ASGI


Newsletter n. 9 del  1 agosto  2009

 

 

 

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

 

NOTIZIE

I deputati Zaccaria  e Villecco Calipari (PD) presentano un’interrogazione a risposta scritta al Governo in merito all’intercettazione dei migranti nel canale di Sicilia ed il loro   respingimento  in Libia.

Nell’interrogazione, i parlamentari sottolineano che, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati,  a partire dal maggio 2009 e fino alla data del 14 luglio 2009, il numero di persone respinte dall’Italia verso altri paesi ammonterebbe ad almeno 900. Il 1 luglio scorso la Marina Militare italiana ha intercettato al largo di Lampedusa e successivamente respinto in Libia 82 persone, imbarcandole su una motovedetta battente bandiera libica. Secondo le risultanze dell’UNHCR, almeno 76 persone risultavano essere cittadini eritrei, tra cui 9 donne e 6 bambini, così come nessuna verifica sarebbe stata compiuta dalle autorità italiane per  accertare la loro nazionalità e le motivazioni che li hanno indotti a lasciare il paese di origine. In base alle testimonianze, 6 di questi cittadini eritrei sarebbero ricorsi a cure mediche a seguito di maltrattamenti subiti durante il trasferimento forzato sulla motovedetta libica. A seguito di tali accertamenti, l’UNHCR ha inviato una lettera formale al governo italiano con la  quale sono stati richiesti chiarimenti sul trattamento riservato alle persone respinte in Libia, ritenendo il respingimento contrario alla normative internazionale in materia di richiedenti asilo e rifugiati.

Anche la Commissione europea in data 15 luglio  ha indirizzato un a lettera al Governo italiano, nella quale ha  manifestato dubbi sulla compatibilità dei respingimenti effettuati dalle autorità italiane in alto mare con il principio di non- refoulement prescritto dalle norme internazionali e dal diritto comunitario. I deputati del PD chiedono dunque al Governo  quali misure siano state previste dalle autorità italiane per garantire il rispetto di tale principio -: se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa; quali siano gli intendimenti del Governo in relazione all'esigenza di assicurare il rispetto delle garanzie dovute alle persone richiedenti tutela internazionale; quale modalità di accertamento ed eventualmente quali iniziative il Ministro della difesa intenda adottare al fine di stabilire delle responsabilità più precise tra i militari italiani che non avrebbero fornito adeguata assistenza umanitaria alle 82 persone intercettate in mare; per quanto riguarda il sequestro degli oggetti personali, in base a quali presupposti lo stesso sia stato effettuato se ne sia stato redatto verbale e se, ove previsto, sia intervenuta relativa convalida giurisdizionale; quali siano state le misure adottate per mettere le persone respinte in grado di formulare un'eventuale richiesta di asilo; ed, infine, quale posizione intenda prendere il Governo a fronte dei rilievi da parte della Commissione europea sugli obblighi internazionali che vincolano le autorità italiane durante operazioni svolte in alto mare.

Nella lettera indirizzata al Governo italiano, la Commissione europea ha infatti richiesto  alle autorità italiane di chiarire  quali misure siano state eventualmente adottate  per evitare il rischio, anche indiretto, che i migranti respinti in Libia non siano oggetto di trattamenti inumani o violazione dei diritti fondamentali in Libia e/o non siano esposti al rischio di essere a sua volta respinti nei paesi di origine ove possano essere soggetti a persecuzioni. Ugualmente, la Commissione europea ha chiesto se il personale italiano impiegato nelle operazioni di sorveglianza e controllo delle frontiere sia adeguatamente istruito sulla necessità di rispettare gli obblighi internazionali in materia di non-refoulement e di  protezione internazionale. Secondo notizie di stampa, il governo italiano avrebbe sinora fornito  assicurazioni verbali a Bruxelles  che l`intercettazione e l`eventuale respingimento delle imbarcazioni con immigrati illegali sarebbe ora gestita direttamente dalle navi della marina libica e pertanto diretti interventi italiani non sarebbero destinati a ripetersi, se non in circostanze eccezionali. Tali dichiarazioni non sembrano, dunque, fornire alcuna garanzia sull’effettivo rispetto del diritto d’asilo e della protezione internazionale da parte delle autorità italiane nel quadro della politica di controllo e di contrasto all’immigrazione irregolare nel canale di Sicilia.

Il testo integrale dell’interrogazione presentata dai parlamentari Zaccaria e Villecco Calipari

 

 

 

NOVITA’ LEGISLATIVE

Disposizioni in materia di sicurezza pubblica

 

Pubblicata la legge contenente le restrizioni della condizione giuridica degli stranieri. In vigore dall'8 agosto 2009.

 

La legge 15 luglio 2009, n. 94, recante 'Disposizioni in materia di sicurezza pubblica' è stata pubblicata sul supplemento della Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2009 .

Vedere anche :

La nota giuridica sul Disposizioni sulla sicurezza pubblica : divieto di segnalazione  a cura di ASGI, MSF, OISG e SIMM (Campagna contro la segnalazione).

 

 

Legge sulla Sicurezza : Tutelare la registrazione della nascita del minore

 

Ai fini della dichiarazione di nascita e del riconoscimento del figlio naturale non può essere richiesta ai cittadini stranieri l’esibizione del permesso di soggiorno. L'A.S.G.I. promuove la raccolta firme per un appello al Governo e alle Regioni affinche' emanino disposizioni chiare.

 

La legge n. 94/2009 (c.d. "pacchetto sicurezza") prevede una norma che, se interpretata restrittivamente, potrebbe impedire la registrazione alla nascita dei figli di cittadini stranieri irregolari.
L'A.S.G.I. intende dunque chiedere al Governo e alle Regioni di emanare disposizioni attuative al fine di chiarire che l'obbligo di esibizione del permesso di soggiorno previsto da tale norma non si applica alla dichiarazione di nascita ed al riconoscimento del figlio naturale, in quanto tra le possibili interpretazioni della legge, questa è la sola conforme alla Costituzione e agli obblighi internazionali.

Appello al Governo

Appello alle Regioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE

 

 

ASILO

1. Sospeso dal TAR Lazio il trasferimento in Grecia di un richiedente asilo. Le lacune nel sistema d’asilo in Grecia impongono al Ministero dell’Interno di compiere un’approfondita valutazione prima di decidere in merito all’eventuale trasferimento in Grecia dei richiedenti asilo in base alla clausola del primo paese d’asilo ovvero di applicare il criterio derogatorio di competenza a pronunciarsi sulla domanda di asilo di cui al “Regolamento Dublino” (n. 343/2003/CE)

 

TAR Lazio, sezione II quarter, ordinanza 03428/2009reg.ord.sosp. dd. 15.07.2009

 

 

2. Valutando la situazione attuale in Costa d’Avorio,  caratterizzata da violenza diffusa, gravi violazioni dei diritti umani, instabilità politica derivante dalla mancata attuazione degli accordi di pace di Ouagadougou, il richiedente asilo avoriano, pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato,  appare in condizione di ottenere  il riconoscimento alla protezione sussidiaria. Le condizioni del paese di origine, caratterizzate da violenza indiscriminata e situazioni di conflitto, infatti,  fondano la sussistenza di una minaccia grave ed individuale alla vita o all’incolumità personale del richiedente, secondo quanto previsto dall’art. 14 del d.lgs. vo n. 251/07.

 

Corte d’Appello di Catania, sentenza del 22 maggio 2009

 

(Fonte: www.iussit.eu)

 

 

DIRITTI CIVILI

 

1. Il Tribunale di Ancona ordina di concedere la residenza ad un cittadino italiano senzatetto per garantirgli il diritto al voto. 

 

Significativa pronuncia del Tribunale di Ancona che, con un provvedimento cautelare emanato  il 23 maggio scorso, ha ordinato al comune di Falconara Marittima di iscrivere  un cittadino italiano senza tetto nei registri della popolazione residente di quel comune, dopo che il Comune aveva reiterato dei dinieghi alle richieste presentate dall'interessato al fine di partecipare alle elezioni previste nel corso del mese di giugno. Questo nonostante  che la funzione dell'anagrafe sia essenzialmente quella di rilevare la presenza stabile, comunque situata, dei soggetti sul territorio comunale, come ribadito dalla circolare del Ministero dell'Interno del 29 maggio 1995 n. 8.

Il commento a cura dell'Avv. Valter Marchetti, del Foro di Savona

(dal sito deaweb)

Il provvedimento cautelare del Tribunale di Ancona

 

2. Il Tribunale di Brescia, a seguito di un ricorso presentato congiuntamente da un rifugiato politico liberiano e dall'ASGI, ha ordinato al Comune di Ospitaletto (BS) di rimuovere le ordinanze del Sindaco datate 11.02.2009 e 8.03.2009, con le quale veniva subordinata  l'iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri nei registri della popolazione residente in quel Comune al requisito del possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e alla presentazione di certificati relativi alle eventuali pendenze giudiziarie nel paese di origine.

Il Tribunale  civile di Brescia ha riconosciuto che tali due ordinanze sindacali sono discriminatorie in quanto prevedono dei requisiti e delle prescrizioni ai fini dell'iscrizione anagrafica degli stranieri non previsti dalla legislazione anagrafica, così come difformi e aggiuntivi rispetto a quanto richiesto per i cittadini italiani. Il Tribunale inoltre ha affermato che il Sindaco non poteva adottare un comportamento difforme da quanto stabilito dalla legislazione anagrafica sulla base di presunte giustificazioni e finalità di sicurezza e ordine pubblico.  Tali  motivazioni addotte dal Sindaco sono apparse inconsistenti alla Corte, perché, in ogni caso, alla luce della legislazione, il Sindaco non potrebbe mai rigettare una richiesta di iscrizione anagrafica da parte di un soggetto, sia esso italiano o straniero, che avesse precedenti penali, così come appare palesemente discriminatorio il comportamento del Sindaco che si arroga il diritto di conoscere gli eventuali carichi penali degli stranieri all'estero, senza fare altrettanto per i cittadini italiani. L'ordinanza del Tribunale di Brescia, presentata a seguito di un'azione giudiziaria anti-discriminazione ex art. 44 del T.U. immigrazione, ha tuttavia respinto l'istanza per il risarcimento del danno presentata dal ricorrente in quanto non risulta provato il danno subito, così come è stata respinta la richiesta di pubblicazione del provvedimento su un quotidiano nazionale, in quanto tale previsione è prevista dal d.lgs. n. 215/2003 attuativo della direttiva europea  n. 2000/43 in materia di discriminazioni razziali, che il giudice ha ritenuto non applicabile alla fattispecie trattandosi nel caso in esame di una discriminazione per ragioni di nazionalità, prevista soltanto dall'art. 43 del T.U. immigrazione, ma che sarebbe esclusa dalla sfera applicativa del d.lgs. n. 215/2003.

Il testo dell'ordinanza del Tribunale di Brescia dd. 25 luglio 2009  (RG  n. 1804/09 VG)

 

 

 

PERMESSO DI SOGGIORNO

 

1. E’ illegittimo  il provvedimento di diniego del rilascio della carta di soggiorno (permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti) per insufficienza dei requisiti reddituali  qualora l’Amministrazione non abbia fatto precedere al diniego la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/90 e qualora  abbia ritenuta quale elemento ostativo al rilascio la condotta dello straniero risalente al 1995 consistente nel dare false generalità in sede di regolarizzazione. Tale elemento non ha un rilievo attuale per definire un eventuale profilo di pericolosità sociale, e comunque su di esso non può fondarsi automaticamente un diniego senza tenere in adeguata considerazione la durata del soggiorno nel territorio nazionale e l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, come previsto obbligatoriamente dalla normativa di recepimento della direttiva 2003/109/CE. Sul primo punto, il provvedimento è illegittimo perché la questura, non acquisendo la partecipazione dell’interessato al procedimento, non ha potuto appurare che nel periodo intercorrente tra la presentazione dell’istanza e la sua valutazione, l’interessato è divenuto titolare di un’impresa individuale e ha prodotto redditi rilevanti ai fini del superamento dei limiti richiesti ai fini del rilascio della carta di soggiorno. Pertanto, la questura non ha soddisfatto gli obblighi scaturenti dalla possibilità per lo straniero di far valere fatti sopravvenuti in sede di valutazione delle istanze di rilascio e rinnovo dei documenti di soggiorno.

 

TAR Veneto, sez. III, sentenza n. 1801 dd. 16 giugno 2009

 

 

2. La condanna definitiva per il reato di spaccio di stupefacenti comporta automaticamente la revoca del permesso di soggiorno. Un’eventuale istanza per il rilascio del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti non può produrre l’obbligo per l’Amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale dell’interessato, nonché la durata del suo soggiorno ed il grado di inserimento socio-lavorativo in Italia, per cui il diniego  del permesso di soggiorno CE è consequenziale alla revoca del permesso di soggiorno.

 

TAR Emilia Romagna, Sez. I, sentenza n. 1030 del 3 luglio 2009

 

 

3. Il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione di cui all’art. 22 comma 11 del T.U. immigrazione non può essere ottenuto  dallo straniero che, dopo avere fatto ingresso in Italia per lavoro subordinato, abbia cessato l’attività lavorativa prima di avere ottenuto il rilascio del permesso di soggiorno e non abbia effettivamente proceduto all’iscrizione alle liste di collocamento.

 

Consiglio di Stato, Sez. VI, decisione n. 4064 dd. 19 giugno 2009

 

 

4. E’ammesso il ricorso tardivo oltre i termini di scadenza, per motivi di errore scusabile, quando  nel provvedimento di diniego al rinnovo del permesso di soggiorno non venga indicato con precisione il termine per la proposizione del ricorso, ma si richiami soltanto genericamente  la legge n. 1034/71. La revoca del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo e la conseguente espulsione in conseguenza della condanna per reati collegati alla protezione del diritto d’autore, come ad es. quello di contraffazione e commercio di prodotti con marchi falsi, può avere luogo solo in relazione a condanne intervenute dopo l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dalla legge n. 189/2002 all’art. 26 comma 7 bis del d.lgs. n. 286/98, pena la violazione del principio di irretroattività delle leggi.

 

Consiglio di Stato,  Sez. VI, decisione n. 4075 dd. 19 giugno 2009.

 

 

 

 

NOTA: REVOCA E DINIEGHI AI RINNOVI DEI PERMESSI DI SOGGIORNO IN RELAZIONE A CONDANNE PENALI E PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ DELLA LEGGE. IL PUNTO DELLA SITUAZIONE A SEGUITO DELL’ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE N. 94/2009

 Con l’entrata in vigore dell’art. 1 c. 22 lett. a) par. 1  della legge 15 luglio 2009, n. 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica), è introdotto il divieto di ingresso, (e conseguentemente di soggiorno per il combinato disposto dell’art. 5 c. 5 del d.lgs. n. 286/98), dello straniero  che abbia subito una condanna anche con sentenza non definitiva, anche  a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 cpp per i reati previsti dall’art. 380 commi 1 e 2 del cpp, ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite. Precedentemente, tale divieto di ingresso e soggiorno vigeva soltanto per gli stranieri che avessero subito una condanna definitiva. In virtù del principio di irretroattività delle leggi, il divieto di ingresso e soggiorno dello straniero condannato con sentenza non ancora definitiva deve intendersi dunque applicabile solo nei casi di condanne intervenute dopo l’8 agosto 2009, data di entrata in vigore della legge n. 94/2009. Ugualmente il paragrafo 2) dell’art. 1 c. 22 lett. a della legge n. 94/2009 stabilisce il divieto di ingresso (e conseguentemente di soggiorno) dello straniero che abbia subito una condanna,  con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti a tutela del diritto di autore ( l. 633/1941 e artt. 473 e 474 c.p.). Precedentemente, tale diniego di ingresso e soggiorno era valido solo in relazione a stranieri in possesso del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, come chiarito da una consolidata giurisprudenza amministrativa (in proposito: Consiglio di Stato, sezione VI, decisione n. 2342 dd. 17 aprile 2009; Consiglio di Stato, sezione VI, decisione n. 2711 dd. 29 aprile 2009).  Di conseguenza, in virtù del principio di irretroattività delle leggi, il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato  in relazione ad una condanna irrevocabile per reati collegati alla tutela del diritto d’autore  potrà avere luogo solo in relazione a condanne intervenute dopo l’8 agosto 2009, data di entrata in vigore della legge n. 94/2009.

 

 

 

 

 

5. E’ legittimo il diniego al rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che  non possa dimostrare lo svolgimento di attività lavorativa alla scadenza del periodo di tolleranza di sei mesi di iscrizione nelle liste di collocamento di cui all’art. 22 c. 11 del T.U. o comunque prima della scadenza del permesso di soggiorno. Una mera promessa di assunzione, successiva alla scadenza del permesso di soggiorno, non è sufficiente per ottenere il rinnovo del medesimo, ma potrebbe giustificare, unitamente ad altre circostanze,  la presentazione di un’istanza di riesame  che l’Amministrazione può valutare ai sensi dell’art. 5 c. 5 del T.U.

 

Consiglio di Stato, sez. VI, decisione n. 4084 dd. 19 giugno 2009

 

 

 

6. E’ illegittimo il diniego al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di cure mediche nei confronti dello straniero in espellibile in ragione di una grave patologia insorta durante il suo soggiorno in Italia. Il rilascio del permesso di soggiorno può essere precluso solo in  presenza di presupposti impeditivi come ad esempio l’esistenza  di precedenti penali. Resta salva la possibilità di non concedere il rilascio qualora sia messa in discussione la natura urgente ed essenziale delle cure mediche che lo straniero deve sostenere, così come l’impossibilità di fruirne nel luogo di origine (TAR Umbria, sentenza 08.02.2008, n. 55), ma nel caso in questione la questura non aveva prodotto alcuna valutazione specifica al riguardo.

 

TAR Umbria, sentenza  dd. 23 luglio 2009, n. 443/2009

 

Si ringrazia per la segnalazione l’avv. Francesco di Pietro di Perugia

 

 

 

7. Qualora il ritardo nella formalizzazione del rapporto di lavoro con il lavoratore straniero entrato ai sensi del Decreto flussi non dipenda dal lavoratore medesimo, ma dal datore di lavoro, prima di negare il rilascio del permesso di soggiorno al lavoratore straniero, l’Amministrazione è tenuta a verificare se la disponibilità del datore di lavoro  a formalizzare il rapporto di lavoro non sia venuta meno e conseguentemente la Questura è tenuta a riesaminare entro 30 giorni l’ istanza di rilascio.

 

TAR Veneto, ordinanza n. 635 dd. 18 giugno 2009

 

Si ringrazia per la segnalazione l’avv. Savini di Venezia

 

 

 

LAVORO

 

E' discriminatorio escludere gli stranieri dall'impiego nelle imprese del trasporto pubblico. Storica sentenza del Tribunale di Milano: deve ritenersi implicitamente abrogato il Regio Decreto n. 148 del 1931 che prevede il requisito della cittadinanza italiana per l'impiego nelle imprese del trasporto pubblico.

 

Il Tribunale di Milano, sez. lavoro, in composizione collegiale, ha accolto il reclamo proposto da un cittadino marocchino, sostenuto dall'ASGI e dall'Associazione Avvocati per Niente ONLUS, affinchè venisse dichiarato discriminatorio il comportamento dell'impresa del trasporto pubblico urbano di Milano (ATM spa), la quale aveva disposto una selezione di candidati a diverse posizioni di lavoro  (elettricisti, autisti, meccanici,...) prevedendo il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria in ossequio alle norme risalenti al R. D.  n. 148 del 1931 (norme sulle corporazioni).

Il ricorso del cittadino marocchino era stato respinto in primo grado dal giudice del lavoro, che aveva eccepito la mancanza dell'interesse ad agire del ricorrente, in quanto  questi non aveva presentato una formale istanza per partecipare alla selezione dei candidati alle posizioni lavorative.

Secondo il collegio del Tribunale di Milano, tale motivazione è infondata in quanto il fatto in sè che l'azienda dei trasporti milanese abbia indetto una pubblica offerta di lavoro vincolandosi a selezionare soggetti in possesso tra l'altro del requisito della cittadinanza italiana o comunitaria,  ha fatto sì che la possibilità del ricorrente di accedere a tale selezione non solo è stata scoraggiata, ma anche effettivamente preclusa, con ciò determinando il realizzarsi del comportamento discriminatorio. Il collegio giudicante si è richiamato tra l'altro alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, che nel noto caso  Feryn  (sentenza dd. 10 luglio 2008 , causa C-54/07) ha sostenuto che  una discriminazione vietata dalla direttiva europea n. 2000/43 (direttiva "Razza") si realizza anche laddove un datore di lavoro dichiari pubblicamente la sua "intenzione" di assumere solo lavoratori di una certa nazionalità. Nel merito della controversia, il collegio giudicante del Tribunale di Milano ha ritenuto che le norme contenenti la clausola di cittadinanza di cui al R.D. n. 148/31 devono ritenersi implicitamente abrogate per effetto dell'art. 2 comma 3 del D.L.vo n. 286/98, che afferma il principio di parità di trattamento tra lavoratori migranti regolarmente soggiornanti e lavoratori nazionali, in ossequio alle norme di cui alla Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143/1975, ratificata in Italia con legge n. 158/1981. Richiamandosi al precedente della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 454/1998), il collegio giudicante di Milano ha affermato che il principio della parità di trattamento deve essere inteso come applicabile non solo con riferimento ai rapporti di lavoro già in essere, ma anche nella fase di accesso al lavoro e dunque, nelle procedure di offerta di lavoro e selezione dei candidati. Secondo il Tribunale di Milano, dunque, le norme di cui alla Convenzione OIL prevedono  quale unica deroga al principio di parità di trattamento, quella relativa all'accesso alle posizioni lavorative ove ricorra un "interesse dello Stato" a precludere l'accesso ai lavoratori di paesi terzi in relazione all'esercizio di pubblici poteri inerente alle posizioni lavorative medesime.

A tale riguardo, il collegio giudicante del Tribunale di Milano afferma che le imprese del trasporto pubblico urbano ed interurbano sono a tutti gli effetti società per azioni e dunque non sono datori di lavoro pubblici, nella definizione di cui alla legge n. 165/2001 e, pertanto, i rapporti di lavoro in seno ad esse hanno natura privatistica. Per tale ragione e tenuto conto anche di un criterio di ragionevolezza in relazione alla natura  delle mansioni relative alle posizioni di lavoro selezionate, tra cui quella di interesse del ricorrente di operaio elettricista, si deve certamente escludere che vi sia una qualunque esigenza pubblicistica a limitare l'accesso al lavoro in tali imprese ai soli lavoratori di nazionalità italiana o comunitaria.

Il Tribunale di Milano ha dunque ordinato all'ATM spa di Milano di cessare il comportamento discriminatorio e di rimuovere il requisito di cittadinanza nelle procedure di offerta di lavoro e di selezione del proprio personale.

L'ordinanza del Tribunale di Milano pone sperabilmente fine ad un'annosa questione che l'ASGI aveva posto già nel corso del 2007 con un proprio appello alle organizzazioni sindacali  e di categoria. Tale appello era stato raccolto anche dall'UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali), che aveva diffuso un proprio autorevole parere nella direzione ora raccolta dai giudici milanesi.

Il testo dell'ordinanza del Tribunale di Milano, sezione lavoro dd. 20 luglio 2009

Il testo dell'appello promosso dall'ASGI (newsletter progetto Leader No Discriminazione n. 7/2007)

Il testo del parere redatto dall'UNAR (newsletter progetto Leader No Discriminazione n. 11/2007)

Il testo del ricorso inoltrato al giudice del lavoro di Milano

 

 

CITTADINANZA

 

E’ illegittimo il provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione al cittadino iraniano, se fondato soltanto sull’esistenza  di rapporti con una persona sospettata di attività spionistiche e dai frequenti viaggi del ricorrente nel suo paese di origine per ragioni non accertate. Sebbene sia assegnato all’Amministrazione un ampio potere discrezionale nella valutazione delle istanze di naturalizzazione, le  motivazioni legittimanti un diniego debbono essere ragionevolmente sufficienti e giustificate, pena l’illegittimità dell’atto  per eccesso di potere. Nel caso in specie , l’Amministrazione fa riferimento ad un documento della P.S.  che farebbe presente un  mero sospetto nei confronti del ricorrente non supportato da elementi di riscontro, mentre d’altro canto emergerebbero un insieme di elementi favorevoli relativi alla personalità del ricorrente, dalla sua lunga permanenza in Italia  alla stabilizzazione familiare e lavorativa, all’assenza di precedenti penali che contrastano dunque con il riferito sospetto. Il provvedimento, pertanto, appare illegittimo per carenza di motivazione.

 

Consiglio di Stato, sez. VI, Decisione n. 4080 dd. 19 giugno 2009

 

 

 

DIRITTI SOCIALI

 

Il TAR Lombardia annulla la delibera della giunta regionale lombarda sul bonus per le famiglie numerose perchè discrimina gli stranieri

 

La Giunta della Regione Lombardia aveva previsto degli interventi economici a favore delle famiglie numerose prevedendo il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria, ovvero, per gli extracomunitari, il possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti.

Per il giudice amministrativo lombardo, tale requisito è illegittimo e dunque la delibera della giunta regionale della Lombardia del 20 gennaio scorso va annullata e rivista includendo nel beneficio anche gli stranieri in possesso del solo permesso di soggiorno della durata di almeno un anno. 

Secondo il giudice amministrativo, infatti, la delibera del governo regionale lombardo si pone in contrasto con il dettato dell'art. 41 del T.U. immigrazione che prevede, in materia di fruizione delle prestazioni di assistenza sociale, l'equiparazione  ai cittadini italiani degli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno della durata di almeno un anno. Secondo il principio generale di gerarchia delle fonti giuridiche, l'atto amministrativo emanato dalla giunta lombarda non poteva dunque derogare la norma generale a carattere precettivo di cui all'art. 41 del T.U. immigrazione avente rango di fonte primaria. Ugualmente, nella sentenza depositata il 16 luglio scorso (n. 4392) il giudice amministrativo rileva che  la deliberazione della giunta regionale lombarda si pone in contrasto con  i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale  (sentenze n. 306/2008 e  n. 11/2009), secondo cui è irragionevole e in contrasto con il principio di eguaglianza, subordinare una prestazione di carattere economico assistenziale al possesso da parte dello straniero di un titolo di soggiorno il cui rilascio presuppone il godimento di un livello di reddito minimo, così determinando un corto circuito che rende del tutto inutile la misura di sostegno prevista.
Per tali ragioni, il giudice amministrativo ha  annullato la delibera della giunta regionale lombarda, ordinando a quest'ultima di modificarla nel senso indicato dalla sentenza, estendendo i benefici previsti dal c.d. Bonus famiglia anche agli stranieri titolari di mero permesso di soggiorno della durata di almeno un anno e riaprendo i termini per la presentazione delle istanze.

Il ricorso al TAR era stato proposto da alcuni cittadini stranieri, assieme a CESIL, ANOLF, ASGI e CGIL Milano e Brescia.


Il testo integrale della sentenza TAR Lombardia, sezione IV, n. 4392/2009 dd. 16 luglio 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CIRCOLARI AMMINISTRATIVE

 

 

1. LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI COMUNITARI E LORO FAMIGLIARI - Ministero dell'Interno: chiarimenti in materia di iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari e loro famigliari

 

A seguito delle informazioni della Commissione Europea sull'interpretazione della direttiva n. 2004/38, il Ministero dell’Interno dirama una circolare rivedendo le indicazioni in materia di risorse economiche sufficienti al soggiorno e di copertura sanitaria.

 

Commissione Europea - Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornante liberamente all'interno del territorio degli Stati membri, 2 luglio 2009

Ministero dell'Interno, Dipartimento Affari territoriali - Direzione Centrale per i servizi demografici, circolare n. 18 dd. 21 luglio 2009

 

Un Commento a cura di Walter Citti, segreteria organizzativa ASGI

A seguito dell'adozione da parte della Commissione Europea, in data 2 luglio scorso, di un documento esplicativo dei propri orientamenti interpretativi della direttiva n. 2004/38 ("Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornante liberamente all'interno del territorio degli Stati membri"), il Ministero dell'Interno ha diramato una circolare (n. 18 dd. 21.07.2009) che rivede alcune indicazioni sull'applicazione del decreto legislativo n. 30/2007, con riferimento al possesso delle risorse economiche sufficienti al soggiorno dei cittadini comunitari e loro famigliari e alla copertura sanitaria.

Il documento adottato dalla Commissione europea costituisce una sorta di interpretazione autentica della direttiva in materia di libera circolazione  dei cittadini comunitari e loro famigliari in quanto rende nota la posizione che la Commissione assumerà nel controllo sull'applicazione della medesima, anche al fine dell'eventuale avvio di procedure di infrazione.

La circolare del Ministero dell'Interno accoglie alcune indicazioni contenute nel documento della Commissione europea, su alcuni punti che apparivano problematici e controversi dopo l'adozione del d.lgs. n. 30/2007 e delle successive circolari applicative.  In materia di  interpretazione della nozione di "risorse sufficienti", la circolare ministeriale dà indicazione agli uffici anagrafe di accogliere la possibilità che esse si riferiscano tanto a risorse periodiche quanto a capitale accumulato, così come che tali  risorse  possano essere elargite o messe a disposizione anche da terzi, anche quando questi non siano vincolati all'interessato da obblighi alimentari. In tale modo viene dunque espressamente accolta nel nostro paese l'interpretazione adottata dalla giurisprudenza  della Corte di Giustizia comunitaria. Con  la sentenza 23 marzo 2006 (Causa C- 408/03),  la Corte di Giustizia europea ha ritenuto non conforme al diritto comunitario la prassi belga di richiedere che il cittadino dell'UE disponga di risorse personali per il proprio sostentamento ovvero, di risorse provenienti da altri soggetti legati ad esso da vincolo giuridico (ad es. coniuge o figli),  escludendosi  invece le risorse di soggetti terzi, quali il partner, in mancanza di un atto negoziale stipulato dinanzi ad un notaio contenente una clausola di assistenza. La ratio invocata dal governo belga a sostegno della propria prassi  era quella di assicurare allo Stato membro la certezza che la persona che si impegnava a sostenere economicamente il cittadino dell'Unione fosse vincolata da un obbligo avente valore giuridico. La Corte di Giustizia ha ritenuto che tale condizione costituisca un'ingerenza sproporzionata nell'esercizio del diritto fondamentale alla libertà di  circolazione e di soggiorno rispetto al legittimo interesse degli Stati alla protezione delle finanze pubbliche.

Nella circolare ministeriale n. 18/2009, inoltre, viene escluso ogni rigido automatismo tra il possesso di un ammontare di risorse economiche inferiore  all'importo minimo previsto dall'art. 9 c. 3 lett. b) e c) del d.lgs. vo n. 30/2007 ed il diniego all'esercizio del diritto alla libera circolazione mediante il rifiuto dell'iscrizione anagrafica. Si precisa, invece, la necessità in tali casi di procedere ad una valutazione complessiva della situazione del cittadino comunitario,  in quanto l'eventuale rifiuto deve rispondere ad un criterio di proporzionalità rispetto all'obiettivo della direttiva, che è quello di agevolare la libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro famigliari. Viene dunque respinto quale infondato e contrario al diritto comunitario l'approccio seguito da alcune municipalità del nord-est, che avevano nel frattempo emanato ordinanze e provvedimenti volti ad interpretare rigidamente il criterio delle risorse sufficienti, nella direzione di un automatico diniego in assenza della disponibilità di risorse pari  all' importo minimo fissato secondo i parametri previsti per il ricongiungimento familiare dei cittadini extracomunitari. Tali ordinanze e provvedimenti di taluni enti locali erano stati già oggetto di un richiamo da parte della Commissione europea, attraverso l'intervento del Commissario europeo Barrot in risposta ad interrogazioni presentate al Parlamento europeo.

Si rammenta, inoltre, l'infondatezza e la contrarietà rispetto al diritto comunitario, di un eventuale richiesta da parte di un ufficio anagrafico comunale volta a subordinare l'iscrizione anagrafica del cittadino comunitario che non eserciti attività lavorativa all'autocertificazione della disponibilità di risorse economiche di natura durevole, che facciano cioè riferimento all'importo dell'assegno sociale calcolato su base annua, così come sembra per alcuni aspetti suggerire il decreto legislativo n. 30/2007 (art. 9 c. 3 lett. b)). Facendo riferimento ad una normativa dei Paesi Bassi che subordinava il diritto al soggiorno dei cittadini dell'Unione economicamente non attivi al possesso di risorse autonome e durevoli per un periodo minimo di un anno, la Corte europea di Giustizia ha chiaramente statuito che la disposizione fissava una condizione manifestamente sproporzionata rispetto all'interesse degli Stati membri a non riconoscere il diritto al soggiorno a persone che possano divenire un onere per le  finanze pubbliche. Di conseguenza, la normativa dei Paesi Bassi violava le norme comunitarie in materia di libera circolazione (sentenza 10 aprile 2008, causa C-398/06).

In materia di copertura sanitaria, la circolare ministeriale prende atto che non sempre il cittadino comunitario  esercitante il diritto alla libera circolazione intende trasferire la propria dimora abituale nel paese ospitante, in quanto mantiene il centro d'interessi presso lo Stato di provenienza. In tali situazioni, che possono riguardare ad esempio lo studente o il lavoratore distaccato, la carta di assistenza in possesso del cittadino comunitario (TEAM) e rilasciatagli dal suo Paese, potrà garantirgli la copertura sanitaria totale anche per i periodi di tempo superiori ai tre mesi, senza che sia per lui necessario spostare la propria residenza per continuare ad avvalersi del diritto alla libera circolazione. In tali situazioni, dunque, gli operatori anagrafici potranno iscrivere gli interessati nello schedario della popolazione temporanea di cui all'art. 8 della legge n. 1228/1954 (legge anagrafica) e all'art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 223/1989 (regolamento anagrafico).

La circolare ministeriale  non contiene, invece, indicazioni che recepiscano a livello di prassi amministrative gli obblighi derivanti dal rispetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea che ha sancito l'incompatibilità con il diritto europeo di ogni normativa nazionale che subordini l'accesso alla carta di soggiorno per il famigliare di un cittadino comunitario alla regolarità del suo ingresso e del suo soggiorno al momento della celebrazione del matrimonio nello Stato membro ospitante (Sentenza Metock, dd. 25 luglio 2008, C- 127-08). Sul punto, la normativa italiana di recepimento della direttiva n. 2004/38 ha inteso applicare in senso restrittivo il principio della libera circolazione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi famigliari di cittadini comunitari. La normativa italiana, infatti, subordina, il rilascio della carta di soggiorno alla presenza del "visto di ingresso, quando richiesto" (art. 10 c. 3 lett. a) d.lgs. n. 30/2007, come ribadito dalla circolare M.I. n. 19 dd. 6 aprile 2007, pag. 8). In tal modo si è affermata una prassi diffusa delle questure di non accordare il rilascio della carta di soggiorno al cittadino di un paese terzo che abbia contratto matrimonio in Italia con un cittadino comunitario o italiano dopo avere fatto ingresso illegale in Italia o quando, al momento di contrarre matrimonio, si trovava in condizione di irregolarità. Contro tale prassi sono stati avviati alcuni ricorsi, che hanno prodotto delle applicazioni giurisprudenziali aderenti a quanto sancito dalla Corte di Giustizia europea. Si richiama in proposito il decreto della Corte di Appello di Venezia dd. 22 aprile 2009 (n. 112/2009) che ha riconosciuto ad un cittadino albanese coniuge di una cittadina rumena residente in Italia il diritto al rilascio della carta di soggiorno per famigliari di cittadini comunitari, sebbene l'interessato avesse fatto ingresso in Italia privo del visto e non fosse legalmente soggiornante in Italia al momento della celebrazione del matrimonio.

La questione si è resa ancora più complessa dopo l'approvazione del ddl sicurezza che ha modificato gli articoli 116 del codice civile e l'art. 6 comma 2 del d.lgs. vo n. 286/98, nel senso rispettivamente di richiedere   l'esibizione dei documenti inerenti alla regolarità del  soggiorno al fine di celebrare il matrimonio e di cancellare l'esenzione per gli atti di stato civile fra quelli in cui  non vi è l'obbligo di presentare il permesso di soggiorno, con la conseguenza di attribuire agli ufficiali di stato civile l'obbligo di conoscere la posizione circa la regolarità del soggiorno degli stranieri che chiedano la celebrazione del matrimonio. La legittimità di tali norme appare dubbia proprio con riferimento alla richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Se non è conforme al diritto comunitario una legislazione nazionale che impedisce l'accesso alla libera circolazione del famigliare del cittadino comunitario che abbia acquisito tale  status personale nel territorio dello Stato membro mentre si trovava in condizioni di irregolarità, tanto più sembrerebbe difforme dal diritto europeo la nuova normativa italiana che priva tout court l'intera categoria degli stranieri irregolarmente presenti dalla possibilità stessa di acquisire lo status di famigliare nel territorio dello Stato membro che è il presupposto dell'esercizio del diritto alla libera circolazione. Ugualmente la legittimità costituzionale di tali norme appare dubbia in quanto appaiono suscettibili di determinare un ingerenza sul diritto a formare una famiglia, annoverato tra i diritti fondamentali della persona umana previsti  anche dalle convenzioni internazionali (ad es. gli artt. 8 e  12 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo) e come tale spettante a tutte le persone presenti nel territorio italiano, indipendentemente dalla nazionalità.

A tale riguardo, si sottolinea che già il Tribunale costituzionale francese con il parere dd. 26.11.2003 (paragrafi 95 - 96), emanato in relazione ad un disegno di legge presentato dal governo francese e poi ritirato, che prevedeva l'obbligo dell'ufficiale di stato civile di segnalare all'autorità prefettizia la condizione irregolare dello straniero che chiedeva le pubblicazioni di matrimonio, ha concluso che "tali disposizioni sono di natura tale da dissuadere gli interessati dal contrarre matrimonio; di conseguenza, esse portano offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio". Tutto questo, muovendo dalla considerazione generale che "se il carattere irregolare del soggiorno di uno straniero può costituire in certe circostanze, se accompagnato da altri elementi, un indice serio che lasci presumere che il matrimonio sia prospettato con un altro scopo diverso dall'unione matrimoniale, il legislatore - ritenendo che il fatto che uno straniero non possa giustificare la regolarità del suo soggiorno costituisca in tutti i casi un indice grave dell'assenza di consenso- ha portato offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio" (cfr. http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/francais/les-decisions/depuis-1958/decisions-par-date/2003/2003-484-dc/decision-n-2003-484-dc-du-20-novembre-2003.871.html )
Considerazioni, quelle del giudice costituzionale francese perfettamente estensibili all'attuale  normativa italiana.

L' ingerenza rispetto al diritto alla libertà matrimoniale non appare proporzionata  agli obiettivi di ordine pubblico e di controllo dei processi migratori che la norma si propone con riferimento alle finalità di contrasto dei matrimonio di convenienza. In proposito, vale la pena sottolineare che il documento adottato dalla Commissione europea espressamente sottolinea che "le misure adottate dagli Stati membri per contrastare i matrimoni di convenienza non possono essere tali da dissuadere i cittadini dell'Unione e i loro familiari dell'avvalersi del diritto alla libera circolazione o da usurpare indebitamente i loro diritti legittimi [così come] non devono minare l'efficacia del diritto comunitario né costituire una discriminazione fondata sulla nazionalità".  Ogni azione e misura volta a contrastare i matrimoni di convenienza  non può dunque avere carattere collettivo o sistematico, bensì deve fondarsi  - precisa ancora la Commissione europea - su criteri ed indagini  individuali che debbono essere svolte in conformità dei diritti fondamentali, in particolare il diritto al rispetto delle vita privata e familiare (art. 8 CEDU)e il diritto al matrimonio (art. 12 CEDU).

Alla luce di questo complesso di considerazioni, la nuova normativa introdotta dal legislatore italiano suscita serie perplessità di ordine costituzionale e di conformità al diritto comunitario.

 

 

 

2. L’immatricolazione universitaria può avvenire anche nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno. Circolare del Ministero dell’Interno del 16 luglio  2009

Con la circolare del 16 luglio il Ministero dell’Interno chiarisce la possibilità di immatricolarsi all’università per chi è in possesso di un permesso di soggiorno per motivi diversi dallo studio e si trova in fase di rinnovo del permesso stesso.

Nel chiarire la questione il Viminale fa riferimento alla direttiva dello stesso del 5 agosto 2006 con la quale appunto si disponeva che gli immigrati in fase di rinnovo, e quindi in possesso della sola ricevuta, godono dei diritti attribuibili al permesso di soggiorno in questione.

-  [ Scarica la circolare ]

 

 

 

 

SEGNALAZIONI E DOCUMENTI

 

Pubblicazioni dell’ Open Society – Justice Initiative in materia di ethnic profiling (discriminazioni razziali da parte delle autorità di pubblica sicurezza).

 

New Data Reveal Paris Police Discriminate Against Minorities

profiling_france

 

Police officers in Paris consistently stop people on the basis of ethnicity and dress rather than on the basis of suspicious individual behavior, according to a new report by the Open Society Justice Initiative.

The report documents over 500 police stops during a one-year period and across five locations in and around the Gare du Nord train station and Châtelet-Les Halles commuter rail station.

The data show that blacks were between 3.3 and 11.5 times more likely than whites to be stopped, while Arabs were between 1.8 and 14.8 times more likely to be stopped than whites. The study also found a strong relationship between people’s ethnicity, particular styles of clothing worn by young people, and the likelihood that they would be stopped.

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Ethnic Profiling in the European Union -New Evidence Reveals Police in Europe Target Minorities Excessively

ethnic_profiling_EU

Pervasive use of ethnic and religious stereotypes by law enforcement across Europe is harming efforts to combat crime and terrorism, according to a new report by the Open Society Justice Initiative.

Ethnic Profiling in the European Union examines the scope of ethnic profiling, showing how police officers in the U.K., France, Italy, Germany, and the Netherlands routinely use generalizations about race, ethnicity, religion, or national origin when deciding whom to target for stops, searches, raids, and surveillance.

The report analyzes ethnic profiling both in ordinary policing and in counterterrorism, and finds that it is not just a violation of European laws and international human rights norms—it is also an ineffective use of police resources that leaves the public less safe.

Click here to download or order the 200 page book.

 

 

 

 

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