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della Segreteria ASGI

 29 agosto 2008

 

 

RASSEGNA DELLE PRINCIPALI

NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI

 

 

 

 

1. CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA – Libera Circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 25 luglio 2008, procedimento C-127/08.

 

Il diritto di ingresso e di soggiorno del coniuge extracomunitario del cittadino dell’UE nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e i riflessi sulla normativa e prassi italiana.

 

Un commento a cura della Segreteria ASGI.

 

Con la sentenza dd. 25 luglio 2008 (C-127-08), la Corte di Giustizia europea si è pronunciata su quattro distinti ricorsi promossi da altrettante coppie “miste” contro il Governo dell’Irlanda che aveva negato il diritto di soggiorno ai rispettivi coniugi extracomunitari di cittadini europei che avevano contratto matrimonio in Irlanda quando già soggiornavano in condizioni di irregolarità e, in due casi, erano già stati raggiunti da provvedimenti espulsivi.

Con tale sentenza, la Corte europea ha affermato che la direttiva europea dd. 29 aprile 2004 n. 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, non consente ad uno Stato membro di imporre al cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione che ha esercitato il diritto alla libera circolazione insediandosi in un altro Stato membro, di aver soggiornato legalmente in un altro Stato membro prima del suo arrivo nello Stato membro ospitante, al fine di poter beneficiare delle disposizioni della direttiva. Ugualmente, la sentenza specifica che il diritto alla libera circolazione dei famigliari dei cittadini comunitari di cui all’art. 3 c. 1 della direttiva citata, deve trovare applicazione a prescindere dal luogo e dalla data del matrimonio del cittadino di un paese terzo con il cittadino comunitario, nonché dalla modalità secondo la quale il detto cittadino di un paese terzo ha fatto ingresso nello Stato membro ospitante. In altri termini, appare incompatibile con il diritto europeo ogni normativa nazionale che subordini l’accesso alla carta di soggiorno per il famigliare di un cittadino comunitario alla regolarità del suo ingresso o del suo soggiorno al momento della celebrazione del matrimonio nello Stato membro ospitante. L’eventuale irregolarità dell’ingresso o del soggiorno nello Stato membro potrà sanzionata con misure proporzionate che non incidano sull’esercizio del diritto alla libertà di circolazione e di soggiorno, quali ad esempio un’ammenda, tranne nei casi di pericolosità accertata che rendano legittima una procedura di allontanamento.

 

L’importante sentenza della Corte di Giustizia europea è suscettibile di produrre importanti riflessi anche in Italia.

La normativa italiana di recepimento della direttiva europea nn. 2004/38, infatti, al pari di quanto avvenuto in altri Stati membri, ha inteso applicare in senso restrittivo il principio della libera circolazione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi famigliari di cittadini comunitari. La normativa italiana, infatti,  subordina il rilascio della carta di soggiorno alla presenza del “visto di ingresso, quando richiesto” ( art. 10 c. 3 lett. a d.lgs. 6.2.2007, n. 30, come ribadito successivamente dalla circolare M.I. n. 19 dd. 6 aprile 2007, pag.  8). In tal modo si è affermata una prassi diffusa delle questure di non accordare il rilascio della carta di soggiorno  al cittadino di un paese terzo che abbia contratto matrimonio in Italia con un cittadino comunitario o un cittadino italiano dopo aver fatto ingresso illegale in Italia o quando, al momento di contrarre matrimonio, si trovava in condizione di irregolarità.

Alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea, la normativa italiana e la prassi che conseguentemente si era affermata, sono dunque illegittime  e debbono trovare un’immediata disapplicazione. Come affermato infatti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 113 /1985, il principio dell’immediata applicabilità delle disposizioni comunitarie oltre che ai regolamenti, si applica anche alle “statuizioni risultanti … dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia europea”, così come  la stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 389 dd. 11 luglio 1989 ha previsto che “l’applicazione della normativa comunitaria direttamente efficace all’interno dell’ordinamento italiano non dà luogo ad ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest’ultima, seppure nei limiti di tempo e nell’ambito materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a svolgersi”.

