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NEWSLETTER

della Segreteria ASGI

23 ottobre 2008

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE

 

SPECIALE NUOVE NORME SUL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

 

1. Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale i testi dei decreti legislativi correttivi alle norme in materia di ricongiungimento familiare e di procedura di esame delle domande di asilo

 

La G.U. n. 247 del 21-10-2008 pubblica i 2 importantissimi decreti legislativi correttivi delle norme di attuazione delle direttive comunitarie in materia di ricongiungimento familiare e di procedura di esame delle domande di asilo, le cui norme entreranno in vigore il prossimo 5 novembre 2008.

 

 

 

 

DECRETO LEGISLATIVO 3 ottobre 2008, n. 159

 

Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, recante attuazione della direttiva 2005/85/CE relativa alle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.  

 

 

 

 

 

 

DECRETO LEGISLATIVO 3 ottobre 2008, n. 160

 

Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, recante attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare.  

 

 

 

 

Un primo commento a cura della Segreteria  organizzativa dell’ASGI

 

 

Le norme sul ricongiungimento familiare dopo la riforma

voluta dal governo Berlusconi

a cura di Walter Citti, della Segreteria organizzativa dell’ASGI

 

Possono ottenere il ricongiungimento le persone immigrate che hanno raggiunto una stabilità nel nostro paese, che la legge presume raggiunta quando si è in possesso di un permesso di soggiorno di durata indeterminata o di almeno un anno, rinnovabile, per motivo di lavoro, studio, motivi religiosi, asilo, famiglia, attesa della cittadinanza (Cassazione, I sez. civile, 3.4.2008 n. 8582).

Con l’entrata in vigore delle modifiche introdotte con il d.lgs. 3.10.2008 n. 160, il prossimo 5 novembre 2008, saranno innalzati i parametri di reddito necessario per chiamare in Italia un familiare: ora il cittadino straniero dovrà dimostrare di guadagnare un importo pari a quello dell’assegno sociale aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere. Alcune agevolazioni sono previste per situazioni considerate meritevoli di particolare tutela: per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni 14  ovvero per il ricongiungimento di due  o più famigliari di titolare dello status di protezione sussidiaria (d.lgs. n. 251/2007) il reddito richiesto sarà in ogni caso non inferire al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale. In definitiva, aumenta il reddito annuo richiesto per ricongiungere il solo coniuge, da euro 5.142 a 7.714, per tre famigliari (coniuge e due figli), da 10.285 a 12.856 e per cinque, da 15.428 a 17.999, e sei, da 15.428 a 20.570 euro e per più familiari. Rimane invariato il reddito richiesto per ricongiungere due o quattro famigliari (10.285 e 15.428).

Ulteriori restrizioni riguardano i  beneficiari del ricongiungimento familiare, con riferimento al coniuge, ai figli maggiorenni e ai genitori del titolare. Per il coniuge è ora richiesta l’età minima di diciotto anni  e lo status di coniuge non legalmente separato (per i rari casi in cui altri ordinamenti prevedano, al pari di quello italiano, l’istituto della separazione legale). Il limite di età è stato introdotto con l’intento di contrastare i matrimoni forzati. Per i figli maggiorenni, si richiede il possesso del requisito dell’impossibilità di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita derivante da una condizione di invalidità totale. Tale limite appare di dubbia  costituzionalità, sotto il profilo della violazione degli obblighi comunitari, perché si tratta di una condizione non prevista  dalla direttiva comunitaria n. 2003/86/CE,  anche perché il concetto di invalidità totale è di difficile accertamento in loco ed è soggetto a discipline variabili da Stato a Stato. Per i genitori, si richiede ora il requisito che non abbiano altri figli nel Paese di origine ovvero, se ultrasessantacinquenni, che gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute. Si tratta dei medesimi limiti che erano stati introdotti dalla legge n. 189/2002 (“Bossi-Fini”), ma che poi erano stati soppressi dal D. Lgs. n. 5/2007, perché restringono illegittimamente il solo limite previsto dall’art. 4, paragrafo, 2, lett. a) della direttiva, cioè quello che i genitori a carico non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese d'origine. Conformemente a quanto era stato richiesto dall’ordine del giorno approvato dalla I Commissione della Camera dei Deputati, viene ora richiesto per il ricongiungimento dei genitori ultrassessantacinquenni la stipula di un’assicurazione sanitaria privata ovvero l’iscrizione volontaria e a pagamento  del genitore ricongiunto al Servizio Sanitario Nazionale, alle condizioni che saranno fissate da un apposito decreto ministeriale. La norma appare incompatibile ed illogica rispetto all’attuale quadro normativo che prevede l’estensione dell’iscrizione obbligatoria al SSN  anche ai famigliari a carico dello straniero titolare del diritto (art. 34 comma 2 del T.U. immigrazione); i famigliari a carico sono identificati in base alle norme del T.U. sugli assegni familiari (d.P.R. n. 797/1955) e includono anche i genitori a carico. Di conseguenza, viene ora previsto che i genitori a carico per i quali viene richiesto il ricongiungimento familiare debbano pagare per l’iscrizione al SSN di cui avrebbero già diritto gratuitamente in base alle norme vigenti!!!.

