Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornato alla data
del 10 Ottobre 2008)
Sommario
o
Politica: nota di
Guglielmo Loy su proposte della Lega
o
Politica: in arrivo
nuovo decreto flussi, senza click-day
o
Statistiche: Istat, 3,5
milioni di stranieri residenti
o
Statistiche: immigrati
ed assicurazioni
o
Commenti: razzismo,
esperti criticano la politica
o
La storia: a Bari una
casa per bambini immigrati soli
o Foreign
press: The New York Times: Italy’s attacks on migrants fuel debate on racism
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
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214
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti
Bruxelles, 21 ottobre 2008, ore 09.00 -17.00
ETUC Migration and Inclusion Working Group meeting (Giuseppe
Casucci)
Immigrazione,
le proposte della Lega sono inutili e lesive della dignità della persona
Nota di Guglielmo Loy, Segr. Confederale UIL
Roma, 9
Ottobre 2008 - La proposta del
contratto di soggiorno a punti è indecente in quanto lesiva del diritto
dell’immigrato ad avere parità di trattamento di fronte alla legge. Le leggi
esistono già per punire chi compie un reato ed, eventualmente, revocare il
permesso di soggiorno a chi ha dimostrato di non meritarlo. Paragonare il diritto
alla patente con il progetto di vita di un immigrato, ne diminuisce il valore
di fronte agli altri ed è dunque lesivo della dignità della persona. E’ facile
prevedere, inoltre, l’impossibilità per il nostro apparato burocratico di
sostenere questo compito. Un apparato che oggi rilascia un rinnovo di permesso
dopo 1 anno (anziché 40 giorni) e consegna il nulla osta al lavoro al 10 %
delle imprese dopo 2 anni. Altrettanto grave appare la proposta di obbligare i
medici del Pronto Soccorso a denunciare gli immigrati irregolari che si
presentano per cure urgenti. Tutto ciò avrebbe come effetto, tra l’altro, il
fatto che molti immigrati rinuncerebbero alle cure, mettendo a rischio la loro
salute ma, in qualche caso, anche quella delle persone con cui vengono a contatto,
come ad esempio nel caso di malattie infettive.
In questa
eventualità la UIL chiederebbe a medici ed infermieri di applicare il principio
di obiezione di coscienza e rifiutarsi di dare informazioni sulle persone che
vanno da loro a curarsi.
Le nuove
proposte della Lega in materia di immigrazione, soffiano ancor di più sul fuoco
delle tensioni sociali, incuranti del rischio che tutto ciò ha in termini di
convivenza civile. Ma quando si apre il vaso di Pandora dell’intolleranza e lo
si legittima, si rischia poi di non essere più in grado di controllarne i
nefasti effetti, come ci insegna la cronaca di tutti i giorni.
Al contrario,
la più efficace risposta sul tema dell’integrazione e della coesione, sta
proprio nel diffondere, tra tutti i cittadini, il concetto di parità di doveri
e parità di diritti.
di Vladimiro Polchi http://temi.repubblica.it/metropoli-online/
Roma, 9 Ottobre 2008 - Parte il
conto alla rovescia per il decreto flussi 2008. I tecnici dell’Interno e del
Welfare si sono messi d’accordo: nuovo decreto entro novembre, 170mila quote,
nessun clic day. Il decreto “fotocopia” terrà infatti conto delle domande
d’assunzione già presentate, scorrendo l’attuale graduatoria. Nessuna corsa
alle quote, dunque, quest’anno. Tutto è deciso. Manca solo il via libera del
governo. Come va, intanto, l’esame delle pratiche del decreto 2007? 170mila
erano i posti messi in palio, oltre un terzo per colf e badanti. Un mare le
richieste d’assunzione arrivate via internet, in pochi giorni: alla fine il
conto si è fermato a 740.475 (di cui circa 475mila per lavoro domestico e
d’assistenza alla persona). Ebbene, al 7 ottobre di quest’anno, sono poco più
di 147mila le domande esaminate; 88.032 sono i datori di lavorio che hanno
ricevuto il nulla osta all’assunzione, mentre oltre 10mila hanno ricevuto
risposta negativa dalle questure. Poi ci sono le direzioni provinciali del
lavoro, che finora hanno “cestinato” oltre 41mila pratiche. Il Viminale, dal
canto suo, ha fatto il possibile per accelerare i lavori di smaltimento delle
domande, ma si è trovato a gestire una mole di lavoro eccezionale. Alle
pratiche del decreto flussi, infatti, si aggiungono le 12mila richieste di
ricongiungimento familiare esaminate, con oltre 10.500 nulla osta consegnati da
maggio scorso. Non solo. C’è anche da rispondere alle richieste di lavoratori
stagionali. Molti sono gli sportelli unici in sofferenza: tra tutti, l’ufficio
di Roma col suo grande arretrato di lavoro. Ora arriva il decreto flussi 2008,
da 170mila posti. L’accordo è stato raggiunto da tempo tra i tecnici dei due
ministeri competenti: Interno e Welfare. Sarà un decreto fotocopia, uguale, cioè,
a quello presentato nel 2007. Verrà approvato dal Consiglio dei ministri entro
il mese di novembre e servirà a recuperare le domande eccedenti rispetto alle
170mila quote previste l’anno scorso. Nelle intenzioni del Viminale, si
vorrebbe dare così soddisfazione a tutti coloro che hanno presentato domanda in
base al decreto 2007 (considerando che il 40% delle pratiche paiono destinate
comunque alla bocciatura). I nuovi flussi privilegeranno il lavoro domestico e
di assistenza alla persona. «Verranno poi rivisti i criteri di distribuzione
dei posti all’interno delle singole province – spiegano i responsabili
dei due ministeri – baste ricordare infatti che nel 2007 Milano ha
ricevuto circa 80mila domande, con solo 7mila quote assegnate, mentre a Roma
sono state presentate 48mila domande, con ben 15mila e 500 posti a
disposizione». Insomma, tutto è pronto per varare il nuovo decreto, in attesa
del via libera politico da parte del governo. Su tutto pesa però un’incognita:
il ricorso presentato al Tar di Milano. Il caso riguarda le pratiche che
sarebbero state danneggiate, all’interno delle 14 nazionalità cui era riservato
il primo clic day del decreto flussi 2007. In particolare si tratta delle
domande dei lavoratori bangladesi, moldavi, filippini, marocchini e srilankesi
(i cui nomi troppo lunghi non sarebbero stati riconosciuti dal sistema
informatico). I giudici amministrativi dovrebbero pronunciarsi il 21 ottobre
prossimo. In quel giorno, si discuterà anche dell’annullamento dell’intera
graduatoria come chiesto dai firmatari del ricorso.