La sentenza della Corte di Giustizia Europea è suscettibile di  dispiegare i suoi effetti nel nostro paese  anche con riferimento ai cittadini  di paesi terzi famigliari di cittadini italiani. Come è noto, infatti,  il nostro paese ha esteso la disciplina della direttiva europea sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea e dei loro famigliari anche ai famigliari extracomunitari del cittadino italiano (art. 23  d.lgs.n. 30/2007), in ossequio al divieto di “discriminazioni alla rovescia”, sancito dalla Corte Costituzionale con le note sentenze 16.06.1995, n. 249 e 30.12.1997, n. 443. Per effetto di tali sentenze,   se in ragione di una normativa comunitaria, una persona o un soggetto comunitario godrebbero di un trattamento  più favorevole di quello previsto in una situazione analoga per il cittadino o soggetto nazionale in virtù della norma di diritto interno, quest’ultima dovrà essere disapplicata in favore di quella comunitaria.

Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, dunque, il cittadino extracomunitario irregolare che contrae matrimonio con il cittadino italiano dovrà ricevere il documento di soggiorno previsto dalla direttiva europea, cioè la carta di soggiorno quinquennale e non il permesso di soggiorno biennale per i casi previsti dall’art. 30 c. 1 lett. c) ovvero il  permesso di soggiorno annuale rilasciato ai sensi dell’art. 19 del T.U. immigrazione, sempre qualora il coniuge cittadino italiano si trovi nelle condizioni analoghe a quelle del cittadino comunitario che esercita il diritto alla libera circolazione e soggiorno.

 

2. CORTE COSTITUZIONALE – Accesso degli stranieri extracomunitari alle prestazioni di assistenza sociale

 

Sentenza n. 306 dd. 29 luglio 2008

 

Un commento a cura della Segreteria ASGI

 

Con sentenza n. 306 dd. 29 luglio 2008, la Corte Costituzionale ha  dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001) e dell’art. 9, comma 1 del T.U. immigrazione, nella parte in cui escludono che l’indennità di accompagnamento, di cui all’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, spettante ai disabili non autonomamente deambulanti o che non siano in grado di compiere da soli gli atti quotidiani della loro vita,  possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché non possiedono i requisiti di reddito necessari per il rilascio  del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti.

Nella motivazione della decisione, la Corte ha affermato che l’indennità di accompagnamento rientra nelle prestazioni di “sicurezza o assistenza sociale” suscettibili di incidere sul diritto alla salute quale diritto fondamentale della persona, per cui la previsione di una discriminazione a danno degli stranieri legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato appare contraria alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute oltrechè contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza, in quanto introduce una disparità di trattamento fondata su criteri irrazionali ed arbitrari rispetto alle finalità del beneficio.

Peraltro, nonostante la chiara affermazione precedente,  il giudice delle leggi non ha voluto censurare per intero la norma della legge finanziaria 2001 che ha subordinato per gli stranieri extracomunitari l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale che costituiscono diritti soggettivi al possesso della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti), ma si è limitato a dichiararne l’illeggittimità soltanto con riferimento ai requisiti reddittuali e di alloggio  che sono il presupposto per il rilascio del suddetto titolo di soggiorno. La Corte, invece,  non ha voluto intaccare l’ulteriore requisito della durata quinquennale del soggiorno del cittadino straniero in Italia, già stabilito ai fini del rilascio del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, con l’argomentazione, non pienamente convincente, che tale requisito non era sospettato di illegittimità dal giudice remittente, limitandosi a specificare  come il legislatore possa “subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni – non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza – alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata”. Avendo in considerazione che  con la “legge Bossi- Fini” si è introdotta una stretta adesione tra durata del soggiorno e durata del contratto di lavoro, non appare agevole individuare quale sia quel titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno che ne dimostri il carattere non episodico e non di breve durata, anche se un’interpretazione sistematicamente orientata dovrebbe individuare tale titolo in quei permessi di soggiorno che abbiano le caratteristiche di “multifunzionalità” richiamate  dall’art. 6 c. 1 del T.U. immigrazione.

