Parere consultivo sullapplicazione extraterritoriale degli obblighi

di non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status

dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967*

 

 

Introduzione

 

1.     Nel presente Parere consultivo, lUfficio dellAlto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) affronta la questione dellapplicazione extraterritoriale del principio di non-refoulement cos come enunciato nella Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951[1] e nel suo Protocollo del 1967[2].

 

2.     Nella Parte I del documento viene presentata una panoramica sugli obblighi di non-refoulement da parte degli Stati nei confronti dei rifugiati e dei richiedenti asilo in base al diritto internazionale dei rifugiati e ai diritti umani. La Parte II si concentra invece in maniera pi specifica sullapplicazione extraterritoriale di tali obblighi e definisce la posizione dellUNHCR circa lambito territoriale degli obblighi di non-refoulement degli Stati, in base alla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e al suo Protocollo del 1967. 

 

3.     LAssemblea Generale delle Nazioni Unite ha affidato allUNHCR la responsabilit di fornire protezione internazionale ai rifugiati e ad altre persone che rientrano nel mandato dellAgenzia, oltre che di perseguire soluzioni permanenti alla questione dei rifugiati assistendo governi e organizzazioni private[3]. Come evidenziato nel suo Statuto, lUNHCR adempie al suo mandato di protezione internazionale, inter alia, perseguendo la conclusione e la ratifica delle Convenzioni Internazionali per la protezione dei rifugiati, sorvegliandone l'applicazione e proponendone modifiche[4]. La responsabilit di supervisione dellUNHCR in base al proprio Statuto ripresa nellart. 35 della Convenzione del 1951 e nellart. II del Protocollo del 1967.

 

4.     Le opinioni dellUNHCR si fondano su oltre 50 anni di esperienza nel sorvegliare strumenti internazionali sui rifugiati. LUNHCR rappresentato in 116 paesi. Fornisce linee guida relative allistituzione e allimplementazione di procedure nazionali per la determinazione dello status di rifugiato e, in base al proprio mandato, svolge anche tale determinazione. Linterpretazione delle disposizioni della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 da parte dellUNHCR considerata un parere autorevole che dovrebbe essere tenuto in considerazione al momento di decidere su questioni di diritto dei rifugiati.

 

 

I. Obblighi di non-refoulement in base al diritto internazionale

 

A. Il principio di non-refoulement in base al diritto internazionale dei rifugiati

 

1. Obblighi di non-refoulement in base ai trattati internazionali sui rifugiati

 

(i) La Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e il suo Protocollo del 1967

 

5.     Il principio di non-refoulement il caposaldo della protezione internazionale dei rifugiati. Esso enunciato nellart. 33 della Convenzione del 1951, vincolante anche per gli Stati parte del Protocollo del 1967[5]. Lart. 33(1) della Convenzione del 1951 dispone che:

 

Nessuno Stato contraente potr espellere o respingere (refouler) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libert sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalit, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche.

 

6.     La protezione dal refoulement cos come enunciato dallart. 33(1) si applica ad ogni persona che un rifugiato in base alla Convenzione del 1951, cio a chiunque soddisfi i criteri enunciati nella definizione di rifugiato contenuta nellart. 1A(2) della Convenzione del 1951 (i criteri di inclusione)[6] e non rientri nellambito di una delle disposizioni di esclusione[7]. Poich una persona rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 quando egli o ella soddisfa i criteri enunciati nella definizione di rifugiato, la determinazione dello status di rifugiato ha una natura dichiarativa: una persona non diventa un rifugiato perch stata riconosciuta come tale, ma riconosciuta come tale proprio perch un rifugiato[8]. Ne segue che il principio di non-refoulement si applica non solo ai rifugiati riconosciuti, ma anche a coloro il cui status non stato formalmente dichiarato[9]. Il principio di non-refoulement di particolare importanza per i richiedenti asilo. Poich questi potrebbero essere rifugiati, costituisce un principio di diritto internazionale dei rifugiati accettato il fatto che essi non dovrebbero essere respinti o espulsi finch non si sia giunti a una decisione finale riguardo al loro status.

 

7.     Il divieto di refoulement verso una situazione di pericolo di persecuzione in base al diritto internazionale dei rifugiati applicabile a ogni forma di trasferimento forzato, compresi deportazione, espulsione, estradizione, trasferimento informale o rendition e non ammissione alla frontiera nelle circostanze descritte di seguito. Ci risulta evidente dalla terminologia utilizzata nellart. 33(1) della Convenzione del 1951, che cos si riferisce allespulsione o respingimento (refoulement): in nessun modo[10]. Ci si applica non solo in relazione al ritorno nel paese dorigine o, nel caso di una persona apolide, nel paese di precedente residenza abituale, ma anche a qualsiasi altro luogo in cui una persona abbia motivo di temere minacce per la propria vita o libert, in riferimento a una o pi delle fattispecie elencate nella Convenzione del 1951, o dal quale egli o ella rischia di essere inviato verso un simile pericolo[11].

 

8.     Il principio di non-refoulement cos come enunciato nellart. 33(1) della Convenzione del 1951 non implica, come tale, il diritto di un individuo di ottenere lasilo in un determinato Stato[12]. Esso comunque significa che, nel caso in cui gli Stati non siano preparati a garantire asilo a persone che cercano protezione internazionale sul loro territorio, essi devono seguire un percorso che non risulti nel loro trasferimento, diretto o indiretto, in un luogo nel quale la loro vita o libert sarebbe in pericolo a causa della loro razza, religione, nazionalit, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche[13]. Come regola generale, al fine di dare attuazione agli obblighi assunti con la Convenzione del 1951 e/o col Protocollo del 1967, agli Stati richiesto di fornire accesso al territorio e a eque ed efficienti procedure dasilo agli individui che cercano protezione internazionale[14].

 

9.     Lobbligo di non-refoulement ai sensi dellart. 33 della Convenzione del 1951 vincolante su tutti gli organi di uno Stato parte della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967[15], cos come di ogni altra persona o ente che agisce per loro conto[16]. Come verr discusso pi dettagliatamente nella Parte II del presente documento, lobbligo derivante dallart. 33(1) della Convenzione del 1951 di non inviare un rifugiato o un richiedente asilo in un paese dove egli o ella potrebbe essere a rischio di persecuzione non soggetto a restrizioni territoriali; si applica ovunque lo Stato in questione eserciti la sua giurisdizione.

 

10.  Eccezioni al principio di non-refoulement in base alla Convenzione del 1951 sono consentite solo nelle circostanze espressamente menzionate nellart. 33(2), che dispone:

 

Il beneficio di detta disposizione [art. 33(1)] non potr tuttavia essere invocato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto di una condanna gi passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunit di detto Stato.

 

Lapplicazione di questa disposizione richiede una determinazione su base individuale da parte del paese nel quale il rifugiato si trova sul fatto che egli o ella rientri in una delle due fattispecie previste nellart. 33(2) della Convenzione del 1951[17].

 

11.  La disposizione enunciata nellart. 33(2) della Convenzione del 1951 non inficia gli obblighi di non-refoulement dello Stato ospitante in base al diritto internazionale dei diritti umani, che non consente eccezioni. Pertanto allo Stato ospitante sarebbe vietato trasferire un rifugiato se tale azione risultasse nellesporre questultimo, ad esempio, a un reale rischio di tortura[18]. Considerazioni analoghe si applicano con riferimento al divieto di refoulement verso altre forme di danno irreparabile[19].

 

12.  Nel quadro delineato dalla Convenzione del 1951 e dal Protocollo del 1967, il principio di non-refoulement costituisce una componente essenziale e non derogabile della protezione internazionale dei rifugiati. Limportanza centrale dellobbligo di non rinviare un rifugiato verso un rischio di persecuzione si riflette nellart. 42(1) della Convenzione del 1951 e nellart. VII(1) del Protocollo del 1967, che indicano lart. 33 come una delle disposizioni della Convenzione del 1951 cui non sono consentite riserve. Il carattere fondamentale e non derogabile del principio di non-refoulement stato riaffermato anche in numerose conclusioni del Comitato Esecutivo dellUNHCR a partire dal 1977[20]. Anche lAssemblea Generale ha invitato gli Stati a rispettare il fondamentale principio del non-refoulement, che non soggetto a deroga[21].

 

(ii) Altri strumenti internazionali

 

13.  Lobbligo di non-refoulement degli Stati nei confronti dei rifugiati si pu trovare anche in trattati regionali, e specificamente nella Convenzione dellOrganizzazione dellUnit Africana (OUA) che disciplina aspetti specifici del problema dei rifugiati in Africa del 1969[22] e nella Convenzione americana sui diritti umani del 1969[23]. Disposizioni sul non-refoulement modellate sullart. 33(1) della Convenzione del 1951 sono state inserite anche in trattati sullestradizione[24], cos come in diverse convenzioni contro il terrorismo, sia a livello universale che regionale[25]. Inoltre, il principio di non-refoulement stato riaffermato nella Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati del 1984[26] e in altri importanti testi internazionali non vincolanti, tra i quali in particolare la Dichiarazione sullasilo territoriale adottata dallAssemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1967[27].

 

2. Il non-refoulement dei rifugiati nel diritto internazionale consuetudinario

 

14.  Lart. 38(1)(b) dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia indica la consuetudine internazionale, in quanto prova di una pratica generale accettata come diritto, come una delle fonti di diritto che si applica al momento di decidere su dispute, in conformit con il diritto internazionale[28]. Affinch una norma entri a far parte del diritto internazionale consuetudinario sono necessari due elementi: una coerente pratica da parte degli Stati e la opinio juris, la convinzione cio da parte degli Stati che tale pratica sia obbligatoria a causa dellesistenza di una norma che ne richiede lapplicazione[29].

 

15.  LUNHCR ritiene che il divieto di refoulement dei rifugiati, cos come contenuto nellart. 33 della Convenzione del 1951 e completato dagli obblighi di non-refoulement previsti dal diritto internazionale dei diritti umani, soddisfi questi criteri e sia una norma di diritto internazionale consuetudinario[30]. Come tale esso vincolante per tutti gli Stati, compresi quelli che non hanno aderito alla Convenzione del 1951 e/o al suo Protocollo del 1967[31]. In tale contesto lUNHCR evidenzia, inter alia, la pratica attuata da Stati non aderenti di ospitare grandi numeri di rifugiati, spesso in situazioni di afflusso in massa[32]. Inoltre, nellesercizio della sua funzione di supervisione[33], lUNHCR ha seguito da vicino le pratiche dei Governi relativamente al principio di non-refoulement, sia degli Stati parte della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967, sia degli Stati che non hanno sottoscritto alcuno di questi strumenti. Nellesperienza dellUNHCR, gli Stati hanno abbondantemente indicato di accettare il principio di non-refoulement come vincolante, come dimostrato - inter alia - in numerose istanze nelle quali gli Stati hanno risposto alle rappresentanze dellUNHCR fornendo spiegazioni o giustificazioni di casi di effettivi o presunti refoulement, in tal modo confermando implicitamente laccettazione del principio[34].

 

16.  In una Dichiarazione adottata a conclusione del Meeting ministeriale degli Stati parte tenutosi il 12 e 13 dicembre 2001 e successivamente avallata dallAssemblea Generale, gli Stati parte della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 hanno riconosciuto la continua rilevanza e resilienza di questo regime internazionale di diritti e principi, compreso nel suo nucleo centrale il principio di non-refoulement, la cui applicabilit inserita appieno nel diritto internazionale consuetudinario[35]. A livello regionale, il carattere di diritto internazionale consuetudinario del principio di non-refoulement stato ribadito anche nella Dichiarazione adottata dagli Stati dellAmerica Latina che hanno partecipato alle celebrazioni del ventesimo anniversario della Dichiarazione di Cartagena del 1984[36].

 

B. Obblighi di non-refoulement nel diritto internazionale dei diritti umani

 

1. Trattati internazionali sui diritti umani

 

17.  Obblighi di non-refoulement che completano quelli derivanti dalla Convenzione del 1951, che ha preceduto i principali trattati sui diritti umani, sono stati stabiliti anche dal diritto internazionale dei diritti umani. Pi specificamente, gli Stati sono obbligati a non trasferire alcun individuo in un altro paese se tale azione risulterebbe nellesporlo a gravi violazioni dei diritti umani, in particolare larbitraria privazione della vita[37], la tortura o altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti[38].

 

18.  Una esplicita disposizione sul non-refoulement contenuta nellart. 3 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984[39], che proibisce il trasferimento di una persona in un paese dove vi siano fondati motivi di ritenere che egli o ella sarebbe in pericolo di subire tortura.

 

19.  Tra gli obblighi previsti dal Patto sui diritti civili e politici del 1966[40], cos come interpretato dal Comitato Diritti Umani, sono compresi anche gli obblighi a non estradare, deportare, espellere o rimuovere in altro modo una persona dal loro territorio, verso luoghi in cui vi sia un rischio reale di danno irreparabile, quali quelli contemplati dagli artt. 6 [diritto alla vita] e 7 [diritto di essere libero da tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti] del Patto, siano essi il paese verso il quale il trasferimento sar effettuato o qualsiasi altro paese in cui la persona possa essere successivamente trasferita[41]. Il divieto di refoulement verso un rischio di gravi violazioni dei diritti umani, in particolare tortura e altre forme di maltrattamento, sancito anche in trattati regionali sui diritti umani[42].

 

20.  Il divieto di refoulement in un paese dove la persona interessata affronterebbe un reale rischio di danno irreparabile, come violazioni del diritto alla vita o del diritto di essere libera da tortura o pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, si estende a tutte le persone che potrebbero trovarsi allinterno del territorio di uno Stato o soggette alla sua giurisdizione, compresi richiedenti asilo e rifugiati[43] e si applica con riferimento al paese verso cui il trasferimento sar effettuato o qualsiasi altro paese in cui la persona potrebbe essere trasferito successivamente[44]. Il principio non derogabile e si applica in tutte le circostanze[45], anche in un contesto di misure mirate a combattere il terrorismo[46] e in periodi di conflitto armato[47].

 

2. Obblighi di non-refoulement basati sui diritti umani nel diritto internazionale consuetudinario

 

21.  Anche il divieto di tortura parte del diritto internazionale consuetudinario, che ha raggiunto il rango di norma imperativa di diritto internazionale, o di jus cogens[48]. Esso include, come componente fondamentale ed essenziale, il divieto di refoulement verso un rischio di tortura e pertanto impone un divieto assoluto su ogni forma di rinvio forzato verso un pericolo di tortura che vincolante per tutti gli Stati, compresi quelli che non hanno aderito agli strumenti che regolano la materia. Anche il divieto di arbitraria privazione della vita, che comprende anche il relativo obbligo di non inviare una persona in un paese nel quale vi sia un rischio reale che egli o ella possano essere soggetti a tale trattamento, fa parte del diritto internazionale consuetudinario[49]. Il divieto di refoulement verso un rischio di pena o trattamento crudele, disumano o degradante, come codificato nei trattati sui diritti umani sia universali che regionali, avviato a diventare diritto internazionale consuetudinario, almeno a livello regionale[50].

 

22.  In base agli obblighi citati, gli Stati hanno il dovere di stabilire, prima di attuare qualsiasi misura di trasferimento, che la persona che intendono rimuovere dal loro territorio o giurisdizione non sar esposta al rischio di gravi violazioni dei diritti umani, quali quelli sopramenzionati. Se tale rischio esiste, allo Stato precluso rimuovere forzatamente lindividuo interessato.

 

 

II. Applicabilit extraterritoriale del principio di non-refoulement

in base alla Convenzione del 1951 e/o del suo Protocollo del 1967

 

23.  Le Sezioni del presente Parere consultivo che seguono esaminano lambito territoriale dellart. 33(1) della Convenzione del 1951, alla luce dei criteri previsti dal diritto internazionale per linterpretazione dei trattati. In conformit con le norme pertinenti, come stabilito dalla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati[51], il significato di una disposizione contenuta in un tratta internazionale deve essere stabilito attraverso lesame del significato comune dei termini impiegati, alla luce del contesto, delloggetto e dello scopo del trattato[52]. Anche le successive pratiche degli Stati nellapplicazione del trattato, cos come le norme di diritto internazionale rilevanti, devono essere tenute in considerazione al momento di interpretare un trattato[53].

 

24.  Per le ragioni esposte di seguito, lUNHCR del parere che lo scopo, lintento e il significato dellart. 33(1) della Convenzione del 1951 sono univoci e stabiliscono un obbligo a non rinviare un rifugiato o un richiedente asilo in un paese dove egli o ella rischierebbe persecuzioni o altri gravi danni, che si applica ovunque lo Stato eserciti la sua giurisdizione, compreso alla frontiera, in mare aperto o sul territorio di un altro Stato[54]. 

 

A. Ambito ratione loci dellart. 33(1) della Convenzione del 1951: significato comune, contesto, oggetto e scopo della Convenzione del 1951

 

25.  Come notato in precedenza, loggetto della presente indagine lambito territoriale della disposizione sul non-refoulement contenuta nellart. 33(1) della Convenzione del 1951. Facendo riferimento alla norma primaria sullinterpretazione dei trattati enunciata nellart. 31(1) della Convenzione di Vienna del 1969, necessario in primo luogo esaminare il significato comune dei termini dellart. 33(1) della Convenzione del 1951, tenendo in considerazione il loro contesto, cos come loggetto e lo scopo del trattato di cui fanno parte.

 

26.  Lobbligo stabilito nellart. 33(1) della Convenzione del 1951 soggetto a restrizione geografica solo con riferimento al paese in cui un rifugiato non pu essere inviato, non al paese dal quale egli o ella viene rinviato. Lapplicabilit extraterritoriale dellobbligo di non-refoulement ai sensi dellart. 33(1) chiara dallo stesso testo della disposizione, che enuncia una proibizione semplice: Nessuno Stato contraente potr espellere o respingere (refouler) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libert sarebbero minacciate.

 

27.  Il significato comune di rinviare comprende mandare indietro o portare, inviare o rinviare in un posto precedente o adeguato[55]. La traduzione di refouler comprende parole come respingere, repellere, portare indietro[56]. difficile concepire che queste parole siano limitate ai rifugiati che sono gi entrati nel territorio di uno Stato contraente. Il significato comune dei termini rinviare e respingere (refouler) non sostiene alcuna interpretazione che avrebbe il risultato di restringere il suo ambito di applicazione allinterno del territorio dello Stato interessato, n vi alcuna indicazione che tali termini fossero intesi dagli autori della Convenzione del 1951 per essere limitati in questa maniera[57].

 

28.  Unanalisi contestuale dellart. 33 della Convenzione del 1951 conferma ulteriormente lopinione secondo cui lambito ratione loci della disposizione sul non-refoulement contenuta nellart. 33(1) non limitato al territorio di uno Stato. stata avanzata lipotesi che lart 33(2) della Convenzione del 1951, che consente eccezioni al principio di non-refoulement solo con riferimento a un rifugiato che costituisca un pericolo per la sicurezza della comunit dello Stato nel quale si trova, implichi che lambito dellart. 33(1) sia anche limitato alle persone che si trovano allinterno del territorio del paese ospitante[58]. Tuttavia lUNHCR ritiene che tale visione sia contraddetta dalla chiara terminologia impiegata negli artt. 33(1) e 33(2), che si riferiscono a questioni diverse[59], cos come dal fatto che lambito territoriale di diverse altre disposizioni della Convenzione del 1951 sia stato reso esplicito[60]. Pertanto, nei casi in cui i redattori della Convenzione del 1951 hanno inteso che una determinata clausola della Convenzione del 1951 dovesse essere applicata solo a coloro che si trovano allinterno di uno Stato parte, essi hanno scelto un linguaggio che non lascia dubbi circa la loro intenzione.

 

29.  Inoltre, ogni interpretazione che definisce lambito dellart. 33(1) della Convenzione del 1951 come non estendersi a misure in cui uno Stato, agendo fuori del proprio territorio, rinvia o trasferisce in altro modo rifugiati in un paese nel quale essi sono a rischio di persecuzione sarebbe fondamentalmente incoerente con loggetto e lo scopo umanitario della Convenzione del 1951 e del suo Protocollo del 1967. In tale contesto, vale la pena richiamare i primi due paragrafi del Preambolo della Convenzione del 1951, che recitano:

 

Considerando che la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea Generale, hanno affermato il principio che gli esseri umani senza distinzione debbono usufruire dei diritti dell'Uomo e delle libert fondamentali[61];

 

Considerando che l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha a pi riprese manifestato il suo profondo interesse per i rifugiati e la sua preoccupazione affinch ad essi venga garantito l'esercizio dei diritti dell'Uomo e delle libert fondamentali nel senso pi ampio possibile.

 

30.  Un esame organico dei lavori preparatori[62] conferma la predominanza delloggetto e delle finalit umanitarie della Convenzione e fornisce una significativa evidenza sul fatto che la disposizione sul non-refoulement contenuta nellart. 33(1) era intesa a vietare ogni atto od omissione da parte di uno Stato contraente che avesse leffetto di rinviare un rifugiato in territori nei quali egli o ella dovesse probabilmente affrontare persecuzione o pericolo per la vita o la libert. Ad esempio, quando la Convenzione del 1951 era in corso di preparazione, il Segretario Generale dichiar in un Memorandum datato 3 gennaio 1950 inviato al Comitato ad hoc sullapolidia e relativi problemi che respingere un rifugiato alla frontiera del paese dove la sua vita o libert minacciata sarebbe equivalente a consegnarlo nelle mani dei suoi persecutori[63]. Durante le discussioni del Comitato, i rappresentanti degli Stati Uniti argomentarono con vigore che:

 

che si tratti di chiudere la frontiera a un rifugiato che ha chiesto di essere ammesso, o di mandarlo indietro dopo che ha attraversato la frontiera, o addirittura di espellerlo dopo che stato ammesso alla residenza nel territorio, il problema pi o meno lo stesso. Quale che sia il caso, che il rifugiato sia in una posizione regolare o meno, egli non deve essere mandato indietro in un paese dove la sua vita o la sua libert potrebbero essere minacciate[64].

 

31.  Lo stesso rappresentante degli Stati Uniti propose che le parole si impegna a non espellere o respingere dovessero sostituire non mandare indietro, al fine di risolvere ogni dubbio sul fatto che il non-refoulement vada applicato ai rifugiati, siano essi o meno stati ammessi alla residenza[65], un emendamento che in ultima analisi ha formato la base per la terminologia definitiva espellere o rinviare dellart. 33 della Convenzione del 1951. Inoltre vale la pena notare che a un certo momento il Presidente sospese la discussione, osservando che essa aveva indicato accordo sul principio che i rifugiati in fuga dalla persecuzione a causa della loro razza, religione, nazionalit od opinione politica non dovrebbero essere respinti indietro tra le braccia dei loro persecutori[66].

 

B. Applicabilit extraterritoriale dellart. 33(1) della Convenzione del 1951: successiva pratica da parte degli Stati e norme di diritto internazionale rilevanti

 

32.  La limitazione dellambito territoriale di applicazione dellart. 33(1) della Convenzione del 1951 alla condotta di uno Stato allinterno del proprio territorio nazionale sarebbe discordante anche con la successiva pratica attuata dagli Stati e con le norme di diritto internazionale pertinenti applicabili tra gli Stati parte del trattato in questione. In base allart. 31(3) della Convenzione di Vienna del 1969[67], anche questi elementi devono essere tenuti in considerazione al momento di interpretare una disposizione di un trattato internazionale.

 

33.  La successiva pratica degli Stati si esprime, inter alia, in numerose Conclusioni del Comitato Esecutivo che attestano la predominante importanza del principio di non-refoulement, a prescindere dal fatto che il rifugiato si trovi sul territorio nazionale dello Stato in questione o meno[68]. La successiva pratica degli Stati rilevante ai fini dellinterpretazione dellobbligo di non-refoulement ai sensi della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 evidenziata anche da altri strumenti internazionali sui rifugiati e sui diritti umani redatti a partire dal 1951, nessuno dei quali pone restrizioni territoriali agli obblighi di non-refoulement da parte degli Stati[69].

 

34.  In base alle norme sullinterpretazione dei trattati citate in precedenza, al momento di interpretare lambito territoriale dellart. 33(1) della Convenzione del 1951 necessario considerare anche gli sviluppi nelle aree del diritto internazionale pertinenti. Il diritto internazionale dei rifugiati e il diritto internazionale dei diritti umani sono complementari e rafforzano reciprocamente i loro regimi giuridici[70]. Ne segue che lart. 33(1), che racchiude lessenza umanitaria della Convenzione del 1951 e garantisce i diritti fondamentali dei rifugiati, deve essere interpretato in maniera coerente con gli sviluppi del diritto internazionale dei diritti umani. Unanalisi dellambito ratione loci degli obblighi di non-refoulement degli Stati in base al diritto internazionale dei diritti umani particolarmente pertinente alla questione dellapplicabilit extraterritoriale del divieto di rinviare un rifugiato verso un pericolo di persecuzione in base agli strumenti internazionali sui rifugiati.

 

35.  Come verr discusso pi avanti in maggiore dettaglio, gli Stati sono vincolati ai loro obblighi di non rinviare alcuna persona sulla quale esercitano giurisdizione verso un rischio di danno irreparabile. Nel determinare se gli obblighi di uno Stato sui diritti umani sussistono nei confronti di una determinata persona, il criterio decisivo non se quella persona si trovi sul territorio nazionale di quello Stato, o allinterno di un territorio che sia de jure sotto il controllo sovrano dello Stato, quanto piuttosto se egli o ella sia o meno soggetto alleffettiva autorit di quello Stato.

 

36.  Nel suo Commentario Generale n. 31 sulla natura dellobbligo generale imposto agli Stati parte del [ICCPR], il Comitato Diritti Umani ha affermato che agli Stati richiesto dallart. 2(1) [dellICCPR] di rispettare e garantire il diritti del Patto a tutte le persone che potrebbero trovarsi allinterno del loro territorio e a tutte le persone soggette alla loro giurisdizione. Ci significa che uno Stato parte deve rispettare ed assicurare i diritti stabiliti nel Patto a chiunque si trovi sotto il potere di effettivo controllo da parte dello Stato parte, anche se non situato allinterno del territorio dello Stato parte[71]. Il Commentario Generale ribadisce una coerente giurisprudenza del Comitato Diritti Umani con il risultato che gli Stati possono essere ritenuti responsabili per violazioni dei diritti contenuti nellICCPR che i suoi agenti commettono sul territorio di un altro Stato, sia con il consenso del Governo di quello Stato, sia in opposizione di esso[72] e che in determinate circostanze, le persone possono rientrare nella competenza di uno Stato parte [dellICCPR] anche quando si trovano fuori del territorio di quello Stato[73].

 

37.  La Corte Internazionale di Giustizia ha confermato che lICCPR applicabile nei confronti di atti compiuti da uno Stato nellesercizio della sua giurisdizione fuori del suo territorio[74]. La Corte ha osservato che, se vero che la giurisdizione degli Stati primariamente territoriale, essa pu talvolta essere esercitata fuori del territorio nazionale. Considerando loggetto e lo scopo del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, sembrerebbe naturale che, anche in questo caso, gli Stati parte del Patto dovrebbero essere vincolati a rispettare le sue disposizioni[75].

 

38.  Analogamente, il Comitato contro la tortura ha affermato che lobbligo di non-refoulement contenuto nellart. 3 della Convenzione contro la tortura si applica in ogni territorio sotto la giurisdizione di uno Stato parte[76]. Con riferimento a quelle disposizioni della Convenzione contro la tortura che sono espresse come applicabili al territorio sotto la giurisdizione [dello Stato parte], il Comitato contro la tortura ha reiterato la sua opinione espressa in precedenza che include tutte le aree sotto leffettivo controllo de facto dello Stato parte, sia che tale controllo sia esercitato da parte di autorit militari che civili e ha chiarito che tali disposizioni si applicano a, e ne beneficiano pienamente, tutte le persone sotto leffettivo controllo delle sue autorit, di qualsiasi tipo, ovunque situate nel mondo[77].

 

39.  Lapplicabilit extraterritoriale dei trattati sui diritti umani stabilita con fermezza anche a livello regionale. La Corte europea dei diritti umani ha esaminato il concetto di giurisdizione in una serie di decisioni e ha coerentemente sostenuto che il criterio decisivo non se una persona si trovi allinterno del territorio dello Stato interessato, ma se, rispetto al presunto comportamento, egli o ella si trovi o meno sotto leffettivo controllo dello Stato, o sia colpito da coloro che agiscono per conto dello Stato in questione. Pertanto, in una decisione in cui esaminava le circostanze in cui gli obblighi della Convenzione europea si applicano extraterritorialmente, la Corte europea dei diritti umani ha sostenuto che, mentre dal punto di vista del diritto internazionale, la competenza giurisdizionale di uno stato principalmente territoriale[78], essa pu essere estesa extraterritorialmente se uno Stato, attraverso leffettivo controllo del territorio in questione e dei suoi abitanti allestero come conseguenza di occupazione militare o attraverso il consenso, linvito o lacquiescenza del governo di quel territorio, esercita tutti o parte dei pubblici poteri che di norma sono esercitati da quel governo[79]. Una situazione nella quale una persona portata sotto leffettivo controllo delle autorit di uno Stato se esse stanno esercitando la loro autorit fuori del territorio dello Stato, potrebbe inoltre dar luogo allapplicazione extraterritoriale degli obblighi della Convenzione[80].

 

40.  Rilevante ai fini del presente contesto anche la sentenza della Corte europea dei diritti umani in Issa and Ors v. Turkey, dove si conferma che:

 

Uno Stato pu essere considerato responsabile di violazioni dei diritti e delle libert contenute nella Convenzione di persone che si trovano nel territorio di un altro Stato, ma che si trovano sotto lautorit e il controllo del primo Stato attraverso lazione di suoi agenti – sia essa legale o non legale – nel secondo Stato []. In tali situazioni la responsabilit deriva dal fatto che lart. 1 della Convenzione non pu essere interpretato in modo da consentire a uno Stato parte di perpetrare violazioni della Convenzione sul territorio di un altro Stato, che non potrebbe perpetrare sul suo territorio [][81].

 

41.  La Commissione interamericana dei diritti umani ha sostenuto nella sua decisione Coard et al. v. the United States che mentre lapplicazione extraterritoriale della Dichiarazione americana non stata messa in discussione dalle parti, la Commissione trova pertinente notare come, in determinate circostanze, lesercizio della sua giurisdizione su atti con locus extraterritoriale non soltanto non sono coerenti con le norme cui si riferiscono ma non sono neanche richiesti da esse[82].

 

42.  Nellopinione dellUNHCR, il ragionamento adottato dai tribunali e dagli organismi che hanno redatto i trattati nella loro autorevole interpretazione delle disposizioni di diritti umani pertinenti rilevante anche con riferimento al divieto di refoulement in base al diritto internazionale dei rifugiati, data la natura similare degli obblighi e delloggetto e dello scopo dei trattati che formano la loro base giuridica[83].

 

43.  Pertanto, uninterpretazione che restringesse lambito di applicazione dellart. 33(1) della Convenzione del 1951 a comportamenti che si verificano dentro il territorio di uno Stato parte della Convenzione del 1951 e/o del suo Protocollo del 1967 sarebbe contraria ai termini della disposizione, come pure alloggetto e allo scopo del trattato in corso di interpretazione, ma sarebbe anche incoerente con le norme di diritto internazionale dei diritti umani pertinenti. La posizione dellUNHCR pertanto che uno Stato sia vincolato dal suo obbligo derivante dallart. 33(1) della Convenzione del 1951 di non rinviare rifugiati verso un rischio di persecuzione ovunque esso eserciti la propria effettiva giurisdizione. Cos come per gli obblighi di non-refoulement in base al diritto internazionale dei diritti umani, il criterio decisivo non se tali persone si trovano nel territorio dello Stato, quanto piuttosto se esse si trovano sotto leffettivo controllo e autorit di quello Stato.

 

UNHCR, Ginevra

26 gennaio 2007

 

 

 

 

 



* Il presente parere stato redatto in risposta a una richiesta posta allUNHCR circa la sua posizione riguardo allapplicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e al suo Protocollo del 1967. Le opinioni dellUfficio, cos come delineate nel Parere consultivo, vengono affrontate in unampia prospettiva, data la rilevanza delle questioni giuridiche relative a una variet di situazioni che si verificano fuori del territorio nazionale di uno Stato.

[1] La Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951, 189 U.N.T.S. 137, entrata in vigore il 22 aprile 1954 [dora in avanti Convenzione del 1951].

[2] Il Protocollo del 1967 relativo allo status dei rifugiati, 606 U.N.T.S. 267, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 [dora in avanti Protocollo del 1967].

[3] Cfr.: Statute of the Office of the United Nations High Commissioner for Refugees, G.A. Res. 428(V), Annex, U.N. Doc. A/1775, par. 1 (1950). Disponibile in italiano sul sito internet dellUNHCR Italia alla pagina http://www.unhcr.it/images/pdf/statuto_unhcr.pdf.

[4] Ibidem, par. 8(a).

[5] In base allart. I(1) del Protocollo del 1967, gli Stati che aderiscono al Protocollo accettano di applicare gli artt. 2-34 della Convenzione del 1951.

[6] In base a tale disposizione, incorporata anche nellart. 1 del Protocollo del 1967, il termine rifugiato dovr applicarsi a ogni persona che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalit, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui cittadino e non pu o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non pu o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra.

[7] Per esclusione dalla protezione internazionale dei rifugiati si intende il diniego di riconoscere lo status di rifugiato a persone che rientrano nellambito dellarticolo 1A(2) della Convenzione del 1951, ma che non hanno titolo a ricevere protezione in base alla Convenzione perch:

-        stanno ricevendo protezione o assistenza da unagenzia delle Nazioni Unite diversa dallUNHCR (primo paragrafo dellart. 1D della Convenzione del 1951); o perch

-        non hanno bisogno di protezione internazionale perch sono stati riconosciuti dalle autorit di un altro paese nel quale hanno preso residenza e godono dei diritti e degli obblighi derivanti dal possesso della sua nazionalit (art. 1E della Convenzione del 1951); o perch

-        sono considerati non meritevoli di protezione internazionale sulla base di serie ragioni per ritenere che abbiano commesso determinati gravi crimini o atti brutali (art. 1F della Convenzione del 1951).

[8] Cfr.: UNHCR, Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status, 1979, Reedited Geneva 1992, par. 28. La versione italiana Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato disponibile sul sito internet dellUNHCR Italia alla pagina http://www.unhcr.it/index.php?option=com_content&task=view&id=454&Itemid=258.  

[9] Tale affermazione stata ribadita dal Comitato Esecutivo dellUNHCR (ExCom), ad esempio, nella sua Conclusione n. 6 (XXVIII) Non-refoulement (1977), par. (c) (in cui si riaffermava l'importanza fondamentale del rispetto del principio del non respingimento nel caso di persone che rischiano di subire persecuzioni se rinviate nel loro paese di origine, siano esse state o meno formalmente riconosciute come rifugiate). Il Comitato Esecutivo dellUNHCR un gruppo intergovernativo formato da 70 Stati membri delle Nazioni Unite (compresi gli Stati Uniti) e la Santa Sede che fornisce pareri allUNHCR circa lesercizio del suo mandato di protezione. Le Conclusioni dellExCom non sono formalmente vincolanti per gli Stati, ma sono rilevanti per linterpretazione e lapplicazione del regime di protezione internazionale dei rifugiati. Le Conclusioni del Comitato Esecutivo costituiscono espressione di opinioni ampiamente rappresentative della visione della comunit internazionale. La competenza specifica dellExCom e il fatto che le sue Conclusioni siano raggiunte attraverso il consenso aggiunge autorevolezza ai documenti. I testi delle Conclusioni dellExCom sono disponibili in inglese sul sito internazionale dellUNHCR, alla pagina http://www.unhcr.org/doclist/excom/3bb1cd174.html. Una selezione di Conclusioni dellExCom consultabile in italiano sul sito dellUNHCR Italia alla pagina http://www.unhcr.it/index.php?option=com_content&task=view&id=354&Itemid=246.

[10] Il significato dei termini espellere o respingere (refouler) nellart. 33(1) sar discusso nel presente documento nella Parte II.A.

[11] Cfr.: UNHCR, Note on Non-Refoulement (EC/SCP/2), 1977, par. 4. Cfr. inoltre P. Weis, The Refugee Convention, 1951: The Travaux Prparatoires Analysed with a Commentary by Dr. Paul Weis, Cambridge University Press, Cambridge (1995), p. 341.

[12] Cfr.: P. Weis, nota 11, p. 342.

[13] Ci potrebbe comprendere, ad esempio, il trasferimento in un paese terzo sicuro o altre soluzioni quali la protezione o il rifugio temporaneo in alcune circostanze. Cfr.: E. Lauterpacht and D. Bethlehem, The scope and content of the principle of non-refoulement: Opinion, in E. Feller, V. Trk and F. Nicholson (eds.), Refugee Protection in International Law: UNHCRs Global Consultations on International Protection, Cambridge University Press, Cambridge (2003), par. 76.

[14] La Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 definiscono a chi deve essere garantita protezione internazionale e stabiliscono principi chiave come la non penalizzazione dellingresso (art. 31) e il non-refoulement (art. 33). Tali testi tuttavia non stabiliscono procedure per la determinazione dello status di rifugiato. comunque generalmente riconosciuto che eque ed efficienti procedure costituiscono un elemento essenziale ai fini della piena e inclusiva applicazione della Convenzione del 1951 fuori del contesto di situazioni di afflusso in massa. Cfr.: UNHCR, Asylum Processes (Fair and Efficient Asylum Procedures), EC/GC/01/12, 31 May 2001, par. 4–5. Cfr. inoltre: Executive Committee, Conclusion No. 81 (XLVIII) General (1997), par. (h); Conclusion No. 82 (XLVIII), Safeguarding Asylum (1997), par. (d)(iii); Conclusion No. 85 (XLIX), International Protection (1998), par. (q); Conclusion No. 99 (LV), General Conclusion on International Protection (2004), par. (l).

[15] Cfr.: nota 5.

[16] In base alle norme applicabili di diritto internazionale, tale disposizione si applica agli atti, od omissioni, di tutti gli organi, sotto-divisioni e persone che esercitano lautorit governativa nelle sue funzioni legislativa, giudiziaria o esecutiva, e che agiscono in quella capacit in quella particolare istanza, cos come alla condotta di organi posti a disposizione di uno Stato da parte di un altro Stato, anche se essi eccedono nel loro potere o contravvengono alle istruzioni. In conformit con gli artt. 4-8 degli Articoli sulla responsabilit degli Stati, la condotta di una persona o di un gruppo di persone dovr essere considerata un atto dello Stato in base al diritto internazionale se, nel portare avanti tale condotta, la persona o il gruppo di persone stanno di fatto agendo sulla base di istruzioni o sotto la direzione o il controllo di quello Stato (Articles on State Responsibility, artt. 4-8). Gli Articoli sulla responsabilit degli Stati sono stati adottati dalla Commissione Diritto Internazionale senza votazione e con il consenso su praticamente tutti i punti. Gli Articoli e i loro commentari sono stati successivamente trasmessi allAssemblea Generale con la raccomandazione che essa inizialmente tenesse conto degli articoli e ne allegasse il testo in una risoluzione, riservando a una sessione successiva la questione se includere gli articoli in una convenzione sulla responsabilit degli Stati o meno. Cfr.: J. Crawford, The International Law Commissions Articles on State Responsibility: Introduction, Text and Commentary. Cambridge University Press, UK: 2002. LAssemblea Generale ha annesso gli Articoli sulla responsabilit degli Stati alla sua risoluzione 56/83 del 12 dicembre 2001 sulla Responsabilit degli Stati per atti internazionalmente illegittimi.

[17] Per una discussione dettagliata dei criteri che devono essere soddisfatti perch sia applicato lart. 33(2) della Convenzione del 1951, cfr.: E. Lauterpacht and D. Bethlehem nota 13, par. 145-192. Sulleccezione del pericolo per la sicurezza, cfr. anche: Factum of the Intervenor, UNHCR, Suresh v. the Minister of Citizenship and Immigration; the Attorney General of Canada, SCC No. 27790 (dora in avanti: UNHCR, Suresh Factum), in 14:1 International Journal of Refugee Law (2002).

[18] Cfr.: UNHCR, Suresh Factum, nota 17, par. 18–50; E. Lauterpacht e D. Bethlehem, nota 13, par. 159(ii), 166 e 179.

[19] Si veda la discussione sugli obblighi di non-refoulement in base diritto internazionale dei diritti umani nella Parte IB del presente documento.

[20] Si veda, ad esempio, Executive Committee, Conclusion No. 6 (XXVIII), nota 9, par. (c) (che ribadisce che il principio umanitario fondamentale del non-refoulement ha trovato espressione in vari strumenti internazionali adottati a livello universale o regionale e che, in generale, esso accettato dagli Stati.); Conclusion No. 17 (XXXI) Problems of extradition affecting refugees (1980), par (b) (in cui viene riaffermato il carattere fondamentale del principio di non-refoulement generalmente riconosciuto.); Conclusion No. 25 (XXXIII) General (1982), par. (b) (che ribadisce limportanza dei principi di base (fondamentali, basic) della protezione internazionale e in particolare il principio di non-refoulement che stava progressivamente acquisendo il carattere di norma imperativa di diritto internazionale.); Conclusion No. 65 (XLII) General (1981), par. (b) (che evidenzia la primaria importanza del non-refoulement e dellasilo come principi cardine della protezione dei rifugiati); Conclusion No. 68 (XLIII) General (1982), par. (f) (che riafferma limportanza primaria dei principi del non-refoulement e dellasilo come fondamentali per la protezione dei rifugiati); No. 79 (XLVIII) General (1996), par. (j) (dove si ribadisce la fondamentale importanza del principio di non-refoulement); No. 81 (XLVIII), nota 14, par. (i) (che riconosce la fondamentale importanza del principio di non-refoulement); No. 103 (LVI) Provision of International Protection Including Through Complementary Forms of Protection (2005), al punto (m) (nel quale gli Stati vengono esortati a rispettare il fondamentale principio del non-refoulement).

[21] Cfr. ad esempio: A/RES/51/75, 12 febbraio 1997, par. 3; A/RES/52/132, 12 dicembre 1997, nel par. 12 del Preambolo.

[22] La Convenzione dellOUA che disciplina aspetti specifici del problema dei rifugiati in Africa, 1969, 1001 U.N.T.S. 45, entrata in vigore il 20 giugno 1974 [dora in avanti Convenzione OUA del 1969]. Lart. II(3) recita: Nessuno pu essere sottoposto da parte di uno Stato membro a misure quali il rifiuto di ammissione alla frontiera, il respingimento o l'espulsione che lo obbligherebbero a ritornare o a restare in un territorio dove la sua vita, integrit fisica o libert sarebbero minacciate per i motivi enumerati nell'art. I, paragrafi 1 e 2 [che riguarda la persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalit, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche o che sia obbligato ad abbandonare la propria residenza abituale per cercare rifugio da aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell'ordine pubblico].

[23] La Convenzione americana sui diritti umani del 1969 Patto di San Jos, Costa Rica, 1144 U.N.T.S. 123, entrata in vigore il 18 luglio 1978 [dora in avanti AHCR]. Lart. 22(8) dispone: In nessun caso uno straniero pu essere deportato o rinviato in un paese, sia esso o meno il suo paese dorigine, se in quel paese il suo diritto alla vita o alla libert personale in pericolo di essere violata a causa della sua razza, nazionalit, religione, status sociale od opinioni politiche.

[24] Nel contesto dellestradizione, generalmente ci si riferisce a tali disposizioni come clausole di discriminazione. Cfr., ad esempio: art. 3(2) della Convenzione europea sullestradizione del 1957, ETS 024, 359 U.N.T.S. 273, entrata in vigore il 18 aprile 1960 ([Lestradizione non sar concessa] se la Parte richiesta ha motivi seri per credere che la domanda di estradizione per un reato di diritto comune stata presentata con lo scopo di perseguire o di punire un individuo per considerazioni relative a razza, religione, nazionalit od opinioni politiche o che la condizione di questo individuo possa essere aggravata una di queste ragioni); art. 4(5) della Convenzione interamericana sullestradizione del 1981, 20 I.L.M. 723 (1981), entrata in vigore il 28 marzo 1992 (Lestradizione non sar concessa quando, dalle circostanze del caso, si possa dedurre che vi rientri persecuzione per motivi di razza, religione o nazionalit, o che la posizione della persona cercata possa essere pregiudicata per qualsiasi di queste ragioni).

[25] Cfr., ad esempio: art. 9(1) della Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi del 1979, 1316 U.N.T.S. 205, entrata in vigore il 3 giugno 1983 (Una domanda destradizione del presunto autore del reato, presentata in virt della presente Convenzione, verr respinta se lo Stato richiesto ha validi motivi per ritenere: (a) che la richiesta destradizione relativa a un reato previsto allarticolo 1 stata presentata allo scopo di perseguire o punire una persona in considerazione della sua razza, religione, nazionalit, origine etnica o delle sue opinioni politiche; oppure (b) che la posizione di questa persona rischia di essere aggravata: (i) per una qualsiasi delle ragioni enunciate al capoverso (a) del presente paragrafo). Cfr. anche: art. 12 della Convenzione internazionale per la soppressione degli attentati terroristici del 1997, 37 I.L.M. 249 (1998), entrata in vigore il 23 maggio 2001 (Nessuna parte della presente Convenzione dovr essere interpretata come imporre un obbligo di estradare o di offrire assistenza legale reciproca, se lo Stato parte richiesto ha motivi fondati per ritenere che la richiesta di estradizione per reati previsti nellart. 2 o per assistenza legale reciproca rispetto a tali reati stata inoltrata allo scopo di perseguire o punire una persona in considerazione della sua razza, religione, nazionalit, origine etnica od opinione politica o che il soddisfare tale richiesta causerebbe pregiudizio alla posizione di quella persona per una di queste ragioni) e la disposizione quasi identica dellart. 15 della Convenzione internazionale per la soppressione del finanziamento del terrorismo del 1999, 39 I.L.M. 270 (2000), entrata in vigore il 10 aprile 2002; art. 5 della Convenzione europea sulla soppressione del terrorismo del 1977, ETS 090, 1137 U.N.T.S. 93, entrata in vigore il 4 agosto 1978; art. 14 della Convenzione interamericana contro il terrorismo del 2002, 42 I.L.M. 19 (2003), entrata in vigore il 7 ottobre 2003.

[26] Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati, 22 novembre 1984, Rapporto annuale della Commissione interamericana dei diritti umani, OAS Doc. OEA/Ser.L/V/II.66/doc.10, rev. 1, at 190-93 (1984-85) [dora in avanti Dichiarazione di Cartagena]. La Conclusione contenuta nella sezione III(5) enuncia: Riaffermare l'importanza e il significato del principio del non-respingimento (compresso il divieto di respingimento alla frontiera) come pietra angolare della protezione internazionale dei rifugiati. Seppur non vincolanti giuridicamente, le disposizioni della Dichiarazione di Cartagena sono state incorporate nella legislazione di numerosi Stati dellAmerica Latina.

[27] A/RES/2132 (XXII), 14 dicembre 1967, allart. 3 (Nessuna persona cui si fatto riferimento nellart. 1 par. 1, dovr essere soggetta a misure quali il respingimento alla frontiera o, se gi entrata nel territorio in cui cerca asilo, espulsione o ritorno obbligatorio in qualsiasi Stato nel quale potrebbe essere soggetto a persecuzione). Cfr. anche: Risoluzione (67) 14 sullasilo a persone in pericolo di persecuzione, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio dEuropa il 29 giugno 1967, par. 2 (che raccomanda che i Governi dovrebbero garantire [] che nessuno sia soggetto al rifiuto di ammissione alla frontiera, respingimento, espulsione o ogni altra misura che avrebbe il risultato di obbligarlo a ritornare, o a rimanere, in un territorio nel quale sarebbe in pericolo di persecuzione).

[28] Art. 38(1) dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, 59 Stat. 1031, 1060 (1945).

[29] Cfr: International Court of Justice, North Sea Continental Shelf, Judgment, 1969 ICJ Reports, pag. 3, par. 74. Cfr. inoltre: International Court of Justice, Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America), Jurisdiction and Admissibility, 1984 ICJ Reports, pag. 392, par. 77.

[30] Cfr.: UNHCR, The Principle of Non-Refoulement as a Norm of Customary International Law, Response to the Questions posed to UNHCR by the Federal Constitutional Court of the Federal Republic of Germany in cases 2 BvR 1938/93, 2 BvR 1953/93, 2 BvR 1954/93 (disponibile sul sito internazionale dellUNHCR alla pagina: http://www.unhcr.org/home/RSDLEGAL/437b6db64.html); UNHCR, Note on the Principle of Non-Refoulement (EU Seminar on the Implementation of the 1995 EU Resolution on Minimum Guarantees for Asylum Procedures), 1 novembre 1997 (http://www.unhcr.org/home/RSDLEGAL/438c6d972.html). Si veda inoltre: New Zealand Court of Appeal, Zaoui v. Attorney General, 30 settembre 2004, (No 2) [2005] 1 NZLR 690, par. 34 (Il divieto di refoulement, contenuto nellart. 33.1 della Convenzione sui rifugiati, generalmente considerato una parte del diritto internazionale consuetudinario, le norme (non scritte) di diritto internazionale cogenti per tutti gli Stati, che sorgono quando gli Stati seguono determinate pratiche in maniera generalizzata e coerente al di fuori di un senso di obbligo giuridico) e par. 136 (La Convenzione sui rifugiati intesa a proteggere i rifugiati dalla persecuzione e lobbligo di non-refoulement centrale per tale funzione. Non derogabile ai sensi dellart. 42.1 e, come discusso in precedenza al par. [34] diventata parte del diritto internazionale consuetudinario). Cfr. anche: E. Lauterpacht e D. Bethlehem, nota 13, par. 193-219; G. Goodwin-Gill, The Refugee in International Law, 2a edizione, Oxford University Press (1996), pag. 167-171.

[31] Il divieto di refoulement dei rifugiati in base al diritto internazionale consuetudinario si applica anche, nel caso di rifugiati non europei, negli Stati che hanno aderito alla Convenzione del 1951 ma che mantengono la limitazione geografica prevista nellart. 1B(1) della Convenzione.

[32] il caso, ad esempio, di Bangladesh, India, Pakistan e Thailandia.

[33] Cfr.: par. 8 dello Statuto dellUNHCR, art. 35 della Convenzione del 1951 e art. II del Protocollo del 1967 (cfr. anche nota 3).

[34] Come evidenziato dalla Corte Internazionale di Giustizia in Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. U.S.), Merits, 1986 ICJ Reports, pag. 14, par. 186, per dedurre lesistenza di norme consuetudinarie, la Corte considera sufficiente che la condotta degli Stati sia, in generale, coerente con tali norme e che le istanze della condotta di uno Stato contrarie a una determinata norma siano generalmente trattate come violazioni di tale norma, non come indicazioni del riconoscimento di una nuova norma. Se uno Stato agisce secondo modalit prima facie incompatibili con una norma riconosciuta, ma difende il proprio comportamento facendo appello a eccezioni o giustificazioni contemplate allinterno della stessa norma, che la condotta dello Stato sia giustificabile o meno su quella base, il significato di tale atteggiamento quello di confermare la norma, piuttosto che di indebolirla.

[35] Dichiarazione degli Stati parte della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 adottata al Meeting ministeriale degli Stati parte del 12-13 dicembre 2001, HCR/MMSP/2001/09, 16 gennaio 2002 (disponibile sul sito internazionale dellUNHCR alla pagina http://www.unhcr.org/home/RSDLEGAL/3d60f5557.pdf) nel par. 4 del Preambolo. In precedenza, il Comitato Esecutivo dellUNHCR aveva osservato che il principio di non-refoulement stava progressivamente acquisendo il carattere di norma imperativa di diritto internazionale. Cfr. Conclusione del Comitato Esecutivo n. 25 (XXXIII), nota 20, par. (b). In conformit con lart. 53 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, 1155 U.N.T.S. 331, entrata in vigore il 27 gennaio 1980 [dora in avanti Convenzione di Vienna del 1969], le norme imperative di diritto internazionale generale, o jus cogens, sono norme accettate e riconosciute dalla comunit internazionale degli Stati come un insieme di norme alle quali non permessa deroga e che possono essere modificate solo da una successiva norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. In base allart. 64 della Convenzione di Vienna del 1969, le norme imperative di diritto internazionale prevalgono sulle disposizioni dei trattati.

[36] Dichiarazione del Messico e Piano dazione per il rafforzamento della protezione internazionale dei rifugiati in America Latina del 16 novembre 2004 (disponibile sul sito internazionale dellUNHCR alla pagina http://www.unhcr.org/home/RSDLEGAL/424bf6914.pdf), nel par. preliminare 7 (Riconoscendo la natura di jus cogens del principio di non-refoulement, compreso il non respingimento alla frontiera, la pietra angolare del diritto internazionale dei rifugiati, contenuto nella Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e nel suo Protocollo del 1967, ed enunciata anche nellart. 22(8) della Convenzione americana sui diritti umani e nellart. 3 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984, ). Cfr. anche: Sezione III(5) della Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati del 1984, nota 26 ( [Il] principio [di non-refoulement] imperativo nei confronti dei rifugiati e allo stato attuale del diritto internazionale dovrebbe essere riconosciuto e osservato come una norma di jus cogens).

[37] Il diritto alla vita garantito dallart. 6 dellICCPR e, ad esempio, dallart. 2 della Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e delle libert fondamentali, ETS 005, 213 U.N.T.S. 222, entrata in vigore il 3 settembre 1953 [dora in avanti EHCR]; art. 4 ACHR; art. 4 della Carta africana (Banjul) sui diritti umani e dei popoli, 21 I.L.M. 58 (1982), entrata in vigore il 21 ottobre 1986 [dora in avanti Carta di Banjul].

[38] Il diritto ad essere liberi dalla tortura garantito dallart. 1 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984 e dallart. 2 della Convenzione interamericana per la prevenzione e la punizione della tortura, 25 I.L.M. 519 (1992), entrata in vigore il 28 febbraio 1987. Lart. 16 della Convenzione contro la tortura proibisce altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Una proibizione della tortura e di altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti sancita nellart. 7 dellICCPR e da disposizioni in trattati regionali sui diritti umani, come ad esempio lart. 3 della ECHR; lart. 5(2) della ACHR; o lart. 5 della Carta di Banjul.

[39] Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984, 1465 U.N.T.S. 85, entrata in vigore il 26 giugno 1987 [dora in avanti. Convenzione contro la tortura].

[40] Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, 999 U.N.T.S. 171, entrato in vigore il 23 marzo 1976 [dora in avanti. ICCPR].

[41] Con riferimento allambito degli obblighi derivanti dallart. 7 dellICCPR, cfr. Human Rights Committee in its General Comment No. 20: Article 7 (Prohibition of torture, or other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment), 10 marzo 1992, U.N. Doc. HRI/ GEN/1/Rev.7, par. 9 (Gli Stati parte non devono esporre gli individui al pericolo di tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti al ritorno in un altro paese a seguito della loro estradizione, espulsione o refoulement); e General Comment No. 31 on the Nature of the General Legal Obligation on States Parties to the Covenant, U.N. Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.13, 21 aprile 2004, par. 12. Analogamente, nel suo General Comment No. 6 (2005) on the Treatment of unaccompanied and separated children outside their country of origin, U.N. Doc. CRC/GC/2005/6, 3 giugno 2005, il Comitato sui diritti del fanciullo ha dichiarato che gli Stati parte della Convenzione sui diritti del fanciullo [] non dovranno rinviare un minore in un paese dove vi siano fondati motivi per ritenere che vi sia un reale rischio di danno irreparabile al minore, quali, ma assolutamente non solo, quelli contemplati negli articoli 6 [diritto alla vita] e 37 [diritto di essere liberi da tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti e diritto di non essere arbitrariamente privato della libert] della Convenzione (par. 27).

[42] Cfr., ad esempio, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, che ha sostenuto che il non-refoulement sia un obbligo inerente in base allart. 3 della ECHR in casi in cui vi sia un reale rischio di esposizione a tortura, pene o trattamenti disumani o degradanti, tra cui in particolare, le decisioni della Corte in Soering v. United Kingdom, Application No. 14038/88, 7 luglio 1989 e casi successivi, tra cui Cruz Varas v. Sweden, Application No. 15567/89, 20 marzo 1991; Vilvarajah et al. v. United Kingdom, Application No. 13163/87 et al., 30 ottobre 1991; Chahal v. United Kingdom, Application No. 22414/93, 15 novembre 1996; Ahmed v. Austria, Application No. 25964/94, 17 dicembre 1996; TI v. United Kingdom, Application No. 43844/98 (Ammissibilit), 7 marzo 2000. Per le Americhe, cfr. ad esempio art. 22(8) della ACHR del 1969 (in nessun caso uno straniero pu essere deportato o rinviato in un paese, sia esso il suo paese dorigine o meno, se in quel paese il suo diritto alla vita o alla libert personale sia in pericolo di essere violato a causa della sua razza, nazionalit, religione, status sociale od opinioni politiche) o art. 13(4) della Convenzione interamericana sulla prevenzione e la punizione della tortura del 1985 (Lestradizione non dovr essere garantita n la persona cercata dovr essere rinviata quando vi siano ragioni per ritenere che la sua vita sia in pericolo, che egli sar soggetto a tortura o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o che sar processato da un tribunale speciale o ad hoc nello Stato che inoltra la richiesta).

[43] Per gli Stati parte dellICCPR, ci stato reso esplicito dal Comitato diritti umani nel suo General Comment No. 31, nota 41, par. 10 ( Il godimento dei diritti del Patto non limitato ai cittadini degli Stati parte ma deve anche essere disponibile per tutti gli individui, senza distinzioni di nazionalit o apolidia, quali richiedenti asilo, rifugiati, lavoratori migranti e altre persone, che potrebbero trovarsi nel territorio o soggette alla giurisdizione dello Stato parte). Cfr. anche la Parte IIB del presente documento.

[44] Cfr.: Human Rights Committee, General Comment No. 31, nota 41, par. 12. Cfr. anche: nota 41.

[45] Cfr., ad esempio, Human Rights Committee, General Comment No. 29 on States of Emergency (Article 4), U.N. Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.11, 31 agosto 2001, par. 11; Human Rights Committee, Concluding Observations/Comments on Canada, U.N. Doc. CCPR/C/CAN/CO/5, 2 novembre 2005, par. 15; Committee Against Torture, Gorki Ernesto Tapia Paez v. Sweden, U.N. Doc. CAT/C/18/D/39/1996, 28 aprile 1997, par. 14.5. La natura assoluta del divieto di refoulement verso un rischio di tortura e alter forme di maltrattamento ai sensi dellart. 3 della ECHR stata affermata dalla Corte europea dei diritti umani, ad esempio, in Chahal v. United Kingdom, nota 41.

[46] Cfr. ad esempio, Committee Against Torture, Agiza v. Sweden, U.N. Doc. CAT/C/34/D/233/2003, 20 maggio 2005; Human Rights Committee, Alzery v. Sweden, U.N. Doc. CCPR/C/88/D/1416/2005, 10 novembre 2006; Inter-American Commission on Human Rights, Report on the Situation of Human Rights of Asylum-Seekers within the Canadian Refugee Determination System, 28 febbraio 2000, par. 154. Cfr. anche: United Nations Commission on Human Rights, Resolution 2005/80 of 21 aprile 2005 su protezione dei diritti umani e libert fondamentali duarnte la lotta al terrorismo; Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 1456 (2003) del 20 gennaio 2003, 1535 (2004) del 26 marzo 2004, 1624 (2004) del 14 settembre 2005, la Dichiarazione su misure intese a eliminare il terrorismo internazionale (allegato alla risoluzione dellAssemblea Generale 49/60 del 9 dicembre 1994), la Dichiarazione integrativa della Dichiarazione Dichiarazione su misure intese a eliminare il terrorismo internazionale (allegato alla risoluzione dellAssemblea Generale 51/210 del 17 dicembre 1996), il Documento finale del World Summit 2005 (risoluzione dellAssemblea Generale 60/1 del 16 settembre 2005) e il Piano dazione annesso alla Strategia globale delle Nazioni Unite anti-terrorismo adottato dallAssemblea Generale l8 settembre 2006 (A/RES/60/288).

[47] Il diritto internazionale dei diritti umani non cessa di applicarsi in caso di conflitto armato, eccetto quando uno Stato abbia derogato ai suoi obblighi in conformit con le pertinenti disposizioni dei trattati internazionali sui diritti umani applicabili (ad esempio, art. 4 dellICCPR). Nel determinare cosa debba essere considerata una violazione dei diritti umani, deve essere prestata attenzione al diritto umanitario internazionale, che agisce da lex specialis ai diritti umani internazionali in periodi di conflitto armato. Ci stato confermato, inter alia, dalla Corte internazionale di giustizia nel suo Advisory Opinion on the Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, 8 luglio 1996, par. 25; e dalla sentenza del 19 dicembre 2005 in Case concerning Armed Activities on the Territory of the Congo (Democratic Republic of the Congo v. Uganda), par. 215-219. Cfr. anche, ad esempio, Concluding Observations of the Human Rights Committee, United States of America, U.N. Doc. CCPR/C/USA/CO/3, 15 settembre 2006, par. 10; Human Rights Committee, General Comment No. 31, nota 41, par. 11; cfr. inoltre Conclusions and recommendations of the Committee against Torture concerning the second report of the United States of America, U.N. Doc. CAT/C/USA/CO/2, 25 luglio 2006 par. 14.

[48] Cfr. ad esempio, Human Rights Committee, General Comment No. 29: Article 4: Derogations during a State of Emergency, U.N. Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.11, 31 agosto 2001, par. 11 (La proclamazione di determinate disposizioni del Patto in quanto di natura non derogabile, nellart. 4, par. 2, devono essere viste come parziale riconoscimento del carattere imperativo di alcuni fondamentali diritti garantiti in forma di trattato nel Patto (ad esempio, gli artt. 6 e 7)); cfr. inoltre le decisioni del Tribunale Criminale Internazionale per la Ex Jugoslavia (ICTY) in Prosecutor v Delalic and Others, Trial Chamber, Sentenza del 16 novembre 1998, par. 454; Prosecutor v. Furundzija, Trial Chamber, Judgement of 10 December 1998, par. 134-164; Prosecutor v. Kunarac and Others, Trial Chamber, Sentenza del 22 febbraio 2001, par. 466. Cfr. anche: la sentenza della Camera dei Lord in Pinochet Ugarte, re. [1999] 2 All ER 97, par. 108-109. Cfr. inoltre, ad esempio, Filartiga v. Pena Irala, 630 F.2d 876 (2d. Cir. 1980).

[49] Cfr. Human Rights Committee, General Comment No. 24: Issues relating to reservations made upon ratification or accession to the Covenant or the Optional Protocols thereto, or in relation to declarations under Article 41 of the Covenant, U.N. Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.6, 4 novembre 1994, par. 8 (le disposizioni del Patto che costituiscono diritto internazionale consuetudinario (e a maggior ragione quando hanno il carattere di norme imperative) potrebbero non essere soggette a riserve. Di conseguenza, uno Stato non potrebbe riservarsi il diritto di attuare tortura, di sottoporre persone a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, di privare arbitrariamente persone della loro vita).

[50] Cfr. ad esempio, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani riferita a nota 42; cfr. inoltre art. 19(2) della Carta europea dei diritti fondamentali, [2000] OJ C364; e par. 13 del Preambolo della Decisione quadro del Consiglio dEuropa del 13 giugno 2002 sul mandato di arresto europeo e sulle procedure di consegna tra Stati Membri, 2002/584/JHA.

[51] Cfr. nota 35 [dora in avanti, Convenzione di Vienna del 1969]. La Convenzione di Vienna del 1969 generalmente considerata come enunciare norme che costituiscono diritto internazionale consuetudinario.

[52] Lart. 31(1) della Convenzione di Vienna del 1969 enuncia: Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

[53] Lart. 31(3) della Convenzione di Vienna del 1969 dispone che nellinterpretare un trattato: si terr conto, oltre che del contesto: (b) di qualsiasi prassi successivamente seguita nell'applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo; (c) di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti.

[54] In una decisione che affrontava lapplicabilit inter alia dellart. 33(1) della Convenzione del 1951 al rinvio ad Haiti di persone intercettate in mare aperto da imbarcazioni della guardia costiera statunitense, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha determinato che lart. 33(1) della Convenzione del 1951 applicabile solo a persone che si trovano allinterno del territorio degli Stati Uniti (Sale, Acting Commissioner, Immigration and Naturalization Service, et al., Petitioners v. Haitian Centers Council, Inc., et. al., 509 U.S. 155 (1993)). Per le ragioni esposte nel presente Parere, lUNHCR dellopinione che il parere di maggioranza della Corte Suprema in Sale non rifletta accuratamente lambito dellart. 33(1) della Convenzione del 1951. Cfr. inoltre Inter-American Commission on Human Rights in The Haitian Centre for Human Rights et al. v. United States, nota 42, par. 157 (la Commissione condivide lopinione avanzata dallAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati nel suo intervento in qualit di Amicus Curiae nelle sue argomentazioni davanti alla Corte Suprema, sul fatto che lart. 33 non ha limitazione geografica).

[55] Per la versione inglese, cfr: Merriam-Webster Online Dictionary, 10ma edizione, disponibile alla pagina: http://www.m-w.com/cgi-bin/dictionary?book=Dictionary&va=return. In italiano, si veda il dizionario della lingua italiana De Mauro, alla pagina http://www.demauroparavia.it/96921.  

[56] Ci stato evidenziato anche dalla maggioranza della Corte Suprema degli Stati Uniti in Sale, nota 54 (par. 181) che, comunque, prosegue affermando che rinvio significa un atto difensivo di resistenza o lesclusione alla frontiera piuttosto che latto di trasportare qualcuno in una determinata destinazione (182), e che poich nel testo dellart. 33 non pu essere ragionevolmente letto assolutamente nulla circa le azioni di una nazione nei confronti di uno straniero al di fuori del proprio territorio, esso non proibisce tali azioni (183). Come evidenziato da Blackmun J. nella sua opinione dissenziente nei confronti di Sale, nota 54, la sconcertante deduzione della maggioranza (refouler significa repellere o portare indietro, pertanto il rinvio significa solo escludere alla frontiera, pertanto il trattato non si applica) difficilmente giustifica una differenziazione dal tracciato del significato comune. Il testo dellart. 33(1) chiaro e, che il termine operativo sia rinviare o respingere (refouler), esso vieta lazione da parte del Governo (192-193).

[57] A sostegno della sua deduzione sul fatto che lart. 33(1) non si applica al di fuori del territorio di uno Stato, la maggioranza della Corte Suprema degli Stati Uniti in Sale, nota 54, si basata sulle dichiarazioni di diversi delegati coinvolti nella redazione della Convenzione del 1951. Tuttavia tali dichiarazioni erano espressioni di preoccupazione relative a possibili obblighi di riconoscere lasilo a ingenti numeri di persone arrivate nellambito di situazioni di afflusso in massa. Nellopinione dellUNHCR, queste porzioni della storia dei negoziati non giustificano la conclusione che i redattori della Convenzione del 1951 raggiunsero consenso sullimplicita restrizione dellambito territoriale del principio di non-refoulement enunciato dallart. 33(1). Cfr. anche: UNHCR, The Principle of Non-Refoulement as a Norm of Customary International Law, nota 30.

[58] Cfr.: Sale, nota 54, ai punti 179-180.

[59] Cfr. anche lopinione dissenziente di Blackmun J. in Sale, nota 54, al punto 194 (lungi dal costituire unassurda anomalia [], il fatto che a uno stato sia consentito di espellere o rinviare una ristretta categoria di rifugiati trovati allinterno del proprio territorio ma che non potrebbe catturare e rinviare chi resta fuori delle sue frontiere esprime con precisione gli obiettivi e le preoccupazioni della Convenzione. Il non rinviare la regola; la sola e unica eccezione (n applicabile, n invocata in questo caso) che una nazione messa in pericolo dalla stessa presenza di un rifugiato potrebbe espellerlo o rinviarlo verso un paese non sicuro, se cos sceglie. La tautologica osservazione sul fatto che solo un rifugiato che si trova gi nel paese pu costituire un pericolo per il paese nel quale egli si trova non dimostra nulla).

[60] Ad esempio, gli artt. 2, 4 e 27 richiedono la semplice presenza di un rifugiato nel paese ospitante, mentre gli artt. 18, 26 e 32 richiedono che egli o ella sia legalmente sul territorio di uno Stato contraente, mentre gli artt. 15, 17(1), 19, 21, 23, 24 e 28 si applicano a rifugiati che stanno soggiornando legalmente nel paese in cui hanno cercato rifugio.

[61] Uno dei diritti fondamentali contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, Risoluzione dellAssemblea Generale 217A (III), U.N. Doc. A/810 at 71 (1948), il diritto di ognuno di cercare e beneficiare in altri paesi di asilo dalla persecuzione ai sensi dellart. 14.

[62] Conformemente allart. 32 della Convenzione di Vienna del 1969, nota 36, il ricorso ai lavori preparatori costituisce uno strumento supplementare per linterpretazione dei trattati ed consentito solo nel caso in cui il significato del linguaggio del trattato sia ambiguo od oscuro; o quando linterpretazione in conformit con le norme generali definite nellart. 31 della Convenzione di Vienna del 1969 conduce a un risultato che manifestamente assurdo o irragionevole. Costituisce un principio acquisito il fatto che quando il significato del trattato chiaro dal suo testo una volta messo in relazione con il suo contesto, oggetto e finalit, fonti supplementari sono non necessarie e non applicabili, e il ricorso a tali fonti da scoraggiare. Cfr., ad esempio, International Court of Justice, Interpretation of the Treaty of Lausanne, P.C.I.J., Ser. B, No. 12 (1925), punto 22; il Lotus Case, P.C.I.J., Ser. A, No. 10 (1927), punto 16; Admission to the United Nations Case, 1950 ICJ Reports 8. Pertanto, mentre lUNHCR ritiene che il ricorso alla storia della stesura dellart. 33(1) della Convenzione del 1951 non sia necessario data la terminologia non ambigua di questa disposizione, i lavori preparatori sono tuttavia di interesse ai fini di chiarire il contesto, il contenuto e lambito dellart. 33(1).

[63] Ad Hoc Committee on Statelessness and Related Problems, Status of Refugees and Stateless Persons – Memorandum by the Secretary General, U.N. Document E/AC.32/2, 3 gennaio 1950, Commenti allart 24 della stesura preliminare, par. 3.

[64] Dichiarazione del Sig. Henkin degli Stati Uniti, U.N. Doc. E/AC.32/SR.20, Feb 1, 1950, par. 54-55.

[65] U.N. Doc. E/AC.32/SR.20, par. 56.

[66] Statement of the Chairman, Mr. Chance of Canada, U.N. Doc. E/AC.32.SR.21, 2 febbraio 1950, pag. 7. Il Presidente poi invit i rappresentanti del Belgio e degli Stati Uniti a conferire con lui per cercare di preparare un testo adatto per una valutazione successiva.

[67] Cfr. nota 53.

[68] Cfr., ad esempio, Comitato Esecutivo, Conclusione n. 6 (XXVIII), nota 9, par. (c) (che riafferma l'importanza fondamentale del rispetto del principio del non-refoulement - tanto alla frontiera quanto dal territorio di uno Stato ); Conclusione n. 15 (XXX) Rifugiati senza paese dasilo (1979) par. (b) e (c) (dove si afferma che Ogni misura, in base alla quale un rifugiato obbligato a ritornare o rinviato in un paese ove abbia motivo di temere persecuzioni, costituisce una grave violazione del principio riconosciuto del non-refoulement e notando che ҏ l'obbligo umanitario di permettere alle navi in pericolo di cercare rifugio nelle loro acque e di concedere asilo o almeno rifugio provvisorio alle persone a bordo che desiderano chiedere asilo.); Conclusione n. 22 (XXXII) Protezione dei richiedenti asilo nel caso di afflusso in massa (1981), II.A.2. (In tutti i casi, il principio fondamentale di non-respingimento - compreso il non-rifiuto di ammissione alla frontiera - deve essere scrupolosamente osservato); Conclusione n. 53 (XXXIX) Passeggeri clandestini richiedenti asilo (1988), par. (1) (che dispone inter alia che Alla pari degli altri richiedenti asilo, i passeggeri clandestini richiedenti asilo devono essere protetti contro il ritorno forzato nel paese di origine).

[69] Tra questi, in particolare, la Convenzione OUA del 1969 (cfr. nota 22); la AHCR del 1969 (cfr. nota 23); e la Convenzione contro la tortura (cfr. nota 39). Cfr. inoltre le espressioni del principio di non-refoulement in testi non vincolanti, quali la Dichiarazione di Cartagena del 1984 (cfr. nota 26); la Dichiarazione sullasilo territoriale del 1967 adattata dallAssemblea Generale (cfr. nota 27); e la Risoluzione (67) 14 del Comitato dei Ministri del Consiglio dEuropa (cfr. nota 27).

[70] La complementariet tra obblighi di non-refoulement in base al diritto internazionale dei rifugiati e il diritto dei diritti umani stata evidenziata, ad esempio, nella Dichiarazione del Messico e Piano dAzione per il rafforzamento della protezione internazionale dei rifugiati in America Latina del 16 novembre 2004, il cui testo consultabile in inglese sul sito web internazionale dellUNHCR alla pagina http://www.unhcr.org/home/RSDLEGAL/424bf6914.pdf). Questa dichiarazione stata adottata dagli Stati dellAmerica Latina partecipanti allincontro di celebrazione del ventesimo anniversario della Dichiarazione di Cartagena del 1984. Cfr. anche Comitato Esecutivo, Conclusione n. 79 (XLVII), nota 20; n. 81 (XLVII) Generale (1997); Conclusione n. 82 (XLVIII) Garantire lasilo (1997), che fanno specifico riferimento al divieto di rinviare verso la tortura come stabilito nella Convenzione contro la tortura, e Comitato esecutivo, Conclusione n. 95 (LIV) Conclusione generale sulla protezione internazionale (2003), par. (l) (che nota la natura complementare del diritto internazionale dei rifugiati e del diritto dei diritti umani, cos come il possibile ruolo dei meccanismi di diritti umani delle Nazioni Unite in questarea ).

[71] Commentario Generale n. 31, nota 41, par. 10.

[72] Cfr. le decisioni del Comitato Diritti Umani in Lopez Burgos v. Uruguay, U.N. Doc. CCPR/C/13/D/52/1979, 29 luglio 1981, par. 12.3; In entrambe le decisioni, il Comitato Diritti Umani ha inoltre sostenuto che sarebbe eccessivo interpretare in questo modo la responsabilit derivante dallart. 2 del Patto in modo da consentire a uno Stato parte di commettere violazioni del Patto sul territorio di un altro Stato, violazioni che non potrebbe perpetrare sul proprio territorio. Cfr. anche la decisione del Comitato Diritti Umani in Pereira Montero v. Uruguay, U.N. Doc. CCPR/C/18/D/106/1981, 31 marzo 1983, par. 5.

[73] Cfr. ad esempio, Concluding Observations of the Human Rights Committee, United States of America, U.N. Doc. CCPR/C/79/Add.50, 3 ottobre 1995, par. 284. Nel 2006 il Comitato Diritti Umani ha inoltre riaffermato lapplicabilit delle disposizioni dellICCPR con riferimento al comportamento degli Stati Uniti a Guantnamo Bay. Cfr. Observations of the Human Rights Committee, United States of America, nota 47, par. 10. Cfr. inoltre Concluding Observations of the Human Rights Committee, Israel, U.N. Doc. CCPR/C/79/Add.93, 18 agosto 1998, par. 10 e U.N. Doc. CCPR/CO/78/ISR, 21 agosto 2003, par. 11.

[74] Cfr. il Parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia in Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, (2004) ICJ Gen. List No. 131, 9 luglio 2004, par. 111. Si veda inoltre la recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia in Case Concerning Armed Activities on the Territory of the Congo (DRC v. Uganda), (2005) ICJ Gen. List No. 116, 19 dicembre 2005, par. 216.

[75] Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, nota 74, par. 109.

[76] Cfr. ad esempio, Comitato contro la tortura, Conclusioni e raccomandazioni del Comitato contro la tortura riguardanti il secondo rapporto degli Stati Uniti dAmerica, nota 47. Avendo richiesto le opinioni degli Stati parte sullapplicabilit extraterritoriale dellart. 3 della Convenzione contro la tortura nel contesto di Guantnamo Bay, il Comitato ha espresso la propria preoccupazione (che lo Stato parte consideri che lobbligo di non-refoulement, in base allart. 3 della Convenzione, non si estenda a persone detenute fuori del proprio territorio. Lo Stato parte dovrebbe applicare la garanzia di non-refoulement a tutti i detenuti in sua custodia, , al fine di assolvere ai suoi obblighi derivanti dallart. 3 della Convenzione. ) (par. 20).

[77] Id., par. 15. Ci si applica, inter alia, allart. 16 della Convenzione contro la tortura, che proibisce atti di pena o trattamento crudele, disumano o degradante che non equivalgono a tortura cos come viene definita nellart. 1 della Convenzione.

[78] Bankovic et al. v. Belgium and 16 other contracting States (Admissibility), Application No. 52207/99, 12 dicembre 2001, par. 59.

[79] Id., par. 71. Cfr. anche Loizidou v. Turkey (Preliminary Objections), Application No. 15318/89, Sentenza del 23 febbraio 1995, Series A, No. 310, par. 62 (In tale contesto la Corte richiama che, sebbene lart. 1 (art.1) stabilisca limiti sullestensione della Convenzione, il concetto di giurisdizione ai sensi di questa disposizione non ristretto al territorio nazionale delle Alte Parti Contraenti. [] La responsabilit delle Parti Contraenti pu essere coinvolta, poich atti della loro autorit, siano essi compiuti allinterno o allesterno dei confini nazionali, producono effetti fuori del loro stesso territorio).

[80] calan v. Turkey (Preliminary Objections), Application No. 46221/99, Sentenza del 12 marzo 2003, par. 93 (lex leader del PKK stato arrestato dalle autorit keniane e consegnato a funzionari turchi operativi in Kenya). Cfr. anche Ilascu and Others v. Russia and Moldova, Application No. 48787/99, Sentenza dell8 luglio 2004, par. 382-394 (in cui si ritiene che i querelanti rientravano nella giurisdizione della Federazione Russa e che la responsabilit della Federazione Russa per atti che si svolgevano nel territorio della Moldova era coinvolta a seguito del comportamento dei suoi stessi soldati sul luogo, cos come dalle autorit della Transdniestria, sulla base del sostegno fornito dalla Russia a questultima).

[81] Issa and Ors v. Turkey, Application No. 3821/96, Sentenza del 16 novembre 2004, par. 71, con riferimenti, inter alia, a decisioni del Comitato Diritti Umani e della Commissione interamericana dei diritti umani.

[82] Coard et al. v. the United States, Case No. 10.951, Report No. 109/99, 29 settembre 1999, par. 37.

[83] Come rilevato dalla Commissione diritto internazionale nel suo Rapporto della cinquantottesima sessione (1 maggio - 9 giugno e 3 luglio - 11 agosto), U.N. Doc. A/61/10, p. 414-415, Lart. 31(3)(c) [della Convenzione di Vienna, nota 36] richiede anche allinterprete di considerare altre norme basate sui trattati al fine di pervenire ad un significato coerente. Tali altre norme sono di particolare rilevanza quando le parti del trattato in corso di interpretazione sono anche parti dellaltro trattato, quando la norma del trattato diventata o esprime diritto internazionale consuetudinario o quando esse forniscono evidenza del comune intendimento delle parti sulloggetto e lo scopo del trattato che si sta interpretando o sul significato di un determinato termine.