DIRITTI DI DIFESA DEI RICHIEDENTI ASILO
E PATROCINIO A SPESE DELLO STATO
1. Secondo l’articolo 24 della Costituzione della Repubblica italiana,"tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari".
Il patrocinio a spese dello stato per tutti,
italiani e stranieri, comunitari e non appartenenti all’Unione Europea, è previsto nei processi penali, civili,
amministrativi, contabili, e di volontaria giurisdizione innanzi ai tribunali,
alle corti d’appello, alla corte di cassazione, ai magistrati e ai tribunali di
sorveglianza, ai tribunali amministrativi regionali, al consiglio di Stato.
Può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato chi si trova nelle
condizioni (se il richiedente vive solo, la somma dei suoi redditi non deve
superare 9.296,22 euro, aumenta nel caso di convivenza con familiari) da venire
considerato come non abbiente, condizione che deve essere provata dal
richiedente con certificazione o con autodichiarazioni.. La domanda deve contenere
la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; l’indicazione del
processo cui si riferisce; le generalità (nome, cognome, data e luogo di
nascita, residenza). Si deve
dichiarare, sotto la propria responsabilità, che si è nelle condizioni di
reddito richieste dalla legge e specificare il reddito totale.
Occorre anche impegnarsi a comunicare le variazioni di reddito successive alla
presentazione della domanda. La mancanza di uno solo di questi elementi rende
la domanda inammissibile. I cittadini di stati non
appartenenti all’Unione europea, inoltre, devono indicare quali redditi
possiedono eventualmente all’estero.
La domanda deve essere firmata dall’interessato e la firma deve essere
autenticata dall’avvocato o dal funzionario dell’ufficio che la riceve. Nei
giudizi che non hanno carattere penale: si devono anche descrivere i fatti e i
motivi a fondamento della causa che servono a valutarne la fondatezza.
La rapidità delle procedure di espulsione e di riesame dei dinieghi delle istanze di asilo, talora più veloci della procedura per il riconoscimento del patrocinio gratuito, le difficoltà di adeguata rappresentanza da parte dei difensori d’ufficio, anche per l’assenza di interpreti indipendenti, assieme alla immediata esecuzione delle decisioni di allontanamento forzato, per le quali solo da qualche mese si è previsto un limitato effetto sospensivo del ricorso, hanno di fatto escluso centinaia di migranti richiedenti asilo dalla possibilità di fare valere tempestivamente i loro diritti di difesa e di ricorso, tramite l’accesso al patrocinio a spese dello stato, spesso l’unica condizione per avvalersi di un avvocato ( di un interprete) di fiducia..
2. Il 2 marzo 2008 è entrato in vigore il decreto legislativo 28 gennaio 2008 n.25, emanato in recepimento della Direttiva europea 2005/85/CE, un decreto che , quando sarà completato dal nuovo regolamento di attuazione – manca ancora il regolamento di attuazione –, dovrebbe modificare ( forse sarebbe meglio dire oggi, avrebbe dovuto modificare) in modo sostanziale il quadro normativo in materia di diritto di asilo e protezione internazionale in Italia. Secondo il decreto legislativo 28 gennaio 2008 n.25, all’art. 40 comma 1 b si dichiara abrogato “il decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 2004, n. 303,( che in precedenza regolava la materia della procedura di asilo) a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 38”. Purtroppo non si conoscono ancora i tempi di emanazione del nuovo regolamento, tempi che potrebbero anche essere lunghi e sembra che nel nuovo governo prevalgano intenzioni di ritornare alla vecchia procedura, reintroducendo una disciplina più restrittiva sia per l’accesso che per lo svolgimento delle procedure di asilo e di protezione internazionale. In questa fase è dunque assai difficile dare indicazioni chiare e certe su come in futuro verrà attuata con lo strumento del regolamento la nuova procedura di asilo. Di certo però numerose norme del decreto n. 25 del 2008 hanno una portata immediatamente precettiva che è stata già sperimentata con notevoli progressi rispetto al passato, in tutte le regioni italiane, e in questa parte rientrano le disposizioni sul patrocinio a spese dello stato.
Il decreto legislativo 28 gennaio 2008 n.25, oltre ad intervenire sulle questioni più controverse, come la obbligatorietà della ricezione della istanza di protezione internazionale da parte degli uffici di polizia, del regime differenziato di trattenimento, in centri di accoglienza o nei CPT ( adesso CIE), tratta dei ricorsi contro i provvedimenti di diniego dello status, con una previsione specifica in materia di patrocinio a spese dello stato..
