Portare da sei mesi ad un anno la durata del permesso di soggiorno per ricerca di occupazione

In questa fase di recessione economica, si darebbe pi tempo agli immigrati che perdono il lavoro di trovare unaltra occupazione regolare; inoltre si permetterebbe loro di godere appieno dellindennit di disoccupazione.

Una proposta del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL

 

 

Il dibattito acceso in materia di immigrazione e la necessit, sottolineata da molti, di adeguare la Bossi – Fini alle prospettive economiche future del Paese, rese pi incerte e fragili dalla crisi finanziaria internazionale, non un argomento peregrino e dovrebbe far riflettere quanti, nel  Governo e nella Societ civile, sottolineano il rischio di maggiori tensioni e conflitti interni alla societ, resi pi acuti dallingovernabilit dei flussi, dalla farraginosit degli attuali meccanismi dingresso regolare e da un peggioramento della situazione occupazionale.

 

In effetti episodi di tensione ed insofferenza si sono gi verificati ripetutamente, e non solo in occasione di gravi casi di cronaca. Molta gente lamenta di un forma di dumping provocata dalla presenza degli immigrati, sia nel mercato del lavoro (salari pi bassi pagati per la stessa prestazione),  sia nel godimento di servizi pubblici, spesso insufficienti per tutti (accesso agli asili nido, diritto allalloggio, servizi sanitari, ecc.)

 

La necessaria integrazione di culture ed abitudini diverse un processo lungo e non privo di ostacoli. Il tutto reso oggi pi difficile ed incerto  dal taglio apportato dallEsecutivo ai fondi prima destinati allintegrazione.

 

La fase di recessione, prevista di durata non breve, rischia di radicalizzare queste tensioni, specie sul fronte occupazionale. Non siamo gli unici a temere questo rischio e a pensare a contromisure: pensiamo al governo di sinistra spagnolo che aveva paventato la possibilit di azzerare i flussi dingresso per il 2009 o a quello inglese che si rivolto ai propri imprenditori chiedendo di assumere prima di tutto i lavoratori britannici.

 

Parlare di questi problemi logico e necessario, specie per il sindacato che ha come compito istituzionale quello di tutelare i posti di lavoro ed i diritti di chi rappresenta, italiano o straniero che sia. In questo senso non scandalizza lapproccio di chi, come il Segretario della Cgil Guglielmo Epifani, pensa ad una misura di sospensione della attuale (inadeguata) normativa sullimmigrazione: in effetti, illogico pensare di  rimandare in Patria chi rischia di rimanere senza lavoro. Persone che hanno la propria famiglia ed i propri interessi ormai radicati in Italia; che hanno figli che si sentono italiani e magari parlano meglio il nostro idioma, che non la lingua di origine. Senza contare che gi difficile espellere chi entrato irregolarmente. Non abbiamo, dunque, bisogno di altri irregolari.

 

Sospendere la Bossi Fini, per, una misura irrealizzabile e, per certi aspetti, inadeguata perch presuppone il congelamento della situazione attuale, una situazione non omogenea composta da 4 milioni di stranieri regolari, ma anche da centinaia di migliaia di migranti privi di permesso, senza diritti e dunque impermeabili a qualsiasi misura che non sia un provvedimento di espulsione, o una sanatoria cosa del tutto improponibile, e non solo con lattuale Esecutivo.

Inoltre, se si congela, si congela tutto: compresi i nuovi flussi dingresso, mettendo in seria difficolt le imprese, specie nellimpossibilit di sanare la situazione degli irregolari.

Inutile dire che la proposta di Epifani ha una valenza tutta politica, e finisce solo per radicalizzare posizioni gi distanti in materia di immigrazione.

 

 

 

 

 

LItalia ha comunque investito sui migranti e loro hanno investito sullItalia. Sarebbe illogico (e inumano) pensare di rimandarli a casa. Sarebbe una iattura anche per lItalia che tanto bisogno di manodopera ha in alcuni settori che scarseggiano di una certa classe di lavoratori.

 

Lidea, comunque, di ritardare il rischio di espulsione di chi perde lavoro invece giusta e risponde ad una doppia necessit: dare pi tempo per trovare un nuovo lavoro per chi lha perso, specie in tempi di crisi; ma anche rispondere al dettato della Legge Bossi Fini che, al  comma 3, art. 2 del Testo Unico, prevede la parit di trattamento e piena uguaglianza del lavoratore straniero con quello italiano.

 

In effetti cՏ una discrasia tra la parte della legge che limita a sei mesi la durata del permesso di soggiorno in attesa di occupazione e la normativa che concerne lindennit di disoccupazione erogata dallINPS, la cui durata stata portata – dal 1 gennaio 2008 -  a 8 mesi per chi ha maturato versamenti contributivi per 52 settimane, nellarco dei due anni precedenti il licenziamento. La durata dellindennit, per chi ha compiuto 50 anni, arriva a 12 mesi.

 

Questa misura di protezione sociale vale per tutti, italiani e non, sempre che vengano rispettati i requisiti sopra descritti. Ora accade che questa misura cozzi con la norma che limita a 6 mesi il rinnovo di permesso in attesa di occupazione, per limmigrato che ha perso il lavoro. E Poich lindennit di disoccupazione ha come requisito indispensabile la residenza in Italia , o in uno Stato UE (cd. inesportabilit), si crea una situazione di discriminazione per gi immigrati, che non possono godere appieno del diritto di indennit di disoccupazione.

Una palese discriminazione che contraddice il citato comma 3, art. 2 del Testo Unico, che prevede la parit di trattamento e piena uguaglianza del lavoratore straniero con quello italiano.

 

Sarebbe allora giusto ed equo modificare la durata del permesso in attesa di occupazione portandolo a 12 mesi: in questo modo verrebbe meno la discriminazione ed inoltre si darebbe pi tempo agli immigrati rimasti senza occupazione di trovare un nuovo lavoro. Unipotesi senzaltro preferibile al ricadere degli stessi in una situazione  di irregolarit e lavoro nero.

 

Sappiamo che, anche allinterno della maggioranza, cՏ chi non contrario a questa ipotesi e che dunque avviare un dibattito su questa misura concreta di equit forse possibile senza ricadere nella logica della contrapposizione tra posizioni e schieramenti politici.

 

Roma, 6 novembre 2008