il possesso del titolo di soggiorno fissato dalla legge, il cittadino straniero potrà concorrere all’assegnazione degli alloggi pubblici in condizioni di parità con i cittadini italiani e dunque senza che possano essere consentiti trattamenti differenziati fondati direttamente o indirettamente sulla nazionalità o status civitatis suscettibili di  privilegiare i cittadini nazionali a danno di quelli stranieri. (7)

Il T.U. sull’immigrazione infatti è normativa volta a  realizzare il disposto costituzionale in materia di riserva di legge per cui la condizione giuridica dello straniero deve essere disciplinata per via legislativa, con conseguente potestà esclusiva dello Stato in materia (art. 117 comma 2 lett. A)), da cui deriva il rilievo contenuto nell’art. art. 1 c. 4 del d.lgs. n. 286/98 che nelle materie di competenza legislativa delle regioni,  le disposizioni del T.U. immigrazione costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, mentre per le materie di competenza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, esse hanno il valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica. In sostanza, la  previsione dell’art. 40, comma 6 d.lgs. n. 286/98 è atta a definire una sorta di livello minimo, essenziale di prestazione concernente il diritto sociale all’esigenza abitativa dello straniero, da garantirsi su tutto il territorio nazionale, non essendo dunque consentite disposizioni derogatorie ad opera di eventuali normative  regionali o, peggio ancora, di rango inferiore (delibere, ordinanze comunali o di enti di diritto pubblico locali), che definiscano standard   di trattamento  inferiori per i cittadini stranieri. (8)

In tale direzione si è espressa la scarna giurisprudenza finora maturata e, nello specifico, il Tribunale di Milano nel 2002 ha ritenuto che un bando del Comune di Milano per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (e.r.p), contenente la previsione di un punteggio aggiuntivo ai fini della graduatoria esclusivamente in ragione della cittadinanza italiana del richiedente, provocasse un trattamento deteriore per gli stranieri, pur se regolari, solo in ragione del loro status e che, perciò,  integrasse gli estremi del comportamento discriminatorio ex art. 43 T.U. (9)

La medesima situazione si ripresenta ora a seguito delle delibere approvate dall’AGEC di Verona in data 04.09.2007 e 23.09.2007 (nn. 4 e 23) che, in materia di assegnazioni relative ai bandi di concorso di cui alla L.R. n. 10/96 introducono una maggiorazione di punteggio – fino a 4 punti – a favore dei soli cittadini italiani residenti nel comune di Verona da almeno 8-20 anni. E’ del tutto evidente che il trattamento differenziato fondato unicamente sullo status civitatis del candidato all’assegnazione viola espressamente il principio di parità di trattamento di cui all’art. 40 c. 6 della legge “Bossi-Fini”, norma non derogabile - per le ragioni suddette  - ad opera di un ente di diritto pubblico locale,  realizzando così nel contempo un autonomo profilo discriminatorio in violazione pure della normativa nazionale e di fonte europea in materia di contrasto alle discriminazioni etnico-razziali. (10)

 

Si fa qui riferimento innanzitutto  allart. 43 1° comma del Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98), che  introduce una sorta di clausola generale di non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1 della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e ratificata dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654.

In base a tale norma costituisce una discriminazione:

ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.

Con l’art. 43 del D.lgs. n. 286/98,  venne  così introdotta nel nostro ordinamento la prima definizione compiuta di discriminazione.

È pertanto innanzitutto da considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”.

Infine, la norma evita di restringere la protezione contro le discriminazioni al solo ambito lavorativo, ma prende bensì in considerazione quelle condotte che ledano i diritti umani e le libertà fondamentali anche in campo politico, economico, sociale e in ogni altro settore della vita pubblica.

 

Il legislatore ha poi formulato, nel secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria.

L’articolo prevede infatti che compia “in ogni caso” una discriminazione anche :

 

(…)

b)chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

 

c)chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

(…)

Dall’esame della normativa citata, emerge chiaramente che per quanto riguarda i soggetti passivi,  una delle condizioni protette dalla normativa antidiscriminatoria è quella fondata sull’origine nazionale, intesa non soltanto come appartenenza etnico-razziale del soggetto, ma anche come cittadinanza straniera (discriminazione in ragione soltanto della condizione di straniero).(11)

 

Al D.lgs. n. 286/98 si è aggiunto successivamente il d.lgs. n. 215/2003, di recepimento della direttiva europea 2000/43/CE che disciplina il principio di non discriminazione in ragione della razza e dell’origine etnica.

Dal considerando n. 12 della direttiva n. 2000/43/CE emerge che i divieti di discriminazione etnico-razziale coprono pure l’ambito dell’accesso all’abitazione: “Per assicurare lo sviluppo  di società democratiche  e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le persone  a prescindere  dalla razza o origine etnica, le azioni specifiche nel campo  della lotta contro le discriminazioni basata sulla razza o origine etnica dovrebbero andare al di là dell’accesso alle attività di lavoro (…) e coprire  ambiti quali (…) le prestazioni sociali, l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura”. Ciò viene ribadito nel testo della direttiva: “(…)la presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico  che del settore privato, (…), per quanto attiene: (…) f) alle prestazioni sociali; (…) h) all’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio.” (art. 3, poi recepito quasi letteralmente dall’art. 3 c. 1 lett. i) del d.lgs. n. 215/2003).

Sulla base  delle norme di recepimento della citata direttiva europee, sussiste una   discriminazione direttaquando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga” (art. 2 d.lgs. n. 215/03);  una discriminazione indiretta sussiste invece “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente  neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica,  in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone” (art. 2.1 b) d. lgs. n. 215/2003). Sulla base delle norme della direttiva europea n. 2000/43/CE, le discriminazioni dirette sono vietate in maniera assoluta, con l’unica eccezione - che qui non interessa-  delle differenze di trattamento fondate sul criterio del requisito essenziale e determinate per lo svolgimento dell’attività lavorativa (ad es. nel settore della ristorazione etnica). Non costituiscono  discriminazioni indirette quelle disparità di trattamento  su base di  appartenenza etnico o razziale che si vengono a determinare in ragione di disposizioni  apparentemente “neutre” solo qualora siano giustificate da una finalità legittima e obbediscano a criteri di proporzionalità, cioè i mezzi necessari per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari (art. 2 lett. b della direttiva n. 2000/43/CE).

Ne consegue che la disposizione di cui al punto uno della lettura congiunta  delle delibere AGEC n. 4 e n. 23 dd. 04.09.2007 e  23.09.2007, introducendo una discriminazione di tipo diretto fondata sulla nazionalità per la formazione dei punteggi nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nel  territorio comunale, si pone in contrasto con il divieto assoluto di discriminazioni dirette di cui al citato quadro normativo anti-discriminatorio.

La disposizione di cui al punto 2  delle citate delibere  appare invece suscettibile di introdurre una discriminazione di tipo indiretto, in quanto il requisito della residenza decennale nel territorio comunale, richiesto per i concorrenti “anziani”, sebbene apparentemente neutro e applicabile a tutti, a prescindere dalla nazionalità, finirebbe per svantaggiare in misura sproporzionata i cittadini stranieri migranti rispetto a quelli italiani, in quanto  opererebbe  principalmente a danno dei primi, considerato il loro minor grado di radicamento nella realtà locale. Inoltre, nessuna giustificazione viene adotta nella delibera in questione per l’introduzione della suddetta condizione di residenza ultradecennale per l’attribuzione aggiuntiva di punteggio, non consentendo pertanto il riscontro dei requisiti di legittimità delle finalità e proporzionalità del provvedimento, come invece richiesto dalla normativa comunitaria.

 

Conclusioni.