Sul piano procedurale, il nuovo decreto legislativo  prevede due importanti innovazioni: a) viene elevato da 90 a 180 giorni il termine  oltre il quale l’interessato può ottenere il visto di ingresso per ricongiungimento familiare direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, quando non sia ancora intervenuta una decisione sul rilascio del nulla-osta da parte dello sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura competente; b) viene previsto poi, che ove non sia possibile produrre certificati o attestazioni relative al rapporto di parentela ovvero sussistano dubbi sulla autenticità della relativa documentazione, le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane possano provvedere al rilascio di certificazioni sostitutive attestanti i legami familiari, sulla base dell’esame del DNA, effettuato a spese del richiedente.

Tale norma è suscettibile di trovare  applicazione nell’ambito delle procedure di ricongiungimento familiare  riguardanti persone provenienti da Paesi ove le certificazioni di stato civile non appaiono affidabili, in quanto costituite e rilasciate anche sulla base di meccanismi di autocertificazione (statutory declaration), come in diversi paesi africani, tra cui il Ghana.

L’uso dei test genetici è suscettibile di portare una rilevante lesione alla dignità delle persone interessate, nonché di incidere pesantemente sul diritto fondamentale al rispetto della vita privata di cui all’art. 8 della CEDU. Per tali ragioni, l’uso di tale strumento non può essere banalizzato e generalizzato, bensì il campo di una sua eventuale  applicazione deve essere rigidamente circoscritto e sottoposto a garanzie giurisdizionali e all’applicazione di un principio di proporzionalità tra gli opposti interessi e valori in gioco. Lo stesso Garante per la Privacy, pur adottando un parere favorevole alla normativa ora entrata in vigore (documento dd. 5 giugno 2008), ha ricordato che tale procedura fondata sull’uso dei test genetici deve essere strettamente limitata “ai casi in cui l’interessato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoli vincoli di consanguineità, in ragione del suo status, ovvero della mancanza di un’autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale”, così come  non debbono considerarsi indispensabili i trattamenti di dati genetici “effettuati nonostante la disponibilità di procedure alternative che non comportano il trattamento dei dati medesimi”.

Anche dove è stato introdotto, come di recente nella legislazione francese (l’art. 13 loi 1631-2007  del 20 novembre 2007: legge Sarkozy), l’uso dei test genetici è stato  sottoposto a strette misure di garanzia, limitandolo  alle situazioni di inesistenza dell’atto di stato civile ovvero all’esistenza di seri dubbi sulla sua autenticità, sottoponendolo all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria ed escludendovi in ogni caso i test di paternità che avrebbero  avuto gravi conseguenze in termini di ingerenza nella vita privata delle persone (l’eventuale  scoperta di figli “adulterini” come conseguenza del test) e, dunque limitandoli alla prova della sola filiazione materna. L’uso dei test genetici nella procedura di ricongiungimento familiare è stato peraltro autorizzato in Francia dalla normativa sull’immigrazione solo  in via sperimentale e temporanea ed in relazione a determinati  paesi di provenienza che devono essere espressamente indicati da un decreto approvato previo parere del Conseil d’Etat, così come viene previsto che i costi siano a carico dello Stato e non degli interessati. In altri paesi, quali ad es. i Paesi Bassi, la previsione  di test genetici ai fini della prova dei legami familiari  è stata introdotta nelle procedure di ricongiungimento famigliare con costi a carico degli interessati, ma con diritto al rimborso da parte dello Stato in caso di esito favorevole al richiedente.

Desta pertanto perplessità il fatto che in Italia l’introduzione dei test genetici nelle procedure di ricongiungimento familiare non sia stata accompagnata dalla medesime misure di garanzia vigenti in Francia, ove purtuttavia,  autorevoli istituzioni hanno comunque manifestato opposizione alla loro introduzione, sottolineandone i risvolti potenzialmente discriminatori (si veda ad es. la deliberazione n. 2007/370 dd. 17.12. 2007 dell’HALDE, l’Authority indipendente francese contro le discriminazioni razziali prevista in ossequio alla direttiva europea n. 2000/43, cioè l’equivalente dell’UNAR).

Al di là dei profili di legittimità, l’esame del DNA si rivela un onere del tutto irrazionale e sproporzionato per diversi motivi. In primo luogo in molti Stati esteri non è materialmente disponibile un’attrezzatura medica idonea a svolgere un simile esame.  In secondo luogo anche nei Paesi esteri in cui tale attrezzatura sia presente essa è spesso inadeguata rispetto alle necessità e dunque l’esame del DNA ha costi elevati e tempi lunghissimi.  

