Noi ci saremo. Prima che sia troppo tardi

 

Stefano Galieni
Come non concordare con quanto espresso da Sandro Mezzadra, sulle colonne del manifesto nell'appello pubblicato il 12 febbraio dal titolo "Prima che sia troppo tardi". E se lo si condivide, la prima cosa da fare - non da declamare - assumerlo, contribuire alla realizzazione di una mobilitazione nazionale grande e urgente. Quindi, ci stiamo e ci saremo, a costruire un percorso condiviso, largo nello schieramento, netto nei contenuti. Netti nel denunciare la enorme inadeguatezza mostrata tanto dalla sinistra politica e sociale, quanto dal mondo intellettuale, dai giornalisti, da tutti coloro che (compreso chi scrive) non sono riusciti a costruire sufficiente opposizione al realizzarsi di una micidiale fase di egemonia culturale razzista. L'affacciarsi minaccioso fra ultimi e penultimi nella scala sociale, del "conflitto orizzontale" che prevale su quello "verticale", ci trova tutte e tutti, responsabili, ma non si tratta di recitare assolutori mea culpa. Troppo spesso abbiamo preso sotto gamba la ricerca costante del capro espiatorio, prodotta non solo dal governo attuale quanto dalle amministrazioni locali, con le ordinanze dei sindaci, di diverso colore, accomunate dalla volont di reprimere, espellere, escludere, condannare le diversit e le povert.
Hanno pesato la frammentazione dei movimenti antirazzisti, il loro rattrappirsi in dinamiche non comunicanti. Ha pesato la fase che ha diviso chi cercava di incidere all'interno delle istituzioni da chi dava per impossibile ogni spazio di azione politica. Ma ha pesato a mio avviso ancora di pi il comune non rendersi conto di quanto stavano mutando le nostre citt, i nostri quartieri. E se si acquisita consapevolezza condivisa, non pi tempo di indugi o di recriminazioni. Che si costruisca insieme, nella pluralit delle voci e nella loro mescolanza, una grande mobilitazione contro il pacchetto sicurezza ma pi in generale contro la condizione di vero apartheid che si sta configurando in Italia e in gran parte d'Europa. Che si costruisca un meccanismo virtuoso e partecipato, di cui ognuna/o si senta artefice, capace di innescare vertenze e conflitti ma anche di ritessere relazioni, ricostruire mutualit.
Una grande e partecipata manifestazione pu e deve segnare un punto di ripartenza con obiettivi pi ambiziosi. Quello di ricostruire un senso comune diverso, in cui l'alleanza fra sfruttati prevalga, rompa le gabbie in cui siamo relegati, fatte di infelicit e solitudini, rabbia e frustrazioni, paure e insicurezze per il domani. Quello che porti insieme i tanti soggetti del conflitto a riappropriarsi della voglia di futuro. Gli uomini e le donne migranti, per il loro stesso aver "bruciato le frontiere" rotto gli argini che li voleva rinchiusi, essere soggetti presenti di trasformazione nelle citt dell'occidente, possono essere un cuneo da frapporre alla accelerazione autoritaria. Occorre, perci elaborare una strategia offensiva, mutare, per chi non l'ha ancora fatto il segno e il senso dei propri luoghi di impegno politico e sociale, farli divenire zone liberate, spazi in cui le leggi razziali non abbiano valore, luoghi di cittadinanza sociale e di paritaria collaborazione.
Azzardo l'ipotesi di definire una data di incontro che permetta un confronto reale fra chi resiste. Non la trita vetrina di un ceto politico e di movimento, di cui in tante/i facciamo parte ma una "due giorni" di elaborazione aperta, di discussione approfondita che ci permetta di pensare non solo ad una manifestazione ma ad un percorso plurale da intraprendere. Un momento in cui immettere le questioni nodali da affrontare, i metodi da perseguire, i contributi di chi, soprattutto all'interno delle organizzazioni dei migranti, sta gi di fatto praticando come strategia di auto difesa, forme di resistenza al razzismo. E occorre reimparare a comunicare con chi ha introiettato la logica del diverso = nemico, con chi vive schiavo di una paura atavica e sproporzionata, chi contribuisce, con un giustificazionismo di antica memoria, a lasciare che accadano, nell'indifferenza assoluta, quotidiane espressioni di razzismo diffuso, spesso violento, a volte omicida.Credo che questo sia un compito di importanza storica. Riuscire o meno a ricostruire una coscienza diffusa che rifiuti la logica dello "stigma ufficiale", segner le nuove generazioni, ridefinir i rapporti, non solo qui e ora ma per molto e molto tempo.
Si registrano anche segnali in controtendenza che, senza poter essere presi a modello o narrati in maniera superficiale, ci interrogano. Accade che a Lampedusa, nell'ultimo varco che separa l'Europa dall'Africa, migranti e autoctoni si incontrino e individuino nelle scelte scellerate dei governi il vero avversario. Accade che gli isolani diano rifugio ai migranti fuggiti dal Cie. Che insieme a cibo, acqua, coperte, si adoperino anche per favorire il loro passaggio "illegale" nella penisola. Segnale che qualcosa pu ancora cambiare. Segnale di una sfida in cui ci siamo e ci saremo.


18/02/2009