Alla luce di quanto sopra l’A.S.G.I. richiede all’AGEC di annullare le delibere n. 4 e n. 23 rispettivamente del 04.09.2007 e del 25.09.2007 in quanto in contrasto con le seguenti fonti normative:

a)     l’art. 12 del Trattato Europeo (principio  di non discriminazione tra cittadini nazionali e cittadini di altri paesi membri dell’Unione Europea che hanno esercitato il diritto alla libera circolazione), così come interpretato dalla Corte europea di Giustizia;

b)    l’art. 40 c. 6 d.lgs. n. 286/98 (parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri di paesi terzi aventi diritto nell’accesso all’edilizia residenziale pubblica );

c)      l’art. 9 c. 11 lett. c) del d.lgs. n. 286/98, come modificato dal d.lgs. n. 8/2007 in attuazione della direttiva europea n. 2003/109/CE (parità di trattamento nell’accesso all’ottenimento degli alloggi di edilizia residenziale pubblica tra cittadini nazionali e cittadini di paesi terzi  titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti);

d)     l’art 43 del d.lgs. n. 286/98   (divieto generale di non discriminazione);

e)      l’art. 3 c. 1 lett. i) del d.lgs n. 215/2003 (divieto di discriminazioni etnico-razzali nelle prestazioni sociali, incluso l’alloggio,  in recepimento della direttiva europea n. 2000/43/CE).

 

Si trasmette la presente segnalazione all’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità affinché anch’esso possa, eventualmente e se lo ritiene opportuno, formulare una raccomandazione ed un parere in merito, avvalendosi delle prerogative assegnategli dall’art. 7 c. 2 lett. b) e e) del D.lgs. n. 215/2003, in quanto Autorità Nazionale contro le discriminazioni razziali, costituita per effetto del recepimento della  direttiva europea n. 2000/43/CE.

 

Si segnala, inoltre, la presente alla Commissione Europea per l’eventuale accertamento della violazione delle norme di diritto comunitario e l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

 

Certi dell’attenzione che Vorrete porre alla presente, porgiamo i nostri migliori saluti.

 

p. l’A.S.G.I.

Servizio di supporto giuridico

contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose

Dott. Walter Citti

 

Note

 

[1] Sentenza Data Delecta, C-43/95, par. 16

 

2 Condinanzi Lang Nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 105-112.

 

3  Cfr. le sentenze del 12 febbraio 1974, Sotgiu C 152/73,  e 1 dicembre 1993, C-37/93, Commissione c. Belgio, in Racc., p. I-6295 ss.

 

4  La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea è al riguardo molto vasta: Si vedano le sentenze del 8 giugno 1999, Meussen, C-377/97 per l’incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che subordinava alla residenza nello Stato la concessione di una borsa di studio; del 20 giugno 2002, C-299/01, Commissione c. Lussemburgo, per l’incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che subordinava alla residenza nello Stato la concessione di un reddito minimo garantito. Si veda anche  la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha condannato l’Italia per le agevolazioni tariffarie a vantaggio delle persone residenti per l’accesso ai Musei Comunali (sentenza 16 gennaio 2003 n. C-388/01), nella quale si legge: “…il principio di parità di trattamento,….., vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene, in particolare, nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri” (par. 13 e 14)

 

5 L’art. 10 della Convenzione, infatti, così dispone: “Ogni Stato membro per il quale la convenzione sia in vigore s'impegna a formulare e ad attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi adatti alle circostanze ed agli usi nazionali, la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonché di libertà individuali e collettive per le persone che, in quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul suo territorio” (sottolineatura nostra).

 

6 Art. 10 c. 2 Cost.: “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”; Art. 35 Cost.: “La Repubblica promuove e favorisce  gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”.

 

7 La delibera AGEC viola ulteriormente le norma di cui all’art. 9 c. 11 lett. c) del d.lgs. n. 286/98, come modificato dal d.lgs. n. 3 dd. 08.01.2007 che dispone, in combinato con la norme di cui all’art. 11 c. 1 lett. f) della direttiva  europea n. 2003/109/CE, il principio della parità di trattamento con i cittadini nazionali dei cittadini di paesi terzi titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (ex carta di soggiorno) nell'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica.

 

8 In proposito, si veda Luigi Gili, La condizione di reciprocità non può essere ragione di discriminazione nell’accesso all’edilizia residenziale pubblica in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 2/2005, pp. 98 ss., Franco Angeli, Milano.