 

 

Pubblichiamo di seguito un intervento dell’avv. Massimo Pastore, del direttivo dell’ASGI concernente il trattamento delle domande di ricongiungimento familiare presentate prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto legislativo e tuttora pendenti al momento della sua entrata in vigore (5 novembre 2008).

 

 

Come incideranno le previste modifiche sulle domande già  presentate?

La procedura di ricongiungimento familiare si articola in due fasi: la prima, di competenza dello Sportello Unico Immigrazione (SUI), si conclude con il rilascio del nullaosta ed è rivolta ad accertare i c.d. requisiti oggettivi per l'esercizio del diritto da parte di chi presenta la domanda (titolo di soggiorno, alloggio e reddito). La seconda, di competenza dei Consolati italiani, è rivolta al rilascio del visto previo accertamento dei requisiti soggettivi (presupposti di parentela o coniugio e altre condizioni che riguardano i familiari da ricongiungere). Secondo la prevalente giurisprudenza (per tutte: Cass. I civ., n. 15247/06) se la legge cambia mentre il procedimento è ancora in corso, la decisione finale deve essere assunta in base a quanto prevede la nuova normativa (principio del tempus regit actum). D'altro canto, la modifica delle condizioni di legge non può invece incidere su posizioni giuridiche già acquisite. In caso di procedimento complesso, ciascun atto che concorre al risultato finale (nel nostro caso: nullaosta e visto) sarà dunque disciplinato dalla legge vigente al momento della sua adozione, con il risultato che le novità legislative incideranno sulle fasi non ancora concluse, ma non su quelle già esaurite.

Da tali principi derivano le seguenti conseguenze: a) i nuovi parametri di reddito richiesti per poter esercitare il diritto verranno applicati solo se il nullaosta non è ancora stato rilasciato dallo SUI; b) le condizioni più restrittive imposte al ricongiungimento con genitori a carico, coniugi minorenni e figli maggiorenni, potranno determinare il diniego del visto, anche se il nullaosta è già stato rilasciato; c) le modifiche non avranno invece nessuna conseguenza per chi ha già ottenuto sia il nullaosta sia il visto: in tal casi, dovrà essere rilasciato il permesso di soggiorno.

 

Le modifiche avranno conseguenze sui tempi necessari per l'esame delle domande?

La disciplina del ricongiungimento familiare dettata dalla legge 40/98 ha previsto un'importante garanzia per chi presenta domanda di ricongiungimento familiare: il silenzio-assenso nel caso in cui l'ufficio responsabile per il rilascio del nullaosta (attualmente: lo SUI) non decida entro 90 giorni sull'istanza. Ciò significa che, quando lo SUI non risponde nel termine previsto, il beneficiario della domanda di ricongiungimento può richiedere direttamente al Consolato il visto per motivi familiari, in assenza del nullaosta. Questo importante strumento di garanzia, volto ad assicurare che l'esercizio di un diritto fondamentale non sia vanificato dall'inefficienza dell'amministrazione, era già stato di fatto indebolito dall'introduzione della procedura telematica di presentazione delle istanze (aprile 2008), e prima ancora dalla previsione dell'inoltro della domanda allo SUI tramite raccomandata. Nell'uno e nell'altro caso, infatti, il momento di inoltro della richiesta non coincide più con l'avvio del procedimento amministrativo, e quindi con il decorso del termine di 90 giorni. Nonostante la proclamata intenzione di accelerare con l’invio telematico l’istruttoria della domande, il risultato effettivamente raggiunto è che, tra l'invio telematico e la convocazione dell'interessato per presentare i documenti richiesti, decorrono ormai di regola diversi mesi di attesa, che non hanno alcuna incidenza per la formazione del silenzio-assenso. Lo schema di decreto legislativo prevede ulteriormente che il termine per l'esame della domanda di nullaosta venga raddoppiato (180 giorni in luogo degli attuali 90). Pur mantenendo ferma la previsione del silenzio-assenso in caso di mancato rispetto del termine, dunque, la nuova previsione non potrà non incidere (negativamente) sui tempi di esame delle domande.

 

Avv. Massimo Pastore - ASGI

 

Intervento pubblicato su “Il Sole 24 ore” edizione  di lunedì 13 ottobre 2008.

 

 

 

 

 

2.

 

 

Sull’uso improprio del decreto legislativo correttivo ed integrativo a precedenti disposizioni di attuazione e recepimento del diritto comunitario, in relazione ai criteri fissati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità e con riferimento proprio al decreto legislativo di modifica delle norme sul ricongiungimento familiare, pubblichiamo di seguito il saggio di Francesca Biondi Dal Monte e Massimiliano Vrenna (socio ASGI), già pubblicato  sull’edizione  n.  79 dd. 1 settembre 2008 della rivista on-line www.immigrazione.it

(per gentile concessione degli autori)

 

 

Alcune riflessioni a margine del cosiddetto “pacchetto sicurezza”: lo strumento del decreto correttivo.

Massimiliano Vrenna, Centro di Ricerca Wiss, Scuola Superiore di Studi Universitari e di perfezionamento S. Anna di Pisa  e Francesca Biondi Dal Monte, Università di Ferrara.


Nella Gazzetta Ufficiale
dello scorso 25 luglio è stata pubblicata la legge 24 luglio 2008, n. 125, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”. Si tratta, com’è noto, della prima tessera di un puzzle più grande che prende il nome convenzionale di “pacchetto sicurezza” e che si compone, oltre che della suddetta legge, anche di un disegno di legge e di tre schemi di decreti legislativi correttivi che andranno a modificare la disciplina attualmente in vigore in materia di: circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari sul territorio degli Stati membri, riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, ricongiungimento familiare. Su questi ultimi schemi di decreti e sulle tecniche utilizzate per la loro redazione si concentreranno le brevi riflessioni che seguono.

In data 1 agosto 2008, il Consiglio dei Ministri ha approvato, anche se in via non definitiva, i tre decreti legislativi, dopo una prima positiva valutazione da parte dello stesso Consiglio sulle proposte di cambiamento avanzate dalle Commissioni parlamentari investite della questione. I testi sono stati inviati in via informale anche alla Commissione europea per un parere di conformità a diritto comunitario e torneranno al vaglio del Consiglio dei Ministri a metà settembre per essere approvati in via definitiva. Al momento in cui si scrive sono quindi stati resi noti solo gli schemi di decreti correttivi precedenti alla richiesta di parere alle Commissioni parlamentari e dunque non è possibile conoscere con esattezza quali delle modifiche ed integrazioni proposte dalle Commissioni sono state fatte proprie dal Governo e con quale specifico dettato normativo. Per una disamina accurata, anche alla luce del parere della Commissione europea, si dovrà attendere la pubblicazione del testo definitivo dei tre decreti correttivi.

Fin d’ora appare tuttavia interessante soffermarsi su una questione preliminare, di natura più prettamente tecnica, inerente la stessa tecnica normativa impiegata per l’adozione delle suddette modifiche legislative. Come si è visto, infatti, il Governo ha utilizzato lo strumento del decreto legislativo correttivo per modificare le discipline in questione evitando la lunghezza dei tempi parlamentari. In particolare, sfruttando la delega alla correzione contenuta nell’originaria legge delega, il Governo ha potuto modificare la disciplina in questione senza che fosse necessario alcun passaggio parlamentare. È infatti lo stesso Parlamento che in sede di legge delega può abilitare il legislatore delegato ad adottare, entro un arco temporale definito, anche decreti correttivi ed integrativi del decreto “principale”, senza la necessità di ricorrere ad un nuovo procedimento parlamentare (1). Tali clausole, inizialmente previste in via eccezionale o per far fronte a situazioni di particolare emergenza o complessità tecnica, sono oggi assai frequenti e vengono pressoché inserite stabilmente nelle leggi delega delle ultime legislature (2).

L’utilizzo di tale strumento non è quindi una novità del pacchetto sicurezza, ed anzi è strumento molto inflazionato che è divenuto assai ricorrente nelle leggi di delega e soprattutto nelle deleghe contenute nelle leggi comunitarie (3). Questo abnorme utilizzo delle deleghe viene solo in parte compensato dall’obbligatoria richiesta di pareri alle Commissioni parlamentari ai sensi dell’art. 14 della legge n. 400/1988, il quale tuttavia nulla dispone in ordine alla natura ed ai limiti del potere correttivo, né il Parlamento, nei casi in cui lo ha previsto, ha mai specificato in cosa debba consistere l’attività di correzione, limitandosi a richiamare i medesimi principi e criteri direttivi relativi alla delega principale.

La dottrina da tempo ha messo in evidenza che il nodo di fondo, dalla cui soluzione dipende l’ampiezza del potere correttivo e integrativo che il Governo può esercitare, riguarda il significato concettuale da attribuire alla locuzione “disposizioni correttive e integrative”. Naturalmente non è possibile affrontare in questa sede un tema di tale portata e complessità (4), tuttavia risulta opportuno ricostruire quelli che sono i principi ormai affermatisi in materia per poi, nella seconda parte del lavoro, verificare la rispondenza a tali principi dei decreti correttivi che si stanno esaminando.

