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IL CASO

Il Tar Lombardia boccia le ordinanze sul modello Cittadella

di Chiara Righetti
MILANO - Il sistema dell’ordinanza è improprio. Mentre i contenuti sono tali da suscitare "persino sospetti di intenti discriminatori". Sono le motivazioni con cui il Tar della Lombardia ha sospeso otto ordinanze di altrettanti sindaci (quelli di Lecco, Desio, Seregno, Lissone, Biassono, Lesmo, Cogliate e Lazzate) modellate sul cosiddetto “editto Bitonci”, dal nome dell’ormai noto sindaco di Cittadella, nel padovano.

Il ricorso è stato presentato dai sindacati Cgil, Cisl e Uil, e in un caso, anche da un privato cittadino, che aveva fatto domanda con il decreto flussi per assumere una badante straniera. E, dopo averle offerto alloggio in casa propria, era al paradosso di non poter ottenere per lei l’iscrizione anagrafica senza un certificato di idoneità della propria abitazione. “Un cittadino – spiega l’avvocato Vittorio Angiolini, che ha seguito i ricorsi – veramente esasperato perché si era trovato nella condizione, lui che abita in una casa che ha superato tutti i controlli di agibilità fin dal 1971, di dover ripresentare da capo una serie di documenti. Tra cui i calcoli del cemento armato – che fra l’altro è lo stesso Comune a fornire”.

“La consideriamo una vittoria piena”, spiega ancora Angiolini. L’ordinanza impugnata, secondo i giudici del Tar, “risulta in primo luogo viziata per l’uso abnorme ed illegittimo del potere d’ordinanza”. In sostanza questo strumento non può essere usato dai sindaci per disciplinare in modo stabile materie come l’iscrizione anagrafica. Ma anche la bocciatura di merito è durissima: “Al di là dell’improprietà dello strumento usato – si legge nell’ordinanza del tribunale - anche il contenuto dell’ordinanza in esame appare gravemente viziato suscitando persino sospetti di intenti discriminatori in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione”.

Il no del Tar incide su due punti. “Il primo – spiega Angiolini - è quello che caratterizzava l’ordinanza di Cittadella “prima maniera”, dovuto probabilmente a un errore vero e proprio. Ai cittadini extracomunitari per ottenere l’iscrizione anagrafica sembrava venire richiesto il possesso della carta di soggiorno (oggi permesso Ce per lungo-soggiornanti) mentre basta ovviamente il semplice permesso”.

Il secondo aspetto è il fatto che l’ordinanza prevede, per i cittadini dell’Unione europea che vogliono ottenere la residenza, non solo la dimostrazione di un reddito pari almeno all’assegno sociale (circa 5mila euro annui). Ma anche l’accertamento preventivo, da parte del Comune, della “provenienza e liceità” di questo reddito. Un requisito che secondo il tribunale amministrativo a previsione –

Tra i paradossi, fa notare Angiolini, il fatto che solo alcune ordinanze sono state impugnate e quindi sospese. Ma ad averne adottate di analoghe sono stati moltissimi Comuni lombardi. “In alcuni casi – spiega l’avvocato – siamo arrivati quando i termini per fare ricorso erano scaduti, anche perché buona parte di questi provvedimenti sono stati varati dalle amministrazioni in forma semi-clandestina”. Negli altri Comuni resta comunque praticabile un’azione in giudizio contro la discriminazione, sulla base degli articoli 43 e 44 del Testo unico sull’immigrazione. Per poterla avviare è però indispensabile che a rivolgersi agli avvocati sia un cittadino straniero, comunitario o no, che non può iscriversi all’anagrafe e denuncia quindi una presunta discriminazione subita.

Quanto alle vittorie presso il Tar, Angiolini ritiene probabile che la questione arriverà fino al Consiglio di Stato. Di fatto, il sindaco di Lecco Antonella Faggi ha già annunciato una consultazione fra i colleghi in vista del ricorso.

(13 maggio 2008)
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