L’art.16 del Decreto Legislativo n. 25 del 28
gennaio 2008, in attuazione della Direttiva comunitaria 2005/85 sulle procedure
di asilo, e della successiva legge di delega, prevede che:
1. Il cittadino straniero può farsi assistere, a proprie spese, da un
avvocato.
2. Nel caso di impugnazione delle decisioni in sede giurisdizionale, il
cittadino straniero è assistito da un avvocato ed è ammesso al gratuito
patrocinio ove ricorrano le condizioni previste dal decreto del Presidente
della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. In ogni caso per l'attestazione dei
redditi prodotti all'estero si applica l'articolo 94 del medesimo decreto.
3. In base al D.P.R.n. 115 del 2002, agli artt. 74 e 75, “è assicurato
il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente,
indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che
intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente
obbligato per la pena pecuniaria. E', altresì, assicurato il patrocinio nel
processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di
volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le
sue ragioni risultino non manifestamente infondate”.
Il richiamo contenuto nel decreto legislativo n. 25 del 2008 al Decreto .del Presidente della .Repubblica. n. 115 del 2002 non comporta l’affidamento ai Consigli dell’Ordine del potere di valutare pregiudizialmente la fondatezza dell’istanza di asilo, risultando altrimenti svuotata di effettività la nuova disciplina introdotta proprio per ovviare alle distorsioni derivanti in precedenza da una affrettata valutazione di manifesta infondatezza da parte delle autorità di polizia. Le prassi amministrative adottate nelle questure e negli uffici di frontiera, sino al mese di marzo del 2008, con la valutazione di manifesta infondatezza, avevano impedito l’accesso alla procedura a centinaia di richiedenti asilo in tutta Italia, alimentando peraltro un vasto contenzioso in sede giurisdizionale, anche con l’adozione di provvedimenti cautelari e con numerose pronunce di condanna a carico della Pubblica Amministrazione.
Non si vede peraltro sulla base di quali elementi i Consigli dell’ordine potrebbero pronunciarsi sulla fondatezza della “causa” relativa ad una istanza di protezione internazionale. Infatti, una diversa interpretazione della normativa in materia di patrocinio degli stranieri a spese dello stato attribuirebbe al Consiglio dell’Ordine un potere meramente discrezionale e di difficile controllo, che potrebbe essere fonte di comportamenti ingiustificatamente discriminatori. Di certo la legge, dove attribuisce un potere discrezionale, richiede altresì il rispetto del principio di parità di trattamento e del dovere di motivazione, che non può non tenere conto delle peculiarità del caso concreto, e dunque della posizione soggettiva del singolo richiedente. I Consigli dell’ordine degli avvocati possono elaborare al riguardo delle linee guida, ad uso esclusivamente interno, anche allo scopo di garantire uniformità nei criteri di decisione, ma non possono invadere la sfera tecnica di decisione sulla richiesta di asilo affidata esclusivamente, secondo la legge vigente, alla commissione territoriale.
I Consigli dell’ordine non possono adottare quindi deliberazioni che escludano in maniera generalizzata ed indistinta la possibilità di accesso al patrocinio gratuito per intere categorie di richiedenti asilo o protezione internazionale, perché in questo modo verrebbero meno al dovere di motivazione individuale dei provvedimenti relativi alla concessione del patrocinio a spese dello stato e violerebbero gli art. 10 e 24 della Costituzione, applicando la normativa vigente in contrasto con una interpretazione costituzionalmente orientata che - nel caso dei diritti di difesa dei richiedenti asilo e protezione umanitaria - sollecita la massima estensione dei diritti di difesa. Direzione nella quale si è mosso anche il legislatore comunitario con la direttiva 2005/85/CE sulle procedure per il riconoscimento dello status di asilo o di protezione internazionale. Si deve ricordare che in ogni caso spetta esclusivamente alla Commissione territoriale applicare i criteri fissati dall’art. 8 del Decreto legislativo n.25 del 2008, e precisamente:
1. Le domande di
protezione internazionale non possono essere respinte, né escluse dall’esame
per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente.
2. La decisione su
ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed
imparziale e sulla base di un congruo esame della domanda effettuato ai sensi
del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251.
3. Ciascuna
domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la
situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove
occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione
nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari
esteri, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale
assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a
disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal
regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 38 e siano altresì fornite agli
organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative.
