1. Finalmente il Parlamento italiano ha avuto un
sussulto di dignità e si è liberato dai pesanti condizionamenti imposti dal
governo che vorrebbe limitare in tutti i modi la libertà di voto dei
parlamentari. E non si tratta solo della bocciatura delle ronde, misura che
presto sarà comunque introdotta con un disegno di legge.
In occasione della conversione del decreto legge n. 11, emanato il 23 febbraio
scorso, “recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto
alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, nel quale era
stato inserita, con una manovra pretestuosa al limite della costituzionalità,
la norma che prolungava fino a 180 giorni la detenzione amministrativa per gli
immigrati irregolari in attesa di espulsione, il governo è stato battuto
proprio sull’art. 5 che prevedeva la estensione del tempo massimo di
trattenimento degli immigrati irregolari nei CIE. L’emendamento contrario
presentato dall’opposizione è stato approvato a scrutinio segreto con 232 voti
a favore e 225 contrari. Dodici gli astenuti, di cui dieci dell’Italia dei
valori (su 22 presenti).Un voto che colloca una parte di Italia dei Valori in
una posizione di incolmabile distanza rispetto alle battaglie per i diritti
fondamentali dei migranti che in questi anni sono state fatte per la chiusura o
quantomeno il “superamento” dei CIE. Un voto di astensione che peserà alle
prossime elezioni europee. Sarebbero 17 invece i deputati del Pdl che hanno
votato con l’opposizione contro l’art. 5 del provvedimento, una norma che nei
giorni passati aveva suscitato forti riserve anche nel Consiglio Superiore
della Magistratura. Una norma che si doveva approvare ad ogni costo anche per
dare una copertura “a posteriori” alle prassi illegittime adottate
nell’isola di Lampedusa, dove si trovano ancora migranti rinchiusi da gennaio
in un CIE “provvisorio”, che non è neppure un vero CIE, perché non è
stato costituito secondo le procedure indicate dall’art. 14 del Testo Unico
sull’immigrazione, ma con un decreto “fantasma” del Ministro dell’Interno.
Mentre i lavori per la costruzione del nuovo CIE alla vecchia base Loran sono
stati bloccati dopo un esposto della Lega Ambiente che lamentava il mancato
rispetto dei vincoli ambientali.
Adesso, come altre volte in
passato, il ministro Maroni invocherà la normativa comunitaria e in particolare
la Direttiva sui rimpatri n. 115 del 2008, per tentare ancora di introdurre il
prolungamento della detenzione amministrativa, agitando la spauracchio di un
“indulto” per persone che non hanno commesso alcun reato, perché il Parlamento
non ha ancora approvato la norma che introduce in Italia il reato di
immigrazione clandestina. Ma, per il ministro, il voto del Parlamento su questo
provvedimento è probabilmente già scontato, come era scontata l’approvazione
oggi della norma che prevedeva l’allungamento dei termini della detenzione
amministrativa nei CIE. E adesso la Lega Nord riproverà a condizionare
la maggioranza e l’intero Parlamento riproponendo la stessa norma bocciata dal
voto della Camera. Ed alla fine, forse, il prolungamento dei tempi di
detenzione amministrativa per gli immigrati in attesa di espulsione sarà
approvato. Per questa ragione è necessario non fermarsi oggi a constatare la
sconfitta del governo, ma approfondire le motivazioni e la relazione tecnica
relativa alla norma che oggi è stata bocciata, perché quella stessa norma, si
può starne certi, sarà riproposta quanto prima, magari nello stesso decreto e
con un voto di fiducia, come ha già annunciato il ministro La Russa. Dunque,
dopo l’euforia, in qualche caso anche eccesiva, occorre preparare la
risposta alla prossima iniziativa del governo, su questi temi non
cederanno di un millimetro neppure davanti all’evidenza del loro fallimento.
L’opinione pubblica va
informata del fatto che le direttive o i regolamenti comunitari non impongono
affatto l’inasprimento della normativa italiana riguardante la detenzione
amministrativa, né tantomeno la introduzione del reato di immigrazione
clandestina, una misura che potrebbe avere addirittura effetti criminogeni
moltiplicatori della clandestinità e dei reati ad essa connessi.
E sarebbe anche bene fare conoscere i dettagli sul prolungamento dei tempi di
detenzione amministrativa nei CIE, contenuti nella “Relazione tecnica” allegata
al disegno di legge n. 2232 che entro il 23 aprile prossimo dovrebbe convertire
il decreto legge n. 11 del 2009. Uno sforzo di analisi, a margine di una norma
che oggi il Parlamento ha bocciato, ma che intanto rimane in vigore fino alla
data di scadenza del decreto legge che la contiene, in modo che tutti possano
valutare, cifre alla mano la credibilità e i costi (non solo economici) delle
politiche contro gli immigrati portare avanti dal governo attualmente in
carica.
2. L’art. 5 comma 1 lettera f della Convenzione
Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo afferma che “nessuno può
essere privato della libertà , salvo che nei casi seguenti e nei modi
prescritti dalla legge”, tra i casi elencati ricorre appunto l’ipotesi
“dell’arresto o della detenzione “regolari” di una persona per impedirle di
entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in
corso un procedimento d’espulsione o di estradizione. Ogni persona arrestata o
detenuta in base a questa previsione “deve essere tradotta al più presto
dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad
esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un
termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura”.
Secondo l’art. 5 comma 4, della stessa Convenzione, “ogni persona privata della
libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso
davanti ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità
della sua detenzione e ne ordini l scarcerazione se la detenzione è
illegittima”. Tutta la formulazione di questa norma si pone in contrasto con il
prolungamento della detenzione amministrativa fino ad un termine tanto lungo da
non risultare certamente finalizzato alla esecuzione della misura di
allontanamento. In realtà quello che il governo italiano vuole è la
trasformazione della funzione stessa della detenzione amministrativa, non più
uno strumento per rendere effettive le espulsioni o i respingimenti, ma uno
strumento propagandistico per infondere sicurezza nei cittadini, anche quando
si rischia di sortire nei fatti il risultato opposto di ampliare ulteriormente
le aree di clandestinità e la devianza sociale.
In base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, se
l’art. 5 comma 1 lettera f.della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti
dell’uomo (CEDU) ammette la detenzione amministrativa “regolare” di una persona
“contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione”,
occorre tuttavia che la misura limitativa della libertà sia “proporzionata ed
adeguata”, e che abbia una durata commisurata all’esigenza di assicurare le
misure di allontanamento forzato. Secondo la Corte Europea dei diritti
dell’uomo, una violazione dall’art. 5 potrà risultare sia da una detenzione
amministrativa “non conforme” rispetto a tali criteri, che dalla mancanza di un
ricorso effettivo. Secondo l’art. 5.4 della CEDU “ogni persona privata della
libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di presentare un ricorso ad un
tribunale, affinchè decida entro breve termine sulla legittimità della sua
detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima”. Ogni
persona vittima di arresto o di detenzione arbitraria “ ha diritto ad una
riparazione”. Anche in questo caso viene richiamato il principio che la
decisione deve giungere entro un breve termine, e non certo entro mesi e mesi
dall’inizio del trattenimento, sia pure come “ospiti”, in un centro di
detenzione amministrativa.
Gli accordi di Schengen non impongono in Italia i centri di permanenza
temporanea (oggi definiti come centri di identificazione ed espulsione CIE), ma
solo che i singoli paesi che aderiscono all’intesa si dotino di misure di
accompagnamento forzato “efficaci”. Anche se la direttiva (2008/115/CE) sui
rimpatri forzati che l’Unione Europea ha approvato alla fine del 2008, contiene
la previsione della detenzione amministrativa per gli immigrati irregolari,
addirittura fino ad un periodo di diciotto mesi, la stessa direttiva richiama
il principio della adeguatezza e della proporzionalità delle misure di
allontanamento forzato ( art. 15) ed afferma che il rimpatrio forzato deve
costituire la soluzione estrema dopo il tentativo di rimpatrio volontario che
va comunque tentato. In base agli articoli 7 ed 8 della Direttiva, nel caso di
“partenza volontaria”, possono essere previste obblighi “di dimorare in un
determinato luogo”, e solo quando non sia stata concessa la possibilità di una
“partenza volontaria”, possono scattare le misure di rimpatrio e di
trattenimento forzato. Ma in Italia di rimpatri volontari non ne parla nessuno
e tutti pensano che basti prolungare i tempi della detenzione amministrativa
per garantire maggiore efficacia alle espulsioni ed ai respingimenti. Come si
propongono adesso di fare nella conversione del decreto legge antistupri o
nella approvazione definitiva del disegno di legge. n.733 sulla sicurezza.
Gli scopi di armonizzazione della normativa comunitaria appaiono comunque
ancora ben lontani dall’essere raggiunti , se solo si pensa che la direttiva
europea non stabilisce un termine minimo di detenzione amministrativa,
e rimette ai legislatori nazionali la decisione di attribuire effetto
sospensivo al ricorso contro il provvedimento di allontanamento forzato. In
ogni caso la direttiva 2008/115/CE deve essere ancora attuata nel nostro
ordinamento, ed una normativa interna che risultasse in contrasto con quanto
previsto dalla direttiva, prima o dopo la sua implementazione, potrebbe esporre
l’Italia ad una procedura di infrazione davanti alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea.
3. La presentazione e la Relazione tecnica del
Disegno di legge n. 2232 di conversione del Decreto legge n.11 del 2009, con particolare
riferimento all’art. 5 che riguarda il prolungamento a sei mesi della
detenzione amministrativa nei CIE, conferma la portata demagogica del
provvedimento, i costi assai rilevanti e la sua efficacia nulla, se non i suoi
effetti controproducenti rispetto alle ansie di questo governo e della
maggioranza che lo sostiene, di liberarsi nel più breve tempo possibile del
maggior numero di immigrati irregolari. Quando forse sarebbe più rispettoso per
la dignità delle persone e più conveniente per le finanze pubbliche introdurre
percorsi di emersione dalla irregolarità e di regolarizzazione permanente a
regime. Oltre al doveroso ripristino delle quote di ingresso annuali per lavoro
a tempo indeterminato. Ma tutta l’attenzione di questo governo è allocata oggi
sulle misure di allontanamento forzato e di detenzione amministrativa, con i
costi che ne conseguono.
Secondo quanto asserito nella
presentazione del provvedimento di conversione, la disposizione introdotta
dall’art. 5 ( il prolungamento della detenzione amministrativa fino a sei mesi)
sarebbe stata giustificata (oltre che per il rischio che autori di gravi
delitti, usciti dal carcere senza essere stati identificati, neppure avrebbero
potuto esserlo nei sessanta giorni di detenzione nei CIE), dalla specifica
situazione determinata a Lampedusa non dall’aumento degli arrivi di migranti,
ma dalla improvvida trasformazione del Centro di prima accoglienza e soccorso
in un CIE provvisorio, voluta dal ministro Maroni a gennaio di quest’anno.
La nuova disciplina prevista
dall’art. 5, oggi bocciato dalla Camera, contenuta nel decreto legge n. 11 del
23 febbraio 2009, viene definita “urgente perché vi è l’elevata probabilità che
nella sola isola di Lampedusa centinaia di stranieri irregolari, proprio per le
difficoltà relative alle modalità di rimpatrio, tornino in circolazione entro
la fine di marzo”. In realtà molti di quei migranti sono stati “spalmati” in
diversi CIE italiani e da quel momento le proteste ed i tentativi di
autolesionismo non si contano più. Solo una minima parte dei migranti sbarcati
in questi primi mesi dell’anno in Sicilia è stata effettivamente rimpatriata
nei paesi di origine.
Ma non era stato assicurato che
dopo gli accordi con la Libia e la Tunisia il flusso di immigrati verso
Lampedusa sarebbe cessato, e che gli immigrati trattenuti a Lampedusa sarebbero
stati rimpatriati prontamente, soprattutto dopo la missione del ministro Maroni
a Tunisi? Scopriamo adesso, anche dai dati ufficiali del Ministero, che i
rimpatri effettuati verso la Tunisia sono alcune decine alla settimana, quando
avvengono, ed è a tutti noto che i rimpatri verso la Libia sono vietati dalle
Convenzioni internazionali, e che oltre il 70 per cento di coloro che
provengono da quel paese sono richiedenti asilo, che quindi hanno diritto ad
essere accolti e non certo ad essere gettati in un CIE o, peggio, respinti
nelle mani di quella polizia libica che è nota nel mondo per gli abusi
sistematici che commette ai danni dei migranti.
Nella relazione allegata al
Disegno di legge n.2232 all’esame della Camera dei Deputati, nella parte
dedicata all’art. 5, si legge che “attualmente i centri di identificazione e di
espulsione (CIE) operativi sono dieci, per un totale di 1160 posti
disponibili”. Una notizia molto interessante, seguita da proiezioni non meno
interessanti. Sulla base dei dati relativi al 2007 si sostiene quindi che il
tempo medio di permanenza sarebbe stato di 27 giorni e che “ con il
prolungamento previsto dalla disposizione si ritiene che una stima prudenziale
per determinare un nuovo tempo medio di permanenza possa individuarsi in
quattro volte il tempo medio attuale ( 30 giorni per 4 = 120 giorni)”. Sempre
secondo la relazione tecnica, “ ipotizzando, pertanto un periodo di
trattenimento medio pari a centoventi giorni - corrispondente a quattro mesi di
trattenimento - per garantire la stessa capacità recettiva con il nuovo tempo
di permanenza il sistema dovrà avere un incremento di 3.480 nuovi posti”.
Oltre ai mille posti, da
ottenere con interventi di riadattamento, già finanziati dalla legge 186 del
2008, “anche al fine della più rapida attuazione della normativa europea che
consente il trattenimento degli stranieri da espellere fino a diciotto mesi”,
sarebbero dunque da costruire nuovi CIE per 1.500 posti e ristrutturare edifici
esistenti ( come la ex base Loran di Lampedusa) per i restanti 980.
Tutto questo “sistema” ampliato dei CIE servirebbe solo per mantenere la
attuale capacità recettiva ( ma non espulsiva) del “sistema”, prolungando a sei
mesi la detenzione amministrativa. Prolungamento dei tempi di detenzione
amministrativa che non equivale certo ad una maggiore efficacia delle procedure
di espulsione, perché se manca la collaborazione dei paesi di provenienza
sessanta giorni sono già troppi, e neppure diciotto mesi potranno consentire il
rimpatrio effettivo dei destinatari dei provvedimenti di espulsione o di
respingimento quando gli stessi paesi di provenienza non abbiano intenzione di
collaborare.
E’ peraltro noto che
attualmente meno della metà degli immigrati trattenuti nei CIE italiani viene
effettivamente accompagnata in frontiera e dunque l’inasprimento della durata
della detenzione amministrativa produrrebbe solo l’effetto di esacerbare le
condizioni di trattenimento senza incrementare di una sola unità la effettiva
“capacità espulsiva” delle autorità amministrative italiane.
Soltanto per la realizzazione dei “nuovi” CIE per 1500 posti, ammesso che le
Regioni non si oppongano, l’art. 5 oggi bocciato dal Parlamento comporterebbe una spesa di 117 milioni
di euro, mentre 22 milioni di euro sarebbero stati necessari per la
ristrutturazione degli edifici esistenti. Ed a queste somme si
dovrebbero aggiungere altre decine di milioni di euro per realizzare i mille
nuovi posti previsti dalla legge 186 del 28 novembre 2008, questi già
utilizzabili, con i “brillanti” risultati che si possono verificare con i
lavori di adattamento fermati a metà nella ex base Loran dell’isola di
Lampedusa.
Insomma sarebbero stati (e
forse saranno) necessari oltre duecento milioni di euro per moltiplicare i CIE
e finanziare un prolungamento dei tempi della detenzione amministrativa che non
farebbe aumentare significativamente, come si può verificare dopo il fallimento
degli accordi con la Tunisia, il numero degli immigrati effettivamente accompagnati
in frontiera. Tralasciamo i maggiori costi da prevedere per le convalide “a
ripetizione” da parte dei giudici di pace, per i difensori d’ufficio e per gli
interpreti, anche perché nell’immediato non sembra proprio che il numero degli
stranieri complessivamente internati nei CIE possa aumentare in modo
significativo. Si tratta di altre centinaia di migliaia di euro, per i primi
anni e poi dal “2012 e seguenti”, quando l’intero sistema andrà a regime… anche
alcuni milioni di euro all’anno (esattamente nel 2012 4.872.000 per il
patrocinio a spese dello stato e per l’interpretariato). Ma si potrà
risparmiare sempre sul patrocinio legale “ in considerazione della contenuta
complessità dell’assistenza legale connessa alla ripetitività delle udienze di convalida
ogni sessanta giorni di permanenza”. Che noia, con gli avvocati di ufficio che
non dicono neppure una parola per difendere i loro assistiti, al punto che nei
moduli prestampati non c’è neanche un rigo per le loro opposizioni. Ed i
diritti di difesa degli immigrati?
A guardare bene nella relazione
tecnica allegata al provvedimento di conversione del Decreto Legge n.11 del
2009, si coglie un altro elemento che fa comprendere bene quale avrebbe potuto
essere (e quale probabilmente sarà) l’effettivo impatto nel tempo di questo
provvedimento, o di altri similari che il Governo riesca ad approvare entro la
prossima estate, magari con l’ennesimo voto di fiducia o con un decreto
“omnibus” per tutti gli usi, che costituisce ormai lo strumento privilegiato per
superare i dubbi crescenti, anche nella maggioranza, sulla portata xenofoba e
criminogena delle norme introdotte in questo ultimo anno in materia di
immigrazione ed asilo.
La Relazione tecnica del
Disegno di legge di conversione del D.L. 11 del 2009 distribuisce infatti in un
quadriennio (2009-2012) gli oneri previsti per l’aumento dei posti nei centri
di identificazione ed espulsione, e dunque solo in questo periodo si potrebbe
verificare la effettiva attivazione
di tali posti, e degli stessi CIE che li dovrebbero contenere. Ed è ben nota la
lunga durata di “costruzione” o di “riadattamento” di un CIE, come conferma
l’esperienza di Torino, di Modena, ed adesso anche di Lampedusa, con il blocco
dei lavori alla ex base Loran per violazione delle norme sull’ambiente. Dunque
erano stati previsti almeno quattro anni perché le misure che il governo
voleva, e ancora vuole, adottare con la massima urgenza, addirittura
utilizzando lo strumento della decretazione di urgenza, potessero trovare
copertura finanziaria e strutture idonee per la loro concreta realizzazione.
Il dato più sconcertante
contenuto nella relazione tecnica riguarda proprio il 2009: “in tale anno non
si renderanno operativi nuovi posti nei CIE”, e dunque si resterà ai 1160 posti
attualmente disponibili, o al massimo, in realtà, se ne potranno attivare un
migliaio, in virtù della legge 186 del 2008 che permette di ristrutturare
edifici già esistenti, come caserme o basi militari, sempre troppo poco per
“reggere” l’aumento della durata della detenzione amministrativa, soprattutto
se il governo, per “vendicarsi” della sonora sconfitta di oggi, riproporrà
nello stesso decreto un prolungamento ulteriore dei tempi di detenzione
amministrativa.
Una concezione invero singolare della democrazia parlamentare, che autorizza
l’esecutivo a peggiorare per spirito di rivalsa le proprie proposte già
bocciate dalle aule parlamentari, per imporle poi con la decretazione d’urgenza
ed il voto palese di fiducia.
4. Non sappiamo se dal prossimo 15 maggio le sei
motovedette donate al governo libico permetteranno un effettivo blocco
dell’immigrazione clandestina, come garantito dal ministro Maroni, certamente
però, quale che sia l’andamento degli arrivi, con le proiezioni di spesa e con
i dati desumibili dai documenti ufficiali, non sembra credibile che il numero
degli immigrati effettivamente espulsi dall’Italia attraverso i CIE possa
aumentare significativamente nei prossimi anni.
Quello che è certo, è che il clima di violenze e gli atti di
autolesionismo all’interno dei centri di detenzione amministrativa non potrà
che aggravarsi ulteriormente. Da Milano a Lampedusa ormai è un
susseguirsi di rivolte, tentativi di fuga ed atti di autolesionismo che solo
una ferrea censura riesce a nascondere all’opinione pubblica. Ed al governo non
resterà forse che moltiplicare i centri di detenzione amministrativi
“camuffati” come centri di prima accoglienza finanziabili con la legge Puglia
del 1995, una “prima accoglienza” dietro le sbarre, che potrà durare magari
anche mesi, senza lo straccio di un provvedimento di respingimento o di
trattenimento. E dove non ci saranno sbarre e porte di ferro saranno impiegati
i manganelli per delimitare gli spazi e stabilire le regole di comportamento.
Oppure potrebbe verificarsi
un’altra circostanza, e le prime avvisaglie sono già percepibili nei centri di
detenzione siciliani. Per fare posto ai nuovi arrivati potrebbero essere
rimessi in libertà gli immigrati trattenuti da maggior tempo, e/o per i quali
sia ormai chiaro che i paesi di origine non forniranno i documenti di
riconoscimento e di viaggio necessari per il rimpatrio. Magari, qualcuno
riterrà di risolvere il problema, e nascondere il fallimento delle politiche
annunciate per placare l’ansia di sicurezza della opinione pubblica,
consegnando agli immigrati rimessi in libertà l’intimazione “a lasciare entro
cinque giorni il territorio nazionale”.
Un invito a nascondersi nella clandestinità, oppure un ordine impossibile da
eseguire per chi si trova privo di mezzi e senza documenti di identità.
Fulvio Vassallo Paleologo,
Università di Palermo