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61993J0317

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Titolo e riferimento

Sentenza della Corte del 14 dicembre 1995.

Inge Nolte contro Landesversicherungsanstalt Hannover.

Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sozialgericht di Hannover - Germania.

Parità di trattamento tra uomini e donne in materia previdenziale - Art. 4, n. 1, della direttiva 79/7/CEE - Esclusione dei lavori minori dall'assicurazione obbligatoria invalidità e vecchiaia.

Causa C-317/93.

  raccolta della giurisprudenza 1995 pagina I-04625

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Dottrina

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Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


++++

1. Politica sociale ° Parità di trattamento tra uomini e donne in materia previdenziale ° Ambito di applicazione ratione personae della direttiva 79/7 ° Popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva ° Persone che occupano un impiego caratterizzato da un limitato orario e da una ridotta retribuzione ° Inclusione

(Direttiva del Consiglio 79/7/CEE, art. 2)

2. Politica sociale ° Parità di trattamento tra uomini e donne in materia previdenziale ° Direttiva 79/7 ° Normativa nazionale che esclude dal regime legale di assicurazione vecchiaia gli impieghi minori con orario normale inferiore alle quindici ore settimanali e con retribuzione non superiore a un settimo della retribuzione mensile media ° Normativa che interessa principalmente le donne ° Giustificazione oggettiva ° Ammissibilità

(Direttiva del Consiglio 79/7, art. 4, n. 1)

Massima


1. La direttiva 79/7, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, va interpretata nel senso che le persone che occupano impieghi definiti minori, perché con orario normale inferiore alle quindici ore settimanali e con retribuzione non superiore a un settimo della retribuzione mensile media, fanno parte della popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva e rientrano quindi nel suo ambito di applicazione.

Il fatto che una persona tragga dalla propria attività professionale solo un reddito limitato, che non le consente di provvedere alle proprie necessità, non può infatti, per il diritto comunitario, privare l' interessato della qualifica di lavoratore, né escluderlo dalla popolazione attiva.

2. L' art. 4, n. 1, della direttiva 79/7, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, dev' essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che escluda dal regime legale di assicurazione vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della retribuzione mensile media, anche se interessa un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini, allorché il legislatore nazionale ha potuto ragionevolmente ritenerla necessaria al raggiungimento di un obiettivo di politica sociale estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso. Ciò si verifica quando l' esclusione di tali impieghi dall' assicurazione obbligatoria risponda a un principio strutturale di un sistema previdenziale contributivo, sia l' unico modo di far fronte a una domanda sociale per tali impieghi e sia intesa a evitare un aumento del lavoro irregolare e dei comportamenti elusivi della legislazione previdenziale.

Parti


Nel procedimento C-317/93,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CEE, dal Sozialgericht di Hannover (Repubblica federale di Germania) nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Inge Nolte

e

Landesversicherungsanstalt Hannover,

domanda vertente sull' interpretazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24),

LA CORTE,

composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C.N. Kakouris (relatore), D.A.O. Edward e G. Hirsch, presidenti di sezione, F.A. Schockweiler, J.C. Moitinho de Almeida, P.J.G. Kapteyn, J.L. Murray, P. Jann, H. Ragnemalm e L. Sévon, giudici,

avvocato generale: P. Léger

cancelliere: signora D. Louterman-Hubeau, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

° per la Landesversicherungsanstalt Hannover, dal signor Joerg Kayser, direttore;

° per il governo tedesco, dal signor Ernst Roeder, Ministerialrat presso il ministero dell' Economia, in qualità di agente;

° per il governo del Regno Unito, dalla signorina S. Lucinda Hudson, Assistant Treasury Solicitor, in qualità di agente, e dal signor Nicholas Paines, barrister;

° per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora Karen Banks, membro del servizio giuridico, e dal signor Horstpeter Kreppel, funzionario tedesco distaccato presso detto servizio, in qualità di agenti,

vista la relazione d' udienza,

sentite le osservazioni orali della Landesversicherungsanstalt Hannover, rappresentata dal signor Joerg Kayser, del governo tedesco, rappresentato dal signor Ernst Roeder, del governo irlandese, rappresentato dal signor Donal O' Donnell, barrister-at-law, del governo del Regno Unito, rappresentato dal signor Nicholas Paines, e della Commissione, rappresentata dal signor Horstpeter Kreppel, all' udienza dell' 8 marzo 1995,

sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 31 maggio 1995,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 25 maggio 1993, pervenuta in cancelleria il 16 giugno seguente, il Sozialgericht di Hannover ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali circa l' interpretazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24; il prosieguo: la "direttiva").

2 Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di una controversia tra la signora Nolte e la Landesversicherungsanstalt Hannover (in prosieguo: la "LVA") vertente sull' annullamento della decisione con cui tale istituto ha respinto la domanda della ricorrente di collocamento a riposo con assegnazione di una pensione di invalidità.

3 Dall' ordinanza di rinvio risulta che, nel diritto previdenziale tedesco, un assicurato colpito da inabilità al lavoro ha diritto a una pensione di invalidità se nei cinque anni precedenti il verificarsi dell' inabilità risultano almeno tre anni di contribuzione per un lavoro dipendente soggetto all' assicurazione obbligatoria.

4 Questi requisiti erano stabiliti negli artt. 1247, n. 2 bis, e 1246, n. 2 bis, prima frase, punto 1, della Reichsversicherungsordnung (codice previdenziale; in prosieguo: la "RVO"), che sono stati abrogati, ma rimangono applicabili alle domande presentate prima del 31 marzo 1992. Le disposizioni oggi vigenti (art. 44 del libro VI del Sozialgesetzbuch, in prosieguo: il "SGB"), salvo talune modifiche formali, hanno il medesimo tenore degli articoli abrogati.

5 Inoltre, a norma dell' art. 1228, punto 4, della RVO, corrispondente oggi al combinato disposto degli artt. 8, n. 1, punto 1, del libro IV e 5, n. 2, del libro VI del SGB, i lavori minori non sono soggetti all' assicurazione obbligatoria di vecchiaia.

6 Risulta dagli atti di causa che un lavoro è considerato minore quando viene regolarmente esercitato per un orario settimanale inferiore alle quindici ore e quando di norma il salario mensile non supera il settimo della retribuzione media degli iscritti al regime obbligatorio di assicurazione contro la vecchiaia nell' anno civile precedente. Tale limite retributivo è adeguato annualmente. Per il 1993 esso era pari a 530 DM per i Laender originari e a 390 per i nuovi.

7 La signora Nolte, nata il 14 maggio 1930, ha lavorato fino al 1965 versando contributi previdenziali obbligatori. Successivamente ella non ha più versato contributi obbligatori a causa dell' educazione dei figli e, poi, dell' esercizio di lavori minori. La signora Nolte ha ancora esercitato un' attività minore (addetto alla manutenzione) dal 1977 al marzo 1987, quando ha cessato di lavorare.

8 Nel giugno 1988 ella è stata colpita da una grave malattia e non è più in grado di esercitare un' attività retribuita regolare.

9 Il 28 novembre 1988 la signora Nolte ha chiesto alla LVA il collocamento a riposo con l' attribuzione di una pensione di invalidità.

10 Con decisione 14 agosto 1989 la LVA ha respinto la domanda perché negli ultimi sessanta mesi civili precedenti il verificarsi dell' invalidità la signora Nolte non aveva maturato trentasei mesi di contribuzione per un lavoro soggetto all' assicurazione obbligatoria.

11 Non avendo la sua opposizione sortito alcun effetto, la signora Nolte ha proposto ricorso dinanzi al Sozialgericht di Hannover.

12 Tale giudice ritiene che l' esclusione delle occupazioni minori dall' assicurazione obbligatoria contro la vecchiaia costituisca una discriminazione indiretta, contraria all' art. 4, n. 1, della direttiva, e che la ricorrente nella causa principale debba quindi essere trattata come se avesse versato i contributi assicurativi di vecchiaia prima del verificarsi della invalidità.

13 L' art. 4, n. 1, dispone:

"Il principio della parità di trattamento implica l' assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:

° il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi;

° l' obbligo di versare i contributi (...)".

14 Ritenendo la soluzione della controversia dipendente dall' interpretazione della direttiva, il Sozialgericht di Hannover ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

"1) Se una normativa nazionale che escluda dal regime legale di assicurazione vecchiaia il lavoro a orario ridotto inferiore alle quindici ore settimanali e con retribuzione inferiore ad un settimo della retribuzione mensile media (art. 8, n. 1, punto 1, del SGB IV e art. 5, n. 2, prima frase, punto 1, del SGB VI) costituisca una discriminazione basata sul sesso, contraria all' art. 4, n. 1, della direttiva 79/7/CEE, qualora riguardi molte più donne che uomini.

2) In caso di soluzione affermativa della prima questione, se l' art. 4, n. 1, della direttiva 79/7/CEE debba essere interpretato nel senso che il diritto alla pensione di invalidità (art. 44, n. 1, punto 2, del SGB VI) possa essere maturato anche senza il compimento del periodo contributivo richiesto, qualora nei 5 anni antecedenti al verificarsi della causa di inabilità al lavoro sia stata svolta, per una durata di almeno 3 anni, un' attività inferiore alle quindici ore settimanali, esente, ai sensi della normativa nazionale, dalla previdenza sociale e con retribuzione non superiore al limite retributivo stabilito, e qualora l' esclusione dalle prestazioni per tali forme di lavoro ad orario ridotto riguardi molte più donne che uomini".

15 Prima di risolvere tali questioni, occorre appurare se un persona che si trovi nella situazione della signora Nolte e che eserciti un' attività come quelle di cui alle questioni pregiudiziali rientri nella sfera di applicazione della direttiva.

La sfera di applicazione ratione personae della direttiva

16 Ai sensi del suo art. 2, la direttiva "si applica alla popolazione attiva ° compresi i lavoratori indipendenti, i lavoratori la cui attività si trova interrotta per malattia, infortunio o disoccupazione involontaria e le persone in cerca di lavoro °, nonché ai lavoratori pensionati o invalidi".

17 Risulta da tale norma che la nozione di popolazione attiva è molto ampia, in quanto include qualsiasi lavoratore, compreso chi è solo in cerca di lavoro. Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte, la direttiva non si applica a persone che non sono mai state disponibili sul mercato del lavoro o che hanno cessato di esserlo per ragioni diverse dal verificarsi di uno dei rischi contemplati dalla direttiva (v. sentenza 27 giugno 1989, cause riunite 48/88, 106/88 e 107/88, Achteberg-te Riele e a., Racc. pag. 1963, punto 11).

18 Il governo tedesco fa presente che le persone che svolgono un lavoro minore non appartengono alla popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva, in particolare perché il limitato reddito che ricavano da tale attività non consente loro di provvedere alle proprie necessità.

19 Tale tesi non può essere accolta. Il fatto che il reddito del lavoratore non sia sufficiente per soddisfare tutte le sue necessità non può privare l' interessato della qualifica di persona attiva. Dalla giurisprudenza della Corte risulta infatti che un' attività dipendente che produca un reddito inferiore al minimo vitale (v. sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punti 15 e 16) o la cui durata normale non superi le diciotto ore settimanali (v. sentenza 13 dicembre 1989, causa C-102/88, Ruzius-Wilbrink, Racc. pag. 4311, punti 7 e 17) o le dodici ore settimanali (v. sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag. 1741, punti 2 e 16) o anche le dieci ore settimanali (v. sentenza 13 luglio 1989, causa 171/88, Rinner-Kuehn, Racc. pag. 2743, punto 16) non impedisce di qualificare chi la svolge come lavoratore ai sensi degli artt. 48 (sentenze Levin e Kempf, citate) o 119 (sentenza Rinner-Kuehn, citata) del Trattato CEE o ai sensi della direttiva 79/7 (sentenza Ruzius-Wilbrink, citata).

20 Il governo tedesco fa presente tuttavia che la soluzione del caso dovrebbe essere diversa, perché non si tratta qui della nozione di lavoratore ai sensi dell' art. 48 del Trattato, come si verificava in particolare nella citata causa Levin, ma della nozione di lavoratore ai sensi del diritto previdenziale. La definizione del concetto di lavoratore in quest' ultimo campo apparterrebbe infatti alla competenza degli Stati membri.

21 Al riguardo occorre ricordare che la Corte, già nella sentenza 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger (Racc. pag. 349, punto 1 del dispositivo), dichiarò che la nozione di "lavoratore subordinato o assimilato" contenuta nel regolamento del Consiglio 25 settembre 1958, n. 3, relativo alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti (GU 1958, n. 30, pag. 561), ha contenuto comunitario, alla stessa stregua del termine "lavoratore" di cui agli artt. 48-51. Pertanto, il fatto che le citate sentenze Levin, Kempf e Rinner-Kuehn non riguardino il diritto previdenziale e l' interpretazione dell' art. 2 della direttiva 79/7 non può inficiare la conclusione cui la Corte è pervenuta sopra, nel punto 19, in quanto tali sentenze precisano la nozione di lavoratore ai fini del principio della parità di trattamento.

22 Ne discende che le persone che esercitano un' attività minore come quelle di cui alle questioni pregiudiziali fanno parte della popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva e perciò rientrano nella sua sfera di applicazione ratione personae.

23 I governi tedesco e del Regno Unito fanno presente che nel caso di specie la signora Nolte non rientra nella sfera di applicazione ratione personae della direttiva per un altro motivo, ossia perché ella aveva cessato completamente per motivi ignoti la sua attività professionale oltre un anno prima del verificarsi della sua inabilità al lavoro e nulla indica che ella fosse allora in cerca di lavoro.

24 Avanzando tale argomento i due governi in realtà contestano l' utilità delle questioni sottoposte dal giudice nazionale, in quanto, secondo loro, la signora Nolte sarebbe comunque al di fuori della sfera di applicazione ratione personae della direttiva. Ora, va rilevato che, secondo l' ordinanza di rinvio, la signora Nolte avrebbe la possibilità di ottenere una pensione di invalidità in base alla legge tedesca, se venissero considerati soggetti all' assicurazione obbligatoria i periodi durante i quali ella ha esercitato attività minori.

25 Quindi, il giudice nazionale, unico competente per valutare la pertinenza delle questioni proposte, ritiene la loro soluzione utile alla decisione nella controversia sottopostagli.

La prima questione pregiudiziale

26 Con tale questione il giudice nazionale chiede sostanzialmente se l' art. 4, n. 1, della direttiva vada interpretato nel senso che una normativa nazionale che escluda dal regime legale di assicurazione vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della retribuzione mensile media costituisca una discriminazione basata sul sesso, qualora interessi un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini.

27 E' pacifico che la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale non opera una discriminazione diretta, in quanto non esclude in base al sesso dalle assicurazioni obbligatorie in questione le persone che svolgono un lavoro minore. Occorre quindi accertare se tale normativa possa costituire una discriminazione indiretta.

28 Occorre ricordare che per giurisprudenza costante l' art. 4, n. 1, della direttiva osta all' applicazione di un provvedimento nazionale che, benché formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di donne che di uomini, a meno che non sia giustificato da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso. Ciò avviene quando i mezzi prescelti rispondano ad uno scopo legittimo della politica sociale dello Stato membro cui appartiene la normativa di cui trattasi, siano idonei a raggiungere lo scopo da questa perseguito e siano necessari a tale fine (v. sentenza 24 febbraio 1994, causa C-343/92, Roks e a., Racc. pag. I-571, punti 33 e 34).

29 Nel caso di specie, il governo tedesco sostiene, tra l' altro, che l' esclusione dall' assicurazione obbligatoria delle persone che svolgono attività minori risponde a un principio strutturale del sistema previdenziale tedesco.

30 A sostegno delle tesi del governo tedesco, i governi del Regno Unito e irlandese hanno sottolineato in particolare che un regime contributivo come quello in esame è caratterizzato dalla necessità di mantenere il pareggio tra i contributi versati dagli iscritti e dai datori di lavoro, da un lato, e le prestazioni versate in caso di sopravvenienza di uno dei rischi coperti dal regime, dall' altro. La struttura di tale regime non potrebbe essere conservata quale è oggi se le norme in esame dovessero venire soppresse. Ciò comporterebbe gravi inconvenienti. Ne deriverebbe per tale regime l' impossibilità di continuare a funzionare su base esclusivamente contributiva.

31 Il governo tedesco spiega peraltro che esiste una domanda sociale di lavori minori, che, nell' ambito della propria politica sociale, esso ritiene necessario soddisfare incoraggiando l' esistenza e l' offerta di tali lavori, e che il solo modo per farlo all' interno della struttura del sistema previdenziale tedesco è quello di escludere i lavori minori dall' assicurazione obbligatoria.

32 Inoltre, secondo il governo tedesco, i posti di lavoro perduti non sarebbero sostituiti da posti di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale soggetti all' assicurazione obbligatoria. Vi sarebbe invece, data la domanda sociale di lavori minori, un aumento di lavoro illegale (lavoro nero) e una recrudescenza di tentativi di elusione (ad esempio falsi lavoratori autonomi).

33 Occorre rilevare che la politica sociale, allo stato attuale del diritto comunitario, rientra nella competenza degli Stati membri (v. sentenza 7 maggio 1991, causa C-229/89, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-2205, punto 22). Compete pertanto a questi scegliere i provvedimenti atti a realizzare l' obiettivo della loro politica sociale e occupazionale. Nell' esercizio di tale competenza, gli Stati membri dispongono di un' ampia discrezionalità.

34 Va precisato che l' obiettivo di politica sociale e occupazionale fatto presente dal governo tedesco è oggettivamente estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso e che il legislatore nazionale, nell' esercizio della propria competenza, poteva ragionevolmente ritenere la normativa di cui trattasi necessaria al raggiungimento di tale obiettivo.

35 Tale normativa non può quindi essere considerata una discriminazione indiretta ai sensi dell' art. 4, n. 1, della direttiva.

36 Tenuto conto di quanto precede, occorre risolvere la prima questione dichiarando che l' art. 4, n. 1, della direttiva dev' essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che escluda dal regime legale di assicurazione vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della retribuzione mensile media, anche se interessa un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini, allorché il legislatore nazionale ha potuto ragionevolmente ritenerla necessaria al raggiungimento di un obiettivo di politica sociale estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso.

La seconda questione pregiudiziale

37 Attesa la soluzione data alla questione precedente, non occorre risolvere la seconda questione.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

38 Le spese sostenute dai governi tedesco, irlandese e del Regno Unito nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE

pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Sozialgericht di Hannover con ordinanza 25 maggio 1993, dichiara:

L' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, dev' essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che escluda dal regime legale di assicurazione vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della retribuzione mensile media, anche se interessa un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini, allorché il legislatore nazionale ha potuto ragionevolmente ritenerla necessaria al raggiungimento di un obiettivo di politica sociale estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso.

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