4. Si deve comunque evitare che il richiamo
a regole formali possa tradursi nella negazione sostanziale del diritto di
difesa adesso espressamente riconosciuto ai richiedenti asilo anche dopo il
diniego della loro istanza. In passato, ad esempio, si era proposta una
interpretazione restrittiva della normativa sul patrocinio a spese dello stato,
sulla base di una considerazione isolata dell’art.119
del D.P.R. 115 del 2002 nella parte che equipara al cittadino italiano lo
straniero e l’apolide, ma solo a condizione che questi si trovino in una
situazione di soggiorno regolare.
Secondo questa disposizione, il trattamento previsto per il cittadino italiano
( e dunque l’ammissione al patrocinio a spese dello stato), è assicurato,
altresì, allo straniero regolarmente soggiornante
sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto
oggetto del processo da instaurare e all'apolide, nonché ad enti o associazioni
che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica.
La disposizione è adesso da leggere alla
stregua dell’art. 16 del Decreto legislativo n.25 del 2008 che riconosce al
richiedente protezione internazionale uno status legale di soggiorno e
attribuisce espressamente allo stesso richiedente asilo o protezione sussidiaria,
che abbia ricevuto un diniego, l’ammissione al patrocinio a spese dello stato (
art. 16 del d.lgs. 25 del 2008)
Secondo l’art. 79 del D.P.R. n.115 del 2002,
relativo al contenuto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello
stato, “l'istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità,
contiene:
a.
la richiesta di ammissione al
patrocinio e l'indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente;
b.
le generalità dell'interessato e
dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;
c.
una dichiarazione sostitutiva di
certificazione da parte dell'interessato, ai sensi dell'articolo 46, comma 1,
lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.
445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per
l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a
tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'articolo 76;
d.
l'impegno a comunicare, fino a che
il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito,
verificatesi nell'anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del
termine di un anno, dalla data di presentazione dell'istanza o della eventuale
precedente comunicazione di variazione.
2.
Per i redditi prodotti all'estero,
il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea correda l'istanza con
una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la
veridicità di quanto in essa indicato.
3.
Gli interessati, se il giudice
procedente o il consiglio dell'ordine degli avvocati competente a provvedere in
via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità
dell'istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la
veridicità di quanto in essa indicato.
Si afferma dunque la possibilità da parte del Consiglio dell’Ordine di richiedere preliminarmente, in ordine a questi punti, la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto indicato dal richiedente ai fini dell’ammissione al patrocinio gratuito. Questa possibilità deve essere valutata alla stregua delle caratteristiche generali e della tutela costituzionale, comunitaria ed interna dell’istituto dell’asilo e della protezione internazionale in genere. Appare dunque evidente che imporre ad un richiedente asilo una certificazione che lo costringa a rivolgersi alle proprie autorità diplomatiche o consolari non può che tradursi nel diniego della richiesta di patrocinio gratuito, essendo a tutti noto che il richiedente asilo non può, anzi non deve, pena la decadenza dalla stessa istanza di asilo o di protezione umanitaria, rivolgersi alle autorità del proprio paese. La normativa sul gratuito patrocinio non prevede peraltro l’obbligo di allegare il documento di identità, attraverso documenti rilasciati dai paesi di provenienza, ma impone solo di indicare le generalità anagrafiche, né sono più necessari i codici fiscali, dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale con sentenza n. 144 del 2004. E’ consentito attestare tramite autodichiarazioni sostitutive le condizioni reddituali. La sottoscrizione dell’istanza deve poi essere autenticata dal difensore.
All’art. 94 del decreto n. 115 del 2002 si
chiarisce quindi che “in caso di
impossibilità a produrre la documentazione richiesta dall'articolo 79, comma 3,
questa è sostituita, a pena di inammissibilità, da una dichiarazione
sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato. In caso di
impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell'articolo 79,
comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea, la
sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva della
certificazione.