Statistiche
(ANSA/AGI) Roma, 9 ottobre 2008 - I cittadini stranieri residenti in
Italia al 1° gennaio 2008 sono 3.432.651; rispetto al 1° gennaio 2007,
riferisce l'Istat, sono aumentati di 493.729 unità (+16,8%). Si tratta
dell'incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell'immigrazione
nel nostro Paese, da imputare al forte aumento degli immigrati di cittadinanza
romena, che sono cresciuti nell'ultimo anno di 283.078 unità (+82,7%). Circa
457 mila residenti di cittadinanza straniera sono nati in Italia, 64.049 nel
solo anno 2007. Costituiscono il 13,3% del totale dei residenti e rappresentano
un segmento di popolazione in costante crescita: nel 2001, in occasione del
Censimento, erano circa 160 mila. Sono una "seconda generazione",
poiché non sono immigrati; la cittadinanza straniera, infatti, è dovuta
unicamente al fatto di essere figli di genitori stranieri. Complessivamente, i
minorenni costituiscono un insieme di circa 767 mila individui. Quasi la metà
dei residenti stranieri (un milione e 616 mila individui, pari al 47,1% del
totale) proviene dai paesi dell'Est europeo. I cittadini dei paesi est-europei
non appartenenti all'Ue sono 839 mila (24,4% del totale dei residenti
stranieri), mentre 777 mila (22,6% del totale) provengono da uno dei Paesi Ue
di nuova adesione. I flussi migratori dai Paesi Ue di nuova adesione sono in
progressivo aumento dal 2005, mentre si registra nel complesso una diminuzione
per le altre aree di provenienza. Tra le comunità, quella romena è diventata la
più numerosa in Italia. In un solo anno (2006-2007), i residenti romeni in
Italia sono passati da 342.200 unità a 625.278 (+82,7%), scalzando così il
primato dell'Albania (da 375.947 a 401.949) che al momento si colloca al
secondo posto. Al terzo posto, c'è il Marocco con 365.908 unità (erano 343.228).
I primi cinque paesi della graduatoria - Romania, Albania, Marocco, Cina e
Ucraina - rappresentano circa la metà di tutti gli immigrati residenti, con
1.682.000 unità, pari al 49% del totale. Aumentano poi gli stranieri che
ottengono la cittadinanza italiana, 45.485 nel 2007 (+29,0%); il saldo naturale
della popolazione straniera (+60.379 unità) compensa quasi per intero,
sottolinea l'Istat, il saldo naturale negativo dei residenti di cittadinanza
italiana (-67.247 unità). L'incidenza percentuale degli stranieri residenti in
Italia sulla popolazione complessiva, che all'inizio dell'anno 2007 era del
5,0%, raggiunge al 1 gennaio 2008 quota 5,8%. Si tratta di un livello in linea
con quello di altri grandi paesi europei, come la Francia e il Regno Unito, che
tuttavia sono di più antica immigrazione. La maggior parte delle acquisizioni
di cittadinanza italiana avviene ancora oggi per matrimonio: poiché i matrimoni
misti si celebrano prevalentemente fra donne straniere e uomini italiani, tra i
nuovi cittadini italiani sono più numerose le donne. Le concessioni della
cittadinanza italiana per naturalizzazione, invece, sono ancora poco frequenti,
specialmente se confrontate con il bacino degli stranieri potenzialmente in
possesso del requisito principale per richiedere la cittadinanza e cioè la
residenza continuativa per 10 anni. Dai dati dei permessi di soggiorno
disponibili al 1° gennaio 2007 si può stimare infatti che siano circa 630 mila
coloro che potrebbero essere in possesso di tale requisito.