 

9  In Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/2002, pagg. 126 ss; disponibile anche on-line sul sito www.leadernodiscriminazione.it (link tutela giuridica/giurisprudenza)

 

10 Sulla base del medesimo ragionamento non appare sufficiente a conferire fondamento legale legittimo al contenuto della delibera il riferimento alla disposizione della L.R. n. 10/96 che consente ai Comuni di stabilire condizioni particolari nell’attribuzione dei punteggi di selezione in rapporto a particolari situazioni presenti nel territorio comunale (art. 7 comma 1 lett. 10). E’ evidente che in virtù del citato  principio del rispetto della  gerarchia delle fonti normative, l’individuazione di condizioni particolari ad opera delle autorità comunali dovrà pur sempre conformarsi e non prescindere dal principio di parità di trattamento e di non discriminazione.

 

11 Il divieto di discriminazione di cui all’art. 43 del T.U. immigrazione, sebbene inserito nella disciplina attinente alla condizione giuridica dei cittadini migranti di paesi terzi non appartenenti all’Unione Europea, trova applicazione anche rispetto ai cittadini comunitari quali possibili vittime del trattamento discriminatorio.  Infatti, la norma prevede espressamente, nel suo ultimo capoverso, che la tutela prevista contro i comportamenti discriminatori trovi applicazione anche nei casi in cui le vittime della discriminazione, in tutti i settori compresi dalla definizione dell’art. 43 T.U., siano cittadini  italiani, comunitari e apolidi.

 

 

 

 

Di seguito il testo combinato delle delibere AGEC oggetto della lettera dell’ASGI

 

Testo combinato  delle delibere nn. 4 e 23 rispettivamente dd. 04.09.2007 e 23.09.2007 dell’AGEC di Verona aventi per oggetto: Bando regionale 2007. Art. 7 comma 1 lettera a) punto 10) L.R. 10/1996 – definizione punti aggiuntivi per particolari situazioni (punto 3 dell’O.D.G.).

 

OMISSIS

 

Il Consiglio di Amministrazione

 

Richiamato l’art. 7 comma 1 lett. a) punto 10) della Legge Regionale 10/96 che prevede la possibilità di assegnare, nella formazione della graduatoria, un punteggio aggiuntivo per particolari condizioni che devono essere stabilite con delibera del Consiglio Comunale;

 

richiamato l’art. 2 dello Statuto aziendale che conferisce all’AGEC “…tutti i compiti attribuiti agli organi dell’Amministrazione comunale in attuazione della Legge Regionale 2/4/1996, n. 10…”;

 

visto l’art. 12 della L. R. 18/1996 che ha modificato l’art. 7, comma 1, lett. a), punto 10) della L.R. n. 10/96, aumentando il punteggio massimo attribuibile per particolari situazioni da punti 4 a punti 8;

 

ritenuto opportuno prevedere nel Bando di concorso per l’anno 2007 l’attribuzione dei seguenti punteggi aggiuntivi:

 

  1. per i cittadini italiani che, alla data della domanda, siano residenti ovvero svolgano la propria attività lavorativa principale nel comune di Verona:

- da almeno otto anni                                                                  punti 1

- da almeno dieci anni                                                                 punti 2

- da almeno quindici anni                                                            punti 3

- da almeno venti anni                                                                 punti 4

 

2. per i nuclei familiari composti esclusivamente da persone di età superiore o uguale ad anni sessanta e con almeno un componente con età superiore o uguale ad anni sessantacinque, purchè residenti nel comune di Verona da almeno dieci anni.                 Punti 4

 

Ritenuto opportuno altresì prevedere che il Bando di Concorso per l’anno 2007 sia pubblicato in data 14 ottobre anche tenuto conto dei tempi necessari di modifica e di stampa di bandi e moduli domanda oltrechè di pubblicazione;

 

con il voto consultivo favorevole del direttore/a maggioranza OMISSIS

 

DELIBERA

 

-        di stabilire quali condizioni a cui attribuire un punteggio aggiuntivo, nel Bando di concorso per l’anno 2007, quelle sotto riportate, anche tenuto conto che il risultato complessivo della somma di tutte le condizioni sotto riportate non può superare i punti 8 complessivi:

 

  1. per i cittadini italiani che, alla data della domanda, siano residenti ovvero svolgano la propria attività lavorativa principale nel comune di Verona:

- da almeno otto anni                                                                  punti 1

- da almeno dieci anni                                                                 punti 2

- da almeno quindici anni                                                            punti 3

- da almeno venti anni                                                                 punti 4

 

2. per i nuclei familiari composti esclusivamente da persone di età superiore o uguale ad anni sessanta e con almeno un componente con età superiore o uguale ad anni sessantacinque, purchè residenti nel comune di Verona da almeno dieci anni.                 Punti 4

 

 

 

-        di autorizzare gli uffici aziendali a pubblicare il bando di concorso in data 14 ottobre 2007;

-        di trasmettere la presente deliberazione all’Amministrazione comunale affinché ne abbia conoscenza.

 

Testo non ufficiale assemblato a scopi esemplificativi ad opera dei curatori della Newsletter

 

 

 

 

 

 

 

1. Inizieranno a febbraio i lavori del Comitato ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale dedicati all’analisi della situazione italiana e dell’effettivo rispetto da parte delle istituzioni del nostro paese degli obblighi contenuti nella Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. In vista di tale appuntamento, un gruppo di organismi non governativi italiani ed europei inoltrano al Comitato ONU un rapporto sulle violazioni dei diritti umani a danno degli appartenenti alle comunità Rom e Sinti in Italia.

 

 

Il 18 gennaio scorso una coalizione di organizzazioni per i  diritti umani ha inoltrato al Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione Razziale un rapporto sulle violazioni dei diritti umani a danno degli appartenenti alle Comunità Sinti e Rom in Italia. Ciò in vista della prossima revisione da  parte del Comitato medesimo dell’effettivo rispetto da parte delle istituzioni del nostro paese delle norme contemplate nella Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione Razziale. Il rapporto è stato redatto congiuntamente da organismi internazionali non governativi quali  l’European Roma Rights Centre (ERRC) di Budapest, il Centre on Housing Rights and Evictions (COHRE), e da associazioni italiane quali OsservAzione e Sucar Drom.

Il rapporto si basa sulle esperienze delle suddette organizzazioni nella quotidiana assistenza e tutela dei diritti delle popolazioni Rom  e Sinti in Italia, e si concentra sulle forme di razzismo e le azioni discriminatorie a danno di appartenenti alle comunità Rom e Sinti, che hanno conosciuto una forte escalation a partire dal 2006. Il rapporto contiene una serie di raccomandazioni rivolte alle autorità italiane al fine di migliorare la situazione dei diritti umani degli appartenenti alle comunità Rom e Sinti in Italia. Il Comitato ONU per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale inizierà ad esaminare la situazione italiana già nella seconda metà del mese di febbraio.

 

Il testo integrale del rapporto in lingua inglese può essere scaricato dal sito web:

http://www.errc.org/db/02/9B/m0000029B.pdf

 

 

 

 

ATTUALITA’ INTERNAZIONALE

 

DISCRIMINAZIONI E DIRITTO EUROPEO E COMUNITARIO

 

 

1. Adozione di minori e violazione del divieto di discriminazione. Secondo la Corte europea per i diritti dell’Uomo di Strasburgo è discriminatorio  rifiutare l’autorizzazione ad adottare un bambino per il solo fatto dell’orientamento sessuale (omosessualità) del richiedente. Sentenza 22 gennaio 2008, n. 43546/02 Case of E.B. v. France.


La Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato la Francia per aver rifiutato ad una donna lesbica l'autorizzazione ad adottare un bambino. Secondo la Corte la Francia ha violato l'articolo 14 (divieto di discriminazione) e l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il 'Code Civil' francese non si pronuncia sulla necessità della presenza maschile per i procedimenti di adozione, e pertanto, secondo i giudici di Strasburgo, "il diritto francese autorizza l'adozione di un bambino da parte di un single, aprendo così la strada all'adozione da parte di una persona omosessuale". Se il richiedente dunque, all’esito degli opportuni accertamenti, presenta i requisiti idonei, conclude la Corte, è discriminatorio negare l’adozione per motivi legati all’orientamento sessuale.