Di conseguenza, la Corte costituzionale ha forse  perso un’ulteriore occasione per esprimersi sul carattere effettivamente discriminatorio, sebbene in forma  “indiretta” o “dissimulata” di un   requisito di lunga  residenza  ai fini dell’accesso ad un beneficio, in quanto  più facilmente soddisfabile  dai cittadini piuttosto che dai lavoratori migranti, finendo dunque per privilegiare in misura  sproporzionata  i primi a danno dei secondi, come del resto più volte sottolineato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea con riferimento ai lavoratori comunitari.

La sentenza della Corte  Costituzionale costituisce, dunque,   un successo solamente  parziale, soprattutto a fronte della tendenza dell’attuale esecutivo di estendere a dismisura il requisito della lunga residenza ai fini dell’accesso a varie forme di benefici ed interventi sociali, con effetti obiettivamente discriminatori nei confronti della popolazione immigrata (si veda in proposito la recente modifica della disciplina dell’assegno sociale con l’introduzione di un requisito di residenza decennale, ovvero la previsione relativa al Fondo per il sostegno alle abitazioni in locazione che subordinano per gli immigrati l’accesso ai benefici ad un requisito di residenza continuativa addirittura decennale sul territorio nazionale ovvero quinquennale sul territorio regionale; cfr. Newsletter Segreteria ASGI 26 agosto 2008).

 

 

3. TAR Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia- Lecce Sezione III, sentenza n. 1870/2008 dd. 24.06.2008 – Richiedenti asilo, Applicazione del Regolamento CE 343/2003 (Regolamento Dublino), richiedenti asilo transitati dalla Grecia.

 

TAR Puglia, Lecce, Sez. III, sentenza n. 1870/2008, dd. 24.06.2008.

 

Il TAR Puglia si è pronunciato accogliendo il ricorso di un richiedente asilo nei cui confronti era stato disposto il rinvio in Grecia in applicazione dell'art. 10 c.1. del Regolamento Dublino (ingresso accertato in un paese terzo membro). Il TAR Puglia, sulla base dei rapporti e delle Raccomandazioni dell'UNHCR (UNHCR Position on the asylum seekers return to Greece under “Dublin Regulation” dd. 15 marzo 2008),  ha ritenuto di potere considerare la Grecia paese non sicuro in ragione della nota situazione di gravi carenze nel sistema di protezione di quel paese e ha pertanto annullato il provvedimento del Ministero dell’Interno con il quale era stato disposto il trasferimento del richiedente asilo in Grecia, ordinando le medesime autorità ad effettuare una più approfondita valutazione in merito all’eventuale applicabilità della norma che consentirebbe all’Italia di assumersi la competenza del caso (art. 3 c. 2 del Regolamento Dublino).

 La sentenza è  di grande interesse e rilevanza per molti casi analoghi in Italia: quotidianamente decine di  cittadini stranieri, innanzitutto iracheni e afgani, vengono respinti dai porti adriatici del nostro paese verso la Grecia, senza alcuna valutazione sulle possibilità di tali persone di accedere alla procedura di asilo.

Si rammenta che alcuni paesi dell’Unione Europea, primo fra tutti la Norvegia, hanno sospeso i trasferimenti di richiedenti asilo verso la Grecia, così come decisioni in tal senso sono state adottate da tribunali in Gran Bretagna e Germania.

 

 

4. TRIBUNALE DI MILANO, ORDINANZA 31 LUGLIO 2008 -  Infermieri extracomunitari – Procedure di stabilizzazione dei rapporti di lavoro flessibili nella Pubblica Amministrazione – Illegittimità del requisito della cittadinanza italiana

 

Tribunale di Milano, Ordinanza 31 luglio 2008, depositata il 1 agosto 2008, est. Mennuni

 

Con ordinanza dd. 31 luglio 2008, il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, ha respinto il reclamo promosso  dall’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano contro l’ordinanza emanata in primo grado dal giudice monocratico del medesimo tribunale, con la quale era stato accolto il ricorso presentato ex art. 44 del T.U. immigrazione (azione civile contro la discriminazione) dalle organizzazioni sindacali CGIL e CISL e da un’infermiera extracomunitaria e pertanto era stata disposta la stabilizzazione dei rapporti di lavoro  a tempo determinato contratti tra l’Azienda Ospedaliera e gli infermieri extracomunitari assunti fuori dal sistema delle quote di ingresso ex art. 27 lett. r bis del T.U. immigrazione, secondo quanto previsto  dalle disposizioni di cui alle leggi finanziarie 2007 e 2008 (in proposito Ordinanza del Tribunale di Milano, 27 maggio 2008, est. Giudice Bianchini).