Popolazione straniera residente in Italia: |
|||
bilancio
demografico 2003 - 2008 |
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anni |
Stranieri
residenti al 1° gennaio |
saldo
migratorio con l'estero |
Stranieri nati
in Italia |
|
|
|
|
2.003 |
1.549.373 |
411.970 |
- |
2.004 |
1.990.159 |
380.737 |
- |
2.005 |
2.402.157 |
266.829 |
- |
2.006 |
2.670.514 |
237.614 |
398.205 |
2.007 |
2.938.922 |
494.885 |
457.345 |
2.008 |
3.432.651 |
- |
- |
Scarica il rapporto ISTAT http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20081009_00/testointegrale20081009.pdf
Ve lo
immaginate cosa sarebbe oggi il Piemonte con quasi due milioni di abitanti in
meno? Cosa sarebbero Torino, le Langhe, le campagne vercellesi? Certo, gli
anziani abitanti saprebbero cantare certe canzoni di Gipo Farassino con tutti
gli accenti giusti: «Ciau Turin, mia bela tera, / che tristessa, che pensé…» E
magari i più colti potrebbero recuperare le poesie di Angelo Brofferio e
lanciarsi con accorato sentimento ne «I bogianen»: «Lo san s'al é nen vera /
Guastalla e San Quintin, / Pastreng, Goito, Peschiera / Palestro e San Martin.
/ Gëneuria farisea, / veule accertev ne ben? / Lo san fin a 'n Crimea / che noi
bogioma nen». Ma sarebbe un Piemonte vecchio. Spopolato. Economicamente
ammaccato. Raggrinzito. Senza l'immigrazione di veneti e pugliesi, calabresi e
romagnoli, Torino e la sua regione, coi tassi di natalità di questi ultimi
decenni, avrebbero oggi solo il 56% degli abitanti attuali. E non avrebbero
conosciuto il boom economico che intorno alla Fiat strappò i piemontesi al loro
destino secolare di emigrazione (un milione e mezzo di esodi tra la crisi
contadina di fine Ottocento e il 1915) e di povertà, che fino a pochi decenni
fa aveva visto la val Cannobina vendere bimbi agli spazzacamini. Fu una
rivoluzione, quella immigrazione dalle altre regioni italiane. Una rivoluzione
anche traumatica, con quei cartelli «non si affitta a meridionali». Ma consentì
all'antica capitale d'Italia e alle sue terre di rinnovarsi, di trovare una
nuova spinta, di rinascere grazie a nuovi torinesi che di cognome facevano
Zanon e Musumeci, Trapani e Scapin. Torinesi trevisani come il cardinale
Severino Poletto, figlio di contadini immigrati da Salgaredo. Torinesi romani
come lo scrittore torinesissimo Carlo Fruttero. Torinesi friulani come il
sindaco Valentino Castellani. Torinesi salernitani come gli storici Nicola
Tranfaglia o Giovanni De Luna, che coltiva la piemontesità come fosse nato
sotto i portici del caffè Neuv Caval 'd Brôns. Vale per il Piemonte, vale per
l'intero Nord-Ovest. Che senza immigrazione e coi tassi di natalità di qualche
anno fa avrebbe oggi dieci invece di quindici milioni di abitanti. E uno su tre
(invece che poco più di uno su quattro) avrebbe oltre 60 anni e peserebbe come
un macigno sulla ricchezza, l'efficienza, la rete di garanzie sociali di quella
che è l'area più ricca d'Italia. Certi numeri non lasciano scampo: col nostro
tasso di natalità del 1995 (1,19 figli a donna) una popolazione si dimezza in
38 anni. E questo, senza i nuovi arrivi, sarebbe stato probabilmente il destino
di noi italiani. Il tema del saggio in uscita nelle librerie di Francesco
Billari e Gianpiero Dalla Zuanna è questo: la realtà va guardata così com'è. E
descritta senza sconti. Senza rimpianti. Senza invettive ideologiche. Senza
schemini. Nel tentativo di capire davvero cosa sta succedendo. Per fare i conti
sul serio (compresi i rischi che si corrono e le cose che si devono fare) con
il panorama demografico che via via si è delineato anche a dispetto delle
previsioni degli stessi demografi. Ma certo, lo sanno anche loro che spesso le
proiezioni sono scritte sulla sabbia e i numeri in questo campo vanno presi con
le pinze, come dimostrano i calcoli sulla evoluzione della popolazione italiana
fatti dalla stessa la Divisione per la Popolazione dell'Onu. Per non dire dell'Istat,
che nel 1988, anche a causa della diffusa riluttanza a mettere nel conto anche
gli stranieri non solo clandestini ma perfino regolari, «previde per l'inizio
del 2008 appena 57 milioni e 400 mila residenti in Italia, ben due milioni e
700 mila in meno di quelli effettivi, che oggi possiamo contare con certezza».
Insomma: se è vero che neppure la matematica è una scienza esatta, guai a
fidarsi troppo della demografia. Certe tendenze, però, sono così nette che una
classe dirigente seria e responsabile non può non tenerne conto. A partire dal
nodo: il problema del declino demografico, in Italia, «non esiste ». E' in
corso, come spiega il titolo «Rivoluzione nella culla», un cambiamento epocale.