Cominciamo con il dire che l’emanazione di norme correttive e integrative di un decreto legislativo costituisce una fase eventuale e successiva volta ad adeguare, appunto correggere, la normativa di dettaglio già adottata senza che vengano intaccate le scelte di fondo già operate. Sul punto, la Cassazione, sez. Unite Civili, con la sentenza n. 733 del 7 febbraio 1989, aveva precisato che «le disposizioni integrative sono quelle che esplicano e sviluppano principi, aspetti e precetti non espressi da precedenti disposizioni ma in questi sottintesi e perciò già deducibili in via di interpretazione» mentre le «disposizioni correttive sono, invece, quelle dirette ad emendare disposizioni già in vigore che presentino, secondo l’apprezzamento del legislatore delegato (ed ovviamente del Parlamento), un vizio di illegittimità perché contrastino direttamente con una norma costituzionale o violino i criteri fissati dalla legge delega o comunque i limiti della delega stessa o, infine, perché si rivelino irragionevoli
». A tal proposito la Corte costituzionale, pur ritenendo conforme all’art. 76 della Costituzione la tecnica del ricorso al decreto correttivo «per lungo tempo non ha avuto modo di chiarire se tale tipologia di decreti legislativi avesse dei limiti maggiori (o diversi) rispetto ai decreti legislativi principali; e in particolare se i decreti correttivi dovessero avere un contenuto esclusivamente correttivo rispetto alle norme poste mediante il decreto legislativo “principale”, che non potrebbero essere quindi fatto oggetto di un vero e proprio ribaltamento» (5). Solo con la sentenza n. 206/2001 il giudice delle leggi affronta per la prima volta in maniera espressa il problema, escludendo che la potestà legislativa delegata di integrazione e correzione possa essere esercitata solo per fatti sopravvenuti e distinguendo tra presupposti e “ratio” del potere di interpretazione e correzione. In particolare la Corte afferma che la delega correttiva «conferisce al Governo la possibilità di esercitare nuovamente la potestà delegata, entro un ulteriore termine decorrente dalla entrata in vigore dei decreti legislativi con i quali si é esercitata la delega "principale", ai fini di correggere – cioè di modificare in qualche sua parte – o di integrare la disciplina legislativa delegata, ma pur sempre nell’ambito dello stesso oggetto, nell’osservanza dei medesimi criteri e principi direttivi operanti per detta delega "principale", e con le stesse garanzie procedurali (pareri, intese). Siffatta procedura si presta ad essere utilizzata soprattutto in occasione di deleghe complesse, il cui esercizio può postulare un periodo di verifica, dopo la prima attuazione, e dunque la possibilità di apportare modifiche di dettaglio al corpo delle norme delegate, sulla base anche dell’esperienza o di rilievi ed esigenze avanzate dopo la loro emanazione, senza la necessità di far ricorso ad un nuovo procedimento legislativo parlamentare, quale si renderebbe necessario se la delega fosse ormai completamente esaurita e il relativo termine scaduto».
In sintesi, secondo la Corte costituzionale, lo strumento del decreto correttivo, soprattutto con riferimento a deleghe legislative complesse, ha lo scopo di consentire per il testo legislativo adottato dal Governo la verifica sul campo e l’eventuale necessario aggiustamento senza che occorra una nuova delega. In tal senso è dunque escluso che il potere correttivo abbia la stessa estensione del potere delegato sulla base del quale è stato emanato il decreto legislativo oggetto di possibile correzione senza nuova delega parlamentare. Ne consegue quindi che la portata dei decreti legislativi ed integrativi deve essere circoscritta all’oggetto della delega per come effettuata in concreto al momento dell’emanazione del decreto principale, non potendo quindi costituire un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega principale (6).
I decreti legislativi di cui ci occupiamo sono stati emanati in attuazione di direttive comunitarie, secondo un meccanismo di recepimento del diritto comunitario che, come è noto, è stato segnato fin dall’origine da un consistente utilizzo della delega legislativa. In particolare, attraverso le leggi comunitarie il Parlamento è solito delegare al Governo l’emanazione di decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione a numerose direttive dell’Unione europea, fissando i principi ed i criteri direttivi con rinvio agli stessi atti comunitari da attuare, che non costituiscono soltanto la finalità della delega, ma anche il criterio di interpretazione e determinazione dei principi e criteri direttivi per l’esercizio della stessa (7). Al di là del rinvio alle direttive attuande, le leggi comunitarie delineano solo generalissimi e assai vaghi criteri direttivi, mentre non indicano affatto principi sostanziali cui il Governo debba attenersi nell’esercitare la sua funzione normativa (8). Inoltre tale rinvio per relationem
ha efficacia anche pro futuro in quanto la legge comunitaria prevede che «i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega», introducendo quindi una sorta di “legame fiduciario” tra Parlamento italiano e istituzioni comunitarie nel rispetto del quale anche l’inconoscibilità delle previsioni di matrice europea non impedisce un richiamo alle stesse anche per il futuro (9). In sintesi quindi il criterio direttivo diventa, di fatto, soltanto quello della attuazione delle direttive comunitarie.
Alla luce della ricostruzione sin qui condotta, occorre adesso richiamare il fondamento giuridico delle pretese correzioni e integrazioni del pacchetto sicurezza, con riferimento specifico ai decreti legislativi in materia di ricongiungimento familiare e circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari sul territorio degli Stati membri, rispettivamente n. 5/2007 e 30/2007.
La delega alla correzione è contenuta nella legge 18 aprile 2005, n. 62, recante “Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004
”, la quale all’articolo 1, comma 5, prevede che: «Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1». Orbene, in riferimento al d.lgs. 5/2007 i 18 mesi scadevano il 15 agosto u.s., mentre per quanto riguarda il d.lgs. 30/2007, i 18 mesi scadranno l’11 settembre. Tuttavia, nell’ultima riunione del Consiglio dei ministri del 1 agosto 2008 non sono stati definitivamente approvati i decreti suddetti, né vi è stata, di conseguenza, alcuna trasmissione di atti al Presidente della Repubblica (10). In effetti, secondo quanto affermato anche dalla Corte Costituzionale (11), l’esercizio della funzione legislativa delegata si esaurisce con l’emanazione del decreto presidenziale entro il termine fissato dalla legge di delega, mentre la sua pubblicazione, pur indispensabile per l’entrata in vigore dell’atto legislativo, costituisce un fatto esterno e successivo all’esercizio della funzione stessa e pertanto non deve necessariamente avvenire nel termine suddetto. Ecco allora che, utilizzando davvero “l’ultimo treno” possibile e disponibile, il Governo ha prorogato l’esercizio della delega correttiva in sede di conversione del d.l. n. 112/2008, cosiddetta “manovra d’estate”, che si approvava proprio nei primi giorni di agosto prima della sospensione estiva dell’attività parlamentare. In particolare, l’art. 1, comma 3, della legge di conversione n. 133/2008 ha rinviato il termine per l’esercizio della delega integrativa e correttiva di altri tre mesi disponendo che: “Il termine di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 18 aprile 2005, n. 62, per l’esercizio della delega integrativa e correttiva del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, nonché del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, è prorogato di tre mesi”.
Anche in questo caso, tale proroga non rappresenta una peculiarità del pacchetto sicurezza, ma un fenomeno assai diffuso che investe non soltanto l’esercizio di deleghe correttive ma anche di quelle principali, come rilevato dallo stesso Comitato per la legislazione (12). In particolare, uno degli strumenti più utilizzati per procedere alla proroga o al differimento dei termini di delega è rappresentato proprio alla legge di conversione di decreti-legge, ed a tal proposito il Comitato per la legislazione si è criticamente espresso per due concorrenti considerazioni: da un lato, l’inserimento in un disegno di legge di conversione di disposizioni di carattere sostanziale non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge; dall’altro, le disposizioni che incidono sull’esercizio di deleghe contrastano con il disposto dell’articolo 15, comma 2, lettera a), della legge n. 400/1988, che vieta al Governo di conferire deleghe mediante decreti legge, ricomprendendo quindi anche il divieto di incidere, seppur in via indiretta, su norme della delega stessa (13).
Altro aspetto critico attiene al contenuto delle norme. Sebbene ciascun decreto correttivo presenti aspetti peculiari meritevoli di specifica analisi, in questa sede sarà dedicata una particolare attenzione al decreto correttivo riguardante la disciplina del ricongiungimento familiare.

