Magistratura Democratica

 Associazione per gli studi giuridici sullĠimmigrazione (ASGI)

 

 

 

LA SICUREZZA APPARENTE.

L'intolleranza normativa sugli immigrati stranieri e sulla circolazione dei cittadini della UE nel pacchetto sicurezza del nuovo Governo italiano

 

 

 

 

LĠItalia ha una storia recente di paese di emigrazione. In 100 anni, tra il 1873 e il 1973, dal nord come dal sud, 26 milioni di italiani sono migrati allĠestero. Una cifra pari allĠintera popolazione italiana allĠepoca dellĠunitˆ della nazione. Eravamo noi, allora e fino a non tanto tempo fa, gli altri, quelli di cui diffidare, i DAGO (da dagger, coltello, gli accoltellatori, il popolo dello stiletto) oppure gli WOP (without papers) del momento.

In Italia si continua a parlare di immigrazione come unĠemergenza, ma  dal 1987 (con il superamento della soglia del mezzo milione di persone) che esiste.

Sono pi di 20 anni che cĠŽ e che cresce. E non si fermerˆ (da noi, come in Europa e nel mondo) per molteplici ragioni di ordine umano, sociale, economico, demografico (in un paese che tende ad invecchiare come lĠItalia, tra il 1995 e il 2005 la metˆ dellĠincremento della natalitˆ  attribuito statisticamente a donne straniere).

Le attuali politiche legislative italiane dimenticano, invece, la nostra storia recente e nel contempo disattendono sia le esigenze del mercato italiano sia lĠesperienza maturata in questo ventennio. Esperienza da cui  emersa, incontestabilmente quanto oggettivamente, la necessitˆ di avere un approccio realistico al fenomeno dellĠimmigrazione, attraverso lĠapertura di maggiori e pi efficaci canali di ingresso regolare e la eliminazione di ogni burocratizzazione della gestione dei flussi.

Ma lĠattuale politica legislativa sullĠimmigrazione, varata o programmata dallĠattuale Governo, dimentica anche lĠimprescindibile necessitˆ di rispettare il diritto comunitario e i diritti fondamentali delle persone.

Cos“ facendo  la politica legislativa stessa a creare insicurezza, sia per gli stranieri che per gli italiani, per il presente e per il futuro, chiudendo, di fatto o di diritto, le possibilitˆ di avere un regolare visto o permesso di soggiorno, costringendo migliaia di lavoratori stranieri, famiglie e aziende a vivere in clandestinitˆ il rapporto di lavoro e gli stranieri ad essere clandestini e non persone.

Clandestino significa colui che si nasconde, ma gli stranieri in Italia sono visibilissimi, sono nelle nostre case, curano i nostri familiari e gli ammalati, costruiscono le nostre case, fanno andare avanti le aziende, raccolgono la frutta e la verdura nei nostri campi, pescano per noi il pesce, frequentano le scuole insieme ai nostri figli, ecc. ecc.

Ci˜ nonostante, sono considerati clandestini, sono evocati come il male dellĠepoca attuale, sono definiti solo in una contrapposizione ÒnoiÓ e ÒloroÓ, sono deprivati di ogni dignitˆ e di ogni diritto. Sono e devono essere invisibili, clandestini.

Invece di attuare politiche che rendano visibili le minoranze e diano prioritˆ al ricongiungimento familiare come strumento di inclusione (si pensi allĠesperienza Canadese) il modello di gestione concreta  quella dell'esclusione, del sommerso, del lavoro nero (nelle imprese, specie piccole, del nord; nellĠagricoltura al sud; nellĠassistenza agli anziani e nellĠedilizia in tutto il paese) ed eventualmente delle sanatorie di massa, chiamate come tali o con altri nomi.

Per diventare regolari con le sanatorie, circa i due terzi di stranieri interessati (circa tre milioni di regolari a fine 2005, pari a circa il 5% della popolazione e ad una Regione media del paese) hanno dovuto essere prima irregolari.

Il meccanismo legale degli ingressi e del soggiorno  infatti privo di basi di realtˆ rispetto al governo dei flussi effettivi, alla domanda e allĠofferta di immigrati. EĠ fondato essenzialmente sul principio dellĠincontro a livello planetario di domanda e offerta di lavoro (ti chiamo dal tuo paese senza conoscerti) e su un sistema di fissazione di quote annue, tenute in pratica molto al di sotto delle richieste dello stesso mercato.

Non esiste un titolo legale per fare ingresso in Italia per cercare lavoro.

Se pure si entra in modo regolare per altri motivi (es. turismo) e si resta perchŽ si  trovato lavoro non cĠ possibilitˆ per regolarizzare individualmente la propria posizione, se non sperare di rientrare prima o poi nei decreti flussi (facendo finta di stare allĠestero) ovvero in una forma di sanatoria (che non costituisce, peraltro, unĠesclusiva italiana).

Gli ultimi provvedimenti di regolarizzazione/sanatoria sono del 2002 e si collocano nel contesto della legge Bossi – Fini ovvero della stretta data alla normativa dellĠimmigrazione dallĠallora Governo di centro destra.

Fu la pi grande sanatoria di sempre: 646.000 persone complessivamente.

Si disse: questa  lĠultima e dĠora in poi Òtolleranza zeroÓ;  per qualsiasi violazione alla normativa di ingresso e soggiorno, salvo rare eccezioni, espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera ovvero privazione della libertˆ personale; se serve trattenimento in un centro di permanenza temporanea (istituto giˆ esistente dal 1998), fino a 60 giorni; se non basta, processo penale per direttissima e carcere (fino a 4 anni di reclusione dal 2004) in caso di inottemperanza allĠordine dellĠAutoritˆ di Polizia (il Questore) di lasciare il territorio nazionale entro 5 giorni. E allĠesito di nuovo lĠespulsione amministrativa.

Ma non ha funzionato.

Rispetto al pur apparentemente ampio decreto flussi del Governo Prodi del dicembre 2007 (170.000 ingressi programmati) le domande in eccedenza (di persone che non vogliono nascondersi) sono state centinaia di migliaia. Ancora oggi sono ufficialmente pendenti oltre 400 mila pratiche.