 

Il testo integrale della sentenza della CEDU è reperibile sul sito web: http://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4520

 

 

 

2. Una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo tratta l’argomento dell’onere probatorio nei procedimenti attinenti alla discriminazione razziale, facendo riferimento alle indicazioni contenute nelle direttive europee nn. 97/89/Ce e 2000/43/Ce.

(CEDU, Grande Camera, sentenza 13 novembre 2007, ricorso n. 57325/00 – D.H. e altri contro Repubblica Ceca).

 

Nella sentenza D.H. e altri contro Repubblica Ceca dd. 13 novembre 2007, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo si sofferma, tra l’altro, sul tema dell’onere probatorio nei procedimenti giudiziari attinenti asseriti casi di discriminazione etnico-razziale. Sull’argomento, la Corte di Strasburgo fa esplicito riferimento alle soluzioni giuridiche adottate dal diritto comunitario, con le direttive nn. 97/80/CE e  2000/43/CE, e, quindi, al principio dello spostamento o inversione dell’onere probatorio. Sostiene, infatti, la Corte che quando il ricorrente ha indicato l’esistenza di una differenza di trattamento, incombe allo Stato convenuto dimostrare che questa sia giustificata. La sussistenza della differenza di trattamento  può essere dimostrata sulla base di deduzioni che possono essere ricavate dai fatti, ivi compresi i dati statistici, i quali tuttavia non sono di per sé sufficienti o indispensabili a rivelare una pratica qualificabile come discriminatoria. La Corte, tuttavia, afferma che dati statistici, attendibili e pertinenti, prodotti in giudizio possono essere uno strumento per dedurre l’esistenza di una discriminazione indiretta, così come confermato dalla recente giurisprudenza della Corte di giustizia europea. La Corte europea inoltre conferma che nei casi di discriminazione indiretta, ove l’effetto discriminatorio indiretto di una legislazione sia dimostrato, non occorre provare – almeno nei campi dell’istruzione, della prestazione dei servizi e dei rapporti di lavoro – che il comportamento oggetto di doglianza muova da un intento discriminatorio.

Riguardo al tema sollevato dalla Corte europea di Strasburgo dell’onere probatorio nei procedimenti giudiziari contro la discriminazione razziale, si ricorda come la legislazione italiana di recepimento della direttiva europea n. 2000/43/CE (D.lgs. n. 215/2003) sia sostanzialmente carente e omissiva rispetto agli standard fissati dalla direttiva, come sottolineato dalla stessa Commissione Europea con la comunicazione del giugno scorso con la quale si è formalmente aperta la procedura preliminare di infrazione a carico del nostro paese per mancata o insufficiente trasposizione e recepimento degli obblighi derivanti dalla direttiva europea n. 2000/43 (in proposito si veda Newsletter del progetto Leader n. 8 dd. 1 agosto 2007).

 

Il testo integrale della sentenza della CEDU può essere scaricato dal data base della Corte europea di Strasburgo: http://www.echr.coe.int/ECHR/EN/Header/Case-Law/HUDOC/HUDOC+database/

 

 

 

 

 

3. La Corte di Giustizia Europea ritiene che l’obbligo del giuramento di fedeltà alla Repubblica e, di conseguenza, il requisito della cittadinanza italiana per il personale delle aziende che operano nel settore della vigilanza privata, richiesto dal T.u.l.p.s. (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza) è in contrasto con il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, garantiti dal Trattato Ce.

 

Con la sentenza dd. 13 dicembre 2007 (Causa C-465/05, Commissione delle Comunità Europee contro Repubblica Italiana), la Corte di Giustizia Europea ha affermato tra l’altro che la normativa italiana (T.u.l.p.s.) che impone alle aziende operanti nel settore della vigilanza privata di reclutare solo personale che presti giuramento di fedeltà alla Repubblica, è in contrasto con il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, garantiti dal Trattato Ce. Secondo la Corte europea, infatti, le norme italiane   pongono le imprese straniere  in una posizione di oggettivo svantaggio rispetto a quelle italiane, non potendo le prime operare in Italia senza cambiare il proprio personale. Si configurerebbe, a detta della Corte, una condizione di discriminazione indiretta a danno delle imprese straniere, in quanto queste soffrirebbero di maggiori difficoltà nell’impiegare manodopera del loro paese di origine per servizi ed attività rese in Italia, mentre le imprese italiane di norma assumono cittadini italiani che non hanno difficoltà a rendere il giuramento di fedeltà richiesto dalla legge.

La clausola di ordine pubblico, invocata dalle autorità italiane a propria difesa, non è stata accolta dalla Corte di giustizia europea, la quale ha affermato che non  è detto che l’attività di vigilanza privata costituisca una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, come già osservato nella sentenza del 31 maggio 2001 (causa C-283/99). Secondo la Corte europea,  per l’assistenza nel settore dei trasporti di valori, gli operatori privati forniscono “un mero contributo al mantenimento della pubblica sicurezza”, senza però costituirne un esercizio; così i verbali redatti dalle guardie giurate non hanno lo stesso valore probatorio di quelli degli agenti di polizia giudiziaria.

 

La sentenza della Corte di Giustizia europea è reperibile sul sito web:  http://curia.europa.eu/it/content/juris/index.htm, nonché è stata pubblicata e commentata in “Guida al Diritto /Il sole  24 ore  Diritto Comunitario e Internazionale”, n. 1 gennaio-febbraio 2008, pp. 50-62.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DOCUMENTI, RAPPORTI E RICERCHE



1.

 

COSPE, RAPPORTO ANNUALE RAXEN 2006. Razzismo, Discriminazione e xenofobia in Italia nel 2006.

 E’ stato pubblicato dal COSPE Onlus di Firenze il rapporto annuale Raxen 2006 che fornisce una panoramica completa della situazione in Italia relativa al razzismo e alle discriminazioni nel corso dell’anno 2006 in 5 aree tematiche: educazione, occupazione, alloggio, legislazione, violenza e crimini razzisti.

Il rapporto è stato redatto dal COSPE in quanto Punto Focale Nazionale dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali di Vienna, nell’ambito del progetto Raxen 7 (Rete di informazione europea su razzismo e xenofobia).

 

La versione elettronica del rapporto è disponibile all’indirizzo:

http://www.cospe.org/italiano/documenti.php

 

 

 2.

Timo Makkonen, Good as far as it goes, but does it go far enough ? A report on Norway’s Anti-Discrimination Laws and Policies, Migration Policy Group, November 2007.

 

Il rapporto, redatto da Timo Makkonen in qualità di esperto del Migration Policy Group di Bruxelles, ha lo scopo di analizzare  il quadro politico, istituzionale e legislativo norvegese nell’ambito delle politiche antidiscriminatorie, con riferimento ai migliori standard internazionali ed europei. Il rapporto descrive un paese che ha inteso investire notevolmente sul piano delle politiche per la parità di trattamento e la non-discriminazione, con l’avvio nel 2006 di tre apposite istituzioni nazionali: l’Ombudsman per l’Eguaglianza e la non discriminazione, il Tribunale  contro le discriminazioni,  ed il Dipartimento per l’Integrazione e le diversità, nonché , sempre nel 2006, con l’entrata in vigore della nuova legge contro le discriminazioni. Il rapporto sottolinea tuttavia l’esistenza di ulteriori margini di miglioramento, in particolare negli ambiti delle azioni positive, della legislazione sulla raccolta ed il trattamento di dati  “sensibili” ai fini del monitoraggio statistico dell’effettività delle politiche di uguaglianza di opportunità e delle sacche di discriminazioni indirette, nonché nel mainstreaming dei principi di eguaglianza di trattamento.

 

Il testo integrale del rapporto può essere scaricato dal sito web del  Migration Policy Group:

www.migpolgroup.com

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONFERENZE E SEMINARI

 

CONFERENZA
CAUSE STRATEGICHE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE

Mercoledì 20 Febbraio 2008  presso: Regione Emilia Romagna – Viale Silvani 6, Sala 5, Bologna.

