Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Costituzione della Repubblica Italiana, Principi Fondamentali, Articolo 3

 

 

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Newsletter n° 2 

 

 

 


I nomi dei bambini     Rassegna stampa      Speciale        

Redazione           Il nostro blog

 

I nomi dei bambini

 

Chiamare i bambini per nome è bello. Quante e quanti di noi hanno un po’ sofferto a scuola nel sentirsi chiamati per cognome da insegnanti troppo arcigni. Il nome proprio, diceva Roland Barthes, “ come la voce, come l’odore, sarebbe il termine di un languore, l’ultimo sospiro che resta delle cose”. Quando il nostro nome -ciò che ci connota più profondamente, ciò che nasce con noi- diventa un pericolo, credo insorga nella parte più profonda di noi un tumulto doloroso e incomprensibile.

Le bambine e i bambini ebrei per salvarsi la vita, braccati come piccole prede durante l’occupazione nazifascista del ’43, hanno dovuto accettare di portare un nome falso per tentare di passare inosservati attraverso i mille controlli a cui erano sottoposti. Qualcuno non riuscì mai a sentirsi quell’altro; tanto che Donatella Levi, in fuga con la madre verso Roma, a un signore che gentilmente le chiedeva il nome, si trovò a rispondere :- Vuole sapere il nome vero o il nome falso?- Aveva 5 anni, non poteva capire il pericolo, sentiva solo che era intollerabile dover temere il proprio nome. Dopo lunghi mesi di clandestinità ci fu il ritorno; a distanza di anni affiorarono i ricordi: “Tornare è riavere il proprio nome vero, ma non crederci più in modo definitivo” (Donatella Levi, Vuole sapere  il nome vero o il nome falso?, Il lichene, Padova, 1995)

E lo stesso accade nella ex Yugoslavia dai primi anni Novanta in poi: in Bosnia, in Kosovo, chiamarsi Yasmina Sarahatlic o Zoran Petrovic, tanto per fare due nomi a caso, poteva cambiare il tuo destino; poteva voler dire l’uccisione immediata, la violenza, o la salvezza.

Nei giorni scorsi  mi sono trovata un paio di volte a discutere con un gruppo di ragazze e di  ragazzi che vivono in quello che  comunemente viene chiamato il ‘campo nomadi’ di Mantova; mi si è stretta la gola quando i miei giovani interlocutori hanno proposto di nuovo questa terribile questione: chi mi dà il coraggio di essere me stesso, col mio nome e il mio indirizzo, se la maggior parte delle persone pensa che quelli come me siano delinquenti da allontanare? Le ragazze e i ragazzi del campo,  quasi tutti sinti, uno solo rom, hanno voluto discutere delle questioni che in genere i loro coetanei amano porre: le amicizie, i primi amori, lo sport, il futuro, la scuola, il rapporto non sempre facile con gli adulti. Ma un tema aleggiava intorno e piombava sui nostri discorsi apparentemente sereni: avere paura - fare paura. Molti preferiscono che in classe nessuno sappia che sono sinti; ogni giorno sperano che il pulmino con la scritta Sucar Drom, che li porta a scuola, si fermi lontano dagli sguardi di professori e compagni. Il desiderio di restare fedeli alle proprie tradizioni confligge in loro con quello di confondersi con la maggioranza dei coetanei; la ferita è profonda e basta poco per creare tensione.

La lettera di un signore di Bigarello che si definisce leghista, comparsa sulla Gazzetta del  24 giugno,  nel sollevare il problema dell’educazione dei piccoli rom, esprime indignazione per gli insegnamenti che, a parer suo, questi bambini ricevono dalle famiglie: privati della scuola e della socialità comunitaria di tutti i “nostri” bambini, imparano solo il furto e l’elemosina, se  non di peggio. Se i provvedimenti di varia natura che compongono come un sinistro mosaico il “pacchetto sicurezza” procederanno, questi bambini saranno costretti a conoscere sempre più spesso anche le irruzioni notturne nei luoghi in cui vivono e perquisizioni, fermi, intimidazioni, schedature. Anche se non faranno niente di male, anche se sono cittadini italiani; gli accadrà  per il nome che portano, per il gruppo al quale appartengono. Saranno educati alla paura e alla diffidenza.

Capita che altri bambini, per il nome che portano, per il Paese da cui provengono, per la religione dei loro genitori, vengano quasi tacciati di precoci inclinazioni terroristiche. Anche il loro nome qui non verrà fatto. Non l’ha fatto nemmeno il giornale che mesi fa ha sbattuto un bimbo di otto anni in prima pagina; il nome era taciuto solo per non incorrere in pesanti sanzioni, evidentemente. La Voce di Mantova, l’9 marzo 2008, dedicò a un bambino nordafricano di otto anni un titolo di prima pagina a cinque colonne. La piccola peste della scuola elementare Pomponazzo è un nordafricano, recita l’occhiello. Il titolo: Un bimbo terribile colpisce ancora e nel sommario: I compagni terrorizzati lo fuggono, preoccupati gli insegnanti. Come se non bastasse, all’interno, nella cronaca locale, Bimbo terribile: fuggi-fuggi a scuola. Minacce agli insegnanti e violenza in classe. Terrore alle elementari Pomponazzo. Interrogazione della Lega in Comune contro il bambino nordafricano e suo padre assistito cronico e violento. Nell’articolo il nome del bimbo non viene fatto, ma si racconta da dove proviene e dove vive esattamente, ci dicono che frequenta la seconda in una nota scuola elementare della città dove le classi seconde sono solo due; ci informano che è stato sospeso dal dirigente scolastico e che suo padre riceve assistenza dal Comune.

Il bambino senza nome diventa così facilmente individuabile; un'altra piccola preda, il simbolo di un disagio che deve essere allontanato dalla felice quotidianità dei ‘nostri’ bambini. Con che occhi sarà stato guardato nella scuola che frequenta dopo essere diventato un mostriciattolo sbattuto in prima pagina? Occhi onesti, fortunatamente: le insegnanti e la stragrande maggioranza dei genitori della classe, hanno preso severamente posizione contro questa strumentalizzazione di un disagio non più grave di molti altri. Le lettere di protesta sono state portate a entrambi i quotidiani locali. La Gazzetta di Mantova, coerente con strategie editoriali ormai consolidate in città, non le ha pubblicate per non entrare in conflitto col quotidiano concorrente. La Voce ha pubblicato una lettera di contestazione dell’articolo firmata da 30 genitori della sua classe, la dura presa di posizione del professor Enzo Gemelli (commentata in tono sprezzante dal direttore del giornale); mentre un articolo redazionale, dal gusto pesantemente ironico, ha sintetizzato, svuotandole, le argomentazioni espresse dalle insegnanti in una lettera non pubblicata.

Il bambino nordafricano, senza nome ma con un’identità ormai ben definita, rimane privo delle parole spese in sua difesa dalle sue maestre, le sole persone  adulte che lo conoscono bene.

Per le bambine e i bambini, contro le discriminazioni e le violenze che subiscono, il nostro osservatorio avrà occhi particolarmente attenti.

 

Maria Bacchi

 

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Rassegna Stampa

 

In questi giorni è difficile non farsi trascinare dall’attualità. Agli occhi è stato chiesto di scorrere velocemente i giornali, per individuare i pezzi che interessano, abbozzare una guida per la rassegna, mettere da parte gli articoli che verranno poi ripresi. Cosa portare all’evidenza del lettore nell’immediato? Cosa invece accennare in vista di un prossimo approfondimento? La tematizzazione non va persa di vista, essa permette al lettore di trovare velocemente gli argomenti che maggiormente gli interessano. E l’assenza di azione, di politica, di cultura? Come si evidenzia o come si indaga? Sulla categoria ci sono maggiori certezze: potrebbe diventare il tessuto su cui intrecciarle tutte. Sono, queste, emozioni sollevate da un'altra bella lettera di Franco Reggiani “Contro il vero virus della nostra società” (Gazzetta, 21/06), il sopratitolo scelto dal quotidiano è immigrazione, tema sempre in primo piano sulla stampa che riferisce i dati del movimento demografico dettagliato e con un titolo da incorniciare: I mantovani superano quota 400mila (Gazzetta, 21/06). “Immigrazione e commercio – il centrodestra dichiara guerra ai vu cumprà” (Gazzetta, 19/06), titola la discussione sugli ambulanti abusivi che anima anche Mantova “Abusivi, nessuno recupera il credito” (Voce, 24/06, non ancora in rassegna): “Un’azione anti-clandestini deve per forza passare dal recupero crediti. […] ambulanti abusivi (pressoché sempre clandestini) […] Carissimi signori Mustafà e Mohammed […]”. Pare oramai impossibile parlare di migrazione senza associare queste persone al pacchetto sicurezza, alla clandestinità (solamente a fini criminosi), al pericolo terrorismo, all’usurpazione di ‘casa nostra’. Risalta positivamente “trent’anni di porta a porta – Ma ora Moustapha ha un banco” (Gazzetta, 19/06) che racconta di tempi lontani: “[…] quando l’immigrazione non era un problema, tanto meno una colpa.” . “Un bambino ha subito violenza in fiera – Abusa di un bambino durante la fiera” (Voce, 20/06) “Immigrato tenta di violentare un ragazzino” (Gazzetta 20/06): la stessa notizia è riportata in modo diverso sui due quotidiani locali, sebbene entrambi insistano sulla provenienza del trentenne accusato di questo crimine. Inspiegabile forzatura l’associazione tra questa  grave vicenda e la scoperta di una cellula terroristica a Castel Goffredo in “Abusi su minore: il 26enne resta in carcere” (Voce, 22/06, non ancora disponibile on line): dopo l’aggiornamento di cronaca si prosegue, nello stesso pezzo, con il paragrafo Tigri del Tamil, il collegamento è che entrambi gli accusati sono in carcere.

Rom e sinti ancora stigmatizzati nelle lettere “Spero che i nomadi qui non tornino più” (Gazzetta, 19/06) “Rom, la solidarietà leghista a Lamagni” (Gazzetta e Voce, 21/06). Una terza titolata “Come vengono educati i bimbi rom?” (Gazzetta, 24/06) esordisce esprimendo solidarietà alle due precedenti volendo poi trattare il tema dei bambini. In questa newsletter dedichiamo un approfondimento scritto da chi quei bambini li ha conosciuti.

Notizie sulla mancanza di strutture adeguate per i disabili in “Il centro per i disabili appeso a una proroga” (Voce, 24/06, non ancora in rassegna), “Pronta la nuova casa per i disabili – Ma la retta mensile è di 3.800 euro” (Gazzetta, 18/06). Le difficoltà per i pazienti psichiatrici e per le loro famiglie sono sempre più pesanti “Pazienti psichiatrici, le famiglie insorgono” (Gazzetta, 24/06); a partire da questo numero del nostro appuntamento settimanale ospitiamo un intervento sul tema del disagio psichico.

La necessità di riaffermare e garantire piena osservanza dei diritti umani ed in particolare del diritto d’asilo sono portati all’attenzione di tutti grazie alla lettera del gruppo mantovano di Amnesty International (Gazzetta, 24/06).

Riassume in modo deciso e sensibile – quello che i ragazzi ancora conoscono – l’invito a riflettere su queste notizie la lettera scritta dagli studenti della classe 4 BP ITC Pitentino che racconta della loro visita al campo di concentramento di Mauthausen: “Abbiamo visto dove arriva la crudeltà” (Gazzetta, 22/06).

 

Angelica Bertellini.

 

In allegato gli indici degli articoli di Gazzetta di Mantova e di Voce di Mantova, ogni titolo conduce al formato on-line. Come sempre è libero l’accesso alla rassegna e alla ricerca nell’archivio regionale.

 

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Speciale

 

Dal razzismo istituzionale a quello di massa

Alla luce degli episodi di violenza nei confronti degli immigrati, avvenuti negli ultimi mesi, si può parlare di una deriva razzista di massa? Il campo nomadi bruciato a Napoli e il bengalese picchiato all’interno del suo negozio a Roma sono certamente episodi di violenza gravissimi, ma non bastano per lanciare un “sos razzismo” generalizzato. Sono tuttavia segnali preoccupanti che pongono interrogativi su come l’Italia sta affrontando la profonda mutazione del suo tessuto sociale in seguito all’insediamento di centinaia di migliaia di immigrati provenienti da diverse parti del mondo e su quali sono gli strumenti politici, giuridici e culturali sui quali si basa la politica dello Stato per traghettare il paese verso un nuovo equilibrio sociale che tenga conto degli elementi di novità che sono sopraggiunti in seguito all’immigrazione (nuovi gruppi sociali con usi, costumi e fedi diverse).

Ad oggi, le risposte a questi interrogativi sono del tutto inadeguate. Negli ultimi 15 anni l’approccio politico al fenomeno migratorio - a prescindere dal colore politico di chi governava - è stato un approccio miope che vedeva negli immigrati uno strumento utile all’economia di cui ci si poteva disfare a piacere. E quando ci si è accorti che gli immigrati non erano solo manodopera e che l’insediamento della maggioranza di loro è definitivo, invece di elaborare un modello di inserimento sociale si è optato per le misure restrittive e repressive, a volte in palese violazione degli elementari diritti della persona umana. La legge Turco-Napolitano ( Napolitano è l’attuale presidente della Repubblica!) ha introdotto la norma che lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. Ad esempio, un immigrato che vive da 10/15 anni in Italia che si presenta per rinnovare il suo permesso di soggiorno senza un contratto di lavoro, non lo ottiene; e per legge teoricamente diventa clandestino e quindi oggetto d’espulsione, dopo essere “ospitato” nei CPT previsti dalla stessa legge. In seguito è stata fatta un’altra legge, più restrittiva, la cosiddetta Bossi-Fini (Fini è l’ attuale Presidente della Camera!), che presto verrà modificata introducendo la norma che considera la clandestinità un reato penale, ovvero i “senza documenti” finiranno in carcere in mezzo ai criminali.

Il vero razzismo in Italia - ma anche nell’UE - oggi è quello “istituzionale”. Un razzismo che si esprime attraverso le leggi che discriminano gli immigrati e ledono la loro dignità umana.

Il parlamento europeo ha approvato il 18 giugno scorso una vergognosa direttiva contro l’immigrazione irregolare che prevede la possibilità di prolungare i tempi di detenzione dei clandestini nei Centri di permanenza temporanea fino a 18 mesi. In questi centri possono essere trattenuti anche i minori. Tale provvedimento costituisce una palese violazione dell’art 37 della Dichiarazione dell’ONU sui dei diritti del fanciulli firmata anche dai paesi dell’UE.

In Italia, per rinnovare un permesso di soggiorno occorrono mediamente 12 mesi di attesa (senza “identità”). Nel parlamento da poco insediato, tutti gli “eletti” (salvo i senatori a vita) sono stati scelti da partiti politici che hanno costruito i loro programmi strumentalizzando la questione delle sicurezza, facendo un amalgama tra criminalità e immigrazione, usando gli immigrati come capro espiatorio della crisi socio-economica nella quale versa il Belpaese. La sicurezza – un problema reale, senza dubbio – viene presentato strumentalmente all’opinione pubblica come un problema che deriva sostanzialmente dalla presenza degli immigrati. È vero che le prigioni italiane sono piene di immigrati, ma è altrettanto vero che la maggior parte di loro sono degli emarginati, senza documenti, senza lavoro e senza casa (requisiti essenziali per intraprendere la strada dell’illegalità). In un rapporto del Ministero dell’Interno sulla sicurezza, pubblicato nel 2007, si afferma che il 70% circa dei condannati per omicidio nel 2006 sono italiani autoctoni; il restante 30% è di origine immigrata, di cui il 70% sono clandestini. Ma quando i media presentano questo dato con titoli come “il 30% degli condannati per omicidio sono stranieri”, la gente percepisce l’immigrato come una minaccia e cade nella trappola dei pregiudizi. Di conseguenza la criminalità - di matrice straniera- viene percepita non come un fatto individuale, ma etnico: gli albanesi trafficanti di droga e di donne, i rom borseggiatori e ladri di bambini e gli arabi musulmani dei terroristi. La responsabilità individuale per un reato sembra ormai accantonata a fronte di quella etnica di appartenenza; una semplificazione pericolosa che radicalizza i pregiudizi e spiana la strada ad un razzismo di massa che cerca di affondare le sue radici nel terreno delle culture e delle religioni. 

 

Mostafa El Ayoubi

Redattore della rivista <<Confronti - mensile di fede, politica, vita quotidiana>>  edito dalla cooperativa com nuovi tempi.

 
Discutiamo della 180?

 

Sulla Gazzetta di Mantova del 24 giugno, Giancarlo Oliani raccoglie le lamentele di un gruppo di famiglie di pazienti psichiatrici di Ostiglia. Denunciano lo stato d’abbandono in cui sono lasciate; i brevi ricoveri nelle strutture d’accoglienza, le rapide dimissioni, l’inadeguata assistenza domiciliare.

Chi ha lavorato nei manicomi ha salutato con entusiasmo, quarant’anni fa, la legge 180 che li chiudeva. Ma il fatto che la medesima legge venisse attuata senza che, almeno gradualmente, fossero create strutture alternative, ha dato corpo ai dubbi di quegli operatori che temevano quanto è poi accaduto. Il paziente psichiatrico, sintomo spesso di una famiglia in grave difficoltà, nella famiglia stessa veniva nuovamente immesso, così da renderne ancora più drammatica la vita.

La 180 non fu frutto di un’ideologia, ma della presa di coscienza della disumanità manicomiale. Purtroppo non ha saputo modularsi sulle necessità dei singoli soggetti, sulla realtà delle singole famiglie; troppo spesso noi medici non siamo stati messi in condizione di valutare quale nucleo sarebbe stato in grado di riaccogliere il proprio congiunto e quale paziente l’avrebbe destrutturato.

Una questione drammaticamente lasciata aperta.

 

Ivanoe  Vincenzi

Ex Responsabile del Presidio Psichiatrico di Mantova

 

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Redazione

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