Ma non c'è più un problema demografico. A meno che, si capisce, non si ragioni
in astratto ignorando i «nuovi italiani» e tenendo conto solo di una
immaginaria «purezza etnica» di una altrettanto immaginaria «razza italiana».
Razza da tenere al riparo da ogni contaminazione «straniera», immigratoria,
«impura». Quale «razza», poi? Non sono stati i fruttivendoli pugliesi o le
maestre meridionali, come vogliono certe leggende, a «infettare» la purezza del
sangue ambrogino: «In occasione del censimento del 1881, gli statistici
dell'epoca notarono con stupore che il 52% delle persone residenti a Milano non
erano nate a Milano ». Una «purezza» stravolta già centotrenta anni fa!
Insomma, da che mondo è mondo sono state le immigrazioni, interne o esterne, ad
arricchire ora questo e ora quel paese. E la parola «arricchire» non è una
concessione buonista alle tesi sul «meticciato di civiltà (con l'accento sulla
parola civiltà)» di uomini come il cardinale veneziano Angelo Scola. E'
successo agli Stati Uniti, al Brasile, all'Australia, all'Argentina, alla
Francia… Era terrorizzata la Francia, dopo la sconfitta di Sedan del 1870, dal
proprio declino demografico e dalla prorompente fertilità della Germania: «per
ogni nato francese nascono due tedeschi!» E chi la risollevò? Leon Gambetta,
che rifiutò di firmare il trattato di pace incitando il paese a risollevarsi.
Era figlio di un immigrato ligure, Gambetta: ma a nessun francese verrebbe mai
in mente che non fosse francese. E lo stesso vale per il pittore Paul Cezanne,
che se avesse conservato il nome dei padri si sarebbe chiamato Paolo Cesana
perché la sua famiglia veniva dall'omonimo paese piemontese. O per lo scrittore
Emile Zola, di origine trevisana. E giù giù, fino ai giorni nostri, a nessun
francese verrebbe in mente che Nicolas Sarkozy, figlio di un immigrato
ungherese (benestante, ma immigrato) non sia francese. Come a nessun americano
è mai passato per la testa che non fossero americani Frank Capra o Joe Di
Maggio, Frank Sinatra o Angelo Rossi e Fiorello La Guardia, i sindaci più amati
di San Francisco e New York, nonostante quei nomi irreparabilmente italiani.
Certo, un'immigrazione massiccia, tumultuosa e inaspettata come quella che per
anni ha quotidianamente colto di sorpresa l'Italia, va gestita. E il libro di
memorie «All'ombra della libertà» di Edoardo Corsi, nominato nel 1931 direttore
di Ellis Island dove era sbarcato bambino, spiega come occorrano insieme
rispetto e mano ferma, pietas e durezza nell'applicazione della legge. Massima
severità con chi spaccia, chi rapina, chi delinque. Ma sprecare la risorsa
immensa dell'immigrazione, vedendola solo come fonte di problemi, sarebbe un
delitto. Ed è qui che il lavoro dei due demografi si rivela un pozzo prezioso
di numeri e dettagli e collegamenti e rivelazioni da cui attingere per capire
«come» vivere questi anni di forte immigrazione. Così da rovesciare tutto:
l'irruzione di forze per la gran parte giovani, fresche, motivate, non va
subita. Va colta come un'opportunità di cui approfittare. E non solo perché,
per non impoverirci, arretrare, rassegnarci al declino abbiamo bisogno di
trecentomila nuovi arrivi l'anno. Ma perché proprio questa scossa può aiutarci
a interrompere un progressivo «affaticamento» della società italiana, sempre
più anziana, stanca, pessimista. O addirittura rassegnata. Vale per il Sud
dove, al contrario di quanto dice un luogo comune sulle donne meridionali che
fanno più figli, c'è il più pericoloso punto di crisi. Vale per il Veneto, dove
secondo il rapporto di Bruno Anastasia di «Veneto Lavoro» (dossier con
prefazione di Giancarlo Galan, che guida una giunta dove svetta la Lega)
servono 20 mila nuovi immigrati l'anno per mantenere i livelli di oggi. C'è chi
dice: «Pochi ma buoni»? Può darsi. Purché chi lo teorizza sia disposto a
perdere pezzi del suo benessere e ritornare un po' più povero. Lo è davvero?
Mah…
Gli
immigrati “meno propensi a riconoscere il rischio” ma il 59% dichiara che è
“più tranquillo con un’assicurazione”
Dal
meeting annuale degli assicuratori italiani ed europei emerge che il 30,8%
degli immigrati non dispone di un conto corrente e pochi sottoscrivono polizze
assicurative non tanto per diffidenza ma per scarsa conoscenza e mancanza di
prodotti adeguati alle loro esigenze.
Il
42% degli immigrati in Italia è titolare di un prodotto assicurativo, ma la
maggior parte delle polizze riguardano solo l’obbligatoria RC auto, il 30,8%
non possiede neppure un conto corrente.
Esiste tuttavia una stretta correlazione tra il ricorso a strumenti per la
copertura di rischi, il tempo di permanenza e la crescita del processo di
integrazione: il 70% degli stranieri che risiedono in Italia da più di 10 anni
dispone di prodotti assicurativi e il tasso di bancarizzazione degli immigrati,
tra il 2005 e il 2007, è aumentato del 33%. È quanto è emerso da una ricerca
realizzata dal CESPI e presentata venerdì scorso durante la settima edizione
del Forum AXA MPS, l’appuntamento annuale promosso dal Gruppo Montepaschi e
patrocinato dalla Geneva Association e dall’ANIA, che quest’anno ha voluto
concentrarsi sul rapporto tra migranti e mercato assicurativo al fine di
individuare nuovi prodotti in grado di soddisfare i bisogni specifici di questo
tipo di clientela. Una clientela che si caratterizza per un atteggiamento
maggiormente ottimista e proiettato verso il futuro rispetto a quella italiana
- come risulta dall’indagine “I bisogni assicurativi degli immigrati in Italia”
realizzata dall’Istituto GPF su un campione di 2000 intervistati- per un maggior
desiderio di affermazione personale (il 21,1% degli immigrati vorrebbe “avere
successo e diventare qualcuno” contro l’11,9% degli italiani) una eguale
propensione al risparmio, una minore percezione del rischio ma una più elevata
percezione del valore della sicurezza (per il 41,2% degli immigrati è
importante “sentirsi al riparo e sicuro dai pericoli” contro il 38,6% degli
italiani).
Nonostante queste caratteristiche, gli immigrati rappresentano un segmento di
mercato fortemente sottoassicurato, non tanto per diffidenza (solo un terzo del
campione dichiara di non essere interessato) quanto per l’impossibilità di
sostenere i costi e per la scarsa conoscenza dei servizi assicurativi ai quali,
però, una volta diventati noti, viene attribuito un importante valore ( il
59,8% degli immigrati dichiara che “la vita è più tranquilla con una buona
assicurazione” contro il 51,8% degli italiani). Una nuova sfida si apre
pertanto per il mercato assicurativo: aprirsi maggiormente a questi “nuovi
clienti” e realizzare prodotti specifici in grado di cogliere le peculiarità e
rispondere ai bisogni insoddisfatti di questa fascia della popolazione. Da
tenere in considerazione soprattutto la “dimensione transnazionale” dei
migranti, come ha sottolineato José Luis Rhi-Sausi direttore del CESPI. “Il
cittadino immigrato è portatore di una duplice identità in quanto vive nel
Paese di accoglienza, ma mantiene un rapporto privilegiato con il Paese di
origine a cui spesso invia le rimesse”. È necessario pertanto trovare strumenti
finanziari in grado di collegare “il processo di bancarizzazione, l’invio delle
rimesse ed i prodotti assicurativi” in modo tale che non solo il migrante ma
anche la famiglia nel Paese di origine possa trarne vantaggio; il successo del
seguro de remesas proposto da compagnie sudamericane secondo cui, anche dopo la
morte dell’immigrato viene assicurato l’invio delle rimesse per un certo numero
di anni, lo dimostra.
Non solo. Il mondo assicurativo e finanziario potrebbe anche rispondere al
bisogno di formazione degli imprenditori immigrati. È quanto affermato da
Thomas McCarthy, presidente e direttore generale di Ghanacoop, la prima
cooperativa sociale in Italia costituita interamente da immigrati, che,
intervenendo al Forum, ha sottolineato le difficoltà, dovute soprattutto a
differenze culturali, che incontra il cittadino immigrato che vuole avviare una
attività. (MRP)
Commenti
Razzismo: più atti discriminazione, esperti criticano
politica
di Massimiliano Di Giorgio
(Reuters
– Italia) – Roma, 10 Ottobre 2008 - Mentre il centrosinistra accusa il governo di centrodestra
di trascurare un'ondata di aggressioni contro immigrati, e il ministro
dell'Interno risponde che non c'è una "emergenza razzismo", i dati di
un rapporto governativo ancora non pubblicato parlano di un aumento degli atti
di discriminazione, almeno nel 2007, e i ricercatori accusano entrambi gli
schieramenti di aver alimentato la xenofobia, soprattutto in campagna
elettorale. Gli atti di discriminazione razziale registrati nel 2007 in Italia
dai "contact center" dell'Ufficio italiano per la promozione della
parità di trattamento (Unar) sono stati 265, in aumento rispetto a quelli
segnalati nel 2006. Lo dicono i dati contenuti nel nuovo rapporto dell'Unar in
via di pubblicazione, che Reuters ha potuto leggere. Nel 2005 i casi registrati
erano 282, numero sceso a 218 nel 2006, anche se nella relazione relativa a
quell'anno l'Unar segnalava che era aumentata la percentuale dei casi su cui
era stata aperta un'istruttoria rispetto al totale delle telefonate ricevute.
Meno segnalazioni, insomma, ma più "discriminazioni oggettive". I
dati elaborati dall'Ufficio - istituito con una legge del 2003 e che dipende
dal ministero della Pari Opportunità - sono stati raccolti fino all'inizio del
dicembre scorso. Mancano invece informazioni sul 2008. Per quanto riguarda le
azioni violente a sfondo razzista, il dato più recente risale al 2006, secondo
l'ultimo rapporto dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali
(Fra), con 144 episodi di attacchi a persone o danneggiamenti di beni. I dati
dell'agenzia anti-razzismo della Ue indicano comunque che gli atti di razzismo
a partire dal 2000 e almeno fino alla fine del 2006 erano praticamente in
aumento in tutti i paesi dell'Unione.