La conferenza è l’evento conclusivo del progetto “Cause strategiche contro la discriminizione”  co-finanziato da UNAR - Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità, promosso da Cospe in collaborazione con ASGI, CESTIM, ENAR e il Servizio Politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale dei cittadini stranieri Regione Emilia-Romagna. Le cause strategiche sono cause legali che organizzazioni di tutela contro le discriminazioni, avvocati e singoli individui decidono di intraprendere allo scopo d’indurre un cambiamento sociale, legislativo e giurisprudenziale che contribuisca allo sviluppo della tutela dei diritti umani.
In Europa il ricorso alle cause strategiche sta diventando uno dei metodi più utilizzati per combattere le discriminazioni sulla base della razza e dell’origine etnica, mentre in Italia il tema è stato sinora poco trattato e ancor meno praticato. Per decidere se intentare una causa strategica occorre valutare molti elementi: esperti e vittime si sono confrontati su questo tema per un anno e le loro riflessioni sono presentate in un opuscolo e riproposte in questa conferenza.

La conferenza è dunque il luogo dove associazioni di tutela contro le discriminazioni in ogni campo, istituzioni pubbliche di tutela delle vittime di discriminazione, persone a rischio di discriminazione fondata sulla razza, sul colore, l’ascendenza o origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, avvocati e magistrati, possono dibattere sulla praticabilità delle cause legali strategiche in Italia.
Lo scopo è gettare le basi per una collaborazione strutturata che rafforzi il movimento anti-discriminazione e le vittime nella tutela dei propri diritti.

Per informazioni:
Segreteria organizzativa Cospe
Via Lombardia 36 Bologna
Tel. 051 546600
cospe@cospe-bo.it

Oppure consultare il sito web: http://www.cospe.it/italiano/dettaglioNews.php?id=344&i=wy

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

 

  

Jean-Pierre Liégeois, Roma in Europe, Council of Europe Publications, 30 euro.

Il libro intende contribuire ad una migliore comprensione della presenza Rom nel continente europeo, descrivendo da un lato la ricchezza della loro cultura ed identità, ma anche le persecuzioni subite nel corso dei secoli. Il libro è rivolto in particolare a insegnati, operatori sociali e persone con responsabilità politiche ed amministrative nella materia. Il libro è disponibile anche nella versione in lingua francese.

Per acquistare il libro on-line, visitare il sito:

http://book.coe.int/EN/ficheouvrage.php?PAGEID=36&lang=EN&produit_aliasid=2132

 


Di seguito si riproduce il sommario del libro.

Contents

Part I – Sociocultural data
1. Discovery
Origins
Dispersal and establishment
Migration

2. Populations
Numbers
Names
Living conditions

3. Language
Variations
Comparisons
Functions

4. Social organisation
A mosaic
Organisation
Alliances
Social control

5. Travel

6. The family

7. Religion

8. Economic organisation

9. Art

10. Lifestyle and identity

Part II – Sociopolitical data
11. Historic experience
Exclusion
Containment
Inclusion
Indecision
 
12. Modern times
Individual and group legal status
The legal status of travel
Other regulations
Administration

13. Attitudes and reactions
Local populations
Local authorities
Nomads and stopping-places
Sedentary families and accommodation

14. The imaginary Gypsy: manipulated images

15. The school as an institution
Context
A crucial consideration
Specialised schooling
… or mainstream
A philosophy of schooling
Towards an intercultural ethos

16. Social action
Social work
Non-Gypsy associations and organisations
Towards a new situation?

17. Roma/Gypsy organisations
A history
World Congresses
Plans for a European organisation
Profound change
The political stakes

18. International institutions
The European Union
The Council of Europe
The Organisation for Security and Co-operation in Europe
The United Nations
Advancing on a broad front
Necessary evaluation

19. Reflection and action
The Gypsy world
Development aid – the realm of uncertaint
A new landscape
A set of principles
Towards a hyperproject
A ‘paradigm’ effect
 
Appendices
1. Contributors to the first two editions
2. Useful references
3. Council of Europe glossary on Roma and Travellers .