Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data
del 13 febbraio 2009)
Ddl sicurezza, l’Italia non sarà più la stessa
Sommario
o
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti;
o
Il corsivo – Ddl sicurezza: l’Italia non sarà più la
stessa;
o
Politica– Ddl
sicurezza, analisi dei provvedimenti;
o
Politica e società
- tra i dottori che curano i
fantasmi; caos permessi di soggiorno: un milione in attesa;
o
Emigrazione – da
Scalabrini una lezione di storia;
o
Dai Territori – Notizie da Roma e Brescia;
o Foreign
Press – Economist: Troubles with figures.
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
E-Mail
polterritoriali2@uil.it n.
229
Dipartimento Politiche Migratorie:
appuntamenti
Latina, 19 Febbraio 2009, ore 10.00 – 13.00 Hotel Victoria
Palace
SEMINARIO REGIONALE
“Lavoro decente e lavoro coatto”, come combattere le forme di
para-schiavismo
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Roma, 20 febbraio 2008, ore 10.30, sede del CNEL
Seminario “Rapporto annuale sugli indici di integrazione
sociale degli immigrati in Italia”
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Roma, 20 febbraio 2009, ore 10.30 CNEL
Seminario: l’integrazione, dall’inserimento sociale alla
cittadinanza
(Guglielmo Loy e Giuseppe Casucci)
Il corsivo
Ddl
sicurezza, l’Italia non sarà più la stessa
Dal reato
di immigrazione clandestina, alla denuncia in ospedale degli irregolari; dalla
immersione delle rimesse a nuove tasse sui rinnovi. Il rischio è quello di una
frattura insanabile nella società.
(di Guglielmo
Loy e Giuseppe Casucci)
Roma, 12 febbraio 2009 - Quando
questo insieme di provvedimenti contenuto nel d.d.l. 733 (pacchetto sicurezza) verrà
approvato anche dalla Camera dei Deputati e diventerà legge dello Stato, l’Italia non sarà più la stessa di prima:
infatti, la legislazione non sarà davvero uguale per tutti, e lo stesso stato
di diritto non varrà più nella stessa forma per chi ha cittadinanza italiana e
per chi non ce l’ha. Forse non ce ne siamo accorti, ma il pacchetto
di misure proposto dal Governo fin da maggio scorso e, ancora di più, gli
emendamenti in continua proposizione da parte della Lega, stanno cambiando lo
status dei 4 milioni di immigrati regolari che lavorano e vivono nel nostro
Paese, senza contare la situazione del milione di irregolari: non più cittadini
con diritti formalmente alla pari degli italiani, ma una società di serie B con
norme e regolamenti a parte. Famiglia Cristiana denuncia il precipitare
dell’Italia verso leggi razziali. Un concetto certo radicale, anche se non del
tutto privo di fondamento. Sono comunque norme volte ad aumentare la
separazione tra italiani e non: dalla titolarità dei diritti, al godimento dei
servizi; dalle condizioni di lavoro alle condizioni di vita nelle città.
Stabilito che la crisi economica e sociale rendeva gli italiani meno disposti
alla solidarietà e che in una fase di crisi d’identità le società tendono
naturalmente a chiudersi in se stesse, è bastato per qualcuno indicare nello
straniero il nemico, ed il corresponsabile del malessere degli italiani. Fatti
di cronaca ingigantiti, si sono aggiunti alle situazioni di dumping sociale nei
luoghi di lavoro e nello (scarso) godimento dei servizi pubblici: più che
sufficiente per far votare il partito più antistraniero e
più che sufficiente per aumentare il grado di insofferenza verso gli immigrati.
Non c’è resistenza culturale o indignazione pubblica allo scempio del diritto
che si sta compiendo con il ddl sicurezza: dal reato d’immigrazione clandestina
(espulsione senza nulla osta del magistrato), all’aggravante di clandestinità (pena aumentata di un terzo);
dall’opzione di denuncia da parte dei medici, all’obbligo di denuncia dei
funzionari dei money transfer per gli irregolari; dalle classi d’ingresso per
bambini stranieri, al permesso di soggiorno a punti e supercostoso. In fondo la
Lega ha già vinto culturalmente, perché ha capito prima degli altri i
cambiamenti sociali in corso e che il non governo dell’immigrazione produceva
lacerazioni sociali evidenti. Forse è la politica ad essere arrivata tardi. Certo è che oggi è più difficile
risalire la china della solidarietà, e che l’opinione pubblica è
pericolosamente più vicina a chi mostra i muscoli e incita ad essere “cattivi”
con i malcapitati, privi di permesso. Questa politica, certo porterà voti a
qualcuno, ma è chiaro che è destinata solo ad aggravare i problemi. Come UIL
crediamo che non è con i proclami che si ferma l’immigrazione clandestina.
Essa, anzi, è destinata ad aumentare vista la virtuale chiusura dell’Italia
all’immigrazione regolare. La Uil ha recentemente denunciato la metastasi nella
diffusione del sommerso: oggi quest’area produce da un quarto ad un terzo del
PIL nazionale, e dà lavoro ad un crescente esercito di irregolari: come si può
pensare che non vengano in Italia clandestinamente, quando sanno che è più
facile trovare lavoro nero, piuttosto che regolare e che la trafila burocratica
li condannerà a rimanere fuori? Inoltre, la crisi economica colpisce prima di
tutto il lavoro immigrato, aumentando il rischio dell’aumento
dell’irregolarità. Non si può credere davvero che una persona, straniera di
nascita, ma con famiglia ed interessi radicati in Italia, abbandoni tanto a
cuor leggero il progetto della sua vita e torni nel suo paese solo perché ha
perso il lavoro ed in sei mesi non ne ha potuto trovare uno nuovo. Ancora, i
demografi consigliano di guardare i processi sociali almeno nel medio periodo e
le loro simulazioni econometriche dicono che l’Italia continuerà a necessitare
di almeno 300 mila nuovi immigrati l’anno nei prossimi 20. Se non sciogliamo,
allora, il nodo dei meccanismi d’ingresso e se non mettiamo davvero in grado di
far incontrare fluidamente domanda ed offerta di lavoro regolare, il rischio è
di ritrovarsi con un esercito di persone in condizione di irregolarità,
intrappolate nel lavoro nero e senza futuro, disperate e dunque livide di
rancore ed aggressive nei confronti degli italiani. E’ tempo, noi della UIL
crediamo, di guardare al tema immigrazione con un approccio radicale,
spogliandoci dei vecchi concetti e delle vecchie sicurezze e ricercando
soluzioni tutti insieme, al di là delle ideologie della destra e della sinistra,
anche con chi la pensa in modo radicalmente diverso da noi.
Il primo punto riguarda gli ingressi: siamo in fase
di crisi economica? D’accordo, allora misuriamo bene il numero delle persone necessarie
da far entrare ma, prima di tutto, risolviamo in qualche modo l’enorme
estensione delle presenze di immigrati irregolari in Italia. Pensiamo davvero
di poter espellere un milione di persone? E moralmente giusto farlo? E’
materialmente possibile in Europa? Quanto ci costerebbe? E Cosa succederebbe
nel mercato del lavoro e delle famiglie? Noi della UIL crediamo che non sia
giusto né possibile farlo e che vada privilegiata una qualche forma di
emersione, magari in contrapposizione all’opzione di nuovi ingressi.
Tanto lo sanno tutti che i decreti flussi vengono utilizzati da chi sta già
qui. Rendiamolo palese allora, almeno eviteremo a questa gente di dover tornare
inutilmente in patria per avere lì il visto d’ingresso per motivi di lavoro.
Il secondo punto è quello che gli inglesi
chiamano “pull factor” dell’immigrazione irregolare. Da noi è chiaramente
l’economia sommersa ad attrarre i senza permesso. Forse se fossimo più fiscali
nel punire chi sfrutta i migranti irregolari, faremmo un favore a questi malcapitati e soprattutto all’economia italiana. La
UE ha recentemente approvato una direttiva per colpire i datori di lavoro che
impiegano migranti in nero. La nostra normativa già punisce in teoria chi assume
un irregolare, ma finora solo sulla carta. Rendiamo più fiscali le misure per
combattere il sommerso, ma attenzione a non colpire chi vorrebbe regolarizzare
il proprio lavoratore immigrato, ma non può a causa della presente normativa.
Il terzo punto, è proprio la normativa
sull’immigrazione: così com’è oggi, si ottiene l’opposto di quello che proposto
in teoria. La Bossi Fini non fa incontrare domanda ed offerta di lavoro
immigrato legale; al contrario: rende virtualmente impossibile entrare
regolarmente per lavoro. Inoltre, oltre un milione di persone aspetta da più di
un anno un rinnovo che, quando arriverà, sarà già scaduto. Così non va . Il
meccanismo è troppo farraginoso e va semplificato radicalmente, pena l’aumento
delle irregolarità. La Bossi Fini va, a nostro parere, riformata. Non crediamo
di avere la verità in tasca e siamo disposti a discutere con tutti, soprattutto
con il governo in carica,
soluzioni condivise e bipartisan. Cgil, Cisl e UIL hanno chiesto da
quasi un anno di incontrare il Ministro Maroni per parlare dei problemi veri e
trovare soluzioni condivise. Perchè non ci riceve, Sig. Ministro? Il
sindacato rappresenta oltre 700 mila lavoratori stranieri e anche noi, come
Lei, crediamo di poter essere utili nella ricerca di soluzioni e siamo dalla parte della legalità. Una
cosa appare certa: la politica degli annunci (cattivi) servirà forse a
spaventare gli indifesi che magari non utilizzeranno mezzi legali per mandare i
soldi alla propria famiglia e non andranno, purtroppo, neanche a farsi curare
in ospedale. Non spaventa comunque chi rischia la vita per attraversare il
deserto ed il Mediterraneo. Continueranno a venire, Sig. Ministro, soprattutto
come overstayers. E ripetiamo a Lei, quanto abbiamo già detto al precedente
Esecutivo: una società democratica non può tollerare a lungo una forte presenza
di irregolari e condizioni di dumping sociale, senza che questo provochi
lacerazioni di cui abbiamo testimonianza tutti i giorni sui giornali ed in televisione.
Politica
Ddl sicurezza, analisi dei provvedimenti
Il ddl n. 733 sta arrivando alla Camera e cambierà in peggio la
vita degli immigrati. Sono
molti gli esempi che si possono citare dalla marea di norme introdotte spesso a
suon di emendamenti dai parlamentari della Lega. Prendiamo “l’aggravante per
clandestinità”, introdotto con il decreto n. 92/ 2008, poi tradotto in legge:
in pratica se un immigrato commette un reato, avrà la pena aumentata di un
terzo se non è in regola con il permesso di soggiorno. Se a commettere lo
stesso reato sono un italiano ed un clandestino, avranno dunque pene diverse,
non per aggravanti oggettive, ma semplicemente per la condizione di
irregolarità nel Paese. Alcuni giuristi hanno fatto giustamente notare che la
norma è in conflitto con la costituzione
e con il principio di uguaglianza dinanzi alla legge. Si potrebbe argomentare
che il principio di uguaglianza delle persone dinanzi alla legge esiste solo in
teoria, e che la leggi italiane
sono piene di discriminazioni “indirette”, per chi non è pienamente cittadino
della Repubblica: dall’accesso al lavoro, alla fruizione degli ammortizzatori
sociali, dal diritto di voto al godimento della previdenza. Questo è vero e la
UIL non ha mancato di ripeterlo con forza in questi anni, chiedendo
l’applicazione delle direttive europee contro le discriminazioni. Una cosa
sono, comunque, le discriminazioni nascoste nelle pieghe dei commi, nel
coacervo di norme, leggi e regolamenti che impastoiano la vita di chi vive nel
Bel Paese: altra cosa è sancirlo apertamente introducendo norme che mettono in
discussione i diritti fondamentali delle persone e che danno spessore giuridico
a quella divisione tra società di serie a e b che già esiste nel mercato del
lavoro e nel consesso civile. Citiamo alcune delle proposte del ddl. 733, già
approvate al Senato e di prossima votazione alla Camera: l’introduzione del
reato di immigrazione clandestina prevede che chi si trattiene sul territorio
italiano senza regolare permesso, viene punito con una ammenda fino a 10 mila
euro e con l’espulsione immediata. A differenza di ora, l’espulsione non si
avvarrà del nulla osta di un magistrato ma, prima verrà effettuata e, poi,
verrà comunicata alla magistratura. La norma è particolarmente pericolosa per
lo straniero che ha diritto a richiedere asilo o protezione internazionale: non
potendo ricorre al magistrato, non ci sarà nessuno che curerà i diritti del
malcapitato, cui verrà negato un diritto fondamentale, quale quello di difesa.
Per chi viene trovato per la seconda volta in condizione di irregolarità,
scatta l’arresto e la possibilità di condanna fino a quattro anni. Non ci
meravigliamo dunque se le carceri sono piene di immigrati, colpevoli di una
cosa che fino a poco tempo fa era considerata una semplice infrazione
amministrativa. Veniamo ad un altro provvedimento: la possibilità di un medico
di denunciare chi non è in regola con il soggiorno (cancellazione del comma 5,
art. 35 del T.U. sull’immigrazione). E’ vero, non c’è un obbligo di denuncia e
siamo convinti che il 999 per mille dei sanitari non si abbasserà mai
all’invito alla delazione di chi si rivolge loro per cure. Ma l’effetto
annuncio di questa normativa sta già producendo una fuga massiccia di immigrati
dagli ambulatori e dalle corsie d’ospedale. E’ chiaro che con il clima di
tensione e di caccia allo straniero lanciata dalla Lega, la prudenza (forse
eccessiva) degli immigrati porta anche molti regolari a evitare di “correre
rischi”: che dire di chi ha in mano un cedolino da più di un anno e non vede
tratta del permesso rinnovato? Andrà dal medico di famiglia o ricorrerà al
mercato (quello sì) clandestino delle cure che inevitabilmente prospererà
all’ombra di queste leggi? Altro nefasto esempio: l’iscrizione e la richiesta
di variazione anagrafica sono subordinate alla verifica….delle condizioni
igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la
propria residenza (comma inserito all’art.1 della legge 1228/1954). La norma è
particolarmente grave nei confronti di chi vive nei campi nomadi. In pratica
quasi nessun appartenente alla comunità zingara (italiano o non) avrà più
diritto all’iscrizione anagrafica ed ai diritti legati alla residenza. E ancora: gli agenti di attività
finanziaria di money transfer saranno obbligati a chiedere il permesso di
soggiorno agli stranieri che facciano richiesta di invio di fondi. In mancanza
del titolo, entro 12 ore, i funzionari dell’agenzia sono obbligati a segnalare
il nome alle autorità locali di pubblica sicurezza, pena la cancellazione
dall’albo degli agenti di attività finanziaria. In pratica si obbliga alla delazione,
costringendo di fatto gli irregolari che debbono mandare a casa le rimesse, ad
usare un intermediario o canali clandestini di trasferimento dei soldi.
Rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno: si passa dagli attuali 72 euro ad
una tassa che può arrivare a 200 euro (modifica dell’art. 5, inserimento dopo
il comma 2-bis della legge 286/1998). Considerando che il titolo viene
consegnato con molti mesi di ritardo (magari già scaduto) si chiede agli
immigrati di pagare di più per un pessimo servizio reso (unici esclusi, per
fortuna, i richiedenti asilo). Accordo di integrazione: viene istituito una
sorta di permesso di soggiorno a punti, articolato per obbiettivi e crediti ed
un punteggio esaurito il quale l’immigrato perderà il permesso e verrà espulso (art. 4 bis della
legge 286/1998).
Eventi
SEMINARIO REGIONALE
“Lavoro decente e lavoro coatto”, come combattere le forme di
para-schiavismo
Latina, Hotel Victoria Palace, ore 10
L'Organizzazione
Internazionale del Lavoro calcola in oltre 12 milioni il numero di persone nel
mondo sottoposte a sfruttamento lavorativo, sessuale e a condizioni di
schiavitù. Di queste ogni anno
circa 800.000 sono trasportate oltre i confini nazionali per essere sfruttate
in altri Paesi. L’80% delle vittime è costituito da donne e ragazze, in più del
50% dei casi minorenni. Secondo le stesse fonti, le vittime di tratta in Italia
superano le 25.000 unità ogni anno. Ignoto – ma certo molto più grande
– è il numero di lavoratori immigrati irregolari, sottoposti a condizioni
di grave sfruttamento lavorativo. Per contrastare questa grave piaga, sin dal
2006 il Governo italiano ha predisposto l’estensione dell’art. 18 ai lavoratori
oggetto di lavoro coatto,
attivando forme di protezione speciali per le vittime e pene severe per
i trafficanti. Nondimeno, forme gravi di sfruttamento continuano, alimentate da
un’economia sommersa fortemente diffusa, all’interno della quale molte volte
non è chiara la distinzione tra lavoro nero, lavoro gravemente sfruttato o
addirittura forme di
paraschiavismo. I settori in cui questo fenomeno è diffuso sono quelli in cui
il lavoro informale prospera:
l’agricoltura, l’edilizia ed il settore domestico. Si registrano molteplici
casi di orario di lavoro superiori alle 12 - 14 ore giornaliere, forme
sottopagate ed ambienti produttivi al limite del tollerabile, nonché tangenti
estorte dal “caporale”, sequestro del passaporto, incidenti nascosti, o camuffati da assenza per malattia.
Contro questa grave piaga la lotta è impari, per questo è importante
moltiplicare i controlli e l’azione di monitoraggio delle
autorità. In questo senso è
preziosa l’azione del sindacato a tutela delle persone e per il rispetto
delle norme e dei contratti nazionali di lavoro. Sono importanti anche le buone
pratiche e l’informazione. Sono questi ultimi gli obiettivi del progetto
“lavoro decente e lavoro coatto”, realizzato nel Lazio dall’Associazione UIS e
dalla UIL di Roma e del Lazio con il contributo al finanziamento da parte della
Regione. Il progetto ha operato attraverso l’attività di cinque sportelli, tre
a Roma, uno a Latina ed uno a Sabaudia. I risultati di interviste ad immigrati
ed interviste privilegiate vengono raccontati ora in un seminario a Latina.
Politica
e società
Dopo
la caduta del divieto di denunciare gli irregolari, viaggio negli ospedali dove
i malati rischiano di diventare fantasmi
Tra
i dottori che curano i fantasmi. Dove i malati sono clandestini
I camici
bianchi assicurano: "Non faremo i delatori" E qualcuno lo scrive
sulla porta.
di ETTORE BOFFANO
Torino,
11 febbraio 2009 - Il richiamo della paura, del “fuggi fuggi” dalla sanità
pubblica, lo hanno lanciato i cinesi. "Hanno ricominciato a fornire
generalità false - spiegano all'accettazione del pronto soccorso dell'ospedale
Molinette di Torino. Loro sono i
più attenti a ciò che si dice attorno agli stranieri: se si nascondono, allora
vuol dire che tutti si stanno agitando. Quando c'è allarme, cambiano una, due,
tre identità. E ne daranno ancora una diversa quando torneranno per un
controllo o per un esame. Lo fanno anche le donne incinte o che devono
partorire". Llukani invece, l'albanese prepotente e paraplegico che girava
sulla sedia a rotelle nei reparti del Cto, sono andati ad arrestarlo in corsia.
Vecchie storie con la giustizia italiana. Il fatto però che fosse clandestino,
un fantasma per il servizio sanitario nazionale, e che in pochi riuscissero a
sopportare la sua arroganza, non c'entra nulla: per due anni Llukani è rimasto
lì, nell'ospedale traumatologico della città, senza che a nessun medico e a
nessun infermiere passasse mai per la testa di chiamare la polizia o i
carabinieri. "E non lo faremo neppure dopo, quando sarà entrata in vigore
quella norma che abolisce il divieto di denunciare gli irregolari",
ripetono gli uomini e le donne con il camice bianco sul quale ora è comparso un
adesivo rosso con una frase che pare la rivisitazione dell'antico giuramento
d'Ippocrate: "Non siamo spie!". In via Cottolengo, alle spalle del
mercato multietnico di Porta Palazzo e a pochi passi dalla "cittadella
della carità" fondata da uno dei santi sociali torinesi, c'è un
ambulatorio medico di volontari, oltre cento tra medici, infermieri e
impiegati, che è intitolato alla lettera pastorale del cardinale Michele
Pellegrino, "Camminare insieme", ma che è stato fondato da Corrado
Ferro, socialista, pensionato ed ex segretario regionale della Uil. Lì, da
sempre nella storia della Torino extracomunitaria, si presentano quelli che non
hanno il permesso di soggiorno e che hanno più paura degli altri. Venerdì
scorso, quando i Tg e i giornali hanno messo in moto il tam tam ("I medici
dovranno denunciare i clandestini"), la sala d'aspetto è rimasta vuota.
"Per la prima volta in 15 anni - racconta Ferro - E dire che abbiamo
assistito gratis più di 30 mila persone, fornito 110 mila prestazioni mediche
con una media di 50 passaggi al giorno, dal lunedì al sabato mattina, 7.500
ogni anno". Il calo però era già cominciato dopo l'estate, "quasi il
20 per cento in meno, perché da quei giorni sono scattate le voci e la
diffidenza". Ora quelli di "Camminare insieme" stanno preparando
un cartello ("Noi non denunciamo nessuno") da affiggere alla porta.
"Lunedì - dice la coordinatrice, Cristina Ferrando - sono arrivati, uno
dietro l'altro, un marocchino e una donna albanese. Lui doveva essere mandato
in ospedale, per una polmonite: ha voluto andare a piedi perché non si fidava a
salire sul tram e temeva di incappare nella polizia. La ragazza è al secondo
mese di gravidanza e fa la badante. Ci ha chiesto di poter venire la domenica,
quando siamo chiusi: è terrorizzata che nella casa dove lavora scoprano tutto e
la caccino". Ma come sono le notti "clandestine" degli
extracomunitari senza volto, nei pronto soccorsi dove la paura dell'espulsione
è piombata assieme alla notizia di una legge che in realtà non esiste ancora?
Per capirlo, bisogna scendere lungo la rampa che da corso Bramante conduce nel
pronto soccorso sotterraneo delle Molinette, uno degli ospedali più grandi
d'Italia. Il C.t.o. dove era ricoverato Llukani l'albanese è a un chilometro in
linea d'aria, in questa striscia che costeggia il Po e fronteggia la collina
con le ville della Torino ricca: una disordinata "città della salute"
dall'urbanistica confusa e dalla architettura affastellata, che ospita anche
l'ospedale infantile e quello ginecologico. Quattro diversi dipartimenti di
pronto soccorso, uno dopo l'altro. Sono le 22,30 di sabato scorso: dentro,
nella sala visite di medicina, la dottoressa Stefania Battista gestisce un
turno difficile, affollato come non capitava da Natale. Ripete il
"mantra" deontologico che lei e i suoi colleghi hanno fatto scattare
subito dopo il voto del Senato, per difendere la dignità di una professione.
"Per noi non cambia nulla - assicura - non faremo i poliziotti. Medici
siamo e medici restiamo: io devo occuparmi solo della salute di chi si affida
al pronto soccorso. Non saremo delatori". Qualche ora più tardi, la
mattina della domenica, i dati del computer spiegheranno che in quel turno le
richieste di cura sono state 62, ma solo tre quelle da parte di
extracomunitari. "Non c'è dubbio - commenta il professor Valerio Gay,
docente di medicina d'urgenza e responsabile del pronto soccorso - questo è già
l'effetto della paura: solo una settimana fa, gli immigrati erano di più.
Credono che la nuova legge sia in vigore e non vengono più. Che cosa significa
lo capiremo tra qualche mese...". Che cosa capiremo, professor Gay?
"Il pronto soccorso - spiega - è la "sentinella" della salute di
una città. Qui scattano gli allarmi e si può porre rimedio a rischi improvvisi.
Ha presente la tubercolosi? L'Istituto superiore di Sanità parla di 5 mila
nuovi casi ogni anno e, perché si diffonda, basta che il malato respiri in un
ambiente chiuso. E la meningite? Che cosa capiterà se i genitori clandestini,
per paura, non ci porteranno più i loro figli che stanno male? Qui, in queste
stanze, abbiamo scoperto il primo caso in Italia di febbre dei Balcani: sarà
ancora possibile dopo?". Su, nel reparto di medicina d'urgenza collegato
al pronto soccorso, è passata da poco la mezzanotte. Anche il dottor Franco
Riccardini è di turno, come gli succede ormai da 20 anni. Fissa il monitor del
computer e controlla i numeri: 48 passaggi, sei gli stranieri in attesa, ma
contando anche tre romeni e un bulgaro che non hanno ancora fatto la pratica
per l'iscrizione al servizio sanitario. "Mettere paura agli immigrati -
dice - è un problema politico e, peggio ancora, lo è cercare di farlo usando
noi medici. E siamo sicuri che si ribelleranno anche tutti i medici del Veneto
leghista? E che cosa capiterà in Lombardia, dove la sanità pubblica è stata
affidata a Comunione e Liberazione?". La dottoressa Battista, negli ultimi
quaranta giorni, si è imbattuta in due casi di tubercolosi contratta da
extracomunitari: accadrà ancora? Riccardini, invece, sottolinea le tante cose
assurde che potrebbero verificarsi: "Nasceranno sanità parallele,
clandestine e che sfrutteranno i poveracci. E qui arriveranno malati che per
giorni sono rimasti nascosti, aggravando le loro condizioni: lo Stato dovrà
spendere ancora di più per curarli". Di storie come quella di Llukani,
invece, al Cto ne vivono periodicamente. Un incidente d'auto, una caduta in un
cantiere del lavoro nero, la schiena che si spezza per sempre e una vita
segnata da una parola maledetta: paraplegico o tetraplegico. Poi la scoperta
che quelli sono clandestini, intrasportabili, che non possono più essere
rimpatriati. Falete, un marocchino di 40 anni, ormai vive qui e in quel modo da
oltre sei anni. "Sono i veri sfortunati - racconta Virginio Oddone, medico
legale - Non hanno parenti in Italia, non possono essere accolti nelle
strutture pubbliche destinate per questo tipo di malati, non possono chiedere i
danni a chi li ha investiti o ai datori di lavoro, non possono usufruire del
fondo di solidarietà per le vittime della strada e neppure della pensione di
invalidità". Così restano al Cto, accuditi e salvati da chi li preserva da
quella denuncia che i medici ritengono infame: "È un clandestino...".
Medici che, tra un reparto e l'altro, adesso si interrogano su che cosa diventerà
il loro lavoro e se, un giorno, saranno mai costretti alla disobbedienza
civile. "Perché se la clandestinità diventerà un reato - aggiunge Oddone -
avremo, oppure no, l'obbligo di denunciarla? L'articolo 365 del codice penale
dice che non dobbiamo fare il referto quando esso esporrebbe la persona che
stiamo curando a un'incriminazione. Chissà se continuerà a valere. E che
giustizia è mai quella che fa diventare colpevole di un reato una ragazza
clandestina stuprata o un lavoratore clandestino vittima di un incidente sul lavoro
solo perché si presentano in ospedale?". Le stesse cose che pensano Ferro
e la dottoressa Laura Sacchi, responsabile sanitaria di "Camminare
insieme": "Questa riforma voluta dalla Lega è una pagliacciata. Il
reato di immigrazione clandestina prevede una sanzione amministrativa: al
massimo produrrà un foglio di via in più. Il risultato, invece, è di alimentare
la paura che tiene lontano i malati". Al pronto soccorso delle Molinette e
nel reparto d'urgenza, intanto, il via vai notturno dei pazienti non si ferma.
Sono le due passate, il dottor Riccardini dà ancora un'occhiata al computer e
poi si alza per andare a fare una visita. "Pensi un po' - si congeda -
negli stessi giorni in cui la maggioranza di governo dice di battersi per la
vita, sceglie di varare una legge e di alimentare una paura che rischiano di
far morire i clandestini".
Caos permessi di soggiorno, un milione in attesa
Da Metropoli - Repubblica
Due
anni e due mesi di permessi alle Poste. Sono due milioni 400mila quelli
richiesti, un milione di meno quelli consegnati. Per limitare i disagi, il
Viminale ha chiesto alle questure di far scattare la validità del permesso dal
giorno dell'emissione, non da quello della richiesta: si evita così di
consegnare tesserini scaduti. Ma, tra gli inceppamenti del software e la
cronica carenza di personale, i tempi di attesa (291 giorni di media) vanno da
60 giorni a un anno e mezzo. E sono un milione gli immigrati col
"cedolino". Ecco la situazione in otto città. "I ritardi aumentano
-- spiega Giuseppe Vallifuoco della Cgil -- . Adesso stanno convocando per le
foto chi ha fatto domanda a febbraio, e per ritirare il tesserino ci vorranno
altri 3-6 mesi. Arrivano sempre più spesso permessi già scaduti, anche se in
questi casi la questura si mostra disponibile a rilasciarne di provvisori
(cartacei)". "L'attesa ufficiale è di 8 mesi -- aggiunge Franca
Chizzoli del Naga -- ma se manca anche un solo documento ci vuole molto di
più". "I ritardi ci sono-- spiega Piero Gui, dell'ufficio stranieri
della Uil -- , malgrado l'impegno della questura, che fa partire la validità
del documento dal giorno in cui vengono prese le impronte. Oggi dalla
spedizione del kit al primo appuntamento passa appena un mese. Il problema è la
fase successiva che ne dura anche 4. Non conosciamo casi di documenti arrivati
scaduti, ma a due mesi dalla scadenza sì". "Chi fa domanda oggi può
aspettarsi di essere convocato tra fine 2009 e inizio 2010 -- spiega Gabriele
Argiolas, ufficio stranieri della Cgil -- . In sostanza l'attesa media è di 17
mesi: 12 per la convocazione, 5 per la stampa del tesserino. Tuttavia, la
questura ha aumentato il personale tentando di portare a 150 gli appuntamenti
giornalieri, per cui molte convocazioni al 2010 o al 2011 verranno anticipate:
è bene controllare sul Portale immigrazione". Dopo le difficoltà iniziali,
oggi il primo appuntamento arriva a 8 mesi dalla domanda, e dopo altri tre mesi
il permesso è pronto. Il nuovo questore ha aumentato il personale, moltiplicato
gli appuntamenti e ridotto gli arretrati. "Chi fa domanda oggi -- spiega
Elena Peruffo, dell'Ufficio stranieri -- verrà convocato a settembre, anche
grazie alla collaborazione con studenti e mediatori. Il prossimo obiettivo è
consegnare il permesso in 4 mesi: così chi fa domanda con tre mesi di anticipo
avrà solo per 30 giorni un documento scaduto in mano". "Quanto ai
tempi, siamo poco al di sotto di un anno -- afferma Roberto Morgantini, del
Centro lavoratori stranieri della Cgil -- . Ma ora che la questura pubblica on
line l'elenco dei documenti pronti per il ritiro, la situazione è migliorata e
3-4mila permessi che erano già pronti e giacenti perché nessuno si presentava a
ritirarli sono stati smaltiti". "I tempi variano da un minimo di 8-9
mesi a un massimo di 10-15", spiegano allo Sportello Infopoint migranti
del Comune dove denunciano il fatto che la questura "si trova a dover
ricevere un flusso di 300-380 persone ogni mattina: i disservizi sono la
naturale conseguenza". "Nel 2008 -- spiega Maurizio Improta,
responsabile Ufficio immigrazione della questura -- abbiamo consegnato 100mila
permessi, 86mila elettronici e 16mila cartacei, ossia il 100% delle richieste
presentate e un po' di arretrato. Abbiamo attivato un servizio informazioni via
email che risponde in 24 ore. L'attesa media è di 90 giorni con picchi di
120". Si tratta invece di 6-8 mesi per Alfredo Zolla, responsabile
immigrazione della Cgil, che però afferma: "Da parte della questura ci
sono stati miglioramenti. Oggi il problema maggiore riguarda i tempi di stampa
del tesserino". Per Khalid Saady (Inas Cisl) "ci vogliono 2-4 mesi
per l'appuntamento e 40 giorni per la stampa del tesserino, ma la questura è
disponibile a anticipare i casi più urgenti. I problemi sono soprattutto
tecnici: dal malfunzionamento del software al sistema di Sms che spesso invia
appuntamenti per date già passate. E' capitato persino, di recente, che le
Poste avessero finito i moduli per le assicurate, rendendo così impossibile
agli immigrati presentare richiesta". Secondo Arben Hasani,
dell'associazione albanese Arberia, "per un rinnovo ci vogliono 6-8 mesi e
a soffrirne di più sono gli studenti, che di fatto hanno un permesso valido
solo pochi mesi all'anno".
Emigrazione
Roma, 27 Gennaio 2009 - “Le misure di polizia non arrestano,
bensì deviano dai nostri ad altri porti le masse migratorie”. Con
queste parole, nel 1888, Giovanni Battista Scalabrini, fondatore dei missionari
scalabriniani, introduce nel dibattito sui problemi dell'emigrazione italiana
un aspetto, fin’allora, quasi ignorato: il valore della persona umana,
chiedendo una legge a favore degli emigranti e una istituzione in grado di
provvedere «ai loro interessi spirituali e materiali». Il
5 dicembre 1887, l’allora Presidente del Consiglio Francesco Crispi aveva
presentato uno speciale disegno di legge sull’emigrazione, ispirato a norme di
polizia e con disposizioni che imponevano l’obbligo della licenza per gli
agenti di emigrazione, punendo le operazioni clandestine e gli abusi. Il 3
maggio 1888 la commissione parlamentare presieduta dall’On. De Zerbi,
presentava un controprogetto caratterizzato dal principio della libertà di
emigrare e di far emigrare. In quest'occasione Scalabrini indirizza una lettera
aperta al sottosegretario alle Finanze, Paolo Carcano, intitolata Il disegno
di legge sull’emigrazione italiana. Osservazioni e proposte di un vescovo dove
scrive: «Fra i due disegni di legge, il ministeriale e quello della Commissione
parlamentare, il secondo mi pare di gran lunga migliore del primo. Il
ministeriale è più propenso a considerare il grande fenomeno cosmico ed umano
della emigrazione come un fatto anormale, piuttosto che un diritto naturale, e
lo circonda di tante pastoie che quasi lo confisca. Il disegno ministeriale non
tenne conto di una esperienza di non vecchia data, la quale dimostrò alla prova
dei fatti che le misure di polizia non arrestano, bensì
deviano dai nostri ad altri porti le masse migratorie,
rendendo così più doloroso e più dispendioso l’esodo dei nostri connazionali.
Gli ostacoli artificiali non trattengono le correnti, ma le fanno rigurgitare,
aumentandone e rendendone più rovinoso l'impeto. Il disegno invece della
Commissione parlamentare è, a mio giudizio, più pensato, più organico e più
liberale, poiché fin dal primo articolo afferma la piena libertà di emigrare,
salvo, naturalmente, gli obblighi imposti ai cittadini dalle leggi. É un bel
quadro che però ha una macchia nel mezzo: la facoltà che il disegno di legge accorda
agli agenti di emigrazione, di fare arruolamenti». E aggiungeva, «l’on. De
Zerbi si compiace della larghezza del disegno di legge e dice che, approvata,
sarà una delle più liberali d’Europa. Ed io l’ammetto: ma l’importanza di una
legge non è tanto di essere liberale, quanto di essere buona, e buona, per me,
non è la legge più larga, bensì quella che, basata sulla giustizia, meglio
provvede ai bisogni per cui è stata fatta. Ora la legge, accordando il diritto
di arruolamento agli agenti, sarà liberale, ma improvvida. Ora, se è doveroso
patrocinare la libertà di emigrare, è altrettanto doveroso opporsi alla libertà
di far emigrare: è dovere delle classi dirigenti di procurare alle masse dei
proletari un utile impiego delle loro forze, di aiutarli a cavarsi dalla
miseria, di indirizzarli alla ricerca di un lavoro proficuo, ma è del pari un
dovere l'impedire che venga sorpresa la loro buona fede da ingordi
speculatori». E’ probabile che queste considerazioni di un Vescovo
sull’emigrazione italiana di fine Ottocento facciano solo sorridere il Ministro
degli Interni Maroni che continuerà imperterrito nel suo cammino di guerra
“ideologica” all’immigrazione clandestina. Ieri stesso dichiarava in conferenza
stampa che “in Italia non c’è una emergenza sicurezza (alcuni mesi fa per
vincere le elezioni si affermava il contrario!), che in Italia non c’è una
emergenza criminalità organizzata (anche se mafia, camorra e ndrangheta
occupano interi territori italiani!), ma che in Italia c’è una sola emergenza
ed è quella dell’immigrazione clandestina” contro cui il governo leghista ha
dichiarato la sua guerra senza confini (per il momento la si sta conducendo a
Lampedusa, lontano dalla Padania). Il ministro Maroni ha così disposto il
blocco dei trasferimenti delle persone giunte a Lampedusa verso centri di
accoglienza sul territorio nazionale. Ha deciso l’invio sull’isola di due
Commissioni per esaminare le domande di asilo. Ha decretato che gli immigrati
giunti a Lampedusa saranno espulsi dall’isola stessa e che l’Italia non la
vedranno neanche in cartolina. Per attuare questa rigorosa politica poliziesca
delle migrazioni, poco importa che migranti e richiedenti asilo siano ammassati
(in 1.800) in un CPA (che ne dovrebbe contenere 800), con evidenti conseguenze
per le condizioni igienico-sanitarie e rischi per le persone più deboli, tra
cui donne, bambini e minori non accompagnati, che – fra l’altro –
dovrebbero essere trasferiti in centri specifici per minori. Poco importa, al
Ministro Maroni e a quanti credono che l’unica emergenza italiana sia quella
dell’immigrazione, che a Lampedusa non ci sia né un tribunale per ricevere un
ricorso contro una decisione negativa delle Commissioni dei rifugiati, né uno
studio legale in grado di fornire assistenza, negando così ai richiedenti
l’asilo la possibilità reale di vedersi accordare lo status. In tale situazione
di “presunta emergenza” anche gli altri migranti (giunti nell’isola fuggendo
quella morte che miete vittime nel Mediterraneo) rischiano di essere espulsi a
seguito di procedure sommarie e senza alcuna possibilità di rivolgersi a un
giudice, violando così i principi costituzionali e la Convenzione europea dei
diritti umani. In situazione di emergenza – prima temuta, poi annunciata
ed ora proclamata a piena voce – tutto è lecito, anche calpestare la
dignità di qualche essere umano se alla fine si riesce a “deviare dai nostri ad
altri porti (magari in Libia o in Tunisia, paesi riconosciuti nella difesa dei
diritti umani!) le masse migratorie, rendendo così più doloroso e più dispendioso
il loro esodo”. E’ probabile che molti esulteranno quando il Ministro Maroni
annuncerà che a Lampedusa non si vede più neanche un immigrato… e che pochi si
chiederanno: ma che fine hanno fatto? Perché come diceva Scalabrini: “gli
ostacoli artificiali non trattengono le correnti, ma le fanno rigurgitare,
aumentandone e rendendone più rovinoso l'impeto”.
Lorenzo
Prencipe, scalabriniano
Presidente
Centro Studi Emigrazione, Roma
Dai territori
Roma, 11 feb.
(Apcom) - Se è vero che tutte le strade portano a Roma, sembra esserlo ancora
di più per quelle imboccate dagli stranieri giunti in Italia. Cresce, infatti,
nella capitale e nell'hinterland la presenza di cittadini non italiani, e la
provincia di Roma è ormai la zona della penisola in cui è più alta l'incidenza
degli stranieri sul totale della popolazione. A fornire uno spaccato della
questione è il V Rapporto dell'Osservatorio romano sulle migrazioni, promosso
dalla Caritas diocesana di Roma in collaborazione con la Provincia e la Camera
di Commercio. Secondo i dati Istat riportati nel dossier, la popolazione di
cittadinanza straniera residente nella provincia di Roma ha raggiunto, all'1
gennaio 2008, le 321.887 unità, 43.347 in più del passato anno, con un aumento
del 15,6%, di poco inferiore a quello medio rilevato in Italia (16,8%).
Considerato che l'incremento per il Comune di Roma è stato molto più basso
(+9,5%), la crescita ha coinvolto soprattutto i comuni della provincia.
L'incidenza, in provincia, sul totale della popolazione ha raggiunto così il
7,9%, percentuale al di sopra della media nazionale (5,8%): nel complesso la
crescita registrata è dovuto agli stranieri arrivati nel 2007 direttamente
dalll'estero (45.934), a quelli che si sono trasferiti nel territorio romano da
altri comuni italiani (8.325), ai nuovi nati da genitori stranieri (4.548). Il
primo Comune per numero di residenti stranieri, dopo Roma, è Guidonia
Montecelio, dove i 6.244 immigrati incidono sul totale della popolazione per
l'8%. Un'incidenza più elevata si riscontra a Fiumicino (9,1%), Fonte Nuova
(12,5%) e Ladispoli (14,9%). I dati dell'Istat, però, riferisce il rapporto
Caritas, non esauriscono la presenza straniera regolare, perché vi è sempre un
certo numero di immigrati che, pur autorizzato al soggiorno, non è ancora
riuscito a ottenere l'iscrizione anagrafica e, quindi, non risulta conteggiato:
per questo la Caritas stima in circa 404.400 le persone straniere regolarmente
presenti nella Provincia di Roma ed in circa 481.000 nel Lazio. Per quanto
riguarda i minori stranieri, i 64.539 presenti in tutta la provincia -
concentrati nella capitale per il 67,4% (quota in linea con quella dei
residenti stranieri) - registrano per incidenza sul totale della popolazione
estera valori omogenei su tutto il territorio (in media il loro peso statistico
è del 20%). In 33.434 risiedono a Roma (il 73,4% di tutti i minori stranieri
nati in provincia), seguita da Guidonia Montecelio (814) e Ladispoli (660).
Quanto alle nazionalità, i romeni, come rilevato a livello nazionale, sono
diventati il primo gruppo di immigrati per numero di residenti nella provincia
di Roma con 92.258 unità, quasi un terzo dei residenti stranieri complessivi;
subito dopo i romeni, però, i più numerosi non sono albanesi, marocchini e
cinesi, come accade nella media statistica nazionale, bensì la comunità dei
filippini (8%) e quella dei polacchi (5,6%). Nella capitale i romeni sono
aumentati in un anno di 10.079 unità (+31,6%), ma registrano forti aumenti
anche gli stranieri provenienti dallo Sri Lanka (+13,1%) e gli albanesi. La
ripartizione sul territorio della città mostra infine che nel 2008 gli
stranieri si sono concentrati in particolare in tre aree, una centrale due
periferiche: i Municipi I e XX, luoghi storici di insediamento, e l'VIII.
Questi tre Municipi, insieme, accolgono oltre un quarto degli stranieri
residenti a Roma. Scarica il rapporto:
http://www.uil.it/immigrazione/osservatorio%20romano%20sulle%20immigrazioni,%20sintesi11feb2009.pdf
Brescia si rimangia il bonus bebè
Il giudice ordina di darlo anche gli immigrati. Il Comune
risponde: "Non lo avranno neanche gli italiani"
di Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it
Roma –
10 febbraio 2009 - Dare mille euro anche ai neogenitori immigrati? Mai.
Piuttosto, non li diamo neanche agli italiani. È la posizione (o la ripicca?)
del comune di Brescia, bocciato due settimane fa da un tribunale per aver
riservato il bonus bebè alle famiglie con almeno un genitore italiano. Una
discriminazione, ha deciso il giudice, che ha intimato all’amministrazione
comunale di aprire anche alle domande di mamme e papà immigrati. La sentenza
però non è andata giù al sindaco Adriano Paroli e quindi il Comune ha
presentato reclamo. Fin qui, tutto normale, ma il 30 gennaio è arrivato il
colpo di scena. Non paga di tentare di chiarire la sua posizione per vie
legali, la giunta ha pensato bene, nell’attesa, di eliminare del tutto il bonus
bebè. Una nuova delibera ha annullato la delibera che aveva istituito il
bonus, privando così dei mille euro anche i genitori italiani. La giustificazione
della giunta è che “l’estensione del beneficio a tutti gli stranieri in
possesso dei requisiti risulterebbe in contrasto con la finalità prioritaria di
sostegno alla natalità delle famiglie di cittadinanza italiana che si
prefiggeva questa amministrazione”. Insomma, Paroli e i suoi sostengono che
dando i mille euro anche agli immigrati non sosterrebbero la fertilità
degli italiani. Il ragionamento fila? Forse no, ma in nome di questa logica
zoppicante le famiglie più povere visitate dalla cicogna a Brescia dovranno
fare a meno del bonus. E qualcuno penserà che la colpa non è della giunta, ma
degli immigrati. L’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, che insieme
a quattro genitori stranieri aveva fatto bocciare la prima delibera, ha
presentato un nuovo ricorso anche conto la marcia indietro del Comune. Inoltre,
ha portato il caso Brescia all’attenzione di Bruxelles, presentando un esposto
alla Commissione Europea, mentre l’eurodeputata Donata Gottardi ha
scritto un’interrogazione.
“Il Comune di Brescia vuole scavalcare la legge, inserendo principi di
distinzione non previsti” sottolinea l’avvocato Alberto Guariso (Asgi). “Così
sollecita a una divisione e a un conflitto sociale del quale non c’è davvero
bisogno. E fa passare il messaggio, sbagliato e pericolosissimo, che le azioni
di parità sono un danno per tutti”
Foreign press
Rome, January 29th
2009 - AT THE start of the year, Silvio Berlusconi must have felt everything
was going his way. Italy’s right-wing prime minister was about to cure his
biggest headache by selling the state’s holding in a troubled airline,
Alitalia. His popularity rating was high. And the main opposition group, the
Democratic Party (PD), had plunged into a crisis that could yet break it up.
Yet during the past week, a black cloud has appeared on Mr Berlusconi’s
horizon. The law-and-order clampdown that was at the heart of his victory in
last April’s general election is in trouble on two fronts. One is in the
southernmost part of Italy. Lampedusa, an island 310km (about 180 miles) north
of Libya, has become the main gateway into Europe for Africans fleeing poverty
and war. Of the 67,000 migrants who arrived in Europe by sea last year,
according to UN figures, almost half landed on this patch of sand, which is a
tenth the size of Martha’s Vineyard and has a resident population of barely
6,000. Only a minority of clandestine immigrants to Italy come by sea and the
government says their number is declining. But they are far more noticeable
than those who quietly overstay their visas. Last year their numbers soared by
75%, embarrassing a government committed to blocking illegal immigration. In
December the interior minister, Roberto Maroni, opted for deterrence.
Previously migrants had been transferred from Lampedusa to Sicily, where those
not given refugee status eventually received an essentially meaningless
expulsion order. Some then chose to stay illegally in Italy; others moved on to
other European Union countries. Now Mr Maroni has decreed that the migrants
should be held at a new identification and expulsion centre on Lampedusa itself
until they are repatriated. But there are snags. One is that the new centre
does not exist. After a wave of illegal landings this month, the numbers in the
existing facility, which has a capacity of 850, rose to 1,800. Some detainees
have been sleeping in the open under plastic sheets. The leader of a PD group
that visited the site on January 23rd said he found “people crowded together in
the rain, dormitories with three or four times the number who should be there
and an infirmary in which the injured are piled up together”. The day after his
visit, hundreds of detainees broke out of the camp and joined local people
demonstrating against the government’s plan. The islanders’ fear, said their
mayor, Bernardino De Rubeis, is that Lampedusa could become a Mediterranean
Alcatraz. For another problem with Mr Maroni’s scheme is that many immigrants
cannot be sent home, either because their nationality is untraceable or because
Italy does not have a repatriation deal with their countries. Fewer than 200
have been flown back from Lampedusa. In so far as it reflects a tough stance on
immigration, the crisis on Lampedusa is unlikely to erode support for the
government. Far more threatening are events in Lazio, the region around Rome,
which has seen a string of rapes. On January 27th police arrested five
Romanians suspected of a horrendous gang rape a week earlier. A murderous sex
attack by a Romanian in Rome in October 2007 first stirred demands for a
crackdown on crime and foreigners, to which Mr Berlusconi successfully
responded in the election campaign. Both voters and opposition politicians are
now asking if the government’s policies are working, particularly the
deployment of 3,000 troops to help the police. This week Mr Berlusconi
incautiously promised to increase that number tenfold, before backing away. In
characteristic style he did so with a politically incorrect quip that drew criticism
even from his supporters. “We would have to have as many soldiers as beautiful
women, and I don’t think that would be possible,” he said. It is often the way
with politics. Once trouble starts, it grows.