Escalation
di episodi sulla stama. Maroni: “ma non
c’è emergenza
Intanto, in
queste settimane, in particolare dopo il caso del giovane di origine africana,
ucciso a bastonate da due commercianti a Milano al grido di "sporco
negro" per una scatola di biscotti rubata, quello della presunta
aggressione di alcuni vigili di Parma contro uno studente ghanese scambiato per
uno spacciatore, e la strage di immigrati africani nel Casertano da parte della
Camorra forse per una "guerra" di droga, la stampa italiana ha
continuato a pubblicare notizie di atti xenofobi con allarmante ciclicità. Anche
se, come avverte un ricercatore le statistiche fatte sulla base di articoli di
giornale sono "poco scientifiche", il ministro dell'Interno Roberto
Maroni non ha mostrato dubbi, e il 5 ottobre scorso ha spiegato: "Non
credo che ci sia un'emergenza razzismo, sono episodi che vanno colpiti".
Salvo poi dire tre giorni più tardi in Parlamento che "non sottovalutiamo
questi episodi", ma "dobbiamo contrastare le strumentalizzazioni".
Per i lettori di Repubblica.it, invece, l'Italia - che oggi conta secondo
l'Istat quasi 3 milioni e mezzo di immigrati regolari - è un paese sicuramente
xenofobo. Per l'82% dei lettori che nei giorni scorsi hanno risposto a un
sondaggio online, esiste una "emergenza razzismo". All'inizio del
2008, secondo un sondaggio dell'Eurobarometro, il 76% degli intervistati diceva
di percepire in Italia un clima di discriminazione etnica. Un dato superiore
alla media europea (62%), ma più basso rispetto ad altri tipi di
discriminazione avvertiti, per la fede religiosa o l'orientamento sessuale.
L’allarme
del Censis, l’accusa di Amnesty
Un serio
allarme-razzismo era venuto a fine 2007 dal Censis che nel suo rapporto annuale
aveva segnalato che "nel corso nell'ultimo anno compaiono i primi segnali
d'insofferenza nei confronti degli stranieri... e iniziano ad apparire le prime
crepe nel sistema d'integrazione". Un fenomeno amplificato da alcuni
episodi di cronaca nera con protagonisti immigrati, diceva il rapporto,
criticando però "politici e media" per il loro linguaggio, in cui si
mescolano confusamente "rom, rumeni, nomadi, zingari, irregolari,
immigrati". Subito dopo le elezioni in primavera, vinte dal centrodestra,
un attacco diretto alla politica e alla stampa era arrivato poi da Amnesty International,
che aveva dipinto l'Italia come "un paese pericoloso" per rom e
immigrati. Amnesty aveva chiamato in causa sia il leader del Pd Walter Veltroni
che quello di An Gianfranco Fini - oggi presidente della Camera - accusati di
avere "una gravissima responsabilità" nel clima razzista,
sottolineando la "preoccupante linea di continuità" tra governi di
centrosinistra e centrodestra. Oggi, però, Veltroni accusa il governo di
"strizzare l'occhio" al razzismo per ragioni di consenso, Mentre Fini
afferma: "Occorre avere l'onestà intellettuale di ammettere che ci sono
numerosi episodi di violenza, di xenofobia e di razzismo. Negarlo sarebbe
sbagliato... il rischio di razzismo c'è". Anche se dice che per battere il
fenomeno serve "una politica chiara sull'immigrazione". Nel
frattempo, quest'estate sul governo di centrodestra si è abbattuta una pioggia
di critiche da parte dell'Europa sulla politica di emergenza scelta per
affrontare la questione dei Rom e dei cosiddetti "campi nomadi"
abusivi in molte città italiane, con la polemica sulle impronte digitali da
prendere ai bambini. Ma pur se alla fine la Commissione Ue ha
"assolto" l'Italia dall'accusa di discriminare i Rom, un sondaggio
commissionato proprio da Bruxelles all'inizio dell'anno diceva che gli italiani
sono i cittadini dell'Unione che mostrano la maggiore diffidenza nei confronti
delle persone di etnia Rom.
“Gara
sulla criminalizzazione” tra destra e sinistra
"Le vittime di atti di
discriminazione sono uscite di più allo scoperto negli ultimi anni rispetto a
prima, e questo è incoraggiante - dice a Reuters Udo Enwereuzor, un ricercatore
del Cospe di Firenze, referente dell'Agenzia Ue per i diritti fondamentali - ma
in modo statistico non si può dire nulla di più. Non ci sono dati raccolti in
modo sistematico da parte di nessuno". Il Cospe, spiega Enwereuzor - un
nigeriano, in Italia da 30 anni - monitora anche gli interventi pubblici dei
politici italiani su temi come immigrazione e razzismo. "A partire dalla
vicenda della ragazza romana uccisa con la punta dell'ombrello da una giovane
romena (nell'aprile 2007, ndr), c'è stata una gara sulla criminalizzazione di
romeni e Rom, un discorso pubblico decisamente razzista e discriminante". Il
ricercatore dice che "con toni diversi, ma in sostanza con contenuti
simili", sia centrodestra che centrosinistra hanno soffiato sul fuoco
dell'intolleranza. "Dopo, da parte della coalizione che ha vinto le
elezioni, si sono viste anche le azioni, come la vicenda delle impronte dei
Rom".
