Legislatura 16º - 14ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 9 del 23/07/2008


 

POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA    (14ª) 

 

MERCOLEDÌ 23 LUGLIO 2008

9ª Seduta 

 

Presidenza della Presidente

BOLDI 

 

 

            La seduta inizia alle ore 13,45

 

 

IN SEDE CONSULTIVA

 

Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale - COM (2008) 426 definitivo (n. 6)

(Parere alla 1a Commissione. Esame, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, e rinvio)  

 

Prima di dare la parola alla senatrice Licastro Scardino, relatrice sulla proposta di direttiva in titolo, la presidente BOLDI evidenzia che, per la prima volta in questa Legislatura, la Commissione 14a esamina un atto comunitario su impulso diretto della COSAC, la Conferenza degli Organismi Specializzati negli Affari Comunitari.

Ciò sta a significare che la Commissione si pronuncerà sul controllo del principio di sussidiarietà relativamente a tale proposta comunitaria in contemporanea con le omologhe Commissioni dei Parlamenti degli altri 26 Paesi membri dell’Unione Europea.

È importante sottolineare, conclude la Presidente, che siamo di fronte ad un test collettivo mirante a verificare il rispetto del principio di sussidiarietà, che viene esperito nonostante la mancata entrata in vigore del Trattato di Lisbona a partire dal prossimo 1° gennaio 2009, in ragione, come noto, dell’esito negativo del referendum irlandese.

 

Riferisce sull’atto comunitario in titolo la relatrice LICASTRO SCARDINO (PdL) , la quale osserva preliminarmente che la proposta si inscrive all'interno dell'Agenda sociale rinnovata, adottata il 2 luglio scorso, nella quale la Commissione europea ribadisce il proprio impegno a favore dell'uguaglianza e delle pari opportunità per tutti, affinché ciascuno possa realizzare il proprio potenziale. Inoltre, accompagna la Comunicazione "Non discriminazione e pari opportunità: un impegno rinnovato", nella quale la Commissione individua una serie di "azioni volte a dare un nuovo slancio al dialogo sulla politica di lotta contro la discriminazione, nonché a consentire un'utilizzazione più efficace degli strumenti disponibili".

La proposta, preannunciata anche nel programma legislativo della Commissione per il 2008, mira peraltro a completare l'attuale quadro normativo in materia di antidiscriminazione, basato sull'articolo 13 del TCE, estendendo tale principio anche al di fuori della sfera lavorativa, ambito nel quale sussistono tra gli Stati membri considerevoli differenze per quanto riguarda il livello e le modalità di tutela del principio di uguaglianza.

La relatrice ricorda che il quadro normativo comunitario in materia di antidiscriminazione è attualmente costituito da tre direttive, la 2000/43/CE, la 2000/78/CE e la 2004/113/CE, che limitano il divieto alla discriminazione al solo settore del lavoro (direttiva 2000/78CE) oppure lo estendono ad altri settori, quali la protezione sociale o l'accesso ai beni e servizi, ma solo per alcune categorie di persone (uomini e donne nella direttiva 2004/113/CE o persone di diversa razza o origine etnica nella direttiva 2000/43/CE).

Di qui la necessità, sottolineata anche dal Consiglio europeo del 14 dicembre 2007 e ribadita dal Parlamento europeo nella risoluzione adottata il 20 maggio scorso, di analizzare e colmare le eventuali lacune presenti nel quadro legislativo comunitario in materia di antidiscriminazione.

Prima di passare all’esame della proposta, la relatrice tiene a precisare che essa è al vaglio delle Commissioni affari europei dei parlamenti nazionali che stanno conducendo un esame congiunto in seguito alla deliberazione della Conferenza dei Presidenti Cosac svoltasi a Lubiana il 18 febbraio 2008 e confermata nelle conclusioni della XXXIX Cosac dell'8 maggio 2008. Si tratta di un esperimento concernente il meccanismo sul controllo da parte dei parlamenti nazionali del rispetto del principio di sussidiarietà. Il controllo sarà effettuato sulla base delle regole e procedure oggi vigenti, ma utilizzando anche quale parametro di riferimento, benché ancora non vincolante, il Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità allegato al Trattato di Lisbona. In base ad esso, i parlamenti disporranno di un periodo di otto settimane per rendere un parere circa la conformità o meno della proposta della Commissione europea a tale principio. Tale termine decorre dal 9 luglio 2008, data in cui la proposta è stata disponibile in tutte le lingue ufficiali dell'Unione, e scade il 4 settembre 2008. I risultati dell'esperimento saranno discussi dalla XL Cosac che si terrà il 3-4 novembre 2008 a Parigi durante la Presidenza francese.

Al riguardo, la Commissione europea ha dichiarato che la proposta è conforme al principio di sussidiarietà, poiché l'obiettivo della stessa, ovvero garantire un livello comune di tutela della parità di trattamento a livello degli Stati membri, non può essere raggiunto sufficientemente da questi ultimi e può essere realizzato meglio a livello comunitario. Al tempo stesso, la proposta tutela la diversità delle società europee poiché non intacca le competenze dei singoli Stati in questioni come l'organizzazione e il contenuto dell'istruzione, il riconoscimento della famiglia o del matrimonio, l'adozione, i diritti in materia di riproduzione o la possibilità di vietare o consentire l'esibizione di simboli religiosi nelle scuole.

La relatrice entra, quindi, nel merito del provvedimento osservando che esso si compone di tre Capi, per un totale di 18 articoli. Il Capo I reca una serie di disposizioni generali, il Capo II reca le norme circa i mezzi di ricorso e applicazione e il Capo III le disposizioni finali.

Tra le varie disposizioni generali (Capo I) viene sancito lo scopo della proposta (articolo 1), che è appunto quello di vietare la discriminazione in base al sesso, all'età, alla razza o origine etnica, alle convinzioni personali, alla religione e all'orientamento sessuale, in campi diversi dall'occupazione. Particolarmente importanti le disposizioni riguardanti il concetto di discriminazione (articolo 2) e il campo di applicazione (articolo 3).

Per quanto riguarda il concetto di discriminazione, la Commissione fornisce alcune definizioni, prima fra tutte quella di parità di trattamento intesa come assenza di discriminazione, distinguendo tra discriminazione diretta e indiretta. Sussiste discriminazione diretta quando una persona è stata trattata meno favorevolmente di un'altra, mentre, e questo è più complesso da accertare, sussiste discriminazione indiretta, quando una disposizione, criterio o prassi, apparentemente neutro, può invece recare danno a persone con determinate caratteristiche, a meno che tale disposizione, criterio o prassi "siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento sono appropriati e necessari".

Le molestie, se di entità tali da offendere la dignità umana e creare un ambiente ostile, sono considerate una forma di discriminazione, così come il rifiuto di trovare una soluzione ragionevole nei confronti di persone con disabilità, per le quali la proposta prevede un'apposita norma (articolo 4) di cui si parlerà più avanti.  

In alcuni casi però sono ammesse talune eccezioni e viene lasciata agli Stati membri la facoltà di praticare una disparità di trattamento, senza che essa venga considerata una forma di discriminazione, laddove questa sia giustificata nel diritto nazionale da una finalità legittima raggiungibile con mezzi appropriati e necessari. In particolare, è possibile imporre un limite di età per l'accesso alle prestazioni sociali, all'istruzione o determinati beni o servizi. Per i servizi assicurativi e bancari viene inserita una norma apposita (paragrafo 7) in considerazione del fatto che l'età e la disabilità possono costituire un elemento essenziale nella valutazione del rischio per alcuni prodotti e per i prezzi. Gli Stati membri possono praticare differenze di trattamento, sulla base di dati attuariali o statistici accurati.

Per quanto attiene invece al campo di applicazione (articolo 3), continua la relatrice, il divieto di discriminazione si applica nel settore della protezione sociale, delle prestazioni sociali, dell'istruzione e dell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, ivi compresi gli alloggi. Nel settore dei beni e servizi rientrano però solo le attività professionali o commerciali. Resta nelle competenze degli Stati membri la responsabilità circa i contenuti dell'insegnamento, le varie attività e l'organizzazione dei sistemi di istruzione nonché la possibilità di prevedere differenze di trattamento nell'accesso ad istituti scolastici in base alla religione o alle convinzioni personali. Anche le norme nazionali riguardanti lo stato coniugale o di famiglia o i diritti in materia di procreazione non sono pregiudicate dalla proposta della Commissione, così come la legislazione nazionale riguardante la laicità dello Stato e delle sue Istituzioni e lo status delle organizzazioni religiose. Infine, non sono coperte le differenze di trattamento basate sulla nazionalità.

Per quanto riguarda le persone con disabilità (articolo 4), la proposta prevede che ai fini della parità di trattamento occorre che le misure siano prese preventivamente, laddove però l'obbligo di garantire loro l'accesso effettivo ai settori di competenza della direttiva non rappresenta un onere sproporzionato o non richieda modifiche sostanziali del prodotto o servizio. A volte, fatto comunque salvo tale obbligo, possono essere previste delle misure individuali volte a pervenire ad una soluzione ragionevole. Tuttavia tali misure non devono costituire un onere sproporzionato. La Commissione fornisce un elenco di fattori di cui tener conto ai fini della valutazione della proporzionalità dell'onere, tra cui il costo, la natura, il ciclo di vita dei beni o servizi. La proposta contempla poi la possibilità per gli Stati membri di prendere alcune misure specifiche per correggere o prevenire situazioni di disuguaglianza (articolo 5) e consente altresì a questi di istituire un livello di tutela maggiore rispetto a quello previsto dalla direttiva (articolo 6).

Relativamente ai mezzi di ricorso e applicazione, disciplinati dal Capo II, la proposta tutela il diritto di ognuno alla non discriminazione (articolo 7), stabilendo che le persone che si ritengono vittime di discriminazione devono poter ricorrere a procedimenti amministrativi o giudiziari, anche dopo l'interruzione del rapporto nel quale è avvenuta la discriminazione. In materia di onere della prova (articolo 8), la Commissione prevede un'inversione, lasciando alla parte convenuta l'onere di provare l'insussistenza della violazione del principio di parità di trattamento di cui è ritenuta responsabile. Sono previste poi misure da parte degli Stati membri al fine di proteggere le vittime da eventuali maltrattamenti o conseguenze sfavorevoli derivanti dai reclami da queste sollevati (articolo 9). Gli Stati dovranno poi portare le persone interessate a conoscenza dei loro diritti (articolo 10), poiché troppo spesso in questo settore vi è una scarsa informazione. Dovranno altresì incoraggiare il dialogo con le parti sociali, in particolar modo con le ONG (articolo 11). E' prevista poi l'istituzione di organismi di parità (articolo 12), incaricati di fornire alle vittime di discriminazione un'assistenza indipendente al fine di avviare una procedura per discriminazione, di svolgere inchieste indipendenti, di redigere relazioni e raccomandazioni in materia di discriminazione.

La relatrice conclude la sua illustrazione dando conto delle disposizioni finali, che stabiliscono in primo luogo il rispetto, da parte degli Stati membri, del principio di parità di trattamento mediante l'abrogazione di tutte le norme legislative nazionali ad esso contrarie. Parimenti, è prevista la possibilità di annullare i contratti e i regolamenti interni di aziende e associazioni con o senza fini di lucro, per i medesimi motivi (articolo 13). In caso di violazioni delle norme nazionali di attuazione della direttiva è previsto un regime sanzionatorio effettivo, proporzionato ed efficace, che non contempla la fissazione di alcuna soglia massima (articolo 14). Il termine per il recepimento della direttiva negli ordinamenti nazionali è fissato a due anni dalla sua adozione. Tale periodo è esteso a quattro anni per quanto riguarda gli l'obbligo di fornire un accesso effettivo ai settori di cui all'articolo 3 alle persone con disabilità.

 

            La presidente BOLDI ringrazia, quindi, la relatrice per l’esauriente illustrazione della proposta di direttiva e dichiara aperta la discussione generale.

 

Il senatore DEL VECCHIO (PD) , nell’evidenziare il rilevante impatto positivo che le disposizioni contenute nell’atto comunitario saranno suscettibili di introdurre nei vari ordinamenti nazionali, mette in evidenza, in primo luogo, come tale nuova normativa vada effettivamente a colmare un cono d’ombra legislativo.

Il fatto poi che lo scrutinio di sussidiarietà relativamente a questa specifica proposta venga espressamente auspicato dalla COSAC, secondo una procedura che, sostanzialmente, riproduce quella prevista dal Trattato di Lisbona, deve indurre, secondo l’oratore, ad una seria riflessione circa il metodo di lavoro della Commissione per le Politiche dell’Unione europea nella cosiddetta "fase ascendente".

Sarà necessario, infatti, predisporre degli idonei accorgimenti procedurali affinchè la Commissione sia in grado di esprimersi con efficacia e tempismo nell’esame di sussidiarietà degli atti comunitari periodicamente trasmessi al Senato.

 

Segue una breve precisazione della presidente BOLDI , la quale fa presente come l’arco temporale delle otto settimane, entro il quale si è tenuti a formulare un parere sugli atti comunitari, deve essere rispettato, in via di fatto, esclusivamente per quanto concerne le proposte selezionate in ambito COSAC.

 

Il senatore FLERES (PdL) , manifestato il proprio assenso all’impostazione della relazione testè illustrata, sottolinea che le misure elencate, miranti ad incrementare la lotta alla discriminazione, oltre che a risultare opportune, sono state, in realtà, già enunciate in altri importanti documenti internazionali, quali, ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

È necessario, comunque, cogliere l’indubbio avanzamento che si sta compiendo nella predisposizione di un quadro generale di tutela contro tali discriminazioni.

A tale proposito, giudica positivamente la formulazione contenuta nell’articolo 8 della proposta di direttiva, che prescrive l’inversione dell’onere della prova nei casi di violazione del principio di parità di trattamento.

Parimenti apprezzabile risulta essere la disposizione di cui all’articolo 9, che statuisce l’obbligo per gli Stati membri di introdurre, nei rispettivi ordinamenti giuridici, strumenti di protezione per le vittime di trattamenti sfavorevoli.

Esprime, infine, una certa perplessità per quanto riguarda l’istituzione degli "organismi di parità", previsti dall’articolo 12 della proposta: tale genere di strutture rischiano, infatti, di vedersi impegnate in sterili discussioni retoriche che, di fatto, non introdurrebbero alcun apporto positivo nella soluzione dei problemi legati alla lesione di questo principio.

 

Secondo la senatrice FONTANA (PD) , l’Unione europea ha compiuto un grande passo in avanti sulla via della salvaguardia della dignità personale quando viene intaccata per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale.

Il nuovo quadro comunitario antidiscriminazione assume un particolare rilievo soprattutto in quanto si riconnette alla implementazione dell’"Agenda sociale rinnovata", la quale, come è noto, si basa su tre assi portanti – opportunità, accesso e solidarietà – che completano, in maniera integrata, i fondamentali obiettivi fissati dalla Strategia di Lisbona.

In questo modo, oltre ad essere confermata la sensibilità dell’Unione europea verso la dimensione sociale della discriminazione, il complesso delle linee di azione comunitaria in tale settore viene opportunamente adeguato alle sfide globali del 21° secolo.

È importante, inoltre, sottolineare come le misure approntate nel progetto di direttiva in parola, si compenetrino con i due criteri fondamentali caratterizzanti le principali politiche dell’Unione: da un lato, l’interpretazione "progressiva" del principio di non discriminazione, dall’altro, la finalizzazione dell’azione sociale comunitaria all’obiettivo della crescita economica dell’intera Unione europea.

È, infatti, pacificamente accettato come l’esclusione sociale rappresenti, oltre che, ovviamente, la violazione di un diritto, un fattore negativo, in quanto tale, dello stesso sviluppo economico.

Al pari del collega Fleres, reputa molto pregnante la disposizione contenuta nell’articolo 8, aggiungendo, però, come sia egualmente degno di considerazione il dettato dell’articolo 10, che dispone, in capo agli Stati membri, l’onere di diffusione delle informazioni relative all’applicazione della presente direttiva nei confronti delle vittime potenziali delle suddette discriminazioni.

 

Interviene quindi il senatore SANTINI (PdL) , premettendo come la disciplina enucleata nell’atto comunitario in esame sia di assoluta rilevanza, anche perchè tocca gli aspetti essenziali della stessa civiltà europea.

Vi è da rammaricarsi, semmai, del fatto che il principio di non discriminazione sia stato più volte, in passato, declamato in molteplici documenti e dichiarazioni delle varie Istituzioni comunitarie senza che a ciò abbia fatto seguito una sua reale e puntuale applicazione.

Occorre riconoscere, peraltro, che se fosse entrato in vigore il Trattato costituzionale del 2004, che, come è noto, incorporava la Carta dei diritti fondamentali approvata a Nizza nel 2000, non ci sarebbe stato bisogno di predisporre la presente proposta di direttiva, che, molto opportunamente, definisce un quadro generale di tutela.

Richiama, inoltre, l’attenzione dei colleghi sui potenziali profili di incompatibilità dell’atto comunitario con le varie legislazioni nazionali al momento della sua applicazione in materia di immigrazione.