Come si è visto nelle riflessioni generali, le leggi di delega finalizzate al recepimento delle direttive comunitarie fissano i principi ed i criteri direttivi rinviando al contenuto degli stessi atti comunitari da attuare, che non costituiscono soltanto la finalità della delega ma anche il criterio di interpretazione e determinazione dei principi e criteri direttivi per l’esercizio della stessa. Così l’art. 2, comma 1, lett. f), della legge comunitaria n. 62/2005 precisa che: “i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega
”. Tuttavia lo schema di decreto legislativo riguardante la correzione della disciplina in materia di ricongiungimento familiare si discosta dai principi contenuti nella direttiva 2003/86/CE. Quest’ultima distingue tra familiari ai quali il ricongiungimento deve essere autorizzato - coniuge e figli minori - e familiari ai quali il ricongiungimento può essere autorizzato. Tra questi ultimi figurano: a) gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine; b) i figli adulti non coniugati del soggiornante o del suo coniuge, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute (14). Le due categorie così individuate sono state riprese pedissequamente dal d.lgs. n. 5 del 2007 che modificò l’articolo 29 del d.lgs. 286/1998, testo unico dell’immigrazione, proprio nel senso appena descritto. Il decreto correttivo non ancora approvato invece ritorna alla precedente formulazione dell’articolo 29 prevedendo che il ricongiungimento possa essere riconosciuto oltre che al coniuge e ai figli minori a carico, ai figli maggiorenni non coniugati a carico, “qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale” (art. 1, lett. c) ed ai genitori a carico “qualora non abbiamo altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute” (art. 1, lett. d).

A tal proposito appare significativa la raccomandazione finale del parere della I Commissione Affari Costituzionali della Camera la quale suggerisce al Governo di “riferirsi al decreto legislativo n. 5 del 2007, al fine di far emergere (come avviene nel titolo del provvedimento) la natura correttiva e integrativa dell’intervento di modifica dell'articolo 29 del testo unico in materia di immigrazione, come appunto novellato dal citato decreto n. 5
” (15). Tuttavia ciò che appare fin da ora evidente è che il decreto correttivo implica una precisa scelta di politica migratoria e non un mero aggiustamento tecnico (16). Si tratta infatti non soltanto di un allontanamento dal dispositivo della direttiva, ma anche, ed in questo senso si introduce un ulteriore argomento di critica, di un capovolgimento della politica migratoria applicata all’unità familiare. La conseguenza è che il legislatore del decreto correttivo opera un cambio radicale rispetto alla delega ricevuta e come tale infrange quei principi che si sono analizzati nella parte generale. In altri termini, un cambio di tale portata nella disciplina di riferimento dovrebbe essere introdotto con legge, attraverso un completo iter parlamentare, e non con l’approvazione di un decreto correttivo.
E’ pur vero che si discute di categorie di familiari che lo stato membro “può” e non “deve” autorizzare. Della stessa opinione è anche la XIV Commissione permanente - Politiche dell’Unione europea (17) visto che a dire del relatore del parere: “Sembra possa ritenersi che le modifiche introdotte con il provvedimento in esame, seppur più restrittive di quelle previste in ambito comunitario, non destino problemi di contrasto, essendo lasciata agli Stati membri la stessa possibilità di decidere o meno di concedere il diritto al ricongiungimento familiare nei confronti di quelle categorie di soggetti ricompresse tra gli ascendenti di primo grado e i figli adulti
”. La stessa relazione illustrativa allo schema di decreto correttivo sottolinea inoltre che: “l’adeguamento normativo prevede l’introduzione di alcune condizioni limitative all’esercizio del diritto di ricongiungimento nei confronti del coniuge, dei figli maggiorenni e dei genitori, previste e comunque non in contrasto con la normativa europea in materia di ricongiungimento familiare di cittadini di paesi terzi contenuta nella direttiva europea 2003/86/CE”. Tuttavia è indubbio che nel momento in cui lo Stato membro decida di estendere anche a tali categorie il diritto al ricongiungimento familiare, esso debba avvenire secondo quanto stabilito nella direttiva stessa, che come abbiamo visto contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa (18).
Infine un ultimo accenno meritano le altre previsioni suggerite dal Parlamento al Governo, tra le quali: le spese mediche ed assistenziali dei genitori ricongiunti a carico del figlio che chiede il ricongiungimento, il considerevole aumento del reddito necessario al ricongiungimento stesso, una non meglio precisata “verifica” sulla normativa al fine di evitare il ricongiungimento di fatto delle famiglie poligamiche (19). Come già detto, al momento non è possibile conoscere come il legislatore delegato abbia recepito esattamente tali indicazioni, tuttavia esse suscitano fin d’ora non poche perplessità sia in riferimento alla loro conformità a Costituzione che rispetto ad aspetti più prettamente applicativi per i quali si deve necessariamente rinviare ad altro commento.


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Note:

1) Sul punto cfr. Corte cost. sent. n. 156/1985 e 172/1994. In quest’ultima sentenza, seppure in forma di obiter dictum
, si osserva che eventuali ulteriori decreti volti a correggere disposizioni emanate, nell’esercizio della medesima delega, con precedenti decreti delegati, rappresentano «un’evenienza del tutto concepibile con l’ambito della delegazione legislativa». Per una completa analisi della giurisprudenza costituzionale in materia di decreti legislativi e correttivi cfr. L. IANNUCCILLI, A. DE VITA, Deleghe e decretazione correttiva e integrativa nella giurisprudenza costituzionale, www.cortecostituzionale.it.

2) Cfr. G. FAMIGLIETTI, Delegazione legislativa e Corte costituzionale
, in P. CARETTI, A. RUGGERI (a cura di), Le deleghe legislative. Riflessioni sulla recente esperienza normativa e giurisprudenziale, Giuffrè, 2003, p. 195, e sempre dello stesso A., Le deleghe legislative, in R. ROMBOLI (a cura di), L’ accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive di un modello, Ed. Scientifiche italiane, 2006, p. 433. Sulle modalità temporali di esercizio della delega cfr. in generale E. MALFATTI, Rapporti tra deleghe legislative e delegificazioni, Giappichelli, 1999, p. 53 e ss.