I richiedenti
protezione internazionale, anche se in precedenza hanno ricevuto un
provvedimento di espulsione o di respingimento, non sono dunque da considerare
alla stregua di immigrati irregolari, ai fini
dell’ammissione al patrocinio a
spese dello stato, né sono tenuti a sottostare ai medesimi requisiti formali
previsti per l’ammissione al patrocinio a carico dello stato per i cittadini e
per gli stranieri regolarmente residenti con un diverso titolo di soggiorno,
almeno fino a quando non si è definita la procedura e la successiva fase dei
ricorsi giurisdizionali. Si deve osservare infatti come, con riferimento alla
attuazione della Direttiva comunitaria sulle procedure di asilo e di protezione
umanitaria, l’art. 26 comma .4 del Decreto Legislativo n. 25 del 28 gennaio
2008 preveda che “ Il Questore, nei casi di trattenimento o di accoglienza
rilascia l’attestato nominativo che certifica la qualità di richiedente
protezione internazionale, ovvero negli altri casi un permesso di soggiorno
valido per tre mesi rinnovabile”.
Il successivo art. 36 del Decreto Legislativo n.25 del 2008 ribadisce il diritto all’accoglienza anche in favore del richiedente asilo che dopo la decisione negativa della Commissione territoriale presenta un ricorso giurisdizionale.
In particolare, al richiedente asilo che ha
proposto il ricorso ai sensi dell'articolo 35, si applica l'articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, e dunque se la decisione definitiva non interviene nel termine di sei
mesi dalla proposizione della domanda matura comunque il diritto a svolgere una
attività lavorativa e ad avere prorogato il permesso di soggiorno per richiesta
asilo...
Il richiedente di cui al comma 1 ospitato nei centri di cui all'articolo 20
( centri di accoglienza) rimane in
accoglienza nelle medesime strutture con le modalità stabilite dal decreto
legislativo 30 maggio 2005, n. 140.
Il richiedente trattenuto nei centri di cui
all'articolo 21 ( CPT, adesso rinominati come CIE Centri di identificazione ed
espulsione), che ha ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, ai
sensi dell'articolo 35, comma 8 ( del decreto legislativo 25 del 2008), ha
accoglienza nei centri di cui all'articolo 20 ( dello stesso decreto) con le
modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.
Secondo l’art. 6, comma sesto, del decreto legislativo 30 maggio 2005 n.140, relativo alle misure di accoglienza dei richiedenti asilo, “L'indirizzo della struttura di accoglienza, è comunicato, a cura della Prefettura - Ufficio territoriale del Governo, alla Questura, nonché alla Commissione territoriale e costituisce il luogo di residenza del richiedente, valevole agli effetti della notifica e della comunicazione degli atti relativi al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, nonché alle procedure relative all'accoglienza, disciplinate dal presente decreto. E' nella facoltà del richiedente asilo comunicare tale luogo di residenza al proprio difensore o consulente legale”.
In tutte le fasi della procedura, incluso il ricorso giurisdizionale, e la conseguente richiesta di ammissione al patrocinio gratuito dunque, il richiedente asilo o protezione sussidiaria, che presenta un ricorso contro il diniego, è da considerare come una persona identificata con un “ attestato nominativo” rilasciato dal Questore, legalmente residente e domiciliata in Italia in base ad un riconoscimento e ad una documentazione proveniente dalla Pubblica Amministrazione, che sarebbe anzi tenuta a rilasciare l’attestato nominativo all’interessato, con immediatezza, e non a trattenere tale attestazione presso gli uffici, per tutta la durata della procedura e nelle fasi del ricorso giurisdizionale. Spesso si verifica invece che tale consegna immediata al richiedente asilo non avviene, con successive difficoltà di accesso ai diritti e di difesa qualora la persona venga trasferita successivamente da una ad un’ altra delle numerose strutture di accoglienza predisposte sul territorio nazionale.
5. Una lettura orientata in senso costituzionale della normativa oggi vigente sul patrocinio a spese dello stato, con riguardo ai richiedenti asilo, non può considerarli in una posizione peggiore degli immigrati irregolari, o altre volte ritenerli alla stessa stregua degli immigrati regolari per ragioni economiche, e condurre a soluzioni applicative che risultino in contrasto con il riconoscimento costituzionale del diritto di asilo o con il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione, oltre che dalle Convenzioni Internazionali sottoscritte dall’Italia e dalle Direttive comunitarie..
Occorre pertanto
richiamare quanto affermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n.144
del 2004, seppure relativa al diverso caso di immigrati irregolari, e non
richiedenti asilo dotati di uno status legale, almeno fino alla definizione dei
mezzi di ricorso. In quella sentenza la Corte Costituzionale stabiliva la irrilevanza del possesso
del codice fiscale ai fini dell’accesso all’istituto del gratuito patrocinio.
Osservava la Corte come l’obbligo di produrre il codice fiscale si configurerebbe come un «mero adempimento burocratico
privo di giustificazione», perché gli immigrati non in regola con la legge non
possono avere codice fiscale, quindi il suo mancato possesso non sarebbe
«imputabile allo straniero ma ad una impossibilità giuridica di carattere
oggettivo».
Si
deve anche ricordare come l’istituto del patrocinio a spese dello stato ha recentemente
ampliato la sua portata applicativa. Con la sentenza n. 254 del 2007 la Corte
Costituzionale ha riconosciuto al cittadino straniero, imputato in un
procedimento penale e ammesso al patrocinio a spese
dello stato, che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio
interprete. La Corte rileva che “il riconoscimento in capo all'imputato
straniero che non conosce la lingua italiana del diritto di nomina di un
proprio interprete non può, in virtù dei principi sopra esposti, soffrire
alcuna limitazione. Invero, l'istituto del patrocinio a spese dello Stato,
essendo diretto a garantire anche ai non abbienti l'attuazione del precetto
costituzionale di cui al terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, prescrive
che a questi siano assicurati i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione e ciò in esecuzione del principio posto dal primo comma della
stessa disposizione, secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti e interessi legittimi”.
La
decisione della Corte conferma come il legislatore, anche tenendo conto del
principio di uguaglianza affermato dall’art. 3 della Costituzione, può
variamente disciplinare le condizioni soggettive di accesso all’istituto del
patrocinio a spese dello Stato, ma sempre entro i limiti della ragionevolezza e
della non discriminazione, oltre che nel rispetto dei principi fondamentali
come gli art. 10 e 24 affermati dalla Carta Costituzionale.. Come si è visto,
peraltro, lo stesso legislatore, anche a seguito delle difficoltà
interpretative che si segnalavano in passato, con il D.Lgs. n.25 del 28 gennaio
2008 ha espressamente previsto la ammissione al patrocinio a spese dello stato
in favore dei richiedenti asilo o altro status di protezione internazionale che
intendano proporre ricorso contro la decisione negativa della Commissione
territoriale.
Si
può osservare in conclusione che se dovessero prevalere ancora considerazioni
meramente formali, o peggio, esclusivamente orientate ad esigenze di
contenimento della spesa, sulla quale si può invece intervenire nella fase di
liquidazione dei compensi agli avvocati, si negherebbe effettività al diritto
di difesa tramite il patrocinio a
spese dello stato, violando i
precetti costituzionali, a partire dagli articoli 3,10 e 24, ed i richiami
normativi, interni e comunitari, richiamati in precedenza.
La
giurisprudenza amministrativa più recente, seppure con riferimento a casi che
venivano decisi sulla base della normativa relativa alle procedure di asilo e
protezione sussidiaria precedenti al 3 marzo 2008, e dunque prima dell’entrata
in vigore del decreto legislativo n.25 del 2008, ha riconosciuto l’ammissione
al patrocinio a spese dello stato disposta dai Consigli dell’ordine in favore
di richiedenti asilo dopo il diniego: si veda da ultimo T.A.R. Puglia, Sez. Lecce, 19 maggio 2008.
Fulvio
Vassallo Paleologo
Università
di Palermo
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA PUGLIA
LECCE TERZA SEZIONE
Registro Decreti: 1398/2008
Registro Generale: 1698/2005
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce,
nelle persone dei signori Magistrati:
ANTONIO CAVALLARI Presidente
TOMMASO CAPITANIO Primo Referendario, relatore
SILVIA CATTANEO Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1698/2005, proposto da .S A., rappresentato e difeso dall’avv.
Salvatore Centonze ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo,
in Lecce, Via G. Toma, 45,
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., e QUESTURA DI LECCE, in
persona del Questore p.t., rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA DISTRETTUALE
DELLO STATO, con domicilio eletto ope legis presso la sede della stessa, in
LECCE, VIA F. RUBICHI, 23
per l’annullamento, previa sospensiva,
del provvedimento adottato dal Questore di Lecce in data 8.4.2005, e notificato
al ricorrente in data 4.7.2005, recante il diniego del rinnovo del permesso di
soggiorno per richiesta di asilo politico, nonché di ogni altro atto
presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi incluso il provvedimento di
diniego del riconoscimento dello status di rifugiato politico emesso dalla
Commissione Centrale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato in data
17.3.2005, anche questo notificato al ricorrente in data 4.7.2005.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti il decreto presidenziale 12.10.2005, n. 1189, e l’ordinanza collegiale
27.10.2005, n. 1321, recanti l’accoglimento della domanda cautelare;
Uditi nella pubblica udienza del 26 marzo 2008 il relatore, Primo Ref. Tommaso
Capitanio, e, per le parti, l’avv. Colella, in sostituzione dell’avv. Centonze,
e l’avv. dello Stato Libertini.
FATTO E DIRITTO
1. Il sig. A.S., cittadino sudanese (originario, in particolare, della regione
del Darfur) impugna il provvedimento con il quale il Questore di Lecce ha
respinto la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno presentata a suo tempo
dal ricorrente (e ciò in conseguenza del fatto che la speciale Commissione
Centrale per il Riconoscimento dello Status di rifugiato aveva deciso di non
riconoscere al ricorrente il suddetto status), nonché il presupposto diniego di
riconoscimento dello status di rifugiato.
Questi i motivi a sostegno della richiesta di annullamento degli atti
impugnati:
- violazione art. 3, comma 3, del DPR n. 394/1999 (il provvedimento di diniego
non è stato tradotto in una lingua conosciuta dal destinatario);
- difetto di motivazione e di istruttoria (la Questura ha fondato il diniego di
rinnovo del permesso di soggiorno unicamente sul diniego di riconoscimento
dello status di rifugiato);
- violazione art. 19, comma 1, T.U. n. 286/1998 e s.m.i.;
- violazione art. 7 e ss. L. n. 241/1990 e s.m.i.
2. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, chiedendo il
rigetto del ricorso.
Dopo che con l’ordinanza in epigrafe è stata accolta la domanda cautelare, alla
pubblica udienza del 26 marzo 2008 la causa è stata trattenuta per la decisione
di merito.
3. Il ricorso è in parte inammissibile e in parte fondato.
3.1. L’inammissibilità, ovviamente, concerne l’impugnazione del diniego di
riconoscimento dello status di rifugiato, ed essa discende dal fatto che in
parte qua la controversia involge diritti soggettivi, e, come tale, essa andava
proposta davanti all’A.G.O. (vedasi, a conferma di quanto appena detto, l’art.
35 del D.Lgs. n. 25/2008 - recante Attuazione della direttiva 2005/85/CE
recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – il quale
attribuisce espressamente all’A.G.O. la giurisdizione in materia di
impugnazione del diniego di riconoscimento dello status di rifugiato).
3.2. Per il resto, invece, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento
del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, adottato dalla Questura di
Lecce.
Al riguardo, si deve osservare che il ricorrente è originario della regione
sudanese del Darfur, la quale negli ultimi anni (e la cosa costituisce fatto
notorio, vista la risonanza che tali eventi hanno avuto sui mass media di tutto
il mondo. In ogni caso, in allegato al ricorso è stata depositata
documentazione che comprova la gravissima situazione esistente nel Paese
africano) è stata teatro di sanguinosi scontri ed eccidi. Fra le vittime di
tali accadimenti è ricompreso il fratello del ricorrente, a causa della
religione professata.
Pertanto, pur non avendo il sig. A. fornito la prova che le persecuzioni di cui
si è detto lo riguardavano uti singulus (per la qual cosa la Commissione
Centrale gli ha negato lo status di rifugiato), è evidente che egli, qualora
dovesse far ritorno in Sudan potrebbe essere comunque vittima di atti di
violenza e/o di torture.
Se così è, ne consegue che l’Amministrazione ha violato il disposto dell’art.
5, comma 6, del T.U. n. 286/1998, nella parte in cui la norma vieta il rifiuto
o la revoca del permesso di soggiorno nel caso in cui ricorrano seri motivi di
carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali
assunti dall’Italia.
Nel caso di specie, non c’è dubbio che tali motivi sussistano, per cui il
diniego di rinnovo del permesso di soggiorno va annullato.
4. In conclusione, il ricorso va in parte dichiarato inammissibile per difetto
di giurisdizione e in parte accolto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di
giudizio fra le parti.
Le competenze spettanti al difensore del ricorrente ed inerenti alle spese
per il patrocinio a spese dello Stato (a cui il sig. A. è stato ammesso con
deliberazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce del 29.7.2005)
sono liquidate con separato decreto.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, in
parte dichiara inammissibile e in parte accoglie il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 26 marzo 2008.
Antonio Cavallari Presidente
Tommaso Capitanio Estensore
Pubblicato mediante deposito
in Segreteria il 19.05.2008