 

La senatrice GERMONTANI (PdL) mette in rilievo la circostanza per cui il suddetto atto comunitario introduce una disciplina generale per contrastare le discriminazioni che vengono compiute soprattutto al di fuori del mondo del lavoro e dell’occupazione: ciò rappresenta una indubbia innovazione del legislatore comunitario, soprattutto alla luce di quanto attestato da recenti sondaggi, fondati su base scientifica, secondo cui un cittadino europeo su tre dichiara di essere stato testimone di una discriminazione o molestia, ai sensi del citato documento.

Il fatto che venga affermato il principio della non discriminazione come un valore fondamentale dell’Unione, non deve indurre a dimenticare che, nella realtà, il livello di tutela e di applicazione di tale principio risulta molto variabile a seconda dei diversi Stati membri.

Sotto tale profilo, è necessario ricordare che la suddetta normativa comunitaria interviene per introdurre delle prescrizioni minime in tema di tutela della parità di trattamento, lasciando, per gli Stati membri che lo volessero, la facoltà di prevedere misure legislative nazionali più severe di quelle comunitarie.

Conclude segnalando l’opportunità che gli strumenti messi a disposizione nel progetto in questione vengano effettivamente applicati soprattutto a tutela delle persone più anziane.

 

Alla senatrice MARINARO (PD) preme mettere in evidenza, in via prioritaria, come attraverso l’elaborazione di tale proposta comunitaria, l’Unione europea venga a compiere un vero e proprio atto di svolta della propria politica legislativa.

Mentre, infatti, fino a questo momento le Istituzioni comunitarie si sono limitate a predisporre una rete di salvaguardia dei diritti sociali nell’ambito dell’attività lavorativa dei soggetti giuridici, ora si apre una nuova fase che vede l’obiettivo prioritario nella tutela e nel riconoscimento dei diritti civili in quanto tali.

Ciò è evidentemente confermato dalla circostanza per cui oggetto di protezione risulta essere la possibile diseguaglianza che ciascuno può subire in materia religiosa, oppure in ragione dell’orientamento sessuale delle persone, oppure per la loro disabilità, o ancora, a causa della loro età più avanzata.

Non va, infine, disconosciuta l’opzione, prevista nell’atto in questione, che lascia gli Stati membri liberi di introdurre, nella loro legislazione, un regime di tutela più rigido di quello minimo, enucleato a livello comunitario.

 

Ricollegandosi a quest’ultimo intervento, la presidente BOLDI invita i commissari ad avere consapevolezza, ad esempio, del problema riguardante la parità di trattamento tra uomo e donna in una realtà multiculturale come quella europea, sulla quale la stessa Unione tenta di intervenire attraverso la fissazione di criteri minimi di tutela per le persone che subiscono i più svariati atti di discriminazione.

A suo avviso, però, il tentativo comunitario rischia di naufragare se si prende in considerazione il modo in cui viene vissuto il principio della parità tra i sessi da parte di alcune identità religiose, ad esempio quella musulmana, le quali, oggettivamente, prescrivono una serie di diritti civili per le donne spesso non del tutto coincidenti con quelli consolidati in ambito europeo.

 

Secondo la senatrice ADAMO (PD) il nucleo normativo dell’atto comunitario in titolo è rappresentato, più che da una mera estensione dei diritti personali, da un ampliamento delle procedure che rendono possibile l’attuazione di tali diritti.

Con riferimento all’osservazione svolta dalla presidente Boldi, che dichiara di condividere nelle sue linee essenziali, invita ad essere consapevoli della circostanza secondo la quale, anche in questo caso, il legislatore comunitario si sia impegnato a prescrivere dei precetti standard validi sul piano comune, lasciando impregiudicate le normative nazionali in materia di famiglia, di status coniugale o di insegnamento.

Si tratta di un "modus agendi" ormai invalso nella prassi normativa comunitaria di cui occorre prendere atto, stante la diversificazione, a livello nazionale, delle condizioni di salvaguardia dei diritti civili.

 

La presidente BOLDI , dopo aver ribadito che l’esame che la Commissione 14a deve svolgere nella fase ascendente attiene, principalmente, agli aspetti riguardanti la sussidiarietà e la proporzionalità delle proposte comunitarie - ovvero, la valutazione circa l’opportunità di una regolamentazione sovranazionale laddove quella esperita nei singoli Stati sia effettivamente insuscettibile di disciplinare in maniera efficace un determinato fenomeno – propone, non essendovi ulteriori interventi, di incaricare la relatrice a redigere uno schema di parere sull’atto comunitario n. 6 per la Commissione di merito.

 

Il seguito dell’esame, quindi, è rinviato.

 

 

            La seduta termina alle ore 14,45.