3) Sull’utilizzo di decreti correttivi nella XIV e XV legislatura cfr. M. MAZZARELLA, La decretazione correttiva e integrativa
, in corso di pubblicazione in E. ROSSI (a cura di), Le trasformazioni della delega legislativa, Cedam, il quale procede ad una mappatura e ad un inquadramento quantitativo del fenomeno nelle ultime due legislature.

4) Per una ricostruzione della problematica si veda M. CARTABIA, I decreti legislativi integrativi e correttivi: virtù di governo e vizi di costituzionalità?
, in V. COCOZZA, S. STAIANO (a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, Quaderni del Gruppo di Pisa, Torino 2001, 70 e ss, e, più in generale, N. LUPO, Deleghe e decreti legislativi “correttivi”: esperienze, problemi, prospettive, Milano, 1996.

5) Come rileva il Consiglio di Stato, Adunanza Generale del 6 giugno 2007, nel parere n. 1750, nel quale viene inquadrata approfonditamente la problematica in questione.

6) Sul punto N. LUPO, Un criterio (ancora un po’ incerto) per distinguere tra decreti legislativi correttivi “veri” e “falsi”
, in Giur. cost., 2001, p. 2667, a commento della sentenza 206/2001, che l’A. ritiene in linea di continuità e di sviluppo con la sent. 425/2000 in materia di anatocismo bancario, annotata sempre dallo stesso A., Quale sindacato sui decreti legislativi correttivi?, in Giur. cost., 2000, p. 3192.

7) A tal proposito si rimanda in via generale a E. MALFATTI, ult. op. cit.
, p. 81 e ss.

8) Sul punto A. BONOMI, Le leggi comunitarie e la delineazione dei principi e dei criteri direttivi per rinvio alle direttive comunitarie nelle materie coperte da riserva di legge (aspetti problematici)
, in corso di pubblicazione in E. ROSSI (a cura di), Le trasformazioni della delega legislativa, Cedam, per il quale le direttive richiamate dalla legge di delega diventano la vera fonte dei principi sostanziali cui devono uniformarsi i decreti legislativi e il vero parametro cui commisurare la loro legittimità costituzionale nell’eventuale giudizio di fronte alla Corte.

9) Sul punto si veda E. STRADELLA, Le deleghe legislative per finalità: il caso delle deleghe contenute nelle leggi comunitarie. Analisi delle deleghe comunitarie nella XIV e XV legislatura
, in corso di pubblicazione in E. ROSSI (a cura di), Le trasformazioni della delega legislativa, Cedam.

10) Ai sensi dell’articolo 14, comma 2, della legge n. 400 del 1988 : L'emanazione del decreto legislativo deve avvenire entro il termine fissato dalla legge di delegazione; il testo del decreto legislativo adottato dal Governo è trasmesso al Presidente della Repubblica, per la emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza
.

11) Cfr. Corte cost. sentenza n. 425 del 2000 e ordinanze nn. 355 del 2004 e 425 del 2002.

12) Cfr. Camera dei Deputati, Servizio Studi, Osservatorio sulla legislazione, Le deleghe legislative nella XIV Legislatura, Aggiornamento al 15 marzo 2005
, Appunti del Comitato per la legislazione, n. 2, on line al sito: www.camera.it/files/.... Con riferimento ai decreti correttivi delle due ultime legislature cfr. M. MAZZARELLA, op. cit., § 2, tabelle 1 e 2.

13) Cfr. Appunti del Comitato per la legislazione cit., p. 7.

14) Cfr. Capo II – Familiari, Articolo 42
.

15) Cfr. Camera dei Deputati - Resoconto della I Commissione permanente (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni)
, del 3.07.2008, all’indirizzo www.camera.it/_dati/leg16/....

16) A tal proposito si segnala come in questi anni la definizione della schiera dei soggetti ricongiungibili è stata oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza anche costituzionale. Sul punto cfr. Corte Costituzionale, ordinanza n. 368/2006, e Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza n. 13849 del 27 maggio 2008.

17) Camera dei deputati - Resoconto della XIV Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea)
, del 18.06.2008, all’indirizzo http://leg16.camera.it/_dati/....

18) A tal proposito cfr. anche Camera dei Deputati - Resoconto della I Commissione permanente (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni)
, del 18.06.2008, all’indirizzo www.camera.it/_dati/.... Tra gli interventi del giorno si registrano forti perplessità sulla compatibilità dello schema di decreto con la direttiva europea, nonché sulla compatibilità a Costituzione della richiesta dell’esame del DNA per l’accertamento dei rapporti di parentela.

19) Cfr. parere finale approvato dalla I Commissione permanente (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni)
della Camera dei Deputati in data 3.07.2008, cit.

 

Articolo estratto da www.immigrazione.it n. 79 -01 settembre 2008