Consiglio di Stato, Sez. VI, Decisione n. 1402 del 10 marzo 2009, Pres. Barbagallo, Rel. De Michele. Ministero dellĠinterno – XXX.


Sul ricorso in appello n. 571/04, proposto dal Ministero dellĠInterno, rappresentato e difeso dallĠAvvocatura Generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
il signor XXXXX, non costituitosi in giudizio;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I ter, n. 5673/03 del 26.6.2003;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2009 relatore il Consigliere Gabriella De Michele;
Udito lĠavv. dello Stato Guizzi;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con atto di appello notificato in data 8.1.2004, il Ministero dellĠInterno contestava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I ter, n. 5673/03 del 26.6.2003, con la quale si accoglieva il ricorso proposto dal signor XXXXX (attuale parte appellata) avverso il provvedimento della Commissione centrale del 18.11.1997, di diniego di riconoscimento dello status di rifugiato politico.
Nella citata sentenza si ravvisava la sussistenza di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo stata la causa introdotta prima dellĠentrata in vigore della legge 6.3.1998, n. 40 e, nel merito, si ritenevano fondate le censure di eccesso di potere per contraddittorietˆ, perplessitˆ e travisamento, essendo stato affermato dalla predetta Commissione che la renitenza alla leva non costituisce presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato: quanto sopra senza considerare che, nel caso di specie, lĠinteressato aveva rappresentato il proprio timore di subire persecuzioni in caso di prestazione del servizio militare, ad opera di oppositori del regime politico algerino.
In sede di appello veniva sottolineato viceversa – previa generica contestazione della giurisdizione del giudice amministrativo – come il provvedimento impugnato fosse stato preceduto da adeguata istruttoria e risultasse motivato in modo, benchŽ sintetico, comunque sufficiente, logico e congruo, avendo lĠinteressato rappresentato in modo contraddittorio il proprio rifiuto a prestare servizio militare nel Paese dĠorigine (per timore di ritorsioni, ma anche per completare gli studi) ed essendo comunque evidente lĠinsussistenza di un rischio di persecuzione nel Paese stesso Òper motivi di razza, religione, nazionalitˆ o appartenenza ad un determinato gruppo socialeÓ (come previsto dallĠart. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951), sussistendo piuttosto un rischio di applicazione delle pene previste per renitenza alla leva, mentre la situazione di pericolo – cui lĠinteressato faceva risalire la propria sottrazione al servizio militare – sarebbe stata riconducibile non ad un atteggiamento persecutorio del Governo algerino, ma a minacce provenienti da ambienti estranei ed ostili al Governo stesso, con conseguente irrilevanza ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.
La parte appellata non si  costituita in giudizio.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che le argomentazioni dellĠAmministrazione appellante non siano condivisibili, sia per quanto riguarda la cognizione del giudice amministrativo sulla controversia di cui trattasi, sia in relazione alla sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti individuati dalla giurisprudenza per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
Sotto il primo profilo, si deve ricordare che la giurisdizione e la competenza Òsi determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domandaÓ, senza che abbiano rilevanza Òi successivi mutamenti della legge o dello stato medesimoÓ (art. 5 cod. proc civ.); nella situazione in esame, deve essere valutata la legittimitˆ di un provvedimento di diniego dello status in questione, emesso il 18.11.1997, in vigenza dellĠart. 5, comma 2 del D.L. 30.12.1989, n. 416, convertito in legge 28.2.1990, n. 39 ed abrogato dallĠart. 46, comma 1, lett. e) della legge 6.3.1998, n. 40 (Disciplina dellĠimmigrazione e norme sulla condizione dello straniero).
Dopo lĠintervenuta abrogazione, nonostante qualche oscillazione della giurisprudenza (Cons. St., sez. IV, 15.12.2000, n. 6710 e 27.5.2002, n. 2937), appare prevalente la tesi della sussistenza di giurisdizione del giudice ordinario, in materia di riconoscimento dello status di rifugiato, quale figura giuridica riconducibile – al pari di quella dei richiedenti asilo – a diritti soggettivi, anche con riferimento ad atti meramente conseguenti, quali eventuali dinieghi del permesso di soggiorno (Cons. St., sez. VI, 22.6.2007, n. 3474, 5.12.2007, n. 6196 e 19.5.2008, n. 2274; e con la sola eccezione degli atti discrezionali, relativi ad istanze di permanenza sul territorio nazionale, nelle more della decisione del giudice ordinario sulla concessione dello status di cui trattasi (Cass., SS.UU., 27.2.2008, n. 5089); per gli atti ricognitivi dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, antecedenti (come quello attualmente in esame) alla data di entrata in vigore della citata legge n. 40/1998, invece, risulta pacifica la giurisdizione del giudice amministrativo, espressamente prevista dal ricordato art. 5, comma 2 D.L. n. 416/1989 (cfr. in tal senso, per il principio, Cass. SS.UU. 26.5.1997, n. 4674).
Il concreto riconoscimento del predetto status, poi,  stato ritenuto connesso non, in via generale ed esclusiva, alla realtˆ politico-economica del Paese di origine del soggetto richiedente, ma alla situazione oggettiva rilevabile nel Paese stesso, in ordine alla sussistenza di circostanze, atte a determinare pericoli per lĠincolumitˆ della persona interessata (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. IV, 10.3.1998, n. 405 e 12.1.1999, n. 11; Cass. civ., sez. I, 20.12.2007, n. 26822; TAR Lazio, Roma, sez. I, 2.2.2007, n. 781).
Ove pertanto, come segnalato nel caso di specie, allĠassolvimento degli obblighi di leva potesse corrispondere un rischio, per minacce riconducibili a gruppi di opposizione interna al regime politico algerino, la circostanza non avrebbe potuto essere ignorata senza alcun approfondimento in ordine alla situazione interna del Paese in questione, nŽ il rischio stesso avrebbe potuto essere escluso in base al mero assunto, nel caso di specie evidenziato, dellĠassenza di intenti persecutori da parte del Governo, in rapporto alla legittima applicazione delle misure repressive, previste per la renitenza al servizio militare.
Appariva, viceversa, corrispondente a fatto notorio – nella accezione di cui allĠart. 115 cod. proc. civ. – la sussistenza nel Paese di appartenenza dellĠappellante di conflitti interni, legati a motivi etnici e religiosi, che avrebbero dovuto suggerire un doveroso approfondimento della situazione di pericolo, denunciata dal soggetto interessato.
Il diniego di riconoscimento di cui si discute, pertanto, non si sottrae alle censure di eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietˆ, perplessitˆ e travisamento, accolte nella sentenza appellata, avendo lĠistante segnalato di Òprovenire da una cittˆ dellĠAlgeria particolarmente interessata, negli ultimi anni, da attivitˆ criminali terroristicheÓ, nonchŽ Òdi essere stato oggetto di gravi minacce da parte di integralisti, che intendevano dissuaderlo dallĠottemperare agli obblighi di leva, nella forma del servizio sostitutivo civileÓ, senza che ci˜ implichi una valutazione di deficit democratico.
Appare singolare, del resto, che lĠAmministrazione non disconosca le circostanze sopra indicate, ma sembri ritenerle irrilevanti, solo perchŽ non riconducibili a persecuzione posta in essere dal Governo, mentre appare evidente – nei termini giˆ in precedenza ricordati – che anche la sussistenza di gravi e conosciuti conflitti interni (non necessariamente implicanti vera e propria guerra civile) possono costituire presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, quando la situazione socio-politica del Paese pur a regime democratico, renda plausibile il rappresentato pericolo per lĠincolumitˆ del singolo cittadino. Del tutto irrilevante, infine, appare la circostanza della avvenuta segnalazione, da parte del soggetto interessato, di ragioni di studio quale ulteriore causa di non effettuazione del servizio di cui trattasi: tali ragioni – evidentemente addotte a scopo rafforzativo della richiesta di soggiorno – erano infatti senzĠaltro ininfluenti per concorrere allĠindividuazione dei presupposti sopra analizzati, ma non potevano nemmeno sottrarre a questi ultimi a quellĠoggettivo riscontro che, nei modi giˆ in precedenza illustrati, avrebbe dovuto essere effettuato, con adeguato approfondimento delle circostanze segnalate.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che lĠappello debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali, alla mancata costituzione dellĠappellato consegue che nessun provvedimento debba essere adottato per questo grado di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autoritˆ amministrativa.
Cos“ deciso in Roma, il 9 gennaio 2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez. VI -, riunito in Camera di Consiglio.