Non sono aumentati, ma semmai diminuiti in termini assoluti gli allontanamenti tra il 2003 e il 2006.

ÒEĠ stata la casualitˆ a determinare i trattenimentiÓ (nei CPT) ÒnonchŽ i conseguenti accompagnamenti alla frontieraÓ (parole del rapporto presentato nel gennaio 2007 al Ministro dellĠInterno Amato, del precedente Governo di centro sinistra, da parte della Commissione diretta dallĠambasciatore Staffan De Mistura).

Non risulta nel periodo un significativo aumento della percentuale complessiva di rimpatri (che si stima pari a circa il 45%) degli stranieri identificati dalla Polizia nel mucchio dei tanti presenti.

Nessuna effettiva utilitˆ rispetto alla soluzione delle difficoltˆ allĠesecuzione delle espulsioni (spesso legate a problemi di identificazione e alle relazioni internazionali con i paesi di provenienza) hanno portato i processi penali per i reati collegati alle irregolaritˆ nel soggiorno.

Non si  riusciti persino a dare esecuzione, in misura almeno prevalente, alle espulsioni di imputati stranieri detenuti in carcere, anche per vari mesi, per aver commesso reati comuni e nemmeno a tutte le espulsioni disposte dallĠAutoritˆ Giudiziaria di persone giˆ in carcere (espulsione come misura alternativa alla detenzione). E ci˜ porta a ritenere che nelle condizioni date lĠeventuale aumento del termine di durata della restrizione della libertˆ personale nei CPT non serva di per sŽ al fine dichiarato di assicurare lĠesecuzione delle espulsioni, ma abbia un significato sostanzialmente punitivo.

La tolleranza zero, ciecamente rigida, dallĠingresso allĠespulsione non ha risolto alcun problema, nonostante un dispendio di risorse economiche sempre crescente e tale che negli ultimi anni oltre lĠ80% dei fondi disponibili sono stati spesi per politiche di contrasto e meno del 20% per politiche di sostegno allĠimmigrazione.

Al contrario, lĠinizio della riforma a cui stava pensando il precedente Governo, condivisa per gran parte dalle associazioni che da sempre si occupano di immigrazione, aveva aperto spiragli (sia pur timidi) nel senso della effettivitˆ della gestione del fenomeno migratorio, allentando talune rigiditˆ burocratiche o normative, attuando precise direttive comunitarie, cos“ rendendo possibile una realistica emersione dalla invisibilitˆ e dunque un riconoscimento della dignitˆ e dei diritti della persona migrante.

Il processo  stato, tuttavia, bruscamente interrotto con il cambio di legislatura, nella quale si  immediatamente cercato di esaltare il binomio migrante/criminale – frutto di un errato approccio trasversale alle varie forze politiche ed enfatizzato dai mass media – varando provvedimenti legislativi basati esclusivamente su un approccio repressivo.

Questa  oggi la politica al centro del c.d. pacchetto sicurezza dĠiniziativa governativa, formato dal decreto legge n. 92.2008 (giˆ entrato in vigore, salva conversione in legge da parte del Parlamento) e da alcuni disegni di legge.

 

1. DIRITTO PENALE

 

ÇGli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societˆ pi avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, s“ che - senza indulgere in atteggiamenti di severo moralismo - non si pu˜ non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a "nascondere" la miseria e a considerare le persone in condizioni di povertˆ come pericolose e colpevoli. Quasi in una sorta di recupero della mendicitˆ quale devianza, secondo linee che il movimento codificatorio dei secoli XVIII e XIX stilizz˜ nelle tavole della legge penale, preoccupandosi nel contempo di adottare forme di prevenzione attraverso la istituzione di stabilimenti di ricovero (o ghetti?) per i mendicantiÈ.

Le parole con le quali la Corte costituzionale dichiar˜ lĠillegittimitˆ del reato di ÒmendicitˆÓ di cui allĠart. 670, comma 1, cod. pen. (sent. n. 519 del 1995) illuminano bene il senso delle iniziative legislative in tema di immigrazione dellĠultimo pacchetto-sicurezza: il passaggio dalla guerra alla povertˆ, che ha rappresentato lĠorizzonte del costituzionalismo del secondo dopoguerra, alla guerra ai poveri; la criminalizzazione - attraverso strumenti penali e amministrativi - delle cause profonde dellĠimmigrazione: gli straordinari squilibri tra i pochi nord e i molti sud del mondo, la fame, la guerra, lĠoppressione di regimi dittatoriali. Rispetto a quelle cause, ritorna - e si afferma su scala globale - la tendenza Ça considerare le persone in condizioni di povertˆ come pericolose e colpevoliÈ.

La previsione, nel disegno di legge n. 733/S, del delitto di ingresso illegale nel territorio dello Stato risponde ad una logica che ne mette in luce la irriducibile incompatibilitˆ con il volto costituzionale dellĠillecito penale: viene sanzionato penalmente non un fatto lesivo di beni primari, ma una condizione individuale, la condizione di migrante.

La stessa logica di fondo caratterizza lĠintroduzione, ad opera del decreto-legge n. 92 del 2008, di una nuova circostanza aggravante comune per Çil soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionaleÈ: destinata ad operare, grazie alla definizione a maglie larghe che la caratterizza, anche nei confronti del cittadino di uno Stato membro dellĠUnione, la nuova circostanza aggravante codifica la mistificante equazione irregolaritˆ/criminalitˆ largamente accreditata nella discussione pubblica (grazie soprattutto alle martellanti campagne di imprenditori della paura). 

Valgono a fortiori per il delitto di immigrazione clandestina e per lĠaggravante prevista per lo straniero irregolare (a maggior ragione se usata come fattore di esclusione della sospensione dellĠesecuzione della pena e della possibilitˆ di chiedere da liberi lĠaccesso alle misure alternative alla detenzione ai sensi dellĠart. 656, co. 9 lett. a), c.p.p., secondo un emendamento parlamentare al decreto legge) le valutazioni espresse dalla Corte costituzionale (sentenza n. 22 del 2007) a proposito del reato di ingiustificata inosservanza dellĠordine di allontanamento del questore, definito una Çfattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolositˆ dei soggetti responsabiliÈ: e proprio perchŽ svincolati da una Çaccertata o presunta pericolositˆ dei soggetti responsabiliÈ il delitto e lĠaggravante risultano, in realtˆ, incentrati su una distinzione correlata alle condizioni personali del migrante in contrasto con il nucleo essenziale del principio di eguaglianza e con i divieti di discriminazione sanciti dal molteplici fonti internazionali.

Inutili sul piano dellĠefficacia, le nuove norme avrebbero conseguenze pesantissime  sullĠattivitˆ degli uffici giudiziari e degli organi di polizia, che vedrebbero assorbite nella repressione del nuovo reato una buona parte delle - scarse - risorse di cui dispongono: la sicurezza vera delle persone, quella messa a repentaglio dai reati contro lĠincolumitˆ e le libertˆ delle persone e contro i loro beni e le loro attivitˆ, non ne trarrebbe dunque alcun beneficio, ma ne verrebbe anzi pregiudicata.

Il decreto-legge n. 92 stabilisce poi un drastico allargamento dei casi di espulsione a titolo di misura di sicurezza, prevista quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni (in luogo dei dieci anni originariamente stabiliti dallĠart. 235 c.p.).

LĠistituto viene esteso alle stesse condizioni di pena allĠallontanamento dei cittadini dellĠUnione.

Ad esso si accompagna lĠintroduzione di una nuova fattispecie incriminatrice (punita da 1 a 4 anni di reclusione) della trasgressione dellĠordine di espulsione o di allontanamento impartito dal giudice: la previsione non appare adeguata rispetto alle esigenze di tassativitˆ-determinatezza, come testimonia il raffronto con le analoghe disposizioni contenute nel testo unico sullĠimmigrazione.

LĠestensione nelle forme concrete esposte (che per fare un esempio riguardano la condanna al minimo legale della pena per un imprenditore che commetta un delitto di bancarotta fraudolenta non grave) si pone, in specie rispetto ai cittadini dellĠUnione, in forte tensione con il principio della loro libera circolazione.

In un sistema legale come quello italiano che, come spiegato nellĠintroduzione, condanna una larga parte dei migranti allĠirregolaritˆ, piuttosto che introdurre quegli strumenti flessibili relativi ad ingresso e soggiorno che sarebbero necessari per indurre gli immigrati (e i loro datori di lavoro) a comportamenti virtuosi e a uscire dallĠirregolaritˆ, favorendo al contempo quellĠuniversale strumento di stabilizzazione che  il ricongiungimento familiare, si punta allĠopposto attraverso lo strumento penale.

EĠ questo il senso di un altro aspetto dellĠintervento governativo, con la previsione (nel decreto-legge n. 92) di una - ennesima - fattispecie di reato che punisce, con la reclusione da sei mesi a tre anni, la cessione di un immobile ad uno straniero irregolarmente soggiornante.

Alla condanna definitiva segue la confisca obbligatoria dellĠimmobile (che dunque pu˜ essere soggetto a sequestro preventivo a norma dellĠart. 321, co. 2, c.p.p. per tutta la durata del processo). A parte le possibili ripercussioni negative sul mercato immobiliare segnalate dalla stampa specializzata, anche per la manifesta sproporzione della misura di sicurezza patrimoniale che colpisce le persone che cedono gli immobili ove non estranee allĠillecito, la nuova figura di reato persegue il chiaro obiettivo di fare terra bruciata intorno allo straniero irregolare e, a tale scopo, allarga, in assenza di reali esigenze di tutela, lĠarea delle condotte incriminate dalla norma sul favoreggiamento della permanenza illegale (art. 12, comma 5, d.lgs. n. 298 del 1998).

 

2. DETENZIONE AMMINISTRATIVA

 

Il disegno di legge A.733,  recante misure urgenti di pubblica sicurezza, prevede lĠinnalzamento fino a 18 mesi del periodo di trattenimento in un centro di permanenza dello straniero espellendo o respingendo: dopo i primi 60 giorni (invece degli attuali 30), il trattenimento  prorogabile dal giudice, su richiesta del questore, per altri 60 giorni (invece degli attuali 30), ulteriormente prorogabile per successivi periodi di 60 giorni, fino ad un massimo di 18 mesi Òqualora il soggetto trattenuto non abbia reso disponibile un suo documento identificativo utile allĠespatrio in originaleÓ.

La detenzione amministrativa (introdotta  giˆ nel 1998 dal TU immigrazione), ossia la privazione della libertˆ personale in assenza di commissione di reato, costituisce una ferita profonda nel sistema giuridico generale italiano, e una evidente anomalia rispetto allĠimpianto costituzionale concernente la libertˆ della persona. Nonostante questo, il disegno  di legge prevede una incredibile estensione del periodo di trattenimento, sino alla misura sconcertante dei 18 mesi, con  lĠabnorme aumento di ben nove volte della attuale durata.

La possibile indiscriminata estensione di durata, irrazionalmente uniforme ed identica per ipotesi di allontanamento che in quanto a gravitˆ possono essere profondamente diverse, ribadisce il carattere di vera e propria Òpena detentivaÓ  che assume di fatto questo istituto, previsto formalmente invece solo in funzione dellĠesecuzione del provvedimento di espulsione. Tale trasformazione, resa ancor pi evidente dalla bassa percentuale di allontanamenti effettivamente eseguiti, rafforza e codifica in maniera simbolica la specialitˆ della normativa in relazione al cittadino migrante.

Non si ignora, certo, che la pessima direttiva europea sui rimpatri, attualmente in corso di  approvazione in ambito comunitario, contempla analoghe durate massime, ma ci˜ che dimentica il Governo  che in essa vengono comunque individuate ipotesi di rimpatrio volontario: situazioni del tutto assenti nel sistema attuale e nelle modifiche in oggetto.

 

3. LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI COMUNITARI

 

Il nuovo disegno di legge propone alcune importanti modifiche al d.llgs. n. 30/2007, relativo al diritto di circolazione dei cittadini dellĠUnione, in attuazione della direttiva 2004/38/CE. Le modifiche pi incisive riguardano le limitazioni al diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini.

Il provvedimento allarga ulteriormente i contorni di uno dei concetti pi controversi della normativa, quello dei Òmotivi imperativi di pubblica sicurezzaÓ, stabilendo che essi ora sussistono Òin ogni casoÓ (ma non si vede quale sia il nesso) se la persona da allontanare non abbia provveduto alla iscrizione nell'anagrafe; amplia infine lĠelenco dei reati di cui tenere conto ai fini dellĠadozione del provvedimento di allontanamento, comprendendo anche i delitti contro la moralitˆ pubblica ed il buon costume, e, in via generale, tutti i reati che prevedono lĠarresto obbligatorio.

Significativo  lĠelevamento delle pene da infliggere al destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale, che sono pressochŽ raddoppiate; come lo  lĠattribuzione alla pubblica amministrazione di eseguire comunque il provvedimento di allontanamento se il giudice non decide entro 60 giorni sulla richiesta di sospensione.

Le (ennesime - cfr. d. lgs. 28.2.2008 n. 32) modifiche hanno motivazioni prettamente politiche: non vi era infatti alcuna necessitˆ tecnica – soprattutto, non vi era urgenza di farlo – di intervenire sulla normativa, emanata da pochi mesi, ma solo la Ònecessitˆ politicaÓ di modificare la disciplina esistente per dimostrare di reagire ad una serie di episodi di cronaca.

Tutte le innovazioni vanno esplicitamente nel senso di equiparare la condizione del cittadino comunitario allontanato a quella del cittadino extracomunitario espulso. Infatti le pene per il cittadino dellĠUnione che violi il divieto di reingresso sono rese omogenee a quelle previste per gli extracomunitari dallĠart. 13 T.U. D. Lgs. n. 286/1998. Le limitazioni allĠingresso e al soggiorno del comunitario sono rese pi simili a quelle ostative allĠingresso degli extracomunitari ex art. 4 T.U. D. Lgs. n. 286/1998. Infine si estende ai cittadini comunitari la possibilitˆ di trattenimento nei CPT, per ora solo per 15 giorni , per non meglio precisati Òostacoli tecnici all'esecuzione dell'allontanamentoÓ: formula quanto mai generica che lascia troppa discrezionalitˆ alla pubblica amministrazione.

La ÒextracomunitarizzazioneÓ del comunitario indesiderato – categoria scoperta solo dopo lĠingresso nella U.E. di Romania e Bulgaria –  dunque il filo conduttore dellĠintervento legislativo.

Le nuove previsioni violano il diritto comunitario ed in particolare la direttiva 2004/38/CE in quanto quest'ultima non contempla affatto la violazione dell'eventuale obbligo di iscrizione (eventualmente prescritto dallo Stato membro, in sede di attuazione) con la sanzione automatica dell'allontanamento. La direttiva prevede, si, la possibilitˆ delle sanzioni ma afferma che esse devono essere Òproporzionate e non discriminatorieÓ: l'allontanamento previsto dal nuovo disegno di legge  non  certamente proporzionato nŽ privo di discriminazione, incidendo, invece, sul fondamentale diritto alla libera circolazione.

 

 

4. RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE E NUOVE TECNICHE DI IDENTIFICAZIONE

 

Anche la disciplina del ricongiungimento familiare  stata oggetto di modifica: rispetto al contenuto, tuttavia,  improprio parlare di novitˆ, in quanto la nuova legge in realtˆ ripropone pressochŽ  integralmente la disciplina della Bossi-Fini, eliminando le innovazioni operate con la riforma del d.lgs. 5/2007, di attuazione della direttiva comunitaria in materia di ricongiungimento familiare.

Pi che di una riforma, quindi, si tratta di un ritorno al passato, come conferma lĠesame analitico dei soggetti ricongiungibili.

Il giudizio sulla attuale riforma perci˜ non pu˜ che ricalcare quello negativo giˆ espresso nel 2002. Le restrizioni nuovamente introdotte, in particolare per i figli maggiorenni e per i genitori, sono immotivate e incidono negativamente sul diritto fondamentale all'unitˆ familiare, oltre a scoraggiare qualsiasi fenomeno di integrazione sociale derivante dal riconoscimento di detto diritto. E nella stessa direzione va anche la limitazione allĠacquisto della cittadinanza a seguito di matrimonio, la durata minima del quale viene portata da sei mesi a due anni.

Per quanto riguarda in specifico il ricongiungimento con  i genitori a carico, si reintroducono i pesanti limiti posti dalla legge n.189/2002 (non avere figli nel paese di origine, o di provenienza, ovvero, se si tratta di genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute), che erano per˜ stati giustamente soppressi dal D.Lgs. n.5 2007, perchŽ restringono illegittimamente il solo limite previsto dallĠart.4 paragrafo 2, lett.a) della  direttiva comunitaria, cio quello che i genitori a carico non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese di origine.

     Viene poi stabilito dalla nuova legge in materia di ricongiungimento che qualora gli stati di parentela e coniugio Ònon possano essere documentati in modo certo mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autoritˆ straniere É le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioniÉsulla base dell'esame del DNAÓ.

La violazione del diritto comunitario appare anche in questo caso evidente laddove si consideri lĠart.5 paragrafo 2 della direttiva, il quale prevede che ÒOve opportuno, per ottenere la prova dellĠesistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarieÓ. La norma di riforma non prevede nŽ la convocazione per colloquio della persona soggiornante in Italia, nŽ  che le autoritˆ italiane debbano svolgere altre indagini, ma si limita a stabilire lĠonere per lĠinteressato di effettuare a sue spese lĠesame del DNA.

La disciplina introdotta, assieme alla prevista adesione al Trattato di Prun che rende possibile a livello comunitario lo scambio di informazioni concernenti dati informatici relativi a impronte digitali e dati genetici, va nel senso di un sempre maggiore utilizzo, nelle procedure relative ai documenti degli stranieri, di metodologie ÒscientificheÓ in senso ampio. Tale tendenza determina le pi gravi preoccupazioni, in quanto lĠuso dei test genetici risulta suscettibile di recare una rilevante lesione alla dignitˆ delle persone interessate, nonchŽ di incidere pesantemente sul diritto fondamentale al rispetto della vita privata di cui allĠart. 8 della CEDU.

 

Altrettanto gravi perplessitˆ suscita la clausola che consente di richiedere (Òa spese degli interessatiÓ) il test: cio Òin ragione della mancanza di una autoritˆ riconosciuta o comunque quando sussistano fondati dubbi sulla autenticitˆ della predetta documentazione". EĠuna disposizione che si pone in contrasto  con il principio, pi volte ribadito dalla giurisprudenza, per il quale lĠaccertamento degli status familiari, a norma della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 33, va effettuato sulla base della legge nazionale delle persone, con conseguente divieto per il giudice italiano di sovrapporre agli accertamenti eseguiti dallo stato di origine, alla stregua della propria normativa, forme di informazioni nazionali estranee a quell'ordinamento (C. 2003/367, C. 2003/14546);

 

 

 

5. ATTRIBUZIONI DEI SINDACI-ISCRIZIONE ALLĠANAGRAFE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE

 

LĠart. 6 del decreto legge n. 92/2008 sostituisce lĠart. 54 del TU Enti locali, d.lgs. 267/2000, introduce un ampliamento dei poteri del Sindaco quale ufficiale di governo, prevedendo che il potere-dovere di emanare provvedimenti a carattere contingibile ed urgente possa essere esercitato non solo quando vi sia la necessitˆ di prevenire od eliminare gravi pericoli che minacciano lĠincolumitˆ pubblica, come previsto dal testo previgente, ma anche al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana. Ma la nozione di Òsicurezza urbanaÓ non risulta ulteriormente definita e, soprattutto, non risulta concettualmente distinguibile dalla nozione di Òincolumitˆ pubblicaÓ, anzi parrebbe sostanzialmente un sinonimo. In pratica, si  voluta modificare una norma che consente lĠesercizio di poteri a carattere eccezionale con lĠevidente scopo - pure affermato nella relazione illustrativa - di assecondare lĠapproccio ÒlocalisticoÓ recentemente adottato da alcuni sindaci; tuttavia non  dato comprendere quale dovrebbe essere la portata innovativa della modifica proposta, dal momento che essa non amplia di fatto la casistica in cui  consentita lĠemanazione di provvedimenti eccezionali nŽ, tanto meno, ÒintegraÓ a livello locale le vigenti disposizioni in materia di iscrizione allĠanagrafe, come pure in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri extracomunitari e comunitari.

EĠ legittimo temere che lĠesercizio dei poteri eccezionali del sindaco, in base a tale modifica, venga utilizzato in modo direttamente od indirettamente discriminatorio, mediante provvedimenti destinati a produrre effetti solo nei confronti degli stranieri (se non addirittura di determinate etnie, come ad es. i rom e i sinti), configurando in tal caso la violazione dellĠart.43 del d.lgs. 286/98, per la generalitˆ degli stranieri, e dellĠart.12 del Trattato UE per i cittadini comunitari (oltre che, pi specificamente, del d.lgs. 215/2003 di attuazione della direttiva 2000/43/CE), nonchŽ provocando possibili procedure di infrazione da parte della Commissione UE.

DĠaltro canto,  fin troppo facile immaginare che la norma in questione dia luogo ai provvedimenti pi disparati sul territorio e ad un contenzioso incalcolabile, pur dovendosi ritenere che, invece, la modifica in questione non consenta comunque alla giurisdizione amministrativa di riconoscere un pi ampio ambito di discrezionalitˆ al legittimo esercizio dei poteri ordinatori sindacali. Secondo la costante giurisprudenza, infatti, il presupposto per lĠadozione da parte del Sindaco dellĠordinanza contingibile ed urgente  il pericolo di un danno grave ed imminente per lĠincolumitˆ pubblica al quale, per il suo carattere di eccezionalitˆ, non possa farsi fronte con rimedi ordinari e che richiede interventi immediati ed indilazionabili; detti interventi devono avere comunque efficacia limitata nel tempo e non possono quindi assumere mai il valore di regolamenti di comune applicazione a livello locale.

Risulta dunque di tutta evidenza come la modifica in commento rappresenti un ampliamento (si vedrˆ quanto effettivo) dei poteri sindacali e possa ingenerare determinazioni arbitrarie da parte degli enti locali, basate sulla falsa convinzione di poter emanare provvedimenti di natura generale a carattere para-normativo, nel mentre la normativa sulla condizione giuridica dello straniero  e rimane riservata in via esclusiva allo Stato dallĠart.117 della Costituzione.

Per quanto riguarda la normativa in materia di iscrizione allĠanagrafe, va considerato che la residenza   particolarmente importante per gli stranieri, non solo per lĠaccesso ad una serie di servizi e prestazioni che li accomunano ai cittadini italiani ma anche per altri motivi specifici: per i  comunitari lĠiscrizione anagrafica permette lĠaccertamento del diritto di soggiorno e del diritto di soggiorno permanente dopo i primi cinque anni di iscrizione, come pure per lĠiscrizione alle liste per lĠelettorato a livello comunale ed europeo; per gli extracomunitari lĠiscrizione anagrafica evita di dover sostituire il permesso di soggiorno, con estenuanti attese e disagi, solo a causa del trasferimento della dimora, provvedendo direttamente alle necessaria comunicazione il comune di residenza (art. 6 d.lgs. n.286/98). Ma lĠart. 16 del disegno di legge  introduce una modifica alla legge n. 1228/54 sullĠordinamento dellĠanagrafe della popolazione residente, in base alla quale dovremmo attenderci una massiccia cancellazione dai registri anagrafici di cittadini italiani e stranieri, pur essendo facile immaginare che la norma colpirˆ in modo discriminatorio esclusivamente gli stranieri, comunitari e non, incidendo radicalmente sul loro diritto di circolazione e di soggiorno. Si prevede infatti che lĠiscrizione anagrafica sia subordinata alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dellĠimmobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie. La norma cos“ genericamente  formulata sembra riferirsi non solo ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione (D.M. Sanitˆ 5 luglio 1975), ma anche agli altri requisiti richiesti ai fini del rilascio della certificazione di abitabilitˆ, pur essendo noto che larga parte delle abitazioni e degli alloggi pubblici italiani non Ž dotata di tale certificazione, essendo state realizzate prima dellĠentrata in vigore della relativa normativa che la impone, come di quella relativa alla conformitˆ degli impianti  tecnologici. Ci˜ produrrebbe una durata incalcolabile della procedura di iscrizione allĠanagrafe, tale da compromettere seriamente lĠesercizio di diritti civili e politici fondamentali, senza contare gli enormi oneri economici e burocratici che deriverebbero per le verifiche da parte dei comuni e ancor pi per i cittadini, che dovrebbero risanare le  abitazioni –magari in sostituzione del proprietario- per ottenere un certificato di agibilitˆ dal Comune. Si tratta di uno stravolgimento della stessa funzione dellĠanagrafe, il monitoraggio delle persone sul territorio, che risulta di dubbia legittimitˆ costituzionale, con riferimento alla libertˆ di circolazione e soggiorno dei cittadini garantita dallĠart. 16 Cost. senza limitazioni che non siano stabilite in via generale per motivi di sicurezza e di sanitˆ.

La lettera a) dellĠart. 1 dello schema di decreto legislativo integrativo e correttivo del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, mira poi ad introdurre una modifica del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, che per˜ risulta superflua, poichŽ lĠobbligo che si vorrebbe introdurre, di dimostrazione del carattere lecito e sufficiente delle risorse economiche disponibili,  in realtˆ giˆ oggi in vigore, stante lĠespresso richiamo dellĠart. 9, comma 3, dello stesso d.lgs. n.30/2007 all'articolo 29, comma 3, lettera b), del T.U. 286/98, che prescrive la dimostrazione di un reddito minimo annuo non inferiore allĠimporto annuo dellĠassegno sociale derivante da fonte lecite. Ma per i cittadini comunitari ed i loro familiari lĠart.8 della Direttiva 38/2004/CE sancisce che Ògli Stati membri si astengono dal fissare lĠimporto preciso delle risorse che considerano sufficienti, ma devono  tener conto della situazione personale dellĠinteressatoÉin ogni caso tale importo non pu˜ esser superioreÉalla pensione minima sociale.Ó Non a caso la Corte di Giustizia UE ha giˆ avuto modo di precisare in pi occasioni che lĠapplicazione di qualsiasi  valutazione basata in modo ÒautomaticoÓ su parametri prestabiliti, che non tengano conto del caso concreto, risulta illegittima e lesiva del diritto di libertˆ di circolazione.

Pure risulta discriminatoria la proposta, espressa nella lettera c) dellĠart.1, di escludere i cittadini comunitari ed i loro familiari - eccezion fatta per gli studenti - dalla possibilitˆ di avvalersi, al fine di dimostrare le risorse economiche, dellĠautocertificazione e/o delle dichiarazioni sostitutive di cui 46 e 47 del TU in materia di documentazione amministrativa, DPR 445/2000, dal momento che proprio lĠart.3 del TU citato prevede espressamente che i cittadini e le persone giuridiche dellĠUnione Europea possono avvalersi di tali facoltˆ per dimostrare qualitˆ personali e fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici di uno Stato membro.

Ancora pi grave risulta la prescrizione per i cittadini dellĠUnione ed i loro familiari, prevista alle lettere b) ed e) dellĠart.1, di richiedere lĠiscrizione allĠanagrafe entro i dieci giorni successivi al decorso dei tre mesi dallĠingresso, sotto pena di allontanamento in caso contrario Òper motivi imperativi di pubblica sicurezzaÓ, come previsto dalla successiva lettera h). Che il semplice ritardo possa configurare automaticamente Òmotivi imperativi di pubblica sicurezzaÓ appare di giˆ del tutto illogico. Ma anche a prescindere dal fatto che si pretende di attribuire allĠinteressato lĠincombenza di dimostrare il rispetto di tale termine, ovvero della data di ingresso in Italia, sostanzialmente imponendo un onere probatorio diabolico se non addirittura impossibile da adempiere per il cittadino comunitario, che ha il diritto di circolare liberamente e senza formalitˆ nel territorio dellĠUnione, non si pu˜ fare a meno di considerare che lĠart.8, comma 2, della Direttiva citata prevede espressamente che ÒlĠinadempimento dellĠobbligo di iscrizione rende lĠinteressato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorieÓ, laddove  per converso evidente lĠabnormitˆ di un allontanamento che, per di pi, comporterebbe lĠautomatico divieto di reingresso previsto dallĠart.20, comma 10, del d.lgs.30/07 (come modificato dal d.lgs. 32/08).

Pi in generale, va poi considerato che lĠenorme appesantimento generalizzato e la accresciuta aleatorietˆ delle condizioni di iscrizione allĠanagrafe e della durata delle relative procedure non portano un reale incremento agli strumenti di intervento a tutela della sicurezza, anzi, semmai assorbono enormi risorse che di fatto vengono sottratte a pi mirati interventi - ivi compresi quelli delle polizie municipali - idonei al controllo della legalitˆ sul territorio. Per lĠappunto, un chiaro esempio di Òsicurezza apparenteÓ  rappresentato dalla prassi, avvallata con circolare del Ministero dellĠInterno, per cui si distingue artificiosamente per i cittadini comunitari il perfezionamento del procedimento di iscrizione allĠanagrafe  dal successivo rilascio dellĠattesto di diritto di soggiorno Ònon permanenteÓ; attestato che non pu˜ certo essere confuso con lĠattestazione dellĠavvenuta richiesta di iscrizione di cui allĠart. 9 del d.lgs. citato (ҏ rilasciata immediatamente una attestazione contenente lĠindicazione del nome e della dimora del richiedente , nonchŽ la data della richiestaÓ). Invero, nŽ la Direttiva nŽ il d.lgs. 30/07 (pure a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 32/08) recano alcuna traccia di un simile attestato di diritto di soggiorno Ònon permanenteÓ, che a differenza dellĠattestato di Òdiritto di soggiorno permanenteÓ nulla conferisce in pi al cittadino (ed alla sicurezza della comunitˆ) di quanto giˆ non risulti in base allĠiscrizione, avvenuta ovviamente previa verifica dei requisiti prescritti per lĠesercizio del diritto di soggiorno. In altre parole, una volta perfezionata lĠiscrizione allĠanagrafe, e sia pure previa verifica della documentazione tassativamente prevista, non vi pu˜ pi essere alcuna ulteriore verifica o richiesta di attestazione circa il possesso del diritto di soggiorno, poichŽ esso  giˆ ÒincorporatoÓ nella stessa iscrizione anagrafica.

 

7. DIRITTO di ASILO

 

E' noto che l'Italia non si  mai dotata di una legge organica sul diritto d'asilo che dia piena attuazione all'art. 10 terzo comma della Costituzione che sancisce il diritto d'asilo quale diritto fondamentale dell'individuo. Le scarne disposizioni sull'asilo sono sempre state inserite, quali norme ÒurgentiÓ, all'interno delle disposizioni sull'immigrazione, costituendone una sorta di appendice. Solo a seguito del processo di armonizzazione delle direttive europee in materia di asilo l'Italia ha dovuto innovare la propria legislazione in materia. Il 2007  stato un anno di svolta in tal senso poichŽ l'Italia ha recepito la Direttiva 2004/83/CE sulla qualifica di rifugiato (con D.Lgs 251/07) e la Direttiva sulle norme minime in materia di procedure (con D.Lgs 25/08). Con quest'ultimo decreto l'intera procedura di riconoscimento del diritto d'asilo disciplinato dalla L. 189/02  stato cassato a favore di una normativa ben pi chiara e rigorosa, orientata a garantire certezza di diritto e a contenere la discrezionalitˆ amministrativa.

Lo schema di decreto legislativo integrativo e correttivo votato dal Consiglio dei Ministri il 21 maggio 08 modifica fortemente alcune delle nuove disposizioni (talune delle quali non hanno avuto neppure il tempo di essere applicate, dal momento che il D.Lgs 25/08  entrato in vigore solo il 2 marzo 08 e che deve essere ancora emanato il regolamento di attuazione) con il chiaro intento di ripristinare la situazione di mancanza di tutela e di certezza di diritto precedente all'emanazione del D.Lgs 25/08. 

Nella proposte di riforma tre sono gli aspetti che suscitano maggiore preoccupazione:

1. Si prevede che il Prefetto assegni ad ogni richiedente asilo unĠarea delimitata del territorio nazionale entro la quale circolare durante il periodo di esame della domanda di asilo.

Non si ravvede alcuna utilitˆ di tale previsione, considerato che giˆ la norma vigente prevede giˆ prevede un obbligo di rientro serale (art. 20 c. 4) presso i centri governativi nei quali sono inviati i richiedenti asilo; la proposta di modifica normativa potrebbe invece creare disfunzioni e persino una paralisi dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che consiste in una rete nazionale di accoglienza per richiedenti asilo realizzata dagli Enti Locali ideata proprio per coprire buona parte del territorio nazionale reperendo posti di accoglienza per i richiedenti asilo che hanno presentato la loro istanza in un luogo nel quale, per le pi diverse ragioni, non  stato possibile trovare accoglienza.

La proposta appare altres“ inapplicabile nei casi nei quali il richiedente asilo  ammesso a svolgere attivitˆ lavorativa (decorsi 6 mesi dalla domanda senza che sia ancora intervenuta una decisione) in quanto determinerebbe una limitazione alla circolazione sul territorio nazionale di uno straniero che dispone di un permesso di soggiorno che gli consente lĠaccesso al lavoro, in violazione delle disposizioni vigenti e della Convenzione O.I.L. n. 143/1975 sui lavoratori migranti.

2. Si prevede di ripristinare la misura del trattenimento obbligatorio nei centri di permanenza temporanea e assistenza di tutti i richiedenti asilo che siano destinatari di un provvedimento amministrativo di espulsione o di respingimento.

Il vigente D. Lgs. n. 25/2008 all'art. 21 prevede giˆ talune ipotesi, debitamente circoscritte (persona che rientra nelle previsioni di cui all'art. 1F della Convenzione di Ginevra o si sia reso responsabile di gravi crimini) nelle quali si procede al trattenimento in un centro di permanenza temporanea del richiedente asilo assicurando cos“ un equilibrio tra i diritti del richiedente ad accedere alla procedura di asilo e l'interesse dello Stato a tutelare la sicurezza della collettivitˆ. Le proposte di modifiche che si vogliono introdurre  all'attuale art. 20 del D.Lgs 25/08 determinerebbero un forte ampliamento della discrezionalitˆ di autoritˆ di pubblica sicurezza circa le modalitˆ di accesso alla procedura di asilo, perchŽ in presenza dei medesimi presupposti di fatto rimarrebbe affidata alla scelta dellĠamministrazione di adottare o meno provvedimenti di respingimento o di espulsione e il conseguente trattenimento in un centro di permanenza temporanea (CPTA) o, invece,  disporre lĠaccoglienza in un centro (CARA). La nuova norma che si intende proporre per la sua vaghezza e la mancanza di tassativitˆ desta pertanto dubbi in relazione al rispetto della riserva di legge prevista dallĠart. 10, commi 2 e dall'art. 3 Cost. in materia di condizione giuridica dello straniero.

Suscita particolare preoccupazione il fatto che la previsione normativa rischia di sanzionare lo straniero presente in condizione irregolare sul territorio dello Stato che spontaneamente si presenti alla competente Questura per presentare la domanda di asilo; con ci˜ determinando profili di violazione della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 (art. 31).  Il rischio di essere fermato pochi istanti prima della presentazione della domanda e di essere perci˜ espulso e poi trattenuto in un centro di permanenza temporanea durante tutto lĠesame della sua domanda potrebbe scoraggiare la presentazione delle domande di asilo alimentando un sommerso di cittadini stranieri che, pure fuggiti dal loro Paese in cerca di protezione, rimarrebbero nella clandestinitˆ senza alcuna tutela e supporto per il timore di rivolgersi alle autoritˆ.

Il richiedente asilo che fugge con ogni mezzo dal suo Paese a causa di persecuzioni o per sottrarsi a conflitti armati e che arriva in modo forzatamente irregolare nel territorio della Repubblica per lo pi attraverso gli sbarchi a Lampedusa e sulle nostre coste, in ragione dei traumi subiti e per la mancata conoscenza della lingua e della legge italiana vive spesso una condizione di incertezza o di timore nellĠapproccio con le autoritˆ italiane soprattutto nelle prime fasi di accesso alla procedura d'asilo. Appare quindi sconcertante prevedere, come fa la proposta di riforma, che posano essere disposti provvedimenti di respingimento o di espulsione quale ordinaria misura generale verso i richiedenti asilo appena giunti nel nostro Paese, con il solo fine di trattenere questi ultimi nei CPT.

3. Si prevedono infine forti restrizioni alle modalitˆ di tutela giurisdizionale contro le decisioni di rigetto della domanda di asilo e la soppressione dellĠefficacia sospensiva del ricorso giurisdizionale determinando una gravissima violazione del nucleo essenziale del diritto dĠasilo garantito dallĠart. 10, comma 3 Cost. e del diritto alla difesa previsto dallĠart. 24 Cost. nonchŽ un insanabile contrasto con il principio di effettivitˆ di cui all'art. 13 della Convenzione Europea per i Diritti dellĠUomo e per le libertˆ fondamentali (CEDU).

Si prevede infatti di dare, in ogni caso, esecuzione immediata allĠespulsione del richiedente asilo la cui domanda  stata rigettata prima che sia decorso un termine, anche breve, successivo alla notifica del diniego, che consenta al richiedente di concretamente adire all'autoritˆ giudiziaria ordinaria.

Si prevede altres“ di portare il termine per la presentazione dei ricorso, pena inammissibilitˆ dell'azione, a soli 15 giorni, compromettendo in tal modo il diritto alla difesa.

La nuova norma inoltre intende infine eliminare quanto previsto nell'art. 35 del D.Lgs 25/08 che introduce il principio generale dell'effetto sospensivo in pendenza del ricorso avverso il rigetto della domanda, ovvero affida all'autoritˆ giudiziaria la valutazione sulla richiesta di sospensiva in talune limitate fattispecie (richiedenti asilo giˆ trattenuti nei CPT, domande inammissibili, richiedenti giˆ colpiti da provvedimenti di espulsione o respingimento) al fine di garantire un equilibrio tra le esigenze di garantire lĠesercizio del diritto d'asilo e la tutela della collettivitˆ nazionale da un possibile utilizzo strumentale delle impugnazioni.

Va sottolineato che l'art. 39, paragrafo 1 della Direttiva 2005/85/CE prevede Òche il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudiceÓ e che l'art. 13 della CEDU esige che Ò ogni persona i cui diritti e le cui libertˆ riconosciuti nella presente convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad unĠistanza nazionaleÓ. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull'applicazione dell'art. 13 della CEDU in relazione alle possibili violazioni dell'art. 3 della stessa CEDU  chiaramente orientata a ritenere che laddove il ricorrente sia sottoposto al serio rischio di subire, in caso di rientro nel suo Paese, la tortura o un trattamento disumano e degradante, debba esservi garanzia di un effetto sospensivo del ricorso.

LĠambiguo istituto, che si intende introdurre, dellĠautorizzazione prefettizia a restare sul territorio per "gravi motivi personali o di salute" non costituisce certo una misura efficace di tutela, poichŽ non si precisano le modalitˆ di presentazione della domanda, nŽ i criteri per ravvisare i gravi motivi, sottraendo allĠautoritˆ giudiziaria la funzione di istanza indipendente per impropriamente affidarla alla autoritˆ amministrativa.

LĠallontanamento verso paesi di provenienza o di transito ove i richiedenti potrebbero essere sottoposti a persecuzioni, torture e trattamenti inumani e degradanti, comporterebbe la chiara violazione dellĠart. 3 della Convenzione europea per i diritti dellĠuomo e dell'art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato che sancisce il divieto di Ònon refoulementÓ, quale principio giuridico fondante del diritto internazionale in materia di asilo. Una decisione errata in prima istanza pu˜ comportare conseguenze gravi ed irreparabili per il richiedente asilo espulso nel suo paese dĠorigine come ha insistentemente sottolineato lĠAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati che ha chiesto al Governo italiano di riconsiderare tutte le ipotesi di restrizioni che si intende introdurre.

 

CONCLUSIONI

 

La normativa qui evidenziata, a fronte di un fenomeno cos“ complesso, variegato e ricco come quello migratorio, non si pone di certo come elemento di stabilizzazione e di tutela delle persone,  volto a favorire quella integrazione sul territorio che costituisce effettivo sintomo di sicurezza, ma , al contrario,   non fa che aumentare ed anzi istituzionalizzare le disuguaglianze e la discriminazione tra le persone in base alla loro provenienza. E tali disposizioni, esasperazione dellĠuso emblematico della sanzione penale, costituiranno di per se stesse un ulteriore fattore criminogeno.

Il riverbero di questo approccio normativo si  fatto immediatamente sentire con incredibile rapiditˆ: i drammatici fatti di cronaca riguardanti quotidiani episodi di xenofobia e razzismo, in particolare  nei confronti di cittadini di etnia Rom, ne sono lĠesempio pi inequivocabile e doloroso.

Se  quanto mai vero che sono proprio le norme in tema di immigrazione a porre in luce i reali valori di riferimento scelti dal legislatore in relazione alla civile convivenza, il quadro delineato si colloca su di un piano di grande lontananza e lacerante contrasto  con i dettami fondamentali  della Costituzione e delle basilari Convenzioni europee, ove il parametro centrale  assunto dai diritti di uguaglianza.

Il grande filosofo del diritto Norberto Bobbio soleva dire che, in fondo, la vera differenza tra un regime democratico e un regime non democratico, resta una sola: mentre questĠultimo  infatti un regime di tipo ÒesclusivoÓ, tendente cio ad escludere alcuni soggetti dal godimento dei diritti fondamentali, quello democratico al contrario  un regime di tipo ÒinclusivoÓ, teso invece  alla fruizione piena e paritaria dei diritti fondamentali da parte di tutti i soggetti.. Purtroppo non  certo questĠultimo lĠorizzonte cui volgono le nuove norme: sarˆ pertanto compito doveroso di tutte le persone che hanno a cuore la cultura dei diritti umani, unica vera ricchezza europea, porre in essere tutti gli strumenti giuridici e culturali volti alla sua salvaguardia.

 

giugno 2008

 

Associazione per gli studi giuridici sullĠimmigrazione e Magistratura Democratica gruppo immigrazione