Per Francesco
Pompeo, un antropologo che coordina l'Osservatorio sul Razzismo dell'Università
di Roma 3, anche se non mancano dati precisi sugli atti di intolleranza e
violenza contro gli immigrati, "una cosa è certa: l'aggredito cambia, non
è più l'immigrato clandestino, ma si tratta di persone che vivono da anni in
Italia, che appartengono magari alla seconda generazione". E anche
l'aggressore è cambiato, dice il ricercatore, non è più semplicemente il
giovane militante di estrema destra. "C'è un discorso razzista che è
sicuramente legittimato. Non c'è una legittimazione diretta, ma è una specie di
impunità psicologica. Dalla xenofobia di vicinato si è passati al razzismo più
esplicito, e questo è molto preoccupante". Pompeo cita tra le cause quello
che chiama il "populismo penale" della destra, ma dice anche che
"le cause vere e più profonde, e a Roma è più evidente, rimontano alla
gestione del territorio, anche da parte delle amministrazioni di
centrosinistra: non è un caso che molti episodi siano accaduti in quartieri
diventati terra di nessuno".
Prima delle
elezioni, aggiunge l'antropologo, per evitare strumentalizzazioni politiche
l'Osservatorio rinunciò a pubblicare uno studio in cui indicava situazione a
rischio in quartieri romani come Tor Bella Monaca, il Pigneto, l'Anagnina,
tutte aree sono poi avvenuti episodi violenti e dove "era assolutamente
chiaro che nonostante il trionfalismo dell'ex sindaco Veltroni grossi
interventi sul disagio non erano mai stati fatti".
Apre il centro del Comune gestito dal Csise
Giuliano Foschini, La Repubblica, Bari
Sarà la casa dei bambini senza
storia, un tetto per non diventare fantasmi. A Bari sta per aprire una
residenza per 12 "minori stranieri non accompagnati", fredda
definizione per raccontare i bambini che sbarcano senza genitori sulle coste
italiane e poi, nel 30 per cento dei casi, svaniscono nel nulla. «Offriremo
loro quello a cui hanno diritto - spiega l’assessore all’Accoglienza e alla
pace del comune di Bari, Pasquale Martino - e cioè una casa, l’assistenza, la
scuola e forse anche un permesso di soggiorno sperando di non farli prendere.
Cerchiamo insomma di dargli un futuro». La residenza aprirà nei prossimi mesi
grazie a un finanziamento appena stanziato dall’Anci: il Comune di Bari ha
vinto un avviso pubblico per questo progetto sperimentale. Il costo complessivo
è di 350mila euro di cui 280mila di contributo ministeriale. A gestire il
centro sarà la cooperativa Csise (Centro studi interventi socio educativi) che
già gestisce per conto del Comune un altro progetto sui minori richiedenti
asilo: oggi a Bari, infatti, sono già ospitati dall’amministrazione 15
ragazzini sbarcati in Italia senza accompagnatori. «Si tratta però di bambini e
adolescenti - dice Martino - che hanno chiesto già politico perché arrivano di
zone di guerra. Nella nuova residenza invece ospiteremo tutti, perché è
evidente che tutti questi ragazzini hanno identica disperazione e identici
sogni». «Questa situazione - continua l’assessore - li rende ancora di più una
categoria particolarmente vulnerabile, che necessita di specifici interventi di
tutela e di cura. In più occasioni la malavita ha messo le mani su di loro,
altri sono stati inghiottiti nel nulla».
Il nuovo progetto prevede dei percorsi educativi per ciascuno dei 12 minori,
percorso che sarà studiato dagli educatori della residenza. «L’obiettivo di
questo programmare - dicono dal ministero del Welfare - e favorire il raccordo
fra le diverse fasi di primo ingresso e di prima accoglienza dei minori in
Italia, proprio per potenziare le necessarie azioni di tutela e protezione». I
ragazzini saranno ospitati in una località «non nota». «Non significa - dice l’assessore
- che saranno trattati come prigionieri, nascosti, ma per un discorso di
sicurezza è opportuno non fare sapere troppo dove si trovano». Oltre al vitto e
all’alloggio, il progetto garantisce l’inserimento scolastico, la mediazione
linguistica e culturale, l’iscrizione al servizio sanitario nazionale,
l’orientamento legale e l’avviamento delle procedure di tutela presso l’autorità
giudiziaria minorile. «Siamo molto fiduciosi sulla riuscita del programma -
spiega l’assessore - Per il momento la durata del progetto è di un anno, ma ci
hanno già assicurato che se tutto sarà gestito a dovere il prossimo anno verrà
riproposto il finanziamento». A Bari vivono anche molti altri bambini immigrati
ancora senza permesso di soggiorno: sono i "figli" del Cara, i minori
che si trovano nel centro di accoglienza temporanea di Palese insieme con i genitori.
Hanno una stanza per i giochi ed educatrici, messe a disposizione dalla
cooperativa Auxilium, che li seguono e provano a insegnare l’italiano.