Secondo la parte reclamante, le procedure di stabilizzazione dei rapporti di lavoro flessibile nella Pubblica Amministrazione possono riguardare  soltanto i cittadini italiani, stante la riserva di “cittadinanza” nell’ambito dei rapporti di pubblico impiego generalmente prevista in base all’art. 2 DPR 487/94 e confermata dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 24179/06. Tale argomento non ha trovato concorde il Tribunale di Milano, il quale ha concluso che il requisito di cittadinanza nei rapporti di pubblico impiego può essere derogato qualora questo venga previsto  dalla legislazione, così come avviene per i cittadini comunitari (art. 38 D.lgs. n. 165/01), per i rifugiati politici (art. 25 D.lgs. 251/07), per i titolari di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti limitatamente  all’esercizio di attività lavorativa che non implichi la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri (art. 11 c. 1 direttiva 2003/109/CE), più in generale per gli stranieri legalmente soggiornanti (art. 2 c. 3 T.U. immigrazione), così come, nell’ambito delle professioni sanitarie, per gli infermieri stranieri, per i quali la possibilità di assunzione a tempo indeterminato anche nelle strutture pubbliche è stata esplicitamente prevista dal combinato disposto dell’art. 27 comma 1 del T.U. immigrazione e dall’art. 40 c. 21 del DPR 394/99. Ugualmente, il Tribunale rileva che  le disposizioni delle leggi finanziarie 2007 e 2008 in materia di  stabilizzazione dei rapporti di lavoro flessibile non richiedono la cittadinanza italiana, bensì prevedono quale  unico requisito la pregressa assunzione con contratto a termine sulla base di procedure selettive.

 

 

 

5. TAR EMILIA ROMAGNA, Sez. I, SENTENZA N. 2343 dd. 06 GIUGNO 2008, G.L.B.A. – Ministero dell’Interno, Questura di Bologna – Illegittimità del diniego del rinnovo del permesso di soggiorno ovvero del rilascio della carta di soggiorno per mancato possesso del passaporto.

 

T.A.R Emilia Romagna, Sez. I, Sent. n. 2343 dd. 06 giugno 2008, rel. Trizzino.

 

Il TAR Emilia Romagna ha accolto il ricorso presentato da un cittadino tunisino avverso il diniego al rilascio della carta di soggiorno notificatogli dalla questura di Bologna in quanto privo del passaporto nazionale, perché la competente autorità consolare del suo paese ne rifiuta il rilascio  senza apparente motivo. Il giudice amministrativo di Bologna ha annullato il provvedimento della questura,  sostenendo che il  passaporto è necessario per fare ingresso in Italia e per il rilascio del primo permesso di soggiorno, ma non costituisce documento essenziale per  il rinnovo del permesso di soggiorno, sulla base della lettura delle combinate disposizioni di legge e del regolamento attuativo del T.U. immigrazione.

 

 

 

6. CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA N. 278 dd. 16 LUGLIO 2008, pres. Bile, Rel. Mazzella -  Utilizzo del sistema postale per la presentazione dei ricorsi avverso provvedimenti espulsivi.

 

Corte Costituzionale, Sent. n. 278 del 16 luglio 2008, Pres. Bile, Rel. Mazzella.

 

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costitituzionale  dell’art. 13, comma 8 del D.lgs. 286/98, nella parte in cui non consente l’invio per via postale del ricorso avverso il provvedimento espulsivo da parte dello stesso cittadino straniero espulso, limitatamente ai casi in cui vi sia certezza sull’identità del ricorrente. A seguito della pronuncia del giudice delle leggi, la proposizione diretta del ricorso per via postale avverso il decreto prefettizio di espulsione dovrebbe così affiancarsi alle modalità già previste dal T.U. immigrazione, cioè la proposizione del ricorso presso la cancelleria del giudice di pace competente per mezzo del difensore ovvero per il tramite della rappresentanza diplomatico o consolare.

 

 

A cura del dott. Walter Citti, della Segreteria organizzativa dell’ASGI.