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Mercoledì 14 Maggio 2008 Chiudi chiudi finestra
di CORRADO GIUSTINIANI
SULL’immigrazione il governo Berlusconi rimette le mani dove il centrosinistra aveva fallito. In due anni, il governo guidato da Romano Prodi non è riuscito a far approvare da nemmeno una delle Camere le riforme che aveva promesso per i suoi primi cento giorni di vita. Sono mancati impegno concreto e capacità di mediazione. I parlamentari della maggioranza erano sconsolatamente privi di energia riformatrice. Due soli esempi. Primo, la riforma della cittadinanza, una legge di appena 7 articoli che conteneva almeno un punto di aggregazione sicura fra i poli: la lotta contro i matrimoni di comodo. Secondo la legge italiana, unica in Europa, chi sposa un nostro connazionale può dopo appena sei mesi fare domanda di naturalizzazione. Il disegno di legge del centrosinistra portava il limite a due anni, e qui avrebbe ottenuto via libera. Ma venivano anche dimezzati i tempi “normali” per la cittadinanza, da 10 a 5 anni di residenza.
Domanda: non si poteva attuare un compromesso a otto anni, il tempo di residenza previsto dalla Germania? Il clima internazionale è cambiato e anche Paesi che hanno il limite di cinque anni, come il Regno Unito, hanno aggiunto oggi un periodo di prova, di altri uno, due o tre anni, per tranquillizzare le popolazioni. Del resto, che senso aveva porre un limite di cinque anni, se poi la burocrazia, con i maggiori carichi di lavoro prodotti dall’aumento delle domande, ne impiegherà altri cinque o sei a rispondere? Così la riforma non si è fatta, e almeno 700 mila ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, che tifano Roma o Lazio, Inter o Juve, vanno a scuola, parlano italiano, non sono nè carne nè pesce fino a 18 anni: solo allora potranno fare domanda di cittadinanza. Un fallimento che rischia di incoraggiare la devianza.
Secondo esempio, il disegno di legge Amato-Ferrero che riforma la Bossi-Fini, la legge del 2002 che regola ancora l’immigrazione. Si doveva cercare con più decisione l’intesa su alcuni punti. Se davvero si vuol battere la clandestinità, occorre mettere in campo un permesso per ricerca di lavoro in Italia: altrimenti devo andare io a trovarmi la badante in Ucraina, il cuoco in Egitto o il cameriere in Marocco. Indispensabile anche un allungamento della durata dei permessi di soggiorno. Che significa anche meno polizia negli uffici e più sulla strada, al servizio della sicurezza. Uno studente universitario straniero deve rinnovare ogni anno il suo permesso di soggiorno e, almeno a Roma, impiega un anno per l’operazione. È anche per la sua burocrazia che l’Italia non attira talenti da fuori. Si poteva poi (e si può ancora) trovare intese su altri punti: i tempi di permanenza nei Cpt, le pene e quant’altro.
Cosa può fare di buono il centrodestra, fin dal prossimo Consiglio dei ministri? Distinguiamo intanto il caso dei romeni che, divenuti comunitari a gennaio del 2007, non possono più essere dei clandestini. Ce ne sono quasi un milione nel nostro Paese. In gran parte bravi lavoratori, ma con un codazzo di spiantati e di veri lestofanti, che ha indotto Simona Farcas, presidente di Italia Romania Futuro Insieme, a lanciare un appello ai connazionali perché denuncino i criminali. La mossa più urgente ed efficace è quella di un negoziato bilaterale con il governo romeno, perché accolga nelle sue carceri i connazionali che hanno commesso crimini in Italia. Anche la collaborazione fra le polizie va potenziata, sualla scia dell’intesa che aveva chiamato in Italia 18 poliziotti romeni alla fine dell’anno scorso.
Non può dare risposte immediate, invece, la revisione degli accordi di circolazione europea: se ne andrebbero anni prima che gli Stati membri giungessero a un accordo, niente affatto scontato. Il ripristino dei controlli alle frontiere può essere accordato solo per ragioni contingenti e di eccezionale gravità: eventi tipo G8, pericolo di terrorismo, rischio hooligans e altro. Arduo sostenere che l’arrivo di romeni alla frontiera comporti un pericolo per l’ordine pubblico. Si vorrebbero introdurre l’obbligo di mostrare un reddito minimo, per chi vive in Italia, ma ci si è forse dimenticati che tali limiti esistono già. Un cittadino comunitario, dopo tre mesi dall’ingresso, deve infatti iscriversi all’anagrafe, provando di avere un lavoro o mezzi di sostentamento pari all’assegno sociale, che è di circa 500 euro al mese.
Quanto agli extracomunitari, il reato di clandestinità che si vuole inserire nell’ordinamento è effettivamente presente anche in altri Paesi. Ma in Italia c’è già il reato di “permanenza in clandestinità”. La prima volta ti espello, ma se scopro che non te ne sei andato, ti becchi da 1 a 4 anni di carcere (articolo 14 della Bossi Fini). È stata efficace, questa misura? Se ne tracci un bilancio. Per identificare un clandestino in attesa di espulsione, oggi lo si può trattenere fino a 60 giorni in un Centro di permanenza temporanea. Può essere un tempo troppo limitato, per effettuare le indagini e garantirsi la collaborazione del Paese di ritorno. Una direttiva europea di prossima emanazione allunga questo periodo fino a 18 mesi. La Spagna vuole anticiparla, l’Italia anche. Attenzione, però, a non trasformare i Cpt in carceri: perderanno il loro carattere temporaneo e non potranno servire per altri arrivi.
Ci sono poi, in Italia, almeno 550 mila “clandestini per forza”. Per loro, i datori di lavoro hanno chiesto i documenti. Ma niente da fare: non sono rientrati nelle quote del 2008. È assurdo sbatterli via, andando a cercare colf e badanti casa per casa, scala per scala. L’ultima regolarizzazione è stata fatta proprio dal centrodestra nel 2002. Se ne venisse decisa un’altra, i 150 milioni di euro e oltre che potrebbe rendere, servirebbero a finanziare accordi sulla sicurezza con la Romania e con altri Paesi, ritagliando fette importanti anche per l’integrazione.