By Rachel Donadio
Milan, October 12, 2008 — The metal shutters are
closed at Shining Bar, a coffee shop near the central train station here. On
the facade, someone has written “proud to be black” and spray-painted “Abba
Lives” in red. European Press photo Agency. The men who attacked Mr. Guibre,
19, suspected him of stealing money, the authorities said. Abba was the nickname of Abdul William Guibre, who was
born in Burkina Faso, raised in Italy and beaten to death here last month by the bar’s
father-and-son proprietors. The two, Fausto and Daniele Cristofoli, suspected
Mr. Guibre, 19, of stealing money and set upon him with a metal rod, the
authorities said, when it appeared he had stolen a package of cookies. During
the altercation, the attackers shouted “dirty black,” lawyers for both sides
said. Although there is some debate about whether the killing was racially
motivated, the attack on Mr. Guibre was the most severe in a recent spate of
violence against immigrants across Italy. The attacks are fueling a national
conversation about racism and tolerance in a country that has only recently
transformed itself from a nation of emigrants into a prime destination for
immigrants. “A black English person, or French person, or Dutch person, that’s
O.K.,” said Giovanni Giulio Valtolina, a psychologist and scholar at the ISMU
Foundation in Milan, which studies multiethnic societies. “But a black Italian
is a very new thing.” In recent weeks, a Ghanaian man, Emmanuel Bonsu Foster,
22, was injured in Parma in a scuffle with the police; a Chinese man, Tong
Hongsheng, 36, was beaten by a group of boys in a rough neighborhood in Rome;
and a Somali woman, Amina Sheikh Said, 51, said she was strip-searched and
interrogated for hours at Ciampino Airport in Rome. Last month, six African
immigrants were gunned down in Castel Volturno, a stronghold of the Neapolitan
Mafia. The confrontations have resonated at the highest levels. In a meeting
with Pope Benedict XVI at the Quirinal Palace in Rome this month, President
Giorgio Napolitano called for church and state to work together “to overcome
racism.” He cited a recent speech in which the pope pointed to “worrisome new signs” of deepening social tensions.
Last week, Parliament debated whether Italy was facing what newspaper headlines
referred to as a “racism emergency.” The interior minister, Roberto Maroni, of
the separatist Northern League, said that the attacks were isolated and that
the alarm was overstated. Many on the left disagreed. “You can’t say all
Italians are racist, but it would also be dangerous to underestimate what’s
happening,” said Jean-Léonard Touadi, a black member of Parliament. “There’s
been a worrisome sequence of events, which can’t just be catalogued as isolated
incidents.” Mr. Touadi is originally from Brazzaville in the Congo Republic. Formerly
Rome’s deputy mayor for security, he was elected in April with Italy of Values,
a party that supports judicial reform. “Faced with social and economic crisis,
it’s easy to push rage and frustration on the foreigner,” he said, adding that
the government should work to create more opportunities for everyone. “It
shouldn’t make this a war between poor Italians and poor immigrants.” Indeed,
Italy’s deep tradition of Roman Catholic tolerance is hitting up against
economic uncertainty. And sometimes, church is pushing up against state. A
recent cover of Famiglia Cristiana, a Catholic weekly magazine, asked, “Is
Italy Changing Its Skin?” and offered an investigation into “the rising number
of episodes of intolerance and violence.” The cover featured a photo of three
young black participants at an antiracism march in Milan after Mr. Guibre’s
death. Last week, Msgr. Agostino Marchetto, a high-ranking Vatican official,
spoke out against “discrimination, xenophobia and racism” toward immigrants.
Monsignor Marchetto, the secretary of the Pontifical Council for Pastoral Care
of Migrants and Itinerant Peoples, said refugees were often treated “without
consideration of the reasons that forced them to flee.” This has led, he said,
to “measures aimed at preventing their entry into countries of arrival and to
the adoption of measures designed to make this more difficult.” He said the
measures had caused “erosion of humanitarian standards.” Also last week, the
Northern League called for greater controls on immigrants as part of a security
bill pending in Parliament, including a system in which legal immigrants would
be deported if they accumulated a certain number of points on their criminal
records. That prompted a front-page political cartoon in Corriere della Sera,
Italy’s leading daily newspaper, in which an official asks a black man for his
residence permit. The man points to the bandage on his head and says “seven
points”; in Italian, “punti” means both points and stitches. The Northern
League is a crucial member of Prime Minister Silvio Berlusconi’s center-right
coalition. In the campaign for elections in April, it ran on a platform of
fiscal federalism and security concerns, which often resonated as
anti-immigrant rhetoric. There are paradoxes. The North, with the most
integration and the most jobs, also registers the highest levels of
anti-immigrant sentiment and the strongest support for the Northern League. Immigration
is definitely on the rise. The number of legal resident foreigners in Italy
rose 17 percent last year to 3.4 million, or 6 percent of the population,
according to recent data from the Italian National Institute of Statistics, the
government research agency. Italy is becoming a multiethnic society, said Mr.
Touadi, the member of Parliament. “We shouldn’t hide our heads and continue to
deny it, but realize that this is a trend worth taking seriously. Also,
because we don’t have an alternative.”