OLTRE DUBLINO : MIGRANTI AFGHANI DEPORTATI IN GRECIA

 

1. I 23 migranti ( presumibilmente) afghani, sbarcati sulle coste calabresi  il 6 settembre, il giorno successivo sono stati accompagnati al porto di Brindisi per essere imbarcati su una nave diretta in Grecia. Secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa “gli agenti della Questura di Catanzaro, infatti, hanno accertato che gli immigrati erano stati imbarcati in un porto greco e questo ha realizzato le condizioni previste dalla procedura definita di «riammissione» che prevede, in base ad un accordo bilaterale tra Italia e Grecia, il trasferimento degli immigrati, anche se originari di altri Stati, quando viene accertato che sono transitati da un porto ellenico”( ANSA).

L’accertamento della provenienza dei migranti sarebbe stato agevolato dalla circostanza che lo stesso giorno  dello sbarco era stata intercettata dalla guardia di finanza al largo delle coste calabresi ed inseguita sino al porto di Cefalonia (Grecia), dove è stata bloccata, la nave madre che aveva fatto sbarcare, per mezzo di gommoni, i clandestini di nazionalità afghana sulle coste catanzaresi. Secondo quanto riferito dall’ANSA “subito dopo lo sbarco, il Reparto operativo aeronavale della guardia di finanza di Vibo Valentia, ha attivato un dispositivo di ricerca nello Ionio Settentrionale cui hanno partecipato unità aeree e navali del Comando regionale Calabria, del Comando operativo aeronavale di Pomezia -Pratica di Mare e del Gruppo aeronavale di Taranto. Nella tarda mattinata di ieri, l'aereo Atr della guardia di finanza ha intercettato in alto mare un natante privo di bandiera e senza nominativo che faceva rotta verso la Grecia. Le unità navali hanno raggiunto il natante nel tardo pomeriggio per sottoporlo a controllo, ma l'equipaggio ha messo in pratica tutta una serie di manovre per evitare di fermarsi, cercando anche di speronare un guardacoste. L'inseguimento è proseguito sino ai limiti delle acque territoriali della Grecia le cui autorità, contattate dalla finanza, ne hanno autorizzato la prosecuzione. Il natante è stato quindi bloccato stamani nel porto di Cefalonia, dove la polizia del posto, in collaborazione con i finanzieri hanno arrestato i due componenti l'imbarcazione, entrambi di origine greca”. 

 

2. La vicenda - ancora in corso - sollecita alcune riflessioni sugli effetti devastanti che le operazioni congiunte di contrasto dell’immigrazione clandestina possono produrre a scapito dei diritti fondamentali della persona umana e del riconoscimento effettivo del diritto di asilo. E’ infatti noto il trattamento che la Grecia riserva ai richiedenti asilo, abusati dalla polizia, costretti alla clandestinità o espulsi verso i paesi dai quali sono fuggiti o transitati, al punto che il Tribunale amministrativo della regione Puglia, in un caso assai recente, ha sospeso l’applicazione del regolamento Dublino nei confronti della Grecia, impedendo la riammissione in quel paese di un immigrato che aveva presentato domanda di asilo in Italia dopo esservi transitato.

Negli ultimi anni, di fronte alla difficoltà di applicare il Regolamento Dublino II, in Italia si è verificata anche una pratica molto più approssimativa, quella dei respingimenti collettivi nei porti dell’Adriatico, come quello di Ancona, Bari o Venezia, respingimenti collettivi anche di minori o di soggetti particolarmente vulnerabili, reimbarcati sulle stesse imbarcazioni commerciali sulle quali avevano raggiunto un porto italiano, senza alcuna possibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale.

Le considerazioni che hanno indotto il Tribunale amministrativo della regione Puglia a sospendere gli accompagnamenti in frontiera verso la Grecia in base alla Convenzione di Dublino sono ancora più forti nel caso di respingimenti sommari, come quelli effettuati adesso dal’Italia verso la Grecia, che neppure rispettano le procedure del regolamento Dublino II, e che si sono tradotte in pratiche di “riammissione” che non possono trovare alcun fondamento neppure in accordi bilaterali, se risultano lesivi di diritti fondamentali riconosciuti dalle Convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana.

3. La sentenza del TAR Puglia n. 1870 del 24 giugno 2008  risulta un importante precedente per valutare la gravità degli abusi che le forze di polizia italiane hanno commesso ancora ieri obbligando i migranti afghani ad imbarcarsi su una nave diretta in Grecia, senza avviare nessuna delle procedure che la legge impone in caso di fermo di immigrati irregolari sul territorio nazionale, tra le quali è inclusa la procedura di asilo e di protezione sussidiaria, ed in questo ambito l’eventuale applicazione del Regolamento Dublino n. 343 del 2003, che prevede l’esame dell’istanza di protezione internazionale da parte del primo paese dell’Unione Europea nel quale il richiedente asilo abbia fatto ingresso. Ma lo stesso Regolamento prevede diverse “clausole umanitarie” che consentono anche ad altri paesi di accogliere la richiesta di protezione e di garantire quantomeno l’accesso alla relativa procedura.

Con provvedimento del 15.4.2008, il ministero dell’interno, dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Unità Dublino aveva disposto il trasferimento del sig. J M. in Grecia ai sensi dell’art. 10, c.1, del regolamento CE n. 343/200 (la disposizione prevede che “quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle prove indiziarie di cui ai due elenchi menzionati all’articolo 18, paragrafo 3, inclusi i dati di cui al capo III del regolamento (CE) n. 2725/2000, che il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda d’asilo”).
Il sig. J. M. aveva dedotto l’illegittimità dell’atto per i seguenti motivi: 1. violazione degli art. 7 e 8, l. n. 241/1990 per omessa comunicazione di avvio del procedimento e dell’art. 3, c. 4, del regolamento CE n. 343/2003, per non essere stato il provvedimento tradotto in una lingua da lui conosciuta; 2. violazione dell’art. 6 del regolamento CE 343/2003; 3. violazione di gravi motivi umanitari. Secondo il Tribunale Amministrativo quest’ultimo motivo risultava fondato.

Il Tribunale osserva infatti che “l’amministrazione si è limitata, nel provvedimento impugnato, a rilevare come la Grecia sia un paese terzo sicuro e la non ravvisabilità di particolari motivi che potrebbero indurre l’Italia ad assumere la competenza ai sensi dell’art. 3 c. 2 del regolamento CE 343/2003 (cd. Regolamento Dublino).
L’amministrazione non ha tenuto in alcuna considerazione la posizione espressa dall’UNHCR sul rinvio dei richiedenti asilo verso la Grecia, in attuazione del regolamento di Dublino, contenuta nel documento di raccomandazioni del 15.4.2008, ed, in precedenza, nel documento del 9.7.2007 (Rinvio in Grecia di richiedenti asilo con domande di riconoscimento dello status di rifugiato “interrotte”) ed in quello di novembre 2007 (“Studio UNHCR sulla trasposizione della Direttiva Qualifiche”).
L’UNHCR – nel documento di raccomandazioni del 15.4.2008 - esprime la propria preoccupazione per le difficoltà che i richiedenti asilo incontrano nell’accesso e nel godimento di una protezione effettiva, in linea con gli standards
internazionali ed europei e raccomanda espressamente i Governi di non rinviare in Grecia i richiedenti asilo in applicazione del regolamento Dublino fino ad ulteriore avviso. Raccomanda, invece, ai Governi, “l’applicazione dell’art. 3 (2) del regolamento Dublino, che permette agli Stati di esaminare una richiesta di asilo anche quando questo esame non sarebbe di propria competenza secondo i criteri stabiliti dal regolamento stesso”.
Concludeva il Tribunale Amministrativo della regione Puglia come “le problematiche sul sistema asilo della Grecia, riscontrate dall’UNHCR sin dal novembre 2007, consentono dunque di ritenere non adeguatamente motivata la valutazione effettuata dall’amministrazione in ordine al carattere di “paese terzo sicuro” della Grecia; le raccomandazioni dell’UNHCR avrebbero dovuto, quindi, indurre l’amministrazione ad effettuare una più approfondita valutazione in merito all’applicabilità, nel caso in esame, dell’art. 3, c. 2 del regolamento CE 343/2003. Il trasferimento deciso dall’Unità Dublino del Ministero dell’interno veniva quindi sospeso.

4. Probabilmente a fronte di una giurisprudenza che poteva limitare l’applicazione del Regolamento Dublino II, le autorità italiane hanno preferito inaugurare la pratica della “riammissione”, che non è un respingimento, comunque provvedimento amministrativo impugnabile davanti al TAR, non è una espulsione, altro provvedimento che sarebbe impugnabile davanti al giudice ordinario, e non è neppure un provvedimento di trasferimento in base alla Convenzione di Dublino, misura altrettanto impugnabile, che comunque obbliga ad una fase procedimentale nella quale deve essere chiamata a pronunciarsi l’Unità Dublino, circostanza che in questo caso non si sarebbe verificata.

Quanto avvenuto dopo lo sbarco degli afghani in Calabria, il “reinvio” o la “riammissione” degli Afghani da Brindisi verso un porto greco, significa solo che per la polizia italiana e per il Ministero dell’interno, l’art. 13 della Costituzione e le sentenze della Corte Costituzionale del 2001 e del 2004 che hanno affermato la necessità della convalida giurisdizionale per qualunque tipo di allontanamento forzato,  comunque provvedimento restrittivo della libertà personale, sono carta straccia.  Le garanzie giurisdizionali, i principi basilari dello stato di diritto, e la stessa presenza di avvocati e di operatori umanitari indipendenti, vengono avvertiti come ostacoli all’esecuzione rapida ed “economica” delle procedure di allontanamento forzato. Chi si intromette per richiamare l’applicazione dei diritti costituzionali di asilo e di difesa viene considerato sempre di più come un pericoloso sobillatore, come un agevolatore delle organizzazioni che lucrano sull’immigrazione clandestina, o ancora peggio.

 

5. La vicenda di Bari richiama quanto denunciato dall’ASGI ( Associazione studi giuridici sull’immigrazione) nel novembre del 2007 in un suo documento a commento del Libro verde sul diritto di asilo presentato dalla Commissione dell’Unione Europea.

Osservava l’ASGI come “una riflessione specifica riguarda l'opportunità di un più attento monitoraggio a livello comunitario sull'effettiva applicazione del Regolamento Dublino alle frontiere interne dell'Unione. Il Regolamento è tassativo nel prevedere che lo straniero venga comunque ammesso alla procedura di asilo nel territorio dello Stato membro, e che l'accertamento della competenza ad esaminare la domanda di asilo avvenga nel rispetto dei criteri stabiliti dal Regolamento medesimo. Anche nei casi nei quali l'accertamento della competenza potrebbe apparire immediata in quanto lo straniero che chiede asilo è fermato in provenienza da un altro stato membro, l'immediato rinvio materiale dello straniero verso il presunto paese  di competenza dell'istanza di asilo operato dalla polizia di frontiera si pone in violazione del Regolamento Dublino in quanto lo straniero viene rinviato nel paese membro non già come richiedente asilo, ma come cittadino straniero non comunitario respinto alla frontiera interna. Particolarmente allarmante risulta la situazione dei respingimenti verso la Grecia dai porti italiani del mare Adriatico. L'ASGI ha potuto direttamente verificare, attraverso la conoscenza di alcuni casi, e attraverso incontri effettuati con le autorità di Polizia di frontiera marittima che sono numerosi e costanti i casi di stranieri bisognosi di protezione internazionale rinviati in Grecia senza che sia stata attivata la cosiddetta “procedura Dublino”. [1] Preoccupazione suscita il fatto che tale prassi coinvolge anche minori, sia accompagnati che non accompagnati. Il Governo italiano è stato informato della situazione in più occasioni, attraverso segnalazioni precise giunte da diversi enti.”

 

Malgrado l’adozione del decreto legislativo 25 del 2008, che dovrebbe sottrarre alla polizia di frontiera qualunque potere discrezionale nell’ammissione alle procedure di protezione internazionale, succede ancora che lo straniero che attraversi irregolarmente ad una frontiera marittima entri in contatto esclusivamente con il personale di Polizia e possa essere accompagnato in frontiera senza riuscire a presentare domanda di protezione internazionale. Succede in Puglia, succede in altre regioni italiane. La presenza, nei servizi di frontiera di organismi terzi rispetto alla Polizia quali enti ed associazioni di tutela ( ad esempio il CIR e l’ACNUR) non è sempre garantita e, soprattutto, l'ente incaricato non è posto nelle condizioni di operare con piena indipendenza dal momento che il servizio prestato è presente solo nella misura in cui è “consentito” dalla medesima Autorità di polizia. Ciò vale in particolare per la fase del primo contatto con lo straniero – quali ad esempio l’area di transito aeroportuale, il centro di prima accoglienza, spesso un tendone o un hangar, o la nave all’attracco, luoghi  spesso preclusi all’accesso di enti terzi, con le motivazioni più varie (motivi di sicurezza, natura extraterritoriale dell’area etc.). La mancanza di un soggetto che possa effettuare con tempestività un monitoraggio indipendente rende oltremodo difficile l'emersione di eventuali comportamenti illeciti da parte delle Autorità, come si è verificato in questa occasione nel porto di Brindisi, ed in passato a Bari, ad Ancona e a Venezia, e rende difficile altresì la stessa registrazione documentale delle violazioni del principio di “non refoulement” sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.

 

6. Adesso dunque i respingimenti in frontiera avvengono non solo affidando i migranti ai comandanti delle navi commerciali con le quali hanno raggiunto i porti dell’Adriatico, ma inventando nuove procedure di “riammissione”,  dopo lo sbarco e l’arresto dei “clandestini”, senza documentare alcuna fase della procedura, senza rispettare le procedure del Regolamento Dublino II e soprattutto senza riconoscere la possibilità di fare valere i diritti di difesa e di asilo, un allontanamento forzato vero e proprio che però non è convalidato dall’autorità giurisdizionale, come sarebbe imposto dall’art. 13 della Costituzione ( nella lettura consolidata che ne ha fornito in diverse occasioni, nel 2001 e nel 2004 la Corte Costituzionale).

Questi casi di respingimento differito in frontiera, affidati a “comportamenti materiali” delle forze dell’ordine cancellano i diritti di difesa delle persone che ne sono vittime e, sulla base di valutazioni indiziarie che allo stato della normativa dovrebbero essere limitate all’accertamento dei reati, costituiscono violazione delle disposizioni interne attuative del regolamento Dublino II e del decreto legislativo n. 25 del 2008 che stabilisce le procedure per il riconoscimento dello status di asilo o di protezione sussidiaria.

 

Chi è stato “riammesso” in Grecia ben difficilmente avrà ormai occasione di chiedere protezione internazionale o di fare valere i suoi diritti davanti ad una autorità giurisdizionale. Quanto avvenuto va però denunciato a livello interno ed internazionale, e vanno sollecitate commissioni di inchiesta sulla legittimità delle prassi adottate dalle autorità di frontiera. Perché tutto questo non si continui a ripetere in un regime di totale impunità.

 

7. Occorre anche adottare al più presto un regime omogeneo a livello europeo, tanto per il diritto di asilo che per la protezione umanitaria, con il superamento del Regolamento Dublino n.343 del 2003, perché la concreta esperienza di questo regolamento ha dimostrato come esso venga utilizzato per effettuare respingimenti in acque internazionali da paesi, come la Grecia, dove il diritto di asilo, di fatto, non è riconosciuto, oppure come Malta e Cipro, che non possono darvi piena applicazione anche per ragioni geografiche, con la conseguenza che un vasto numero di migranti che potrebbero godere di una protezione internazionale, non accede ad alcuna protezione (né status di rifugiato, né protezione sussidiaria) ed è costretto a vivere in condizioni di totale irregolarità e di grave marginalità sociale. Una condizione di clandestinità prodotta con totale irresponsabilità dalle scelte delle autorità di polizia che sostengono di garantire la “sicurezza” ( entità astratta ad uso e consumo di pochi), ma di fatto creano risentimento e rancore che, uniti alla condizione sempre più diffusa di clandestinità, potrebbero presto tradursi in veri pericoli, per la sicurezza di tutti, cittadini e migranti, e per la pacifica convivenza.

 

Non è infatti un mistero per nessuno, neppure per le forze di polizia, che gli afghani, che oggi l’Italia ha “riammesso” in Grecia, per cercare di sfuggire alla loro condizione di irregolarità in un paese che li discrimina e li esclude, finiranno per alimentare sempre più i traffici della criminalità organizzata che a Patrasso ed in altri porti greci lucra in maniera crescente sui tentativi di emigrazione verso occidente di questi “rifugiati di fatto”. Molti di loro comunque riproveranno ad entrare in Europa e una buona parte alla fine ci riuscirà, con un guadagno ancora maggiore delle organizzazioni di trafficanti. Un eccellente risultato della cooperazione di polizia tra Italia e Grecia, davvero. Sono almeno dieci anni che le associazione antirazziste, a partire dalle denunce di Dino Frisullo ( con un dossier su Narcomafie) dopo la tragedia della IOHAN nel canale d’Otranto, hanno denunciato con nome e indirizzo le organizzazioni di scafisti con basi a Malta e in Grecia. Quelle organizzazioni sono state lasciate operare, mentre la repressione si è rivolta soltanto contro i migranti che ne erano vittime, in gran parte potenziali richiedenti asilo, e che ne rimangono vittime ancora oggi, come insegna la vicenda degli afghani rispediti da Brindisi in Grecia sulla base di un “accordo di riammissione” fantasma che viola i diritti fondamentali della persona.

 

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo



[1]       Si riporta di seguito uno stralcio del comunicato stampa emesso in data 20 settembre 2007 da CIR (Consiglio Italiano Rifugiati): “ Il fenomeno durante le ultime settimane ha assunto dimensioni allarmanti: nel solo mese di agosto vi sono stati ben 190 respingimenti dal porto di Bari, 153 dal porto di Ancona, 17 dal porto di Brindisi e 2 dal porto di Venezia, per un totale di 362 persone, di cui 200 irakeni e 30 afgani. Solo ieri si sono contati altri 17 respingimenti dal porto di Ancona, tra cui una famiglia irachena con 4 figli e cittadini somali, eritrei, albanesi e cinesi. Lo scenario è sempre lo stesso: durante i controlli nei porti vengono rintracciati i cittadini stranieri nascosti nei tir e vengono immediatamente "affidati" al comandante della stessa imbarcazione che li ha condotti in Italia dalla Grecia”