A Giorgio, Giulia

e Raffaella

Indice

 

Introduzione.....4

 

Capitolo I

La tutela del lavoratore extracomunitario nei primi quarantanni di esperienza comunitaria

 

1.1      Il lavoratore extracomunitario e la disciplina giuridica dell'immigrazione nel sistema precedente al Trattato di Maastricht.............................................................................................14

 

1.1.1      Limmigrazione materia di domestic jurisdiction ed il Trattato di Roma14

1.1.2      I cittadini di Paesi terzi ed i diritti derivanti dal Regolamento 1612/6819

1.1.3      I principali atti sullimmigrazione adottati dalla Comunit e la sentenza della Corte di Giustizia del 9 luglio 1987.................23

1.1.4      Le prime forme di cooperazione intergovernativa in materia di immigrazione, gli accordi di Schengen e lAtto Unico Europeo28

1.2      Il compromesso del Trattato di Maastricht...33

1.2.1      Dalla caduta del muro di Berlino ai lavori preparatori di Maastricht.................................................................................33

1.2.2      Il Trattato di Maastricht: il problema del deficit democratico e del deficit giurisdizionale...37

1.2.3      Segue: lart. K. 9..41

1.2.4      Lo status dei lavoratori extracomunitari: le Risoluzioni del 1994..43

1.2.5      Lo status dei lavoratori extracomunitari: la sentenza Vander Elst............................................................................................48

1.3      Da Amsterdam a Nizza. Verso la comunitarizzazione della politica sullimmigrazione53

1.3.1      Il Titolo IV del Trattato di Amsterdam e gli opting out di Regno Unito, Irlanda e Danimarca..53

1.3.2      Obiettivo e meccanismi decisionali del Titolo IV e le modifiche apportate dal Trattato di Nizza55

1.3.3      Il ruolo della Corte di Giustizia delle Comunit Europee...59

1.3.4      Lacquisizione dellacquis di Schengen nellUnione Europea62

Conclusioni68

 

Capitolo II

La tutela del lavoratore extracomunitario da Tampere ad oggi

 

2.1           Da Tampere ad oggi: gli orientamenti della Comunit relativi ad una politica comunitaria in materia di immigrazione..71

2.2           Laccesso al territorio comunitario: lobbligo di visto ed il permesso di soggiorno...77

2.3           Le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno...79

2.3.1      Le direttive n. 2004/81, n. 2004/114, n. 2005/71 e n. 2003/86/CE79

2.3.2      La Proposta di direttiva relativa alle condizioni dingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendano svolgere attivit di lavoro subordinato o autonomo.82

2.3.3      La Proposta di direttiva sui lavoratori altamente qualificati: la Carta blu UE............89

2.4           Il trattamento dellammesso..92

Conclusioni..101

 

Capitolo III

La tutela del lavoratore extracomunitario e gli accordi di associazione

 

Introduzione104

3.1           I lavoratori turchi, le disposizioni dellAccordo di Ankara e le Decisioni del Consiglio di associazione..111

3.2           Il rapporto tra gli Accordi di associazione e lordinamento comunitario..116

3.2.1      La redistribuzione delle competenze fra Comunit e Stati membri.116

3.2.2      La competenza in via pregiudiziale della Corte di giustizia delle Comunit europee..120

3.2.3      Lefficacia diretta delle Decisioni emanate dal Consiglio di associazione124

3.3           La nozione di lavoratore...130

3.4           Laccesso al mercato del lavoro: la Decisione n. 1/80 e la giurisprudenza della Corte di giustizia europea...140

3.5           I familiari dei lavoratori turchi145

3.6           Il regime di sicurezza sociale...149

 

Conclusioni...151

 

Bibliografia..159

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

 

Noi non coalizziamo Stati,

ma uniamo uomini.

Jean Monnet, 1952

 

Lintroduzione di una competenza in materia di immigrazione ed asilo a livello comunitario rappresenta una questione di estrema rilevanza. Ci appare tanto pi evidente se si constata che a livello internazionale manca una disciplina giuridica idonea a definire uno statuto giuridico dei migranti, non essendo riconosciuto un diritto dellindividuo allimmigrazione. Tale mancanza si traduce nella necessit di dedurre i meccanismi di tutela da strumenti internazionali che non sempre riconoscono specificamente i migranti come proprio ambito di applicazione ratione personarum.

Fra tali strumenti possibile annoverare, in primis, quegli atti internazionali di carattere generale che, fornendo un ventaglio completo di diritti fondamentali e di obblighi erga omnes, impongono agli Stati ladozione di comportamenti conformi contro le gross violations perpetrate nei confronti degli stranieri, e non solo[1]. In particolare, lart. 13 della Dichiarazione Universale dei diritti delluomo[2] e lart. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 sanciscono il diritto alla libert di movimento e di residenza di ogni individuo entro i confini di ogni Stato ed il diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, o di ritornarvi. Tali diritti non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, tranne quelle che siano previste dalla legge, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, lordine pubblico, la sanit o la moralit pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libert [][3].

Oltre ai suddetti documenti, possibile individuare importanti riferimenti al tema dellimmigrazione in un numero limitato di Convenzioni che disciplinano alcuni profili specifici del fenomeno migratorio, quali la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, la Convenzione OIL n. 111 sulla discriminazione in materia di lavoro e occupazione del 1958, la Convenzione Europea sullo statuto giuridico del migrante del 1977, ed, infine, la Convenzione Internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata dallAssemblea generale delle Nazioni Unite nel 1990 allo scopo di integrare la normativa esistente promossa dalla Convenzione OIL n. 97 del 1949 sulla migrazione per motivi di lavoro e dalla n. 143 del 1975 sui diritti dei lavoratori migranti. Fra i documenti citati, questultima Convenzione merita unattenzione particolare rappresentando lo strumento pi completo fino ad ora elaborato a livello internazionale. Tale completezza le conferita dallinserimento di alcune novit importanti, quali, ad esempio, la prima definizione internazionale di lavoratori migranti, descritti come quelle persone che eserciteranno, esercitano o hanno esercitato unattivit remunerata in uno Stato a cui non appartengono[4]. Considerando tali soggetti non come mera forza lavoro o entit economiche, ma, bens, come soggetti di diritto e come entit sociali con le proprie famiglie, la Convenzione garantisce loro uno standard internazionale di tutela, siano essi in possesso o sprovvisti di documenti validi (ad esempio, i diritti in materia di assicurazioni sociali erano riconosciuti anche agli immigrati clandestini). Ai lavoratori migranti regolari, tuttavia, riconosciuta una gamma pi ampia di diritti da ritenersi specificamente connessi proprio alla loro situazione di regolarit, quali, ad esempio, luguaglianza di trattamento con i lavoratori nazionali rispetto allaccesso alle istituzioni e ai servizi educativi, ai servizi di collocamento, allalloggio ed ai servizi sociali e sanitari[5]. Nonostante limportanza rivestita dalla Convenzione del 90, essa entrata in vigore solo il 1 luglio 2003 (grazie al deposito del ventesimo strumento di ratifica attuato dello Stato del Guatemala) ed oggi, a quasi ventanni dalladozione, la gran parte dei 37 Stati che lhanno ratificato rappresentata da Paesi di origine o di transito dei migranti. La maggioranza dei paesi di destinazione, invece, considerando la questione dellimmigrazione una materia di pertinenza prevalentemente interna e la situazione di tali soggetti gi sufficientemente tutelata da altri strumenti giuridici, non ha ancora ratificato il detto atto giustificando tale mancanza con il timore che la Convenzione possa garantire eccessivi diritti ai lavoratori irregolari, generando un maggiore flusso di migranti. Lo stesso governo italiano si era opposto negli anni precedenti alla ratifica della Convenzione n. 143 del 1975 sui diritti dei lavoratori migranti (poi attuata con la legge 158 del 10 aprile 1981), nonostante negli anni precedenti lavesse promossa in sede internazionale al fine di tutelare i propri emigranti allestero.

Il mancato riconoscimento di uno statuto giuridico dei migranti a livello internazionale denso di conseguenze se consideriamo che, in ambito comunitario, limmigrazione e lasilo sono solo una piccola parte di un fenomeno molto pi complesso ed articolato. Da quanto emerge nelle pagine dei rapporti Onu, il numero stimato di international migrants di assoluta rilevanza, passando da 178 milioni nel 2000 a 191 milioni nel 2005, dei quali il 22,5%, quindi circa 40 milioni, sono stanziati nei territori dellUnione Europea[6]. I due terzi di questi si compongono, secondo i dati forniti dallEurobarometro, di immigrati provenienti da paesi non comunitari confinanti, quali Turchia, Russia o Balcani (per un totale del 32%), da Stati asiatici, come India e Cina (circa il 16%), e dallAmerica Latina (circa il 15%). Se si tiene presente, infine, che nei paesi in via di sviluppo risiede circa l85% della popolazione mondiale, che 195 milioni di esseri umani non trovano un lavoro e che oltre 1 miliardo ne svolge uno che non consente di superare la soglia di povert di 2 dollari al giorno, appare chiaro come landamento dei flussi migratori sia in unirrefrenabile e costante ascesa.

Alle questioni relative allimportanza che il fenomeno migratorio sta assumendo in un mondo sempre pi globalizzato, si aggiungono le problematiche di natura tecnica concernenti gli strumenti internazionali sopra citati. La tutela offerta dalle Convenzioni di diritto internazionale, infatti, appare particolarmente debole se si considera che tali strumenti, pur vincolando lo Stato aderente al rispetto delle clausole annesse al documento, di fatto, non attribuiscono alla persona un diritto soggettivo, essendo negata la possibilit del singolo di invocare la responsabilit dello Stato che abbia violato una norma stabilita in una Convenzione internazionale a cui esso abbia aderito. Alcune limitate forme di tutela sono riconosciute dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali[7], la quale ha una sfera di applicazione che si differenzia rispetto a tutte le altre. La CEDU, infatti, prevede che la Corte Europea dei diritti delluomo di Strasburgo, da essa istituita, possa essere adita per ricorsi presentati da ogni parte contraente e, in particolare, da ogni persona fisica, ogni organiz­zazione non governativa o gruppo di individui che pretenda di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli[8].

In questo quadro internazionale incerto e poco garantista si sono sviluppati gli innovativi meccanismi introdotti dal laboratorio Europa, i quali, come vedremo, avranno un impatto rilevante sulla vita e sui diritti accordati ai cittadini extracomunitari che si recano nei territori dellUnione Europea. In particolare, pare rilevante in tale sede premettere come la Comunit europea prima e lUnione Europea poi sono state coinvolte in maniera crescente nelle questioni relative allimmigrazione. A livello sovranazionale, la costruzione di una politica in tale settore stata caratterizzata da un andamento non lineare, alternandosi fasi di comunitarizzazione al ritorno di pratiche di governo di carattere intergovernativo. In questo percorso altalenante i governi si rivolgevano allEuropa o per cercare genuine soluzioni a problemi che non avrebbero potuto essere risolti ricorrendo ad un intervento unilaterale o per evitare di dover prendere internamente misure impopolari, difficili o che avrebbero messo il paese in conflitto con accordi o trattati internazionali cui aveva aderito[9].

Negli anni in cui veniva firmato ed entrava in vigore il Trattato di Roma, le politiche relative allingresso degli stranieri nei territori statali erano concertate, lontano dagli occhi dellopinione pubblica, tra le parti sociali ed i governi. Francia e Belgio reclutavano lavoratori in fabbriche e miniere mentre la Germania apriva le proprie frontiere a lavoratori temporanei extracomunitari ed italiani soprattutto quando, nel 1961, la costruzione del muro di Berlino aveva strozzato il flusso di manodopera proveniente dai territori dellest.

Tuttavia, lapertura che aveva caratterizzato le politiche adottate da molti Stati negli anni 60 si attenuer un decennio successivo quando, in seguito alle ripercussioni della crisi internazionale degli anni 70, in Europa si era registrata una riduzione della crescita economica ed un aumento della disoccupazione. Le frontiere dei maggiori Stati europei si erano, quindi, chiuse allaccesso di lavoratori stranieri (nella maggior parte, i canali daccesso ai territori nazionali erano quelli dei ricongiungimenti familiari e dellasilo) i quali, nonostante la mancanza di richiesta da parte delle economie europee, continuano ad arrivare, anche per vie illegali, nei territori comunitari. Non appare casuale il fatto che, per timore di nuovi arrivi e di fronte alle pressioni di unopinione pubblica che iniziava ad accorgersi ed occuparsi del fenomeno migratorio, ogni allargamento della CEE a paesi di emigrazione con un reddito procapite inferiore alla media europea verr sottoposto a periodi transitori di sette anni prima della concessione della piena libert di circolazione ai lavoratori dei nuovi Stati membri. A tale periodo di tempo stata subordinata lentrata della Grecia nel 1981, della Spagna e del Portogallo nel 1986, nonch quella dei nuovi Stati ammessi nel 2004 e nel 2007, temendo afflussi massicci di manodopera e lemergere di fenomeni di dumping sociale.

Nonostante le preoccupazioni emerse, la costruzione europea continuava il proprio sviluppo e negli anni 80 e 90 fu soggetta ad importanti cambiamenti. Nel 1985, ad esempio, verranno firmati gli Accordi di Schengen, i quali prevedevano larmonizzazione della politica dei visti, la nascita di unarea di libero movimento che eliminava i controlli alle frontiere interne (inizialmente di Francia, Germania e Benelux), un sistema di accordi di riammissione per gli irregolari colti in un paese aderente e transitati attraverso i territori degli altri Stati firmatari e delle sanzioni per trasportatori e trafficanti di immigrati clandestini. Alla firma degli Accordi seguiranno, nel 1986, lentrata in vigore della libera circolazione per i lavoratori dipendenti ed autonomi (allora, lItalia era ancora un paese di emigrazione) e la riunione del Gruppo ad hoc per limmigrazione (composto dai ministri responsabili per paese), le cui conclusioni porteranno alla firma degli Accordi di Dublino, volti al coordinamento delle procedure dasilo. In particolare, al fine di ridurre la possibilit di scegliere il paese verso il quale indirizzare la propria richiesta dasilo in relazione alle condizioni pi o meno vantaggiose offerte dai diversi ordinamenti (il cosiddetto asylum shopping) e di ridurre il fenomeno delle domande multiple, si stabil che questa avrebbe dovuto essere presentata nel primo paese darrivo della Comunit. Tuttavia, nonostante i criteri ai quali era subordinata laccettazione della richiesta dasilo fossero stati ulteriormente ristretti nel 1993 attraverso loperato del Gruppo di Trevi, ladozione di misure di maggior coordinamento e controllo ebbe effetti contrastanti. Ad esempio, i curdi che sbarcavano in Italia non richiedevano asilo in tale paese rendendosi oggetto di pratiche di espulsione al fine di poter proseguire il viaggio verso la Germania, ove la domanda avrebbe pi facilmente avuto risposta positiva. Le novit introdotte troveranno, infine, un importante coronamento quando il Trattato di Maastricht prima, e quello di Amsterdam poi sanciranno definitivamente la nascita di una politica dimmigrazione comunitaria, prevedendo un potere di iniziativa per la Commissione europea, la facolt del Consiglio di adottare delle misure volte ad attuare la politica comune di asilo ed immigrazione entro il 1 gennaio 2004 (anno nel quale avverr la vera comunitarizzazione con lintroduzione del voto a maggioranza qualificata e la codecisione del Parlamento europeo), nonch la definitiva entrata del sistema di Schengen nellordinamento comunitario, la cui Convenzione di applicazione era stata firmata nel 1990. Pi il territorio europeo diventava unenorme spazio comune, eliminando i controlli alle frontiere interne ed unificando i confini esterni, maggiori erano i quesiti e le preoccupazioni degli Stati membri in merito alla sicurezza delle frontiere stesse. A tale proposito, una particolare attenzione ed una nota di demerito era rivolta alle politiche adottate dai paesi del sud Europa, considerate inefficaci e lassiste. LItalia, in tal senso, si era scoperta tardi un paese di immigrazione e a tale fenomeno la classe politica inizi ad interessarsi con notevole ritardo, quantomeno fino a che, in seguito al boom economico degli anni 50-70, la crisi internazionale generata dagli shock petroliferi degli anni 70 non inizi a sortire i propri effetti anche nel nostro sistema economico. Dalla legge Foschi del 1986, alla legge Martelli del 1990, al decreto Dini del 1995 lo strumento caratterizzante la debole strategia politica in merito rimase quello della sanatoria e della regolarizzazione degli extracomunitari presenti in via irregolare o illegale nel nostro territorio. Sar solo con la legge Turco- Napolitano del 1998 e la legge Bossi- Fini del 2001 che, nonostante gli elementi critici previsti, lItalia introdusse in maniera pi sistematica luso degli accordi con i paesi di emigrazione. Tali strumenti si sono rivelati particolarmente efficaci, prevedendo una sorta di scambio tra il paese di accoglienza e quello di partenza dei migranti: in cambio di un maggior controllo dei flussi di immigrati clandestini in uscita e di un proficuo coordinamento dei sistemi di polizia si offrono delle quote privilegiate di lavoratori da inserire nel mercato italiano oltre a degli aiuti di carattere economico e un supporto logistico nei territori interessati. Lidea ispiratrice, al di l delle singole prassi poste in essere, sembra poter essere associata ad uno dei motivi che condusse lUnione a stipulare, ad esempio, gli Association Agreement, e cio la necessit di creare una corona di sicurezza ai propri confini, intervenendo negli Stati interessati al fine di evitare ripercussioni negative nei proprie territori.

Nellanno in cui il Trattato di Amsterdam entrava in vigore, il 1999, il Consiglio europeo di Tampere apriva le proprie porte alle delegazioni dei governi di unEuropa, per la prima volta, social-democratica (erano stati eletti Prodi in Italia, Jospin in Francia, Blair in Gran Bretagna, Schrder in Germania). Era unEuropa intenzionata a costituire un fronte comune contro la pericolosa ascesa dalle destre europee (in Austria, Haider aveva ottenuto il 27% dei voti alle elezioni politiche attraverso una piattaforma anti- immigrazione), che aveva individuato nella cooperazione con i paesi dorigine, nelle politiche per lintegrazione, nei controlli e nella costruzione di un regime comune in materia di asilo, i quattro pilastri attraverso i quali avrebbe dovuto rafforzarsi la politica dellUnione in materia di immigrazione ed asilo. I detti pilastri, negli anni della straordinaria crescita del nuovo millennio (la New Economy) e della timida apertura dei mercati del lavoro nazionali, saranno oggetto di ambiziose proposte e di progetti di direttive elaborati dalla Commissione europea guidata da Romano Prodi ed, in particolare, dal Commissario alla giustizia ed affari interni, il socialista portoghese Vitorino, solo una piccola parte delle quali verr approvata (in particolare quelle concernenti temi quali lasilo e la sicurezza). E sempre nellambito del Consiglio europeo di Tampere che lItalia, in seguito allenorme esodo generato dalle due crisi albanesi - la prima, nel 1990, successiva al crollo del regime socialista di Hoxha e la seconda nel 1997, causata da una tragica crisi finanziaria - e ai numerosi sbarchi di clandestini che continuavano a nutrire i suoi litorali, invocher la solidariet politica e finanziaria dellUnione chiedendo 250 milioni di euro a titolo di burden sharing per il sostegno delle operazioni di controllo delle sue coste, che erano divenute frontiere comunitarie, e di accoglienza dei migranti nel territorio italiano. La richiesta, alla quale fece seguito la proposta pi lungimirante di Amato relativa alla costituzione di una polizia europea di frontiera, avr esito negativo, trovando una forte opposizione nella Germania, la quale avrebbe dovuto sostenere la met dei costi ma gi accoglieva nel suo territorio la percentuale pi alta di richiedenti asilo in Europa.

La fine dellanno 2000, elogiato quale anno di straordinaria crescita economica, segn, in seguito al crollo delle borse, il risveglio dalla sbornia della New Economy[10] e una nuova fase di aumento della disoccupazione in Francia e Germania. E in questo scenario, aggravato dalle conseguenze generate dagli attentati dell11 settembre, che i temi dellimmigrazione e dellinsicurezza, del multiculturalismo e della scoperta dellIslam, si saldano con i primi effetti della stagnazione economica e con la paura della globalizzazione[11] comportando non solo una nuova fase di chiusura delle politiche nazionali allimmigrazione economica e la caduta o il ridimensionamento delle proposte della Commissione, ma anche unimportante svolta politica. LEuropa social- democratica veniva sconfitta ad opera di coalizioni di centro-destra e dallemergere di nuovi partiti xenofobi e populisti: in Italia il governo sar sostenuto da una maggioranza composta da AN - Forza Italia – Lega Nord, in Francia il Front National di Jean- Marie Le Pen aveva ottenuto il 16,86% dei voti al primo turno alle elezioni presidenziali del 2002, arrivando al ballottaggio con Jacques Chirac in seguito allo scarso risultato ottenuto dal candidato socialista Lionel Jospin ed, infine, nel marzo del 2004 Haider era riuscito ad ottenere il 42,5% dei voti in Carinzia. Solo i laburisti inglesi di Blair rimanevano saldi al governo, divenendo la Gran Bretagna lo Stato pi aperto dEuropa allimmigrazione economica con un tasso di disoccupazione inferiore al 5%[12].

Come emerge dalla breve ricostruzione proposta, la storia dellUnione la storia dei suoi Stati e, per tanto, unanalisi dello sviluppo della politica di immigrazione comunitaria non pu prescindere da un costante raffronto con ci che accade nei quartieri nazionali della Comunit stessa. La prospettiva adottata, tuttavia, non sar interna o, per cos dire, bottom up, dagli Stati allUnione, bens si scelta una strategia di indagine che, come in volo duccello, guarda ci che emerge dalla superficie del grande mare Europa, analizzando con taglio giuridico gli sviluppi intervenuti nel suo ordinamento. In particolare, si tenter di ricostruire il viaggio del lavoratore migrante che giunge nei territori degli Stati membri, attraverso lanalisi dellevoluzione subita dallordinamento comunitario sia nellambito dei Trattati (Capitolo I), sia in relazione al diritto da essi derivato (Capitolo II). In conclusione, lo studio della condizione generale del migrante si trasformer nellindagine di un caso specifico, quello dei lavoratori provenienti dalla Repubblica turca, i quali godono della tutela loro conferita dallAccordo di associazione che lega la Turchia allUnione Europea, lAccordo di Ankara del 1963.

 

 

 

 

 

 

Capitolo I

La tutela del lavoratore extracomunitario nei primi quarantanni di esperienza comunitaria

 

1.1           Il lavoratore extracomunitario e la disciplina giuridica dell'immigrazione nel sistema precedente al Trattato di Maastricht

1.1.1      Limmigrazione materia di domestic jurisdiction ed il Trattato di Roma

 

Per quattro secoli e mezzo, dalla scoperta dellAmerica alla seconda guerra mondiale, i flussi migratori avevano assunto una dimensione centrifuga che trovava il proprio epicentro nella vecchia Europa e si dirigeva verso le sue periferie: le Americhe, lAfrica, lAsia, lOceania. Allindomani della seconda guerra mondiale, gli effetti delle grandi crisi politiche ed economiche che avevano accompagnato il processo di decolonizzazione e il richiamo di manodopera per la ricostruzione post-bellica, avevano rovesciato la direzione secolare dei flussi migratori, ponendosi allorigine dello sviluppo di quelle migrazioni intercontinentali e continentali che avevano in pochi anni reso lEuropa il pi rilevante polo migratorio nel mondo[13]. Per tanto, negli anni delle negoziazioni del Trattato di Roma, le esigenze di ricostruzione ed il successivo boom economico avevano indotto i paesi pi sviluppati dellEuropa occidentale (come, ad esempio, Belgio, Francia, Germania e Regno Unito) ad introdurre programmi nazionali per accogliere lavoratori stranieri al fine di sopperire linsufficiente offerta interna di manodopera. La regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno di tali stranieri, principalmente lavoratori provenienti da altri Stati europei, era materia rientrante nell'ambito della domestic jurisdiction, e, come vedremo, sar a lungo quasi del tutto sottratta alle interferenze del diritto comunitario, rimanendo soggetta alle decisioni della sovranit statale.

Ci appare evidente dallanalisi del Trattato di Roma[14], allinterno del quale non si evince alcuna disposizione che attribuisca alla Comunit una competenza specifica in tema di immigrazione: lart. 48, dedicato alla libera circolazione dei lavoratori, faceva propria unespressione di carattere generale, quale appunto quella di lavoratore, che, anche se potenzialmente idonea a comprendere in astratto anche i cittadini dei Paesi terzi, fu intesa fin dallinizio come limitata ai soli cittadini comunitari; invece, gli articoli 52 e 59 CEE, relativi al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, si riferivano espressamente ai cittadini degli Stati membri[15].

Quali diritti, quindi, erano riconosciuti ai lavoratori cittadini dei Paesi terzi nel Trattato istitutivo della Comunit Economica Europea?

Da una pi attenta analisi del Trattato, va osservato che tali cittadini potevano beneficiare di alcuni aspetti del mercato comune derivanti dallapplicazione del principio di non discriminazione. Ad esempio, la libera circolazione delle merci riguardava le merci di origine comunitaria o immesse in libera pratica, indipendentemente dalla nazionalit degli operatori economici che tale trattamento invocavano[16] ed il medesimo principio di parit di trattamento ispirava lapplicazione delle norme relative alla libera circolazione dei capitali e dei servizi. Un riferimento a questultima categoria era contenuto nel secondo comma dellart. 59 CEE il quale prevedeva la possibilit per gli extracomunitari residenti nel territorio comunitario, di godere della graduale soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi allinterno della Comunit, gi garantita ai cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunit che non fosse quello del destinatario della prestazione. Tale apertura era subordinata ad una decisione del Consiglio il quale, su proposta della Commissione, avrebbe dovuto deliberare a maggioranza qualificata. Inoltre, requisito fondamentale era che il destinatario dei servizi o il detentore dei capitali fosse residente in uno Stato membro, indipendentemente dalla sua cittadinanza. Tali eccezioni, tuttavia, non sopperivano la mancanza a livello comunitario di una disciplina organica volta a definire lo status di straniero ed al cittadino proveniente da uno Stato esterno ai confini della Comunit era riconosciuta una sfera di diritti meno completa rispetto al citoyen comunitario, il quale beneficiava totalmente del regime previsto dal Trattato, e rimaneva soggetto alle discipline nazionali.

Nonostante la non reperibilit nel Trattato di una specifica disposizione che attribuisse alle Istituzioni una competenza in materia di immigrazione, la Comunit si era pi volte interessata alla problematica oggetto desame ed aveva rilevato lautorizzazione ad occuparsene in via indiretta, richiamando le disposizioni attinenti la materia sociale contenute nel Titolo III e, specificamente, gli articoli 117 e 118 del Trattato di Roma[17]. Tali disposizioni consentivano alle Istituzioni comunitarie di adottare atti di natura non vincolante, come pareri e raccomandazioni, al fine di favorire larmonizzazione dei sistemi sociali e il riavvicinamento delle disposizioni statali, promuovendo il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano dopera.

E interessante chiedersi, tuttavia, se la competenza della Comunit avrebbe potuto essere rinvenuta, oltre che in via indiretta, anche da altre norme del Trattato CEE e, precisamente, negli articoli 100 e 235. Una risposta positiva a tale quesito avrebbe delle conseguenze rilevanti in quanto, delineando la possibilit di regolare la materia dellimmigrazione attraverso strumenti giuridici vincolanti, ridisegnerebbe le possibilit di azione della Comunit, incidendo quindi sullanalisi della realt comunitaria e delle volont politiche degli Stati[18].

Ai sensi dellart. 100 del Trattato il Consiglio, deliberando all'unanimit su proposta della Commissione, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sullinstaurazione o sul funzionamento del mercato comune. L'Assemblea e il Comitato economico e sociale sono consultati sulle direttive la cui esecuzione importerebbe, in uno o pi Stati membri, una modificazione nelle disposizioni legislative.

Tale norma, quindi, introduce la possibilit per il Consiglio di promuovere il riavvicinamento delle disposizioni nazionali attraverso luso di uno strumento, la direttiva, che, secondo quanto sancito dallart. 149 TCE, vincola lo Stato membro cui rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Tuttavia, la capacit del Consiglio di dare applicazione a tale articolo, subordinata allaccertamento della compresenza di due requisiti: la sussistenza di una difformit legislativa negli Stati membri la quale abbia come effetto quello di ostacolare lo sviluppo ed il funzionamento del mercato comune.

In un ambito quale quello dellimmigrazione facilmente verificabile come tale divergenza normativa, secondo quanto suggerito in una Comunicazione della Commissione del 1979[19] e dallAvv. Generale Mancini nelle Conclusioni della sentenza della Corte europea del 9 luglio 1987[20], possa facilmente operare come freno. La materia in esame, infatti, caratterizzata da una rispondenza tale tra norma interna e contesto europeo da giustificare limpatto che differenti gestioni nazionali della questione migratoria generano nello spazio comunitario, soprattutto per quanto attiene alla libera circolazione delle persone[21]. Ed proprio per realizzare a pieno tale principio che occorrono misure che coinvolgano tutti gli Stati membri. Tali misure dovrebbero riguardare anche limmigrazione da Stati terzi, perch labolizione di controlli sistematici alle frontiere nei rapporti fra Stati membri determina di fatto la libera circolazione in tutti i loro territori di chiunque entri, legalmente o illegalmente, nel territorio di un qualsiasi Stato membro[22].

Perseguendo un ragionamento pari a quello effettuato in relazione allart. 100, possibile pervenire alla conclusione che il fondamento giuridico di un intervento della Comunit in tema di ingresso e soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi avrebbe potuto essere rinvenuto anche nellart. 235, il quale dispone che quando un'azione della Comunit risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunit, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimit' su proposta della Commissione e dopo aver consultato l'Assemblea, prende le disposizioni del caso. Se, a differenza dellart. 100, tale disposizione ricava il presupposto fondamentale per la sua applicazione nellesistenza di una lacuna nel Trattato in merito allindicazione dei poteri da attribuire alla Comunit, al pari di esso, lart. 235 avrebbe potuto essere oggetto di applicazione con riferimento alla materia dellimmigrazione. Ci, nuovamente, per la sussistenza di due requisiti: la mancanza nel Trattato del conferimento di una competenza specifica in tema di immigrazione alla Comunit, ed il carattere di necessariet[23], il quale sarebbe stato facilmente soddisfatto attraverso lanalisi dellimpatto che le differenti politiche migratorie nazionali avrebbero potuto avere sul funzionamento del mercato comune.

Da una lettura comparata dei due articoli emerge come lopposizione degli Stati allapplicazione di tali norme alla materia in esame sia simbolicamente rappresentata dalla previsione della regola dellunanimit richiesta per adottare le delibere in seno al Consiglio. Tale meccanismo decisionale rappresentava, e tuttora rappresenta, un ostacolo difficile da superare, soprattutto quando sono oggetto della discussione e della votazione tematiche che riguardano lingresso ed il soggiorno dei cittadini di Stati terzi. Tali questioni, infatti, avendo un profondo impatto nella vita di uno Stato ed influendo nella percezione che di questa hanno i cittadini, sono da sempre state considerate un argomento particolarmente sensibile dai governi, rappresentando una fonte indiretta di legittimazione delle classi politiche nazionali.

 

1.1.2      I cittadini di Paesi terzi ed i diritti derivanti dal Regolamento 1612/68

 

Il lento processo che condurr alla creazione della futura Unione Europea era stato concepito dai vecchi funzionalisti come un meccanismo di spill over, il quale, da unintegrazione economico-sociale, avrebbe dovuto condurre a quella politica. Nel tempo, tale passaggio era stato associato ad un fenomeno di allargamento bicefalo riguardante, da una parte, gli Stati ed i loro territori, e, dallaltra, i diritti conferiti ad i loro cittadini.

Al fine di tutelare tali diritti e, in particolare, lesercizio del diritto al lavoro ed alla parit di trattamento, oltre alle norme sancite dal Trattato, il 15 ottobre 1968, il Consiglio aveva adottato un Regolamento[24] relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit. Tale Regolamento vietava ogni discriminazione del lavoratore cittadino di uno Stato membro sul territorio degli altri Stati membri, a causa della sua cittadinanza, per quanto riguarda tutte le condizioni di occupazione e di lavoro (ad esempio, il licenziamento e la retribuzione). Esso, inoltre, poteva beneficiare degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori cