NEWSLETTER n. 5/2009

ASGI

16 aprile 2009

 

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

 

 

 

 

ATTIVITA’ DELL’ASGI

 

 


Comunicato stampa - I costi e la demagogia del prolungamento dei tempi di detenzione amministrativa.

L'ASGI, con  una lettera aperta al parlamento datata  11 marzo, aveva chiesto ai deputati di non procedere alla conversione in legge dell’art. 5 del ddl n. 2232, che prevedeva il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa nei CIE, ritenendolo incompatibile con i contenuti della direttiva europea n. 2008/115/CE.  Nell'esprimere il proprio apprezzamento per la mancata conversione in legge dell'art. 5 del Disegno di legge n.2232 di conversione del Decreto legge n.11 del 2009, l’ASGI  ritiene  opportuno richiamare l'attenzione sulla portata demagogica del provvedimento giustamente rigettato dalla Camera dei Deputati, sui costi assai rilevanti e la sua efficacia pressoché nulla.


Il comunicato stampa

 

 

 

 

 

 

DDL Sicurezza - L'ASGI aderisce all'appello contro  le norme più gravi del provvedimento.

L'appello, promosso da Sergio Briguglio, mira ad illustrare le gravi conseguenze che potrebbero derivare dall'approvazione di talune delle norme contenute nel ddl recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, già approvato dal Senato ed ora all'esame della Camera dei Deputati.



Tre in particolare sono le disposizioni che destano le maggiori preoccupazioni:
a) la soppressione del divieto di segnalazione all'autorità dell'immigrato irregolare che ricorra alle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie, da considerarsi alla luce della contemporanea introduzione del reato di soggiorno illegale;

b) l'astensione dell'onere di esibizione del titolo di soggiorno ai fini del perfezionamento degli atti di stato civile;

c) l'inclusione della dimostrazione di regolarità del soggiorno tra i requisiti necessari per la celebrazione in Italia del matrimonio da parte dello straniero.


Nel documento sono illustrate le gravi conseguenze giuridiche e sociali che deriverebbero dall'entrata in vigore di siffatte disposizioni, nonchè i numerosi profili di illegittimità costituzionali che esse presentano.



Il testo dell'appello

 

 

 

 

 

Friuli-Venezia Giulia:  Appello contro le discriminazioni nel welfare regionale

Una proposta di legge regionale presentata dalla Lega nord introdurrebbe, se approvata, forme di discriminazione nell'accesso a prestazioni sociali regionali connesse alla tutela dell'infanzia, all'accesso al diritto allo studio, al sostegno della famiglia, alla genitorialità e alle persone non autosufficienti. L'ASGI sez. F.V.G. aderisce all'appello promosso dalla Rete regionale per i diritti di cittadinanza e dal Centro Ernesto Balducci di Zugliano (Ud).

La sez. F.v.g. dell'ASGI aderisce all’appello rivolto ai consiglieri regionali del F.V.G. e promosso dalla Rete regionale per i diritti di cittadinanza e dal Centro Ernesto Balducci di Zugliano contro la proposta di legge regionale n. 39, già approvata dalle commissioni regionali IV e VI del consiglio regionale e che si appresta ad essere messa in discussione al consiglio regionale. Tale proposta, se approvata, introdurrebbe attraverso il requisito di anzianità di residenza quinquennale o decennale, forme di discriminazione nei confronti dei nuclei familiari italiani non originari della regione Fvg e stranieri nella fruizione delle principali prestazioni di assistenza sociale previste dal welfare regionale (abbattimento delle rette degli asili nidi, carta famiglia, assegni per il contributo alle spese di trasporto e all’acquisto dei libri di testo degli studenti delle scuole superiori, assegni per il diritto allo studio nelle scuole parificate, contributi per l’accompagnamento delle persone non autosufficienti) finendo per escludere la maggior parte dei cittadini stranieri (ma anche i cittadini italiani non “autoctoni” nel territorio regionale) dall’accesso a tali prestazioni connesse alla tutela dell’infanzia, alla promozione del diritto allo studio, al sostegno alla funzione genitoriale.


L’appello intende affermare il valore universalistico dei diritti alla tutela dell’infanzia, alla promozione del diritto allo studio e al sostegno alla famiglia, sottolineando il rifiuto di ogni discriminazione fondata sulla provenienza, soprattutto nei confronti di minori d’età.

L’appello è aperto all’adesione di associazioni ed organizzazioni di volontariato operanti sul territorio regionale, di operatori scolastici e del settore socio-educativo e di personalità regionali del mondo della cultura.



L'adesione va inviata all'indirizzo: appello@fastwebnet.it



Info: retedirittifvg@gmail.com
Oppure scrivere a :
Rete diritti di cittadinanza FVG
c/o Centro E. Balducci
Piazza della Chiesa 1
33050 Zugliano Pozzuolo del Friuli (Ud)




Il testo dell'appello

Il testo della proposta di legge regionale n. 39

Il comunicato dell'agenzia di stampa regionale sui lavori delle commissioni del consiglio regionale del fvg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NEWS

 

 

LA COMMISSIONE EUROPEA CONTRO IL COMUNE DI BRESCIA: “Il bonus bebè ai soli cittadini italiani viola il principio di non discriminazione e di parità di trattamento nei confronti dei cittadini dell’Unione Europea che esercitano il diritto alla libera circolazione”

BRUXELLES, 15 APR - Il commissario europeo alla Giustizia, liberta' e sicurezza, Jacques Barrot, ha confermato che il Comune di Brescia non puo' adottare misure sociali, come il cosiddetto ''bonus bebe''', escludendo i residenti comunitari non italiani. E' quanto sottolinea l'eurodeputata Pd-Pse Donata Gottardi, dopo la risposta ricevuta dallo stesso commissario a una sua interrogazione.

Le disposizioni comunitarie - rileva Barrot nella risposta diffusa dalla parlamentare - garantiscono che l'applicazione delle singole legislazioni nazionali avvenga nel rispetto dei principi fondamentali della parita' di trattamento e della non discriminazione. ''In tal modo si vuole assicurare che esse non rechino pregiudizio alle persone che esercitano il loro diritto alla libera circolazione all'interno dell'Unione Europea''. Se il bonus per i neonati corrisponde a una prestazione familiare, ''esso deve essere erogato - si legge nella risposta all'interrogazione - conformemente al diritto comunitario, affinche' siano rispettati i principi della parita' di trattamento e della non discriminazione''.

''La giunta guidata da Adriano Paroli (Pdl), che per la seconda volta e' dovuta tornare sui propri passi - ha commentato Donata Gottardi - dovra' rendersi conto che la liberta' di discriminare non esiste. Come scrive lo stesso commissario Barrot, ai cittadini dell'Ue va riservato lo stesso trattamento dei residenti italiani. E' questa l'unica strada per realizzare efficaci politiche di costruzione della cittadinanza europea''.

Fonte: ANSA, 15 aprile 2009

Il testo dell’interrogazione presentata al Parlamento europeo dall’europarlamentare Donata Gottardi, gruppo PSE

 

 

 

 

 

 

NORMATIVA

 

 

Decreto flussi 2009: pronti i moduli per le richieste di nulla osta per lavoro stagionale

Le domande potranno essere presentate a partire dalle ore 8,00 del 15 aprile utilizzando l’apposito programma scaricabile on line

A partire dalle ore 08:00 dell'11 Aprile 2009 sarà possibile effettuare il download dei moduli di richiesta di nulla osta per lavoro stagionale previsti dal Decreto Flussi 2009.



Le domande potranno essere presentate a partire dalle ore 08:00 del giorno 15 Aprile 2009 utilizzando l’apposito programma disponibile per il download all'indirizzo:
http://nullaostalavoro.interno.it/Ministero/download

Si segnala che il
servizio di Help Desk sarà disponibile a partire dalle ore 09:00 del giorno 14 Aprile 2009.

Il decreto flussi 2009 consente l'entrata in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale, di cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero entro la quota massima di 80.000 unità, da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali.


La quota riguarda:


a) I lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Serbia, Montenegro, Bosnia- Herzegovina, ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Croazia, India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Ucraina.

b) I lavoratori subordinati stagionali non comunitari dei seguenti Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria: Tunisia, Albania, Marocco, Mòldavia ed Egitto.


c) I cittadini stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per Lavoro subordinato stagionale negli anni 2006, 2007 o 2008.

 

Fonte : Ministero dell'Interno

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha inoltre diramato la ripartizione territoriale delle quote, provincia per provincia. [ Scarica ]

-  Vai alle istruzioni per la procedura telematica in sintesi


-  Leggi il
Decreto del PCM del 20 marzo 2009


-  Leggi la
Circolare del 9 aprile 2009 del Ministero dell’Interno


-  Leggi la
Circolare 11/2009 del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali

 

 

 

Rom e Sinti: nuova ordinanza del Governo

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 80 del 6 aprile 2009 un ulteriore provvedimento del Consiglio dei Ministri che prevede " disposizioni urgenti di protezione civile "in relazione agli insediamenti di comunita' nomadi.

Ordinanza del Consiglio dei Ministri 1° aprile 2009: Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunita' nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia.

 

 

 Decreto Ministero della Giustizia 20 gennaio 2009, Adeguamento dei limiti di reddito per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (G.U. n. 72 dd. 27 marzo 2009)

 

Il testo del decreto

 

                        IL CAPO DIPARTIMENTO
                     per gli affari di giustizia
                    del Ministero della giustizia
 
                           di concerto con
 
                 IL RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO
                     del Ministero dell'economia
                           e delle finanze
 
  Visto  l'art  76  del  Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato con decreto
del  Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, che fissa le
condizioni  reddituali  per  l'ammissione al patrocinio a spese dello
Stato;
  Visto  l'art.  77  del citato Testo unico che prevede l'adeguamento
ogni  due anni dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a
spese   dello   Stato   in   relazione   alla  variazione,  accertata
dall'Istituto  nazionale  di  statistica,  dell'indice  dei prezzi al
consumo  per  le  famiglie  di  operai  e impiegati, verificatesi nel
biennio precedente;
  Visto  il decreto dirigenziale emanato in data 29 dicembre 2005 dal
Ministero  della giustizia di concerto con il Ministero dell'economia
e  delle  finanze, con il quale, con riferimento al periodo 1° luglio
2002-30  giugno  2004, e' stato aggiornato in euro 9.723,84 l'importo
originario  fissato dall'art. 76, comma 1, del decreto del Presidente
della Repubblica n. 115/2002;
  Ritenuto  di  dover  adeguare, per i periodi relativi al biennio 1°
luglio  2004-30  giugno  2006  ed al biennio 1° luglio 2006-30 giugno
2008, il predetto limite di reddito fissato in euro 9.723,84;
  Rilevato  che  nel periodo relativo ai bienni considerati, dai dati
accertati   dall'Istituto   nazionale   di  statistica,  risulta  una
variazione  in  aumento  dell'indice  dei  prezzi  al  consumo per le
famiglie di operai ed impiegati pari al 9,3%;
 
                              Decreta:
 
  L'importo  di  euro  9.723,84,  indicato nell'art. 76, comma 1, del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/2002, cosi' come
adeguato  con  decreto  del  29  dicembre 2005, e' aggiornato in euro
10.628,16.
  Il  presente  decreto  verra'  pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana.
   Roma, 20 gennaio 2009
 
                                           Il capo del Dipartimento
                                         per gli affari di giustizia
                                        del Ministero della giustizia
                                                   Ormanni
 
 
Il Ragioniere generale dello Stato
   del Ministero dell'economia
          e delle finanze
               Canzio
 
Registrato alla Corte dei conti il 2 marzo 2009

Ministeri istituzionali, registro n. 2 Giustizia, foglio n. 195

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CIRCOLARI AMMINISTRATIVE

 

 

 

 

1. Una circolare dell’INPS inserisce le aziende “etniche” tra i settori  su cui concentrare prioritariamente gli interventi ispettivi  ai fini dell’individuazione  di fenomeni di utilizzo di manodopera irregolare. La circolare INPS suscita perplessità sotto il profilo della sua compatibilità con il divieto di discriminazioni etniche e per l’evidente ricorso, nelle sue linee giustificative, a forme di “ethnic profiling” o stereotipi etnici.

 

Circolare INPS n. 27 dd. 25.02.2009

 

 

 

 

Un commento a cura di Walter Citti, segreteria ASGI

 

La circolare INPS n. 27 dd. 25.02.2009 inserisce le “aziende etniche”, definite quali quelle “realtà economiche  gestite da minoranze etniche o organizzate con l’impiego di lavoratori appartenenti alle citate minoranze”, tra le principali aree di interesse sui cui avviare nel corso del 2009 gli interventi ispettivi.

La giustificazione adottata dalla circolare fa ampio ricorso a forme di pregiudizio etnico o di categorizzazione etnica (ethnic profiling), sostenendo che  dette aziende operano spesso “al di fuori di qualunque regolamentazione di carattere lavorativo, previdenziale e fiscale e …realizzano non di rado vere e proprie forme di sfruttamento della manodopera impiegata”. Ugualmente, la circolare sostiene che “l’evoluzione multietnica che la nostra società ha assunto negli ultimi anni ha profondamente modificato il tessuto produttivo di molte realtà locali ed ha influito sulla caratterizzazione del sommerso, tenuto conto che molte comunità sono state capaci di sviluppare un’attività produttiva estremamente competitiva e non di rado totalmente sommersa”.

In una lettera del 7 luglio 2006, la Commissione Europea ha definito il concetto di “ethnic profiling” come “comprendente qualsiasi comportamento o pratica discriminatoria effettuata dalle autorità di polizia e pubblica sicurezza o altri attori pubblici, nei confronti di individui e giustificata in ragione della loro razza, religione, origine nazionale, piuttosto che del loro comportamento individuale o del fatto che essi rispondano alla descrizione di una persona ‘sospettata’”. Più in generale, per ‘ethnic profiling’ - che in italiano potremmo tradurre con “definizione di profili etnici” – possiamo intendere la pratica di classificare sistematicamente gli individui in base alla loro origine etnico-nazionale o religiosa e di agire  nei loro confronti in base a tale visione stereotipata. La nozione si riferisce, tuttavia,  in particolare all’operato delle forze di polizia e, più in generale, di coloro che sono incaricati di funzioni di pubblica sicurezza o ispettive. Si intende, cioe’,  “l’uso o l’influenza di stereotipi razziali, etnici e religiosi da parte delle forze di polizia nelle proprie  attività e con riferimento  alle decisioni concernenti il fermo, l’arresto, la perquisizione, l’identificazione ed il controllo dei documenti delle persone, l’inserimento di dati personali in database, la raccolta di informazioni di intelligence e rispetto ad altre tecniche investigative”.

In termini concreti, un fenomeno di  ethnic profiling’ sussiste  ad esempio quando le autorità di polizia o altre autorità pubbliche incaricate di compiti ispettivi e di indagine, nell’esercizio delle loro attività, vengono influenzate da pregiudizi e stereotipi per cui certe attività criminali o illegali vengono attribuite ad un determinato gruppo etnico-nazionale in generale sulla base di una  supposta prossimità di tale gruppo a tali attività ovvero una sua  propensione al crimine o all’illegalità, etnicamente connotata. Ne consegue che  i membri di tale gruppo (generalmente immigrati o minoranze etniche) diventano il target sistematico di tali operazioni di controllo, ispezione  ed identificazione con il risultato che  essi hanno una probabilità molto più elevata di essere fermati  da agenti di polizia o sottoposti ad indagini ispettive per  semplici accertamenti e  controllo dei documenti rispetto a quanto avviene per  individui dell’etnia ‘maggioritaria’ e ciò per il solo fatto dell’appartenenza etnico-razziale, a prescindere da ogni altro fattore comportamentale.

L’ECRI,  la Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), l’organo indipendente del Consiglio d’Europa specializzato nella lotta al razzismo e alla discriminazione razziale, ha presentato il 4 ottobre 2007 la sua raccomandazione  di politica generale n. 11, dedicata al tema del contrasto alle forme di razzismo e di discriminazione razziale nelle attività degli organi di pubblica sicurezza, cioè di quel fenomeno che  in lingua inglese viene definito appunto come “ethnic” o “racial profiling”. Nella relazione esplicativa di accompagnamento alla raccomandazione, l’ECRI sottolinea come le attività di controllo, sorveglianza e investigazione delle autorità di pubblica sicurezza e, più in generale delle autorità pubbliche, dovrebbero essere sempre basate su criteri legati strettamente ed unicamente alla valutazione concreta del comportamento individuale e/o su informazioni di intelligence piuttosto che su generalizzazioni e stereotipi etnici, razziali o religiosi. L’”ethnic profiling” va invece combattuto innanzitutto perché viola i diritti umani, limitando indebitamente le libertà individuali; in secondo luogo perché rafforza i pregiudizi e gli stereotipi riguardanti certi gruppi sociali, generando nei suoi appartenenti sentimenti di umiliazione e alienazione con conseguenze negative per la coesione sociale; in terzo luogo, perché a medio e lungo termine si rileva controproducente, creando un diffuso senso di ostilità tra gli appartenenti alle minoranze etniche nei confronti delle agenzie di pubblica sicurezza, con conseguente impoverimento delle forme di collaborazione e dei flussi di informazioni di intelligence che sono invece lo strumento più efficace per la lotta alla criminalità.

 

E’ del tutto evidente che le giustificazioni adottate dalla circolare INPS per sostenere l’esigenza di inserire le “aziende etniche” tra gli obiettivi cui concentrare gli interventi ispettivi rappresentano un caso tipico di “ethnic profiling” . Questo in quanto si prefigura un sistema per cui le ispezioni verranno ordinate e dirette verso aziende gestite da persone appartenenti a determinate minoranze etniche al di fuori di qualsiasi criterio di ragionevole sospetto fondato sul comportamento individuale o elementi presuntivi o indizi obiettivi di illiceità dei comportamenti, bensì solo ed esclusivamente in base all’appartenenza etnico-nazionale dei titolari dell’impresa, alla quale viene dunque attribuito un “profilo etnico” fondato su uno stereotipo o pregiudizio razziale.

Sarebbe interessante vedere ad esempio le reazioni  che susciterebbe un ipotetico provvedimento amministrativo di un autorità tedesca o belga che prevedesse un particolare regime di sorveglianza sui bar e ristoranti  appartenenti a immigrati italiani, in quanto di per sé e solo per tale ragione sospettati di infiltrazioni mafiose, a prescindere da ogni elemento di ragionevole sospetto fondato sui comportamenti individuali. Sicuramente e giustamente si griderebbe allo scandalo e al razzismo anti-italiano. Purtuttavia, la medesima sensibilità di giudizio  dovrebbe valere anche per i cittadini immigrati presenti nel nostro paese.

Avendo in considerazione quanto sopra affermato in materia di “ethnic profiling”,  appare lecito sostenere che la suddetta circolare INPS contiene profili in contrasto con il  d.lgs. n. 215/2003, attuativo della direttiva europea n. 2000/43/CE in materia di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, nonché con l’art. 43 del D.lgs. n. 286/98 (discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi) e pertanto potrebbe essere soggetta ad un’azione civile anti-discriminatoria ai sensi dell’art. 44 del T.U. immigrazione.

 

Per saperne di più: DISCRIMINAZIONI ETNICO-RAZZIALI E ATTIVITA’ DELLE FORZE DI POLIZIA. UNA DISCUSSIONE SULL’”ETHNIC-PROFILING, in Newsletter progetto Leader, n. 6/2007, disponibile sul sito: http://www.asgi.it/content/documents/dl07060604.newsletter.6.mag.2007.pdf

 

 

 

2. Consigli territoriali per l'immigrazione: valorizzare il ruolo centrale nelle politiche di integrazione  È questo lo spirito della circolare 2 aprile 2009 del capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione, che individua i settori in cui potenziare l'azione.

 

A dieci anni dalla loro istituzione, i Consigli territoriali per l'immigrazione hanno assunto un ruolo fondamentale per l'elaborazione e l'attuazione delle politiche relative a tutti gli aspetti del fenomeno migratorio, che ha ormai assunto in Italia dimensioni 'strutturali' ed una rilevanza strategica. Parte da questo presupposto la circolare n.5 del 2 aprile scorso sul ruolo e sull'attività dei Consigli che il capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno ha inviato ai prefetti, coinvolti anch'essi pienamente, come rappresentanti dello Stato sul territorio, nel monitoraggio e nella gestione delle tematiche legate all'immigrazione.

Ai Consigli territoriali, definiti 'sedi ideali' per dare impulso e supporto alle istituzioni coinvolte, viene richiesto di promuovere 'azioni sempre più incisive sul versante dell'accoglienza, dell'integrazione e della coesione sociale, da coniugare con le nostre regole di convivenza', e a questo fine vengono indicati una serie di settori prioritari. 
Tra questi, la circolare assegna priorità assoluta alla gestione dei minori stranieri presenti sul territorio nazionale, cui il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione riserva la massima attenzione, non solo in quanto soggetti 'vulnerabili', ma soprattutto perchè rappresentano il futuro e la speranza dell'integrazione.

Tra gli altri aspetti legati alla presenza e all'integrazione degli immigrati su cui lavorare, vengono segnalati: la situazione degli alloggi, la promozione dell'accesso al credito agevolato, il lavoro e la formazione professionale, il potenziamento dei servizi pubblici, l'impiego delle risorse del Fondo UNRRA e del Fondo europeo per l'integrazione, le iniziative per favorire la conoscenza della lingua italiana e dei principi fondamentali che reggono il nostro ordinamento e la società, nonchè delle aspettative reciproche nutrite dai cittadini stranieri in Italia e dagli italiani che li accolgono.

 

Fonte : Ministero dell’Interno

 

Il testo della circolare

 

 

 

 

GIURISPRUDENZA

 

 

 

ASILO

 

1. Ammissione dei richiedenti la protezione internazionale al gratuito patrocinio. Ammontare del contributo parificato e decorrenza del gratuito patrocinio. Lettera esplicativa del Presidente della Corte di Appello di Roma

 

 

Corte di Appello di Roma - Presidenza, 17 febbraio 2009


OGGETTO: risposta a quesito del Presidente del Tribunale di Roma in data 9 febbraio 2009 prot. n. 75/E.




Ill. Sig. Presidente del Tribunale Ordinario di Roma



Con riferimento al quesito in oggetto in tema di ricorsi avverso il diniego di soggiorno per richieste di asilo politico e/o riconoscimento di status di rifugiato politico, sia in ordine all'ammontare del contributo unificato esigibile, sia, in caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato successiva all'iscrizione a ruolo della causa, in merito alla decorrenza degli effetti dell'ammissione stessa, si osserva quanto segue.

a) nessuna norma prescrive che le cause predette siano esonerate da qualsiasi imposizione fiscale;
b) sebbene il rito processuale dei. ricorsi in questione sia quello camerale, non v'è dubbio che trattasi di procedimenti contenziosi, sia perché si svolgono in contraddittorio (con l’Amministrazione dallo Stato) per il riconoscimento di un diritto personalissimo (diritto d'asilo e/o status di rifugiato politico) sia perché, contrariamente a quanto avviene per i procedimenti di volontaria giurisdizione in senso stretto, l'assistenza in giudizio del ricorrente straniero in questi casi è prevista tramite avvocato e la pronuncia della decisione è assunta con sentenza e quindi in una udienza pubblica con provvedimento contenzioso tipico;
c) tuttavia tali ricorsi non debbono essere iscritti tra i contenziosi (con obbligo del pagamento del contributo di € 340,00 per 1e cause di valore indeterminato), ma, in considerazione del rito camerale cui per legge sono soggetti, seguono la regolamentazione dei procedimenti di volontaria giurisdizione, con conseguente assoggettamento al contributo unificato fisso di € 70,00. Lo prescrive il comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 115 del 2002 e successivi aggiornamenti, che, ai finì del pagamento del contributo, accomuna i processi di volontaria giurisdizione a quelli speciali di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del c.p.c. (disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio).

 Trattandosi di cittadini extracomunitari normalmente indigenti, essi potranno beneficiare dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Per evitare lamentati inconvenienti (duplicazione di ammissioni al beneficio, iscrizioni con riserva di produrre l'ammissione, ammissioni falsificate, non coerenti dichiarazioni di valore all’atto dell'iscrizione, ecc.), occorre sensibilizzare il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati affinché proceda con la dovuta celerità e la necessaria oculatezza nel provvedere sull'ammissione del chiesto patrocinio gratuito.
Comunque si è del parere che gli effetti di tale ammissione non possano non farsi decorrere dalla data di presentazione della relativa domanda, posto che con riferimento a tale data e alla documentazione prodotta è stabilita la situazione di indigenza.
Roma 17 febbraio 2009.


Il Presidente della Corte


Giorgio Santacroce

 

 

 

 

 

2. Il Consiglio di Stato riconosce che anche il timore di persecuzioni provenienti da agenti non statali, bensì riconducibili a gravi e conosciuti conflitti interni, può costituire il presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato

 

Consiglio di Stato, Sez. VI, Decisione n. 1042 dd. 10 marzo 2009

 

La decisione del Consiglio di Stato è stata adottata nell’ambito di un contenzioso originato da un provvedimento di diniego al riconoscimento dello status di rifugiato adottato dall’allora Commissione centrale nel novembre 1997, nel vigore dunque dell’art. 5 comma 2 del d.l. n. 416/1989, che prevedeva  la giurisdizione del giudice amministrativo.

Già in prima istanza, il TAR Lazio, con sentenza n. 5673/03 aveva accolto il ricorso dell’appellante contro la decisione della commissione centrale che aveva negato lo status di rifugio politico ritenendo irrilevanti i motivi di timore rappresentanti dal richiedente di subire persecuzioni in caso di prestazione del servizio militare, ad opera di oppositori islamisti del regime politico algerino, in quanto tali minacce  non sarebbero provenienti da agenti statuali.

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso presentato dall’Amministrazione dell’Interno affermando che “la sussistenza di gravi e conosciuti conflitti interni (non necessariamente implicanti vera e propria guerra civile) possono costituire presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato politico quando la situazione socio-politica del paese pur a regime democratico, renda plausibile il rappresentato pericolo per l’incolumità del singolo cittadino”.

 

La questione dei “responsabili” o “agenti” della persecuzione, peraltro, è stata considerata  dalla Direttiva europea n. 2004/83, recepita in Italia con il d.lgs. n. 251/2007, il cui art. 5 prevede che ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale, i responsabili della persecuzione possano essere, oltre  agli agenti statali o soggetti come partiti o organizzazioni controllanti lo Stato o una parte consistente del territorio, anche soggetti non statuali, qualora le strutture statuali o controllanti lo Stato o il suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione.

 

 

LAVORO

 

La Corte Costituzionale non entra nel merito della legittimità costituzionale della norma del 1931 che impedisce agli stranieri extracomunitari di accedere ai rapporti di impiego nelle imprese del trasporto pubblico locale.

 

Corte Costituzionale, ordinanza n. 71 dd. 13 marzo 2009

 

Con l’ordinanza n. 71 del 13 marzo 2009, la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile il quesito di legittimità costituzionale  dell’art. 19 comma 1 numero 1) dell’allegato A del regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 che prevede il requisito della cittadinanza italiana per l’ammissione in prova nei rapporti di impiego presso le imprese del trasporto pubblico locale.

Tale quesito era stato sottoposto alla Corte costituzionale con ordinanza del giudice del lavoro del Tribunale di La Spezia (ordinanza 29 maggio 2008, n. 310) . La remissione degli atti alla Corte costituzionale era stata richiesta dal giudice solo con riferimento all’istanza per la condanna al risarcimento del danno subito dall’interessato a causa del rifiuto dell’azienda di trasporto pubblico locale a prendere in considerazione una richiesta di assunzione, non potendosi addivenire ad un obbligo di assunzione per via giudiziale.

La Corte fa rilevare tuttavia che la condotta di un soggetto può essere assunta a fonte di responsabilità civile solo se, nel momento in cui viene posta in essere,  sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da una norma conoscibile dall’agente (sentenza n. 202/1991). Una sentenza di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte  non può far ritenere illecito il comportamento tenuto anteriormente alla sentenza medesima sulla base di una norma dichiarata illegittima; principio questo affermato dalla giurisprudenza di Cassazione (sez. lavoro 13 novembre 2007, n. 23565). Di conseguenza, la questione di illegittimità costituzionale risulterebbe irrilevante nel giudizio principale per il quale e per le cui motivazioni è stata sollevata.

Dispiace che la Corte costituzionale non sia entrata nel merito di una questione assai rilevante sotto il profilo dei principi di  parità di trattamento e di non discriminazione nell’accesso al lavoro per gli immigrati regolarmente soggiornanti nel nostro Paese.

Per un approfondimento sulla questione si veda Newsletter progetto Leader n. 7/2007 e n. 11/2007 (parere UNAR)

 

 

 

 

MINORI


Rilascio del permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro al minore straniero non accompagnato al raggiungimento della maggiore età.  Equiparazione del minore sottoposto a tutela ed inserito in una comunità familiare o in un istituto pubblico o privato al minore  sottoposto ad affidamento. Necessità del rilascio del permesso di soggiorno.

 

Consiglio di Stato, sez. VI, Decisione n. 1569 dd. 17 marzo 2009

 

Il Consiglio di Stato ha affermato il diritto del cittadino straniero  giunto in Italia durante la minore età e non accompagnato dai genitori, per il quale sia stata aperta una tutela e sia stato disposto l’inserimento in una comunità familiare ovvero in un istituto di assistenza pubblico o privato, di ottenere la conversione del permesso di soggiorno per minore età ad un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o studio al momento del raggiungimento della maggiore età.

Il Consiglio di Stato si richiama alla nota sentenza della Corte Costituzionale 5 giugno 2003, n. 198 relativa alla formulazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 286/98 vigente prima delle modifiche apportate con la legge n. 189/2002.

 

 

 

LAVORO STAGIONALE (conversione)

 

Il Tar Emilia Romagna ribadisce la propria linea interpretativa, secondo cui il permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale non può essere immediatamente convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, ma richiede l’attivazione da porte dell’interessato delle procedure volte ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione da parte del locale ufficio provinciale del lavoro, una volta verificata la disponibilità delle quote di ingresso in Italia secondo il decreto annuale dei flussi di cui all’art. 29 del Regolamento al T.U. immigrazione.

 

TAR Emilia Romagna, Sez. I, Sentenza n. 260 del 13 marzo 2009

 

L’art. 24 del T.U. immigrazione prevede la possibilità per il titolare del permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale, che abbia usufruito del medesimo titolo di soggiorno per il secondo anno consecutivo, di convertirlo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, in presenza delle condizioni stabilite. Conformemente all’art. 38 c. 7 del d.P. R. n. 394/99, tali requisiti sono stati individuati in un’offerta di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, nonché nella presenza di una disponibilità all’interno delle quote annuali di ingresso in Italia stabilite dal decreto flussi.

Le incertezze applicative  dell’art. 24 del T.U. hanno aperto la strada a numerosi contenziosi riguardanti in particolare i seguenti aspetti:

a)     se il diritto alla conversione può ritenersi automatico in presenza di un’offerta di lavoro subordinato e, dunque, debba ritenersi illegittimo l’ulteriore requisito del limite della quota flussi, non previsto dal T.U. , ma introdotto in sede di regolamento;

b)    se la previsione regolamentare della necessità del soddisfacimento del requisito della quota flussi deve comportare il rientro dello straniero nel paese di origine ai fini del rilascio di un nuovo visto di ingresso, previa attivazione della procedura di autorizzazione al lavoro presso il locale ufficio provinciale del lavoro ovvero sia sufficiente che lo straniero presenti istanza di conversione del permesso di soggiorno in questura munito della suddetta autorizzazione rilasciatagli dall’ufficio provinciale del lavoro;

c)     se sia onere dello straniero interessato rivolgersi all’ufficio provinciale del lavoro per ottenere l’autorizzazione nell’ambito della quota flussi ovvero tale onere ed adempimento di verifica debba spettare alla P.A..

La giurisprudenza amministrativa richiamata dalla sentenza del TAR Emilia Romagna  non appare del tutto univoca al riguardo. Il TAR Emilia Romagna sembra sposare la linea interpretativa più rigida e restrittiva, affermando che sia onere gravante solo sullo straniero interessato quello di procurarsi l’attestazione di soddisfacimento del requisito di rientro nel sistema delle quote di ingresso, che deve necessariamente corredare l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno. Su tale linea interpretativa conviene il TAR Piemonte con la sentenza n. 13/2007, mentre per il TAR Veneto, si tratterebbe di un onere quanto meno ripartito, poiché spetterebbe all’Amministrazione invitare il richiedente a procurarsi la relativa certificazione prima di emettere un provvedimento di diniego (TAR Veneto, sez. III n. 3914/06).

Non appare comunque  condivisibile  quanto accennato dal TAR Emilia Romagna nella presente sentenza secondo cui il richiamo al meccanismo delle quote di ingresso farebbe intendere l’attivazione delle ordinarie procedure “che comportano il rientro dello straniero nello Stato di appartenenza”. La normativa infatti prevede un’ipotesi di conversione del permesso di soggiorno da parte della competente questura in presenza dei requisiti e delle condizioni richieste, senza dunque la necessità che lo straniero rientri nello Stato di appartenenza per il rilascio di un nuovo visto di ingresso.

 

 

PERMESSO DI SOGGIORNO

 

 

1. Il provvedimento di revoca o di rifiuto al rilascio del permesso di soggiorno dello straniero che abbia commesso reati collegati al traffico o spaccio di stupefacenti non è automatico qualora l’interessato abbia fatto ingresso in Italia per motivi di ricongiungimento familiare, in quanto la questura è obbligata a tenere conto dei vincoli familiari dell’interessato, dell’esistenza di legami sociali e familiari con il paese di origine e della durata del suo soggiorno in Italia. Questo a prescindere dalla natura del permesso di soggiorno attualmente in possesso dello straniero.

 

TAR Friuli-Venezia Giulia, sentenza n. 114/2009

 

E’ illegittimo il provvedimento della questura di diniego al rinnovo del permesso di soggiorno emesso nei confronti di una cittadina serba condannata per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti.  Il TAR F.v.g. rileva infatti che la questura aveva erroneamente ritenuto che l’espulsione dello straniero condannato per reati collegati al traffico di stupefacenti fosse da ritenersi automatica anche nei confronti dello straniero che una volta fatto ingresso in Italia per motivi di ricongiungimento famigliare, successivamente avesse acquisito un diverso titolo di soggiorno, nella fattispecie per motivi di lavoro. Il TAR rileva invece che la norma di cui all’ultimo paragrafo dell’art. 5 comma 5 del d.lgs. n. 286/98, secondo la quale “nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio , di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare  ovvero del familiare ricongiunto, si tiene conto della natura e effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociale con il paese di origine, nonché, anche della durata del suo soggiorno sul territorio nazionale”,  non si riferisce solo ai titolari di permessi di soggiorno per motivi di famiglia, ma richiede unicamente che tale sia stato il motivo dell’ingresso in Italia, indipendentemente dagli sviluppi successivi del titolo di soggiorno.

Nella fattispecie il caso è stato quello di una cittadina serba giunta in Italia all’età di 10 anni per ricongiungimento famigliare con i genitori e che dunque ha trascorso più della metà della sua esistenza nel nostro paese piuttosto che in quello di origine.

 

 

2. E’ illegittimo il diniego al rilascio del visto di reingresso da parte delle autorità consolari italiane all’estero nei confronti di un cittadino straniero che non abbia ritirato il suo permesso di soggiorno in ragione di comprovati motivi di salute che lo hanno indotto precedentemente a fare ritorno nel suo paese di origine. L’amministrazione è tenuta in questi casi a valutare le ragioni per cui l’interessato non ha provveduto al ritiro del permesso di soggiorno e non può procedere automaticamente.

 

TAR Lazio, Sez. I quarter, Sentenza n. 2085 del 27 febbraio 2009

 

Il TAR Lazio giunge a queste conclusioni richiamandosi al fatto che l’allontanamento dal territorio nazionale costituisce esercizio di una facoltà espressamente riconosciuta dallo straniero dagli artt. 8 e  14 del  d.P.R. n. 394/99, così come l’art. 13 c. 4 del medesimo regolamento indica che gravi e comprovati motivi possono essere causa giustificatrice legittima dell’assenza dello straniero dall’Italia.

 

 

 

 

 

DOCUMENTI, RAPPORTI E RISOLUZIONI DI ORGANISMI NAZIONALI ED INTERNAZIONALI

 

 

 

 

PARLAMENTO EUROPEO

 

Risoluzione 02 aprile 2009, Risoluzione del Parlamento sulla proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale

 

Il testo della Risoluzione del Parlamento europeo in merito alla proposta di direttiva avanzata dalla Commissione europea al Consiglio che si prefigge di estendere il divieto di discriminazione fra le persone in ragione della religione o delle convinzioni personali, della disabilità, dell’età o dell’orientamento sessuale anche fuori dall’ambito lavorativo, come invece attualmente previsto dalla direttiva europea n. 2000/78/CE.

 

 

Per approfondimenti: http://www.olir.it/news/archivio.php?id=1915

 

 

 

CONSIGLIO D’EUROPA

 

Rapporto del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa sull’Italia.

A seguito della sua visita in Italia del 13-15 gennaio 2009, il Commissario ai diritti umani del Consiglio  d'Europa, Thomas Hammarberg,  ha reso noto il suo rapporto sull'Italia a proposito delle tematiche del trattamento dei  Rom e Sinti, dei fenomeni della xenofobia e del  razzismo, delle espulsioni contrarie alla Carta europea dei diritti fondamentali e del trattenimento nei CIE.

Il rapporto include  anche le controdeduzioni inviate dal Governo italiano.

 

Sono disponibili le due versioni:

- inglese

https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?Index=no&command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=1202908&SecMode=1&DocId=1389782&Usage=2

 

-francese

https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?Index=no&command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=1202950&SecMode=1&DocId=1390074&Usage=2

 

 

 

LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA

 

Pubblicato il Report sulle attività dei centri nazionali SOLVIT per l’anno 2008.

Scarica il Report in lingua inglese

SOLVIT è una rete europea per la risoluzione di problemi online, in cui gli Stati membri collaborano per risolvere concretamente i problemi derivanti dall'applicazione scorretta delle norme sul mercato interno da parte delle amministrazioni pubbliche. Presso il centro SOLVIT, persone fisiche ed imprese  possono  sottoporre quesiti e reclami  connessi ad una scorretta applicazione delle norme del diritto comunitario in Italia relative alla libertà di circolazione e di insediamento. SOLVIT è un servizio gratuito. Esiste un centro SOLVIT in ogni Stato membro dell’Unione Europea (come pure in Norvegia, Islanda e Liechtenstein).

 

Il Centro SOLVIT italiano opera presso:

Presidenza del Consiglio dei Ministri
Dipartimento per le Politiche Comunitarie
Piazza Nicosia, 20 - 00186 Roma

Tel:  +39 06 6779 5844
Fax: +39 06 6779 5044
e-mail: solvit@palazzochigi.it

www.politichecomunitarie.it/servizi/?c=solvit

 

 

 

 

 

 

ASILO

 

Pubblicato il Rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) sui trend dei richiedenti asilo nel continente europeo nell’anno 2008. Dati statistici ed analisi.

 

Il testo integrale del rapporto

 

 

ROM E SINTI

 

Rapporto dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali sugli incidenti e gli attacchi contro la popolazione Rom nel quartiere di Ponticelli a Napoli, COSPE Firenze, RAXEN Focal Point for Italy.

Il testo del Rapporto

 

 

RAPPORTO INPS: IMMIGRAZIONE E PREVIDENZA

 

Pubblicato il Rapporto III° Rapporto su immigrati e previdenza negli archivi INPS curato dall’INPS con la collaborazione del Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes: “Diversità culturale, identità di tutela”.

 

Il testo integrale del Rapporto

 

Sintesi del Rapporto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

APPENDICE DI APPROFONDIMENTO E DISCUSSIONE

 

 

 

L’accesso agli impieghi pubblici dei cittadini di paesi terzi non appartenenti all’Unione Europea familiari di cittadini dell’Unione Europea regolarmente soggiornanti in Italia, dei rifugiati politici  nonché dei familiari di cittadini italiani.

 

A cura di Walter Citti, segreteria ASGI

 

 

Come è largamente noto, in virtù di un consolidato orientamento interpretativo da parte ministeriale, e malgrado una consistente giurisprudenza di merito di segno contrario a tale orientamento, i cittadini extracomunitari sono esclusi dagli impieghi pubblici e nei loro confronti sono ritenute ancora applicabili le norme di cui al D.P.C.M. 7.02.1994, n. 174 e all’art. 38 del  d.lgs. n. 165/2001, che prevedono la sola eccezione per i cittadini dell’Unione Europea al divieto di accesso degli stranieri al pubblico impiego .

Per quanto concerne i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, il citato art. 38 del d.lgs. n. 165/2001 ha stabilito il diritto di accesso ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche con l’eccezione di quegli impieghi che implicano l’esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri ovvero attengono alla tutela dell’interesse nazionale. Tali impieghi sono specificati nel citato D.P.C.M. n. 174/1994.

 

L’accesso agli impieghi pubblici dei cittadini di paesi terzi non appartenenti all’Unione Europea famigliari di cittadini dell’Unione Europea regolarmente soggiornanti in Italia.

Non risulta, peraltro, che le citate normative, né altre disposizioni anche a carattere amministrativo abbiano mai affrontato la situazione giuridica dei famigliari extracomunitari di cittadini dell’Unione Europea regolarmente residenti in Italia. Sotto il profilo del diritto interno, infatti, le citate disposizioni non si sono conformate a quanto già previsto dagli art. 3 comma 1 e art. 11 del Regolamento comunitario n. 1612/68 che prevedono il trattamento non discriminatorio nel campo dell’accesso al lavoro a favore dei famigliari dei cittadini comunitari che esercitino il diritto alla libera circolazione e che richiedono dunque l’applicazione nei confronti di tali persone, anche se di cittadinanza di paesi terzi non appartenenti all’Unione Europea, delle stesse disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che si applicano ai cittadini nazionali in materia di accesso al lavoro e al suo esercizio.

Ogni dubbio sulla legittimità dell’estensione anche ai famigliari di cittadini dell’Unione europea residenti in Italia, anche se di cittadinanza di paesi extracomunitari, dell’accesso al pubblico impiego, appare fugato dopo l’entrata in vigore della direttiva  europea n. 2004/38 in materia di libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea e dei loro famigliari, recepita in Italia con il d.lgs. n. 30/2007.

L’art. 23 della direttiva infatti prevede: “I  famigliari del cittadino dell’Unione, qualunque sia la loro cittadinanza, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente in uno Stato membro hanno diritto di esercitare un’attività economica come lavoratori subordinati o autonomi”. L’art. 24 sancisce il principio di parità di trattamento a favore dei cittadini dell’Unione e dei loro famigliari: “Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai famigliari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente”.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea aveva già chiarito con la sentenza  Emir Guel contro Germania dd. 7 maggio 1986 (Causa n. 131/85) che il coniuge del lavoratore comunitario che abbia esercitato il diritto alla libera circolazione gode del principio di non discriminazione nell’accesso al lavoro, previsto per i lavoratori comunitari, qualunque sia la sua cittadinanza e nei suoi confronti si applicano le stesse disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che si applicano ai cittadini nazionali (il caso in questione riguardava il divieto di accesso alla professione di medico in una struttura pubblica in Germania di un cittadino cipriota coniugato con una cittadina britannica residente in Germania).

Tali principi di diritto comunitario di parità di trattamento nell’accesso all’esercizio di attività lavorativa a favore dei cittadini dell’Unione e dei loro famigliari sono stati pienamente recepiti nel d.lgs. n. 30/2007. All’art. 19 si afferma: “ 1. I cittadini dell’Unione e i loro famigliari hanno diritto di esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell’Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, riserva ai cittadini italiani. 2. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal Trattato CE e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base al presente decreto, nel territorio nazionale, gode di pari trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai famigliari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente”.

 

Sulla base del primato del diritto comunitario su quello interno, e dell’immediata applicabilità delle sentenze interpretative della CGE, nonché dei principi generali dell’interpretazione e della successione delle leggi nel tempo di cui all’art. 15 delle disposizioni preliminari al C.C., si ritiene che le disposizioni di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 30/2007  integrino e modifichino a tutti gli effetti quanto previsto dalle norme sul pubblico impiego e dall’art. 38 del d.lgs. n. 165/2001. Di conseguenza,  si conclude che  anche ai famigliari di cittadini degli Stati membri dell’Unione europea regolarmente residenti in Italia, qualunque sia la loro cittadinanza, se in possesso della carta di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, debba essere consentito l’accesso  agli impieghi pubblici alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per i cittadini dell’Unione europea (comma 3:  godimento dei diritti civili e politici nello Stato di appartenenza, conoscenza adeguata della lingua italiana), pena la violazione degli obblighi comunitari e l’esposizione del nostro paese ad una procedura di infrazione.

 

L’accesso agli impieghi pubblici dei cittadini di paesi terzi famigliari di cittadini italiani.

L’art. 23 del d.lgs. n. 30/2007 prevede l’estensione delle norme previste dal decreto attuativo della direttiva europea  in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari anche ai famigliari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana.[1]

Dal significato  letterale della norma  ne deriverebbe un’interpretazione della equiparazione della condizione dei famigliari dei cittadini italiani a quella dei famigliari di cittadini comunitari estensibile a tutte le disposizioni contenute nel decreto e non solo a quelle in materia di soggiorno. Pertanto, anche i famigliari dei cittadini italiani godrebbero del principio di parità di trattamento nell’accesso alle attività lavorative, salvo quelle attività escluse ai cittadini dell’Unione europea conformemente alla normativa comunitaria. Ne conseguirebbe l’estensione anche ai famigliari extracomunitari di cittadini italiani dell’accesso al pubblico impiego fatte salve le limitazioni di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 165/2001 e al D.P.C.M. n. 174/1994.

 

L’accesso agli impieghi pubblici dei cittadini di paesi terzi titolari della qualifica di rifugiati politici o della protezione sussidiaria.

L’art. 25 del d.lgs. n. 251/2007, attuativo della Direttiva europea n. 2004/83/CE (“Norme minime  sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”) ha espressamente esteso ai cittadini stranieri titolari dello status di rifugiato politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 l’accesso al pubblico impiego ("2. E’ consentito al titolare dello status di rifugiato l’accesso al pubblico impiego, con le modalità e le limitazioni previste per i cittadini dell’Unione Europea”).

Avendo in considerazione l’impossibilità per il rifugiato politico di rivolgersi alle  autorità consolari del paese di provenienza per ottenere la certificazione del godimento dei diritti civili e politici nello Stato di appartenenza e in ragione dell’obbligo di assistenza amministrativa ai rifugiati di cui all’art.  25 della Convenzione di Ginevra del 1951 (“Allorquando l’esercizio di un diritto da parte di un rifugiato richiederebbe normalmente il concorso di autorità straniere, alle quali non può ricorrere, gli Stati contraenti sul territorio dei quali risiede, faranno in modo che questo concorso  gli sia fornito dalle loro stesse autorità, sia da una autorità internazionale”),  si mantiene che il rifugiato dovrebbe essere esentato  dall’obbligo di provare il godimento dei diritti civili e politici nello Stato di provenienza, fermo restando la sua esclusione dagli impieghi pubblici in caso di commissione di reati penali che prevedano la medesima esclusione per il cittadino italiano.

 

 

Si provvede a tale annotazione, rilevando dall’esame dei bandi di concorso pubblici indetti dalle Amministrazioni centrali dello Stato, quanto dalle Amministrazioni regionali e dagli Enti locali (ad es. www.concorsi.it) che la questione del diritto all’accesso ai medesimi tanto dei famigliari di cittadini comunitari o italiani, qualunque sia la loro cittadinanza, quanto dei rifugiati politici,  è completamente ignorata, con evidente omissione degli obblighi scaturenti da precise norme di diritto comunitario ed interno.

 

Sarebbe, pertanto, auspicabile una presa di coscienza della questione da parte dei competenti  Ministeri nazionali interessati (Funzione Pubblica, Politiche Europee, Lavoro ), nonché, per quanto di competenza, delle Regioni.

 

 

 

 

 

 

 

Newsletter a cura di Walter Citti e Silvia Canciani – Segreteria ASGI

Per contatti : Sedi organizzative :Udine,  via S. Francesco, 39 33100 - Tel. Fax: 0432 /50715 info@asgi.it

          Trieste, via Fabio Severo, 31 34100 - Tel/Fax: 040/368463  walter.citti@asgi.it

 

ASGI - Sede legale e Amministrazione  : Torino, via Gerdil n.7 10100 - Tel. /Fax  011/4369158 segreteria@asgi.it

Sito internet : www.asgi.it

 



[1] Tale norma deve intendersi quale espressione del divieto di “discriminazioni a rovescio”. Con due importanti sentenze, la Corte Costituzionale ha infatti stabilito che, in caso di deteriore trattamento della situazione puramente interna rispetto a quella applicabile all’omologa situazione disciplinata dal diritto comunitario, alla luce del principio costituzionale di eguaglianza, la posizione soggettiva garantita dal diritto comunitario sarà l’elemento su cui misurare anche la disciplina riservata alla situazione nazionale (Corte Costituzionale, sent. 16.06.1995, n. 249; Corte Cost., sent. 30.12.1997, n. 443). In altri termini il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione vieta le “discriminazioni a rovescio”, quelle cioè che si verificherebbero in danno del cittadino italiano quando, per effetto di una norma comunitaria, una persona o un soggetto comunitario godrebbe in Italia di un trattamento più favorevole di quello previsto in una situazione analoga per il cittadino o soggetto nazionale in virtù della norma di diritto interno. In sostanza, la ratio dell’art. 23 del d.lgs n. 30/2007 sembra essere quella di evitare che il famigliare del cittadino comunitario goda di un trattamento più favorevole rispetto al famigliare del cittadino italiano, con evidente pregiudizio anche per quest’ultimo, visto che la famiglia è certamente uno degli ambiti più rilevanti per l’affermazione della propria personalità.