GLI ACCORDI CON I DITTATORI NON PAGANO.

Negli stessi giorni in cui in Pakistan veniva imbastita una montatura di regime da parte di Musharraf per coprire le responsabilità dell’omicidio politico di Benazir Bhutto, mentre in Kenia si andava preparando quella bomba ad orologeria che è puntualmente esplosa dopo lo scandalo dei brogli elettorali, tra la Libia e l’Italia si è giocata una partita diplomatica che ha finalmente prodotto i risultati da tempo sperati dai governi italiani, prima da Berlusconi e da Pisanu, poi da Prodi, D’Alema e Amato. Otto anni dopo l'avvio delle prime trattative con il colonnello Gheddafi, l'Italia  ha  finalmente siglato un accordo per combattere l'immigrazione clandestina. Finora si era trattato solo di intese operative, a livello di forze di polizia, adesso quelle stesse forze di polizia ottengono dai politici la formalizzazione e la legittimazione delle prassi “riservate”  seguite fin qui, con l’aggiunta di mezzi e personale che dovrebbero migliorare “l’efficienza”  degli interventi di contrasto. La firma congiunta sul protocollo è stata apposta dal ministro degli Esteri Abdurrahman Mohamed Shalgam e dal titolare del Viminale Giuliano Amato, volato in Africa con il responsabile del suo gabinetto Gianni De Gennaro, vero elemento di continuità di tutta la trattativa, accompagnato dal capo della polizia Antonio Manganelli.

Un accordo importante, che coincide con il ruolo assegnato alla Libia in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dopo che gli Stati Uniti d’America sono diventati i principali sponsor di un paese che fino a pochi anni fa era ancora incluso nella lista degli stati canaglia. Ma l’impegno di Gheddafi nella lotta contro il terrorismo internazionale ( almeno stando alle sue più recenti dichiarazioni) ha convinto gli americani, a corto di alleati nella “crociata contro il male”, ad allearsi con la Libia ed a promuovere la riabilitazione internazionale del regime libico. I paesi europei, l’Italia in testa, stanno facendo da tempo la fila per guadagnarsi i favori ( economici ) del potente vicino e la sua collaborazione nella “guerra contro l’immigrazione illegale”, senza preoccuparsi troppo del rispetto dei diritti umani dei migranti bloccati in Libia o delle vite dei tanti che pur di fuggire da quel paese sfidano la morte nelle acque del Mediterraneo.

L’Italia è stato il paese europeo che si è maggiormente impegnato per la rimozione dell’embargo contro la Libia, dimostrando da questo punto di vista una totale continuità di politica estera, dal Governo D’Alema nel 1999, al Governo Berlusconi ed al Governo Prodi, poi. La vicenda della liberazione delle infermiere bulgare e del medico palestinese, nell’estate del 2007, aveva segnato un punto in favore del “concorrente” alleato francese, scandito anche dalla visita di Gheddafi a Parigi, ma adesso il nuovo accordo sottoscritto da Amato con il suo omologo libico, con la “benedizione” del commissario europeo Frattini, rimette in corsa la diplomazia italiana ed apre nuovi scenari per una più intensa collaborazione economica. Altro che maggiori prospettive di salvare la vita ai clandestini ! E’ documentato da dati inoppugnabili come ogni intensificazione delle misure di contrasto dell’immigrazione clandestina, senza il riconoscimento dei diritti fondamentali, come il diritto di asilo, e senza l’apertura di canali di ingresso legali, produca una crescita esponenziale di vittime dell’emigrazione clandestina.   

La stipula dell’accordo tra Italia e Libia purtroppo non stupisce in un mondo nel quale le ragioni della globalizzazione economica si affidano sempre più spesso alle armi, alla etnicizzazione dei conflitti e quindi ai regimi dittatoriali, alle carceri ed alla tortura, piuttosto che alla emancipazione economica e sociale delle popolazioni autoctone, spesso costrette alle migrazioni – se non dalla guerra - proprio per la desertificazione sociale, politica ed ambientale dei territori che abitano.

Da una parte all’altra del mondo, si continua a puntare su regimi privi di una qualsiasi legittimazione democratica, per “garantire la pace” nelle relazioni internazionali e la sicurezza interna, oltre, naturalmente, i profitti delle multinazionali. Con quali risultati è possibile per tutti, oggi, verificare.  L’allarme terrorismo si è da tempo esteso all’Africa settentrionale e ovunque si registra una alleanza di fatto ( malgrado dichiarino di combattersi a vicenda) tra le organizzazioni terroristiche e i regimi militari, a danno della società civile, degli studenti, dei docenti universitari, degli operatori dell’informazione, degli avvocati, dei magistrati e di tutti coloro (anche esponenti politici) che in quei paesi lottano ogni giorno per la pace e la democrazia, attraverso la giustizia sociale, senza aspettare che siano le armi e le divise ad imporle.

Le pratiche poliziesche di extraordinary rendition con la esternalizzazione della tortura sono un altra merce di scambio che alcuni paesi di transito, dal Marocco all’Egitto in Africa, ed altrove, utilizzano per accreditarsi come partner affidabili, anche quando sono governate da regimi che sino a qualche anno fa erano percepiti, anche a da parte dell’opinione pubblica, come partner impresentabili. Il caso della Libia presenta poi aspetti del tutto particolari, ancora da verificare sotto questo punto di vista perché la collaborazione con gli Stati Uniti è ancora assai recente. Ma la Libia presenta altre particolarità, che non andrebbero trascurate, perché non si tratta di un paese di emigrazione, ma semmai di transito, ricco di risorse naturali e finanziarie, in certi periodi anche un paese di immigrazione, uno stato che, dopo la riabilitazione americana,  e le promettenti offerte della diplomazia europea, può permettersi di negoziare da posizioni di forza con qualunque interlocutore.

La legittimazione del colonnello Gheddafi dopo il vertice di Lisbona ed il suo viaggio in Francia e in Spagna, come gendarme di un area ad alto rischio, facevano facilmente prevedere una intensificazione dei rapporti già esistenti di collaborazione con i paesi europei nel contrasto dell’immigrazione clandestina. Già dal 2003, peraltro, l’Italia aveva concluso e praticato con la Libia intese operative, come quelle che tra il 2004 e il 2005 avevano supportato le operazioni di rimpatrio dalla Libia verso numerosi paesi di origine dei migranti e, tra le altre, le deportazioni collettive da Lampedusa, malgrado la condanna del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. E sono noti da tempo casi ( ancora) isolati di respingimento in mare di imbarcazioni cariche di migranti, praticato da unità militari italiane, verso i porti libici.

Dopo mesi di trattative riservate condotte dai più alti vertici del ministero dell’Interno, sulle quali si è taciuto persino in Parlamento di fronte a diverse interrogazioni parlamentari che chiedevano di fare chiarezza sui rapporti tra la Libia e l’Italia, si è così giunti alla firma di uu “protocollo d’intesa” da parte del ministro Amato e del suo omologo libico.  Si istituiscono centrali operative e sistemi di monitoraggio comuni per contrastare l’immigrazione clandestina, con il dispiegamento di unità militari italiane in acque libiche a ridosso della costa, per adesso sei imbarcazioni della Guardia di Finanza,  tra le più avanzate tecnologicamente, che opereranno con equipaggi misti per respingere i migranti verso i porti di partenza.

Il Protocollo prevede inoltre che l’Italia assuma ulteriori iniziative a livello europeo per rinforzare i dispositivi di “guerra all’immigrazione illegale” come l’agenzia FRONTEX. Secondo quanto si apprende dai giornali ( fonte: Corriere della sera) “la direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo vengono affidati ad un Comando operativo interforze che sarà istituito presso una «idonea struttura» individuata dalla Libia. Il responsabile sarà un «qualificato rappresentante» designato dalle autorità libiche, mentre il vice comandante (con un suo staff) verrà nominato dal Governo italiano. Tra i compiti del Comando interforze quello di organizzare l'attività quotidiana di addestramento e pattugliamento; di «impartire le direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo»; di interfacciarsì con le «omologhe strutture italiane», potendo anche richiedere l'intervento o l'ausilio dei mezzi schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione”. I termini dell’accordo, malgrado il riserbo ufficiale appaiono molto chiari. Sappiamo già cosa significa il “fermo di natanti” in mare, migliaia di morti e ancora processi per i comandanti delle imbarcazioni non militari,  autori di interventi di salvataggio. Ed è ben nota la condizione dei migranti restituiti alla polizia libica dopo il respingimento da parte delle autorità italiane.

Il protocollo sottoscritto a Tripoli da Amato e dal ministro degli interni libico dovrebbe rientrare tra gli accordi che sono previsti già nel T.U. sull'immigrazione agli articoli 2, 3 e 21, modificati dalla legge Bossi-Fini, con disposizioni che suscitano ancora gravi sospetti di incostituzionalità perché si tratta di accordi internazionali di indubbia valenza politica e di ingente portata economica che sono sottratti alla ratifica parlamentare prevista dall'art. 80 della nostra Costituzione. Gli stessi accordi, a seconda del loro contenuto, o delle intese operative che ne seguono, possono violare principi consolidati di diritto internazionale . La riammissione, o il respingimento a mare di migranti verso stati che non garantiscano il rispetto dei diritti umani fondamentali, ovvero nei quali gli interessati possano essere vittime di trattamenti disumani o degradanti, sono tassativamente proibiti dall'art. 3 della stessa Convenzione Europea. Analogamente è vietato il rinvio verso stati nei quali non vi è l'effettiva possibilità di accedere alla protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, convenzione che la Libia non ha ancora sottoscritto.

In questi anni si è avuta notizia di migliaia di casi di respingimento di potenziali richiedenti asilo da parte delle autorità libiche, e sono ormai numerose le testimonianze sulla detenzione in condizioni disumane e degradanti che viene praticata in Libia, come si è verificato nel caso degli eritrei e degli altri migranti irregolari detenuti nel carcere di Misurata ed in altri luoghi di detenzione, anche fosse scavate nel deserto. I migranti irregolari, anche quelli giunti in Libia per lavorare, attratti dagli inviti del colonnello Gheddafi ai tempi dell’embargo, sono stati poi utilizzati come merce di scambio e sono stati consegnati dalle autorità di polizia libiche agli stati dai quali fuggivano, come il Sudan o l’Eritrea, subendo imprigionamenti arbitrari e torture di ogni genere. Chi è riuscito a salvarsi ha dovuto pagare somme sempre più elevate alla polizia libica.  Con questi leader politici e con queste forze di polizia adesso l’Italia ha firmato un protocollo per la “cooperazione contro l’immigrazione clandestina”. Vedremo e documenteremo attraverso le testimonianze che sarà possibile raccogliere come e quando gli agenti italiani che collaboreranno con la polizia libica riusciranno a garantire i diritti umani dei migranti e a contrastare la corruzione diffusa in Libia a tutti i livelli.

Al di là del giudizio negativo che si può formulare su un accordo concluso sulla pelle dei migranti, senza alcun riguardo per le categorie più vulnerabili, come donne, minori,  richiedenti asilo, viene forte il dubbio che i paesi, come la Francia e l’Italia, che stanno investendo risorse ingenti attribuendo a regimi dittatoriali compiti sempre più importanti per bloccare l’immigrazione e per combattere il terrorismo, possano avere fatto male i propri conti, per la inaffidabilità dei partner che non sembrano certo in grado di garantire quanto hanno millantato, ma che intanto prosperano sugli aiuti economici e sulle forniture militari che gli vengono generosamente elargite. Continuando a governare con la violenza militare e con la repressione di qualunque forma di dissenso. Violenza militare e repressione che non possono che alimentare la base delle organizzazioni terroristiche. Malgrado il ”maquillage” democratico consigliato  a bassa voce, talvolta appena accennato in qualche postilla degli accordi, dai partner europei.

Nel corso dei suoi incontri a Parigi, Gheddafi ha immediatamente smentito Sarkozy quando questi ha affermato di avere trattato, nel suo colloquio con il leader libico, il dossier sul rispetto dei diritti umani in Libia. La Libia, il cui ruolo nella crisi del Darfur, come in altri paesi africani, è ancora tutto da decifrare, contesta persino il Tribunale penale internazionale, non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, ma siede a pieno titolo nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Rimane tutta da provare la sua effettiva capacità deterrente verso le organizzazioni terroristiche, mentre sta cominciando a ricevere (dalla Francia)  materiali utili per la costruzione di centrali nucleari, per uso civile, naturalmente, centrali che saranno ubicate a poche centinaia di chilometri dal territorio italiano.

Non crediamo che i nuovi accordi produrranno gli effetti auspicati di contrastare l’immigrazione clandestina salvaguardando la vita ed i diritti fondamentali dei migranti irregolari. Un recente sondaggio condotto dal Corriere della sera tra i lettori di questo giornale evidenzia come oltre il 70% degli intervistati esclude che i nuovi accordi possano ridurre l’immigrazione clandestina. Speriamo almeno che i sistemi di sorveglianza delle installazioni nucleari libiche funzionino e che gli addetti alla manutenzione siano più diligenti dei loro colleghi che anni fa hanno messo fuori uso in pochi giorni le prime motovedette vendute loro dall’Italia. E speriamo soprattutto che una volta riconosciuto il colonnello Gheddafi come leader regionale, non sia proprio l’Italia, dipendente dalla Libia per le forniture energetiche, a pagare le conseguenze più amare dei ricatti e dei voltafaccia di questo scomodo alleato.

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo