Newsletter
n. 9 del 1 agosto 2009
SEGNALAZIONI NORMATIVE E
GIURISPRUDENZIALI
NOTIZIE
I deputati
Zaccaria e Villecco Calipari (PD)
presentano un’interrogazione a risposta scritta al Governo in merito
all’intercettazione dei migranti nel canale di Sicilia ed il loro respingimento in Libia.
Nell’interrogazione, i
parlamentari sottolineano che, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati, a
partire dal maggio 2009 e fino alla data del 14 luglio 2009, il numero di
persone respinte dall’Italia verso altri paesi ammonterebbe ad almeno 900. Il 1
luglio scorso la Marina Militare italiana ha intercettato al largo di Lampedusa
e successivamente respinto in Libia 82 persone, imbarcandole su una motovedetta
battente bandiera libica. Secondo le risultanze dell’UNHCR, almeno 76 persone
risultavano essere cittadini eritrei, tra cui 9 donne e 6 bambini, così come
nessuna verifica sarebbe stata compiuta dalle autorità italiane per accertare la loro nazionalità e le
motivazioni che li hanno indotti a lasciare il paese di origine. In base alle
testimonianze, 6 di questi cittadini eritrei sarebbero ricorsi a cure mediche a
seguito di maltrattamenti subiti durante il trasferimento forzato sulla
motovedetta libica. A seguito di tali accertamenti, l’UNHCR ha inviato una
lettera formale al governo italiano con la quale sono stati richiesti chiarimenti sul trattamento
riservato alle persone respinte in Libia, ritenendo il respingimento contrario
alla normative internazionale in materia di richiedenti asilo e rifugiati.
Anche la Commissione
europea in data 15 luglio ha
indirizzato un a lettera al Governo italiano, nella quale ha manifestato dubbi sulla compatibilità
dei respingimenti effettuati dalle autorità italiane in alto mare con il principio
di non- refoulement prescritto dalle norme internazionali e dal diritto
comunitario. I deputati del PD chiedono dunque al Governo quali misure siano state previste dalle
autorità italiane per garantire il rispetto di tale principio -: se i Ministri
interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa; quali siano gli
intendimenti del Governo in relazione all'esigenza di assicurare il rispetto
delle garanzie dovute alle persone richiedenti tutela internazionale; quale
modalità di accertamento ed eventualmente quali iniziative il Ministro della
difesa intenda adottare al fine di stabilire delle responsabilità più precise
tra i militari italiani che non avrebbero fornito adeguata assistenza
umanitaria alle 82 persone intercettate in mare; per quanto riguarda il
sequestro degli oggetti personali, in base a quali presupposti lo stesso sia
stato effettuato se ne sia stato redatto verbale e se, ove previsto, sia
intervenuta relativa convalida giurisdizionale; quali siano state le misure
adottate per mettere le persone respinte in grado di formulare un'eventuale
richiesta di asilo; ed, infine, quale posizione intenda prendere il Governo a
fronte dei rilievi da parte della Commissione europea sugli obblighi
internazionali che vincolano le autorità italiane durante operazioni svolte in
alto mare.
Nella lettera indirizzata
al Governo italiano, la Commissione europea ha infatti richiesto alle autorità italiane di chiarire quali misure siano state eventualmente
adottate per evitare il rischio,
anche indiretto, che i migranti respinti in Libia non siano oggetto di
trattamenti inumani o violazione dei diritti fondamentali in Libia e/o non
siano esposti al rischio di essere a sua volta respinti nei paesi di origine
ove possano essere soggetti a persecuzioni. Ugualmente, la Commissione europea
ha chiesto se il personale italiano impiegato nelle operazioni di sorveglianza
e controllo delle frontiere sia adeguatamente istruito sulla necessità di
rispettare gli obblighi internazionali in materia di non-refoulement e di protezione internazionale. Secondo notizie di stampa,
il governo italiano avrebbe sinora fornito assicurazioni verbali a Bruxelles che l`intercettazione e l`eventuale respingimento delle
imbarcazioni con immigrati illegali sarebbe ora gestita direttamente dalle navi
della marina libica e pertanto diretti interventi italiani non sarebbero
destinati a ripetersi, se non in circostanze eccezionali. Tali dichiarazioni
non sembrano, dunque, fornire alcuna garanzia sull’effettivo rispetto del
diritto d’asilo e della protezione internazionale da parte delle autorità
italiane nel quadro della politica di controllo e di contrasto all’immigrazione
irregolare nel canale di Sicilia.
Il
testo integrale dell’interrogazione presentata dai parlamentari Zaccaria e
Villecco Calipari
NOVITA’ LEGISLATIVE Disposizioni in materia di sicurezza pubblica
Pubblicata la legge contenente le
restrizioni della condizione giuridica degli stranieri. In vigore dall'8
agosto 2009. La legge
15 luglio 2009, n. 94, recante 'Disposizioni in materia
di sicurezza pubblica' è stata pubblicata sul supplemento della Gazzetta
Ufficiale del 24 luglio 2009 . Legge sulla Sicurezza : Tutelare la
registrazione della nascita del minore
Ai fini della dichiarazione di
nascita e del riconoscimento del figlio naturale non può essere richiesta ai
cittadini stranieri l’esibizione del permesso di soggiorno. L'A.S.G.I.
promuove la raccolta firme per un appello al Governo e alle Regioni affinche'
emanino disposizioni chiare. La legge n. 94/2009 (c.d.
"pacchetto sicurezza") prevede una norma che, se interpretata
restrittivamente, potrebbe impedire la registrazione alla nascita dei figli
di cittadini stranieri irregolari. |
RASSEGNA
GIURISPRUDENZIALE
ASILO
1. Sospeso dal TAR Lazio il trasferimento in
Grecia di un richiedente asilo. Le lacune nel sistema d’asilo in Grecia
impongono al Ministero dell’Interno di compiere un’approfondita valutazione
prima di decidere in merito all’eventuale trasferimento in Grecia dei
richiedenti asilo in base alla clausola del primo paese d’asilo ovvero di
applicare il criterio derogatorio di competenza a pronunciarsi sulla domanda di
asilo di cui al “Regolamento Dublino” (n. 343/2003/CE)
TAR
Lazio, sezione II quarter, ordinanza 03428/2009reg.ord.sosp. dd. 15.07.2009
2. Valutando la situazione attuale in Costa
d’Avorio, caratterizzata da
violenza diffusa, gravi violazioni dei diritti umani, instabilità politica
derivante dalla mancata attuazione degli accordi di pace di Ouagadougou, il
richiedente asilo avoriano, pur non possedendo i requisiti per il
riconoscimento dello status di rifugiato,
appare in condizione di ottenere
il riconoscimento alla protezione sussidiaria. Le condizioni del paese
di origine, caratterizzate da violenza indiscriminata e situazioni di
conflitto, infatti, fondano la
sussistenza di una minaccia grave ed individuale alla vita o all’incolumità
personale del richiedente, secondo quanto previsto dall’art. 14 del d.lgs. vo
n. 251/07.
Corte
d’Appello di Catania, sentenza del 22 maggio 2009
(Fonte: www.iussit.eu)
DIRITTI
CIVILI
1. Il Tribunale di
Ancona ordina di concedere la residenza ad un cittadino italiano senzatetto per
garantirgli il diritto al voto.
Significativa pronuncia del
Tribunale di Ancona che, con un provvedimento cautelare emanato il 23
maggio scorso, ha ordinato al comune di Falconara Marittima di iscrivere
un cittadino italiano senza tetto nei registri della popolazione residente di
quel comune, dopo che il Comune aveva reiterato dei dinieghi alle richieste
presentate dall'interessato al fine di partecipare alle elezioni previste nel
corso del mese di giugno. Questo nonostante che la funzione dell'anagrafe
sia essenzialmente quella di rilevare la presenza stabile, comunque situata,
dei soggetti sul territorio comunale, come ribadito dalla circolare del
Ministero dell'Interno del 29 maggio 1995 n. 8.
Il commento a cura dell'Avv. Valter Marchetti, del Foro di
Savona
(dal sito deaweb)
Il provvedimento cautelare del Tribunale di Ancona
2. Il Tribunale di Brescia, a
seguito di un ricorso presentato congiuntamente da un rifugiato politico
liberiano e dall'ASGI, ha ordinato al Comune di Ospitaletto (BS) di rimuovere
le ordinanze del Sindaco datate 11.02.2009 e 8.03.2009, con le quale veniva
subordinata l'iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri nei registri
della popolazione residente in quel Comune al requisito del possesso della
carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e alla
presentazione di certificati relativi alle eventuali pendenze giudiziarie nel
paese di origine.
Il Tribunale civile di Brescia ha
riconosciuto che tali due ordinanze sindacali sono discriminatorie in quanto
prevedono dei requisiti e delle prescrizioni ai fini dell'iscrizione anagrafica
degli stranieri non previsti dalla legislazione anagrafica, così come difformi
e aggiuntivi rispetto a quanto richiesto per i cittadini italiani. Il Tribunale
inoltre ha affermato che il Sindaco non poteva adottare un comportamento
difforme da quanto stabilito dalla legislazione anagrafica sulla base di
presunte giustificazioni e finalità di sicurezza e ordine pubblico. Tali
motivazioni addotte dal Sindaco sono apparse inconsistenti alla Corte,
perché, in ogni caso, alla luce della legislazione, il Sindaco non potrebbe mai
rigettare una richiesta di iscrizione anagrafica da parte di un soggetto, sia
esso italiano o straniero, che avesse precedenti penali, così come appare
palesemente discriminatorio il comportamento del Sindaco che si arroga il
diritto di conoscere gli eventuali carichi penali degli stranieri all'estero,
senza fare altrettanto per i cittadini italiani. L'ordinanza del Tribunale di
Brescia, presentata a seguito di un'azione giudiziaria anti-discriminazione ex
art. 44 del T.U. immigrazione, ha tuttavia respinto l'istanza per il
risarcimento del danno presentata dal ricorrente in quanto non risulta provato
il danno subito, così come è stata respinta la richiesta di pubblicazione del
provvedimento su un quotidiano nazionale, in quanto tale previsione è prevista
dal d.lgs. n. 215/2003 attuativo della direttiva europea n. 2000/43 in
materia di discriminazioni razziali, che il giudice ha ritenuto non applicabile
alla fattispecie trattandosi nel caso in esame di una discriminazione per
ragioni di nazionalità, prevista soltanto dall'art. 43 del T.U. immigrazione,
ma che sarebbe esclusa dalla sfera applicativa del d.lgs. n. 215/2003.
Il testo dell'ordinanza del Tribunale di Brescia dd. 25
luglio 2009 (RG n. 1804/09 VG)
PERMESSO DI SOGGIORNO
1. E’ illegittimo il provvedimento di diniego del rilascio della carta di
soggiorno (permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti) per insufficienza
dei requisiti reddituali qualora
l’Amministrazione non abbia fatto precedere al diniego la comunicazione di
avvio del procedimento di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/90 e
qualora abbia ritenuta quale
elemento ostativo al rilascio la condotta dello straniero risalente al 1995
consistente nel dare false generalità in sede di regolarizzazione. Tale
elemento non ha un rilievo attuale per definire un eventuale profilo di
pericolosità sociale, e comunque su di esso non può fondarsi automaticamente un
diniego senza tenere in adeguata considerazione la durata del soggiorno nel
territorio nazionale e l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello
straniero, come previsto obbligatoriamente dalla normativa di recepimento della
direttiva 2003/109/CE. Sul primo punto, il provvedimento è illegittimo perché
la questura, non acquisendo la partecipazione dell’interessato al procedimento,
non ha potuto appurare che nel periodo intercorrente tra la presentazione
dell’istanza e la sua valutazione, l’interessato è divenuto titolare di
un’impresa individuale e ha prodotto redditi rilevanti ai fini del superamento
dei limiti richiesti ai fini del rilascio della carta di soggiorno. Pertanto,
la questura non ha soddisfatto gli obblighi scaturenti dalla possibilità per lo
straniero di far valere fatti sopravvenuti in sede di valutazione delle istanze
di rilascio e rinnovo dei documenti di soggiorno.
TAR
Veneto, sez. III, sentenza n. 1801 dd. 16 giugno 2009
2. La condanna definitiva per il reato di spaccio
di stupefacenti comporta automaticamente la revoca del permesso di soggiorno.
Un’eventuale istanza per il rilascio del permesso di soggiorno CE per lungo
soggiornanti non può produrre l’obbligo per l’Amministrazione di valutare in
concreto la pericolosità sociale dell’interessato, nonché la durata del suo
soggiorno ed il grado di inserimento socio-lavorativo in Italia, per cui il
diniego del permesso di soggiorno
CE è consequenziale alla revoca del permesso di soggiorno.
TAR
Emilia Romagna, Sez. I, sentenza n. 1030 del 3 luglio 2009
3. Il rilascio di un permesso di soggiorno per
attesa occupazione di cui all’art. 22 comma 11 del T.U. immigrazione non può
essere ottenuto dallo straniero
che, dopo avere fatto ingresso in Italia per lavoro subordinato, abbia cessato
l’attività lavorativa prima di avere ottenuto il rilascio del permesso di
soggiorno e non abbia effettivamente proceduto all’iscrizione alle liste di collocamento.
Consiglio
di Stato, Sez. VI, decisione n. 4064 dd. 19 giugno 2009
4. E’ammesso il ricorso tardivo oltre i termini
di scadenza, per motivi di errore scusabile, quando nel provvedimento di diniego al rinnovo del permesso di
soggiorno non venga indicato con precisione il termine per la proposizione del
ricorso, ma si richiami soltanto genericamente la legge n. 1034/71. La revoca del permesso di soggiorno per
motivi di lavoro autonomo e la conseguente espulsione in conseguenza della
condanna per reati collegati alla protezione del diritto d’autore, come ad es.
quello di contraffazione e commercio di prodotti con marchi falsi, può avere
luogo solo in relazione a condanne intervenute dopo l’entrata in vigore delle
modifiche introdotte dalla legge n. 189/2002 all’art. 26 comma 7 bis del d.lgs.
n. 286/98, pena la violazione del principio di irretroattività delle leggi.
Consiglio
di Stato, Sez. VI, decisione n.
4075 dd. 19 giugno 2009.
NOTA: REVOCA E
DINIEGHI AI RINNOVI DEI PERMESSI DI SOGGIORNO IN RELAZIONE A CONDANNE PENALI
E PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ DELLA LEGGE. IL PUNTO DELLA SITUAZIONE A
SEGUITO DELL’ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE N. 94/2009 Con l’entrata in vigore dell’art. 1 c.
22 lett. a) par. 1 della legge
15 luglio 2009, n. 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica), è
introdotto il divieto di ingresso, (e conseguentemente di soggiorno per il
combinato disposto dell’art. 5 c. 5 del d.lgs. n. 286/98), dello
straniero che abbia subito una
condanna anche con sentenza non definitiva, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi
dell’art. 444 cpp per i reati previsti dall’art. 380 commi 1 e 2 del cpp,
ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, o per reati diretti al
reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento
della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.
Precedentemente, tale divieto di ingresso e soggiorno vigeva soltanto per gli
stranieri che avessero subito una condanna definitiva. In virtù del principio
di irretroattività delle leggi, il divieto di ingresso e soggiorno dello
straniero condannato con sentenza non ancora definitiva deve intendersi
dunque applicabile solo nei casi di condanne intervenute dopo l’8 agosto
2009, data di entrata in vigore della legge n. 94/2009. Ugualmente il
paragrafo 2) dell’art. 1 c. 22 lett. a della legge n. 94/2009 stabilisce il
divieto di ingresso (e conseguentemente di soggiorno) dello straniero che
abbia subito una condanna, con
sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti a tutela del diritto di
autore ( l. 633/1941 e artt. 473 e 474 c.p.). Precedentemente, tale diniego
di ingresso e soggiorno era valido solo in relazione a stranieri in possesso
del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, come chiarito da una
consolidata giurisprudenza amministrativa (in proposito: Consiglio
di Stato, sezione VI, decisione n. 2342 dd. 17 aprile 2009; Consiglio
di Stato, sezione VI, decisione n. 2711 dd. 29 aprile 2009). Di conseguenza, in virtù del
principio di irretroattività delle leggi, il rifiuto o la revoca del permesso
di soggiorno per motivi di lavoro subordinato in relazione ad una condanna irrevocabile per reati
collegati alla tutela del diritto d’autore potrà avere luogo solo in relazione a condanne intervenute
dopo l’8 agosto 2009, data di entrata in vigore della legge n. 94/2009. |
5. E’ legittimo il diniego al rinnovo del
permesso di soggiorno dello straniero che
non possa dimostrare lo svolgimento di attività lavorativa alla scadenza
del periodo di tolleranza di sei mesi di iscrizione nelle liste di collocamento
di cui all’art. 22 c. 11 del T.U. o comunque prima della scadenza del permesso
di soggiorno. Una mera promessa di assunzione, successiva alla scadenza del
permesso di soggiorno, non è sufficiente per ottenere il rinnovo del medesimo,
ma potrebbe giustificare, unitamente ad altre circostanze, la presentazione di un’istanza di
riesame che l’Amministrazione può
valutare ai sensi dell’art. 5 c. 5 del T.U.
Consiglio
di Stato, sez. VI, decisione n. 4084 dd. 19 giugno 2009
6. E’ illegittimo il diniego al rilascio o al
rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di cure mediche nei confronti
dello straniero in espellibile in ragione di una grave patologia insorta durante
il suo soggiorno in Italia. Il rilascio del permesso di soggiorno può essere
precluso solo in presenza di
presupposti impeditivi come ad esempio l’esistenza di precedenti penali. Resta salva la possibilità di non
concedere il rilascio qualora sia messa in discussione la natura urgente ed
essenziale delle cure mediche che lo straniero deve sostenere, così come
l’impossibilità di fruirne nel luogo di origine (TAR Umbria, sentenza
08.02.2008, n. 55), ma nel caso in questione la questura non aveva prodotto
alcuna valutazione specifica al riguardo.
TAR
Umbria, sentenza dd. 23 luglio
2009, n. 443/2009
Si ringrazia per la segnalazione l’avv. Francesco
di Pietro di Perugia
7. Qualora il ritardo nella formalizzazione del
rapporto di lavoro con il lavoratore straniero entrato ai sensi del Decreto
flussi non dipenda dal lavoratore medesimo, ma dal datore di lavoro, prima di
negare il rilascio del permesso di soggiorno al lavoratore straniero,
l’Amministrazione è tenuta a verificare se la disponibilità del datore di
lavoro a formalizzare il rapporto
di lavoro non sia venuta meno e conseguentemente la Questura è tenuta a
riesaminare entro 30 giorni l’ istanza di rilascio.
TAR
Veneto, ordinanza n. 635 dd. 18 giugno 2009
Si ringrazia per la segnalazione l’avv. Savini di
Venezia
LAVORO
Il Tribunale di
Milano, sez. lavoro, in composizione collegiale, ha accolto il reclamo proposto
da un cittadino marocchino, sostenuto dall'ASGI e dall'Associazione Avvocati
per Niente ONLUS, affinchè venisse dichiarato discriminatorio il comportamento
dell'impresa del trasporto pubblico urbano di Milano (ATM spa), la quale aveva
disposto una selezione di candidati a diverse posizioni di lavoro
(elettricisti, autisti, meccanici,...) prevedendo il requisito della cittadinanza
italiana o comunitaria in ossequio alle norme risalenti al R. D. n. 148
del 1931 (norme sulle corporazioni).
Il ricorso del
cittadino marocchino era stato respinto in primo grado dal giudice del lavoro,
che aveva eccepito la mancanza dell'interesse ad agire del ricorrente, in
quanto questi non aveva presentato una formale istanza per partecipare
alla selezione dei candidati alle posizioni lavorative.
Secondo il collegio
del Tribunale di Milano, tale motivazione è infondata in quanto il fatto in sè
che l'azienda dei trasporti milanese abbia indetto una pubblica offerta di
lavoro vincolandosi a selezionare soggetti in possesso tra l'altro del
requisito della cittadinanza italiana o comunitaria, ha fatto sì che la
possibilità del ricorrente di accedere a tale selezione non solo è stata
scoraggiata, ma anche effettivamente preclusa, con ciò determinando il
realizzarsi del comportamento discriminatorio. Il collegio giudicante si è
richiamato tra l'altro alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea,
che nel noto caso Feryn (sentenza
dd. 10 luglio 2008 , causa C-54/07) ha sostenuto che una
discriminazione vietata dalla direttiva europea n. 2000/43 (direttiva
"Razza") si realizza anche laddove un datore di lavoro dichiari
pubblicamente la sua "intenzione" di assumere solo lavoratori di una
certa nazionalità. Nel merito della controversia, il collegio giudicante del
Tribunale di Milano ha ritenuto che le norme contenenti la clausola di
cittadinanza di cui al R.D. n. 148/31 devono ritenersi implicitamente abrogate
per effetto dell'art. 2 comma 3 del D.L.vo n. 286/98, che afferma il principio
di parità di trattamento tra lavoratori migranti regolarmente soggiornanti e
lavoratori nazionali, in ossequio alle norme di cui alla Convenzione OIL
(Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143/1975, ratificata in Italia
con legge n. 158/1981. Richiamandosi al precedente della giurisprudenza
costituzionale (sentenza
n. 454/1998), il collegio giudicante di Milano ha affermato che il
principio della parità di trattamento deve essere inteso come applicabile non
solo con riferimento ai rapporti di lavoro già in essere, ma anche nella fase
di accesso al lavoro e dunque, nelle procedure di offerta di lavoro e selezione
dei candidati. Secondo il Tribunale di Milano, dunque, le norme di cui alla
Convenzione OIL prevedono quale unica deroga al principio di parità di
trattamento, quella relativa all'accesso alle posizioni lavorative ove ricorra
un "interesse dello Stato" a precludere l'accesso ai lavoratori di
paesi terzi in relazione all'esercizio di pubblici poteri inerente alle
posizioni lavorative medesime.
A tale riguardo, il
collegio giudicante del Tribunale di Milano afferma che le imprese del
trasporto pubblico urbano ed interurbano sono a tutti gli effetti società per
azioni e dunque non sono datori di lavoro pubblici, nella definizione di cui
alla legge n. 165/2001 e, pertanto, i rapporti di lavoro in seno ad
esse hanno natura privatistica. Per tale ragione e tenuto conto anche
di un criterio di ragionevolezza in relazione alla natura delle mansioni
relative alle posizioni di lavoro selezionate, tra cui quella di interesse del
ricorrente di operaio elettricista, si deve certamente escludere che vi sia una
qualunque esigenza pubblicistica a limitare l'accesso al lavoro in tali imprese
ai soli lavoratori di nazionalità italiana o comunitaria.
Il Tribunale di Milano
ha dunque ordinato all'ATM spa di Milano di cessare il comportamento discriminatorio
e di rimuovere il requisito di cittadinanza nelle procedure di offerta di
lavoro e di selezione del proprio personale.
L'ordinanza del
Tribunale di Milano pone sperabilmente fine ad un'annosa questione
che l'ASGI aveva posto già nel corso del 2007 con un proprio appello alle
organizzazioni sindacali e di categoria. Tale appello era stato
raccolto anche dall'UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali), che
aveva diffuso un proprio autorevole parere nella direzione ora raccolta dai giudici
milanesi.
Il
testo dell'ordinanza del Tribunale di Milano, sezione lavoro dd. 20 luglio 2009
Il
testo dell'appello promosso dall'ASGI (newsletter progetto Leader No
Discriminazione n. 7/2007)
Il
testo del parere redatto dall'UNAR (newsletter progetto Leader No
Discriminazione n. 11/2007)
Il
testo del ricorso inoltrato al giudice del lavoro di Milano
CITTADINANZA
E’ illegittimo il provvedimento di diniego della
concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione al cittadino
iraniano, se fondato soltanto sull’esistenza di rapporti con una persona sospettata di attività spionistiche
e dai frequenti viaggi del ricorrente nel suo paese di origine per ragioni non
accertate. Sebbene sia assegnato all’Amministrazione un ampio potere
discrezionale nella valutazione delle istanze di naturalizzazione, le motivazioni legittimanti un diniego
debbono essere ragionevolmente sufficienti e giustificate, pena l’illegittimità
dell’atto per eccesso di potere.
Nel caso in specie , l’Amministrazione fa riferimento ad un documento della
P.S. che farebbe presente un mero sospetto nei confronti del
ricorrente non supportato da elementi di riscontro, mentre d’altro canto
emergerebbero un insieme di elementi favorevoli relativi alla personalità del
ricorrente, dalla sua lunga permanenza in Italia alla stabilizzazione familiare e lavorativa, all’assenza di
precedenti penali che contrastano dunque con il riferito sospetto. Il
provvedimento, pertanto, appare illegittimo per carenza di motivazione.
Consiglio
di Stato, sez. VI, Decisione n. 4080 dd. 19 giugno 2009
DIRITTI SOCIALI
La Giunta della
Regione Lombardia aveva previsto degli interventi economici a favore delle
famiglie numerose prevedendo il requisito della cittadinanza italiana o
comunitaria, ovvero, per gli extracomunitari, il possesso della carta di
soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti.
Per il giudice
amministrativo lombardo, tale requisito è illegittimo e dunque la delibera
della giunta regionale della Lombardia del 20 gennaio scorso va annullata e
rivista includendo nel beneficio anche gli stranieri in possesso del solo
permesso di soggiorno della durata di almeno un anno.
Secondo il giudice
amministrativo, infatti, la delibera del governo regionale
lombardo si pone in contrasto con il dettato dell'art. 41 del T.U.
immigrazione che prevede, in materia di fruizione delle prestazioni di
assistenza sociale, l'equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri
titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno della durata di
almeno un anno. Secondo il principio generale di gerarchia delle fonti
giuridiche, l'atto amministrativo emanato dalla giunta lombarda non poteva dunque
derogare la norma generale a carattere precettivo di cui all'art. 41 del T.U.
immigrazione avente rango di fonte primaria. Ugualmente, nella sentenza
depositata il 16 luglio scorso (n. 4392) il giudice amministrativo rileva
che la deliberazione della giunta regionale lombarda si pone in contrasto
con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte
Costituzionale (sentenze n. 306/2008 e n. 11/2009), secondo
cui è irragionevole e in contrasto con il principio di eguaglianza, subordinare
una prestazione di carattere economico assistenziale al possesso da parte dello
straniero di un titolo di soggiorno il cui rilascio presuppone il godimento di
un livello di reddito minimo, così determinando un corto circuito che rende del
tutto inutile la misura di sostegno prevista.
Per tali ragioni, il giudice amministrativo ha annullato la delibera
della giunta regionale lombarda, ordinando a quest'ultima di modificarla nel
senso indicato dalla sentenza, estendendo i benefici previsti dal c.d. Bonus
famiglia anche agli stranieri titolari di mero permesso di soggiorno della
durata di almeno un anno e riaprendo i termini per la presentazione delle
istanze.
Il ricorso al TAR era
stato proposto da alcuni cittadini stranieri, assieme a CESIL, ANOLF, ASGI e
CGIL Milano e Brescia.
Il
testo integrale della sentenza TAR Lombardia, sezione IV, n. 4392/2009 dd. 16
luglio 2009
CIRCOLARI AMMINISTRATIVE
1. LIBERA CIRCOLAZIONE DEI
CITTADINI COMUNITARI E LORO FAMIGLIARI - Ministero dell'Interno: chiarimenti in
materia di iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari e loro famigliari
A seguito delle
informazioni della Commissione Europea sull'interpretazione della direttiva n.
2004/38, il Ministero dell’Interno dirama una circolare rivedendo le
indicazioni in materia di risorse economiche sufficienti al soggiorno e di
copertura sanitaria.
Un Commento a cura di Walter Citti, segreteria
organizzativa ASGI A seguito dell'adozione da parte della Commissione
Europea, in data 2 luglio scorso, di un documento esplicativo dei propri
orientamenti interpretativi della direttiva n. 2004/38 ("Guida
ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE
relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di
circolare e soggiornante liberamente all'interno del territorio degli Stati
membri"), il Ministero dell'Interno ha diramato una circolare
(n. 18 dd. 21.07.2009) che rivede alcune indicazioni sull'applicazione
del decreto legislativo n. 30/2007, con riferimento al possesso delle risorse
economiche sufficienti al soggiorno dei cittadini comunitari e loro
famigliari e alla copertura sanitaria. Il documento adottato dalla Commissione europea
costituisce una sorta di interpretazione autentica della direttiva in materia
di libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari in
quanto rende nota la posizione che la Commissione assumerà nel controllo
sull'applicazione della medesima, anche al fine dell'eventuale avvio di
procedure di infrazione. La circolare del Ministero dell'Interno accoglie
alcune indicazioni contenute nel documento della Commissione europea, su
alcuni punti che apparivano problematici e controversi dopo l'adozione del
d.lgs. n. 30/2007 e delle successive circolari applicative. In materia
di interpretazione della nozione di "risorse sufficienti", la
circolare ministeriale dà indicazione agli uffici anagrafe di accogliere la
possibilità che esse si riferiscano tanto a risorse periodiche quanto a
capitale accumulato, così come che tali risorse possano essere
elargite o messe a disposizione anche da terzi, anche quando questi non siano
vincolati all'interessato da obblighi alimentari. In tale modo viene dunque
espressamente accolta nel nostro paese l'interpretazione adottata dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia comunitaria. Con la sentenza
23 marzo 2006 (Causa C- 408/03), la Corte di Giustizia europea ha
ritenuto non conforme al diritto comunitario la prassi belga di richiedere
che il cittadino dell'UE disponga di risorse personali per il proprio
sostentamento ovvero, di risorse provenienti da altri soggetti legati ad esso
da vincolo giuridico (ad es. coniuge o figli), escludendosi
invece le risorse di soggetti terzi, quali il partner, in mancanza di un atto
negoziale stipulato dinanzi ad un notaio contenente una clausola di
assistenza. La ratio invocata
dal governo belga a sostegno della propria prassi era quella di
assicurare allo Stato membro la certezza che la persona che si impegnava a
sostenere economicamente il cittadino dell'Unione fosse vincolata da un
obbligo avente valore giuridico. La Corte di Giustizia ha ritenuto che tale
condizione costituisca un'ingerenza sproporzionata nell'esercizio del diritto
fondamentale alla libertà di circolazione e di soggiorno rispetto al
legittimo interesse degli Stati alla protezione delle finanze pubbliche. Nella circolare ministeriale n. 18/2009, inoltre,
viene escluso ogni rigido automatismo tra il possesso di un ammontare di
risorse economiche inferiore all'importo minimo previsto dall'art. 9 c.
3 lett. b) e c) del d.lgs. vo n. 30/2007 ed il diniego all'esercizio del
diritto alla libera circolazione mediante il rifiuto dell'iscrizione
anagrafica. Si precisa, invece, la necessità in tali casi di procedere ad una
valutazione complessiva della situazione del cittadino comunitario, in
quanto l'eventuale rifiuto deve rispondere ad un criterio di proporzionalità
rispetto all'obiettivo della direttiva, che è quello di agevolare la libera
circolazione dei cittadini comunitari e dei loro famigliari. Viene dunque
respinto quale infondato e contrario al diritto comunitario l'approccio
seguito da alcune municipalità del nord-est, che avevano nel frattempo
emanato ordinanze e provvedimenti volti ad interpretare rigidamente il
criterio delle risorse sufficienti, nella direzione di un automatico diniego
in assenza della disponibilità di risorse pari all' importo minimo
fissato secondo i parametri previsti per il ricongiungimento familiare dei
cittadini extracomunitari. Tali ordinanze e provvedimenti di taluni enti
locali erano stati già oggetto di un richiamo da parte della Commissione
europea, attraverso l'intervento
del Commissario europeo Barrot in risposta ad interrogazioni presentate al Parlamento
europeo. Si rammenta, inoltre, l'infondatezza e la contrarietà
rispetto al diritto comunitario, di un eventuale richiesta da parte di un
ufficio anagrafico comunale volta a subordinare l'iscrizione anagrafica del
cittadino comunitario che non eserciti attività lavorativa
all'autocertificazione della disponibilità di risorse economiche di natura
durevole, che facciano cioè riferimento all'importo dell'assegno sociale
calcolato su base annua, così come sembra per alcuni aspetti suggerire il
decreto legislativo n. 30/2007 (art. 9 c. 3 lett. b)). Facendo riferimento ad
una normativa dei Paesi Bassi che subordinava il diritto al soggiorno dei
cittadini dell'Unione economicamente non attivi al possesso di risorse
autonome e durevoli per un periodo minimo di un anno, la Corte europea di
Giustizia ha chiaramente statuito che la disposizione fissava una condizione
manifestamente sproporzionata rispetto all'interesse degli Stati membri a non
riconoscere il diritto al soggiorno a persone che possano divenire un onere
per le finanze pubbliche. Di conseguenza, la normativa dei Paesi Bassi
violava le norme comunitarie in materia di libera circolazione (sentenza
10 aprile 2008, causa C-398/06). In materia di copertura sanitaria, la circolare
ministeriale prende atto che non sempre il cittadino comunitario
esercitante il diritto alla libera circolazione intende trasferire la
propria dimora abituale nel paese ospitante, in quanto mantiene il centro
d'interessi presso lo Stato di provenienza. In tali situazioni, che possono
riguardare ad esempio lo studente o il lavoratore distaccato, la carta di
assistenza in possesso del cittadino comunitario (TEAM) e rilasciatagli dal
suo Paese, potrà garantirgli la copertura sanitaria totale anche per i
periodi di tempo superiori ai tre mesi, senza che sia per lui necessario
spostare la propria residenza per continuare ad avvalersi del diritto alla libera
circolazione. In tali situazioni, dunque, gli operatori anagrafici potranno
iscrivere gli interessati nello schedario della popolazione temporanea di cui
all'art. 8 della legge n. 1228/1954 (legge anagrafica) e all'art. 32 c. 1 del
d.P.R. n. 223/1989 (regolamento anagrafico). La circolare ministeriale non contiene, invece,
indicazioni che recepiscano a livello di prassi amministrative gli obblighi
derivanti dal rispetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea
che ha sancito l'incompatibilità con il diritto europeo di ogni normativa
nazionale che subordini l'accesso alla carta di soggiorno per il famigliare
di un cittadino comunitario alla regolarità del suo ingresso e del suo
soggiorno al momento della celebrazione del matrimonio nello Stato membro
ospitante (Sentenza
Metock, dd. 25 luglio 2008, C- 127-08). Sul punto, la normativa italiana
di recepimento della direttiva n. 2004/38 ha inteso applicare in senso
restrittivo il principio della libera circolazione e soggiorno dei cittadini
di paesi terzi famigliari di cittadini comunitari. La normativa italiana,
infatti, subordina, il rilascio della carta di soggiorno alla presenza del
"visto di ingresso, quando richiesto" (art. 10 c. 3 lett. a) d.lgs.
n. 30/2007, come ribadito dalla circolare M.I. n. 19 dd. 6 aprile 2007, pag.
8). In tal modo si è affermata una prassi diffusa delle questure di non
accordare il rilascio della carta di soggiorno al cittadino di un paese terzo
che abbia contratto matrimonio in Italia con un cittadino comunitario o
italiano dopo avere fatto ingresso illegale in Italia o quando, al momento di
contrarre matrimonio, si trovava in condizione di irregolarità. Contro tale
prassi sono stati avviati alcuni ricorsi, che hanno prodotto delle
applicazioni giurisprudenziali aderenti a quanto sancito dalla Corte di
Giustizia europea. Si richiama in proposito il decreto della Corte di Appello
di Venezia dd. 22 aprile 2009 (n. 112/2009) che ha riconosciuto ad un
cittadino albanese coniuge di una cittadina rumena residente in Italia il
diritto al rilascio della carta di soggiorno per famigliari di cittadini
comunitari, sebbene l'interessato avesse fatto ingresso in Italia privo del
visto e non fosse legalmente soggiornante in Italia al momento della
celebrazione del matrimonio. La questione si è resa ancora più complessa dopo
l'approvazione del ddl sicurezza che ha modificato gli articoli 116 del
codice civile e l'art. 6 comma 2 del d.lgs. vo n. 286/98, nel senso rispettivamente
di richiedere l'esibizione dei documenti inerenti
alla regolarità del soggiorno al fine di celebrare il matrimonio e di
cancellare l'esenzione per gli atti di stato civile fra quelli in cui
non vi è l'obbligo di presentare il permesso di soggiorno, con la
conseguenza di attribuire agli ufficiali di stato civile l'obbligo di
conoscere la posizione circa la regolarità del soggiorno degli stranieri che
chiedano la celebrazione del matrimonio. La legittimità di tali norme appare
dubbia proprio con riferimento alla richiamata giurisprudenza della Corte di
Giustizia europea. Se non è conforme al diritto comunitario una legislazione
nazionale che impedisce l'accesso alla libera circolazione del famigliare del
cittadino comunitario che abbia acquisito tale status personale nel
territorio dello Stato membro mentre si trovava in condizioni di
irregolarità, tanto più sembrerebbe difforme dal diritto europeo la nuova normativa
italiana che priva tout court l'intera categoria degli stranieri
irregolarmente presenti dalla possibilità stessa di acquisire lo status di
famigliare nel territorio dello Stato membro che è il presupposto
dell'esercizio del diritto alla libera circolazione. Ugualmente la
legittimità costituzionale di tali norme appare dubbia in quanto appaiono
suscettibili di determinare un ingerenza sul diritto a formare una famiglia,
annoverato tra i diritti fondamentali della persona umana previsti
anche dalle convenzioni internazionali (ad es. gli artt. 8 e 12
della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo) e come tale spettante a
tutte le persone presenti nel territorio italiano, indipendentemente dalla
nazionalità. A tale riguardo, si sottolinea che già il Tribunale
costituzionale francese con il parere dd. 26.11.2003 (paragrafi 95 - 96),
emanato in relazione ad un disegno di legge presentato dal governo francese e
poi ritirato, che prevedeva l'obbligo dell'ufficiale di stato civile di
segnalare all'autorità prefettizia la condizione irregolare dello straniero
che chiedeva le pubblicazioni di matrimonio, ha concluso che "tali
disposizioni sono di natura tale da dissuadere gli interessati dal contrarre
matrimonio; di conseguenza, esse portano offesa al principio costituzionale
della libertà di matrimonio". Tutto questo, muovendo dalla
considerazione generale che "se il carattere irregolare del soggiorno di
uno straniero può costituire in certe circostanze, se accompagnato da altri
elementi, un indice serio che lasci presumere che il matrimonio sia
prospettato con un altro scopo diverso dall'unione matrimoniale, il
legislatore - ritenendo che il fatto che uno straniero non possa giustificare
la regolarità del suo soggiorno costituisca in tutti i casi un indice grave dell'assenza
di consenso- ha portato offesa al principio costituzionale della libertà di
matrimonio" (cfr. http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/francais/les-decisions/depuis-1958/decisions-par-date/2003/2003-484-dc/decision-n-2003-484-dc-du-20-novembre-2003.871.html
) L' ingerenza rispetto al diritto alla libertà
matrimoniale non appare proporzionata agli obiettivi di ordine pubblico
e di controllo dei processi migratori che la norma si propone con riferimento
alle finalità di contrasto dei matrimonio di convenienza. In proposito, vale
la pena sottolineare che il documento adottato dalla Commissione europea
espressamente sottolinea che "le misure adottate dagli Stati membri per
contrastare i matrimoni di convenienza non possono essere tali da dissuadere
i cittadini dell'Unione e i loro familiari dell'avvalersi del diritto alla
libera circolazione o da usurpare indebitamente i loro diritti legittimi
[così come] non devono minare l'efficacia del diritto comunitario né
costituire una discriminazione fondata sulla nazionalità". Ogni
azione e misura volta a contrastare i matrimoni di convenienza non può
dunque avere carattere collettivo o sistematico, bensì deve fondarsi -
precisa ancora la Commissione europea - su criteri ed indagini
individuali che debbono essere svolte in conformità dei diritti fondamentali,
in particolare il diritto al rispetto delle vita privata e familiare (art. 8
CEDU)e il diritto al matrimonio (art. 12 CEDU). Alla luce di questo complesso di considerazioni, la
nuova normativa introdotta dal legislatore italiano suscita serie perplessità
di ordine costituzionale e di conformità al diritto comunitario. |
2.
L’immatricolazione universitaria può avvenire anche nelle more del rinnovo del
permesso di soggiorno. Circolare del Ministero dell’Interno del 16 luglio 2009
Con la circolare del 16 luglio il Ministero dell’Interno
chiarisce la possibilità di immatricolarsi all’università per chi è in possesso
di un permesso di soggiorno per motivi diversi dallo studio e si trova in fase
di rinnovo del permesso stesso.
Nel chiarire la questione il Viminale fa riferimento alla
direttiva dello stesso del 5 agosto 2006 con la quale appunto si disponeva che
gli immigrati in fase di rinnovo, e quindi in possesso della sola ricevuta,
godono dei diritti attribuibili al permesso di soggiorno in questione.
SEGNALAZIONI E DOCUMENTI
Police officers in Paris consistently stop
people on the basis of ethnicity and dress rather than on the basis of
suspicious individual behavior, according to a new report by the Open Society
Justice Initiative.
The report documents over 500 police stops
during a one-year period and across five locations in and around the Gare du
Nord train station and Châtelet-Les Halles commuter rail station.
The data show that blacks were between 3.3
and 11.5 times more likely than whites to be stopped, while Arabs were between
1.8 and 14.8 times more likely to be stopped than whites. The study also found
a strong relationship between people’s ethnicity, particular styles of clothing
worn by young people, and the likelihood that they would be stopped.
Click here to download or order the 84-page book.
Pervasive use of ethnic and religious stereotypes by law enforcement across
Europe is harming efforts to combat crime and terrorism, according to a new
report by the Open Society Justice Initiative.
Ethnic Profiling in the European Union examines the scope of ethnic profiling, showing how police officers in the
U.K., France, Italy, Germany, and the Netherlands routinely use generalizations
about race, ethnicity, religion, or national origin when deciding whom to
target for stops, searches, raids, and surveillance.
The report analyzes ethnic profiling both in ordinary policing and in
counterterrorism, and finds that it is not just a violation of European laws
and international human rights norms—it is also an ineffective use of
police resources that leaves the public less safe.
Click here to download or order the 200 page book.
Newsletter a cura di Walter Citti e Silvia
Canciani – Segreteria ASGI
Per contatti : Sedi organizzative :Udine, via S. Francesco, 39 33100 - Tel. Fax:
0432 /50715 info@asgi.it
Trieste, via
Fabio Severo, 31 34100 - Tel/Fax: 040/368463 walter.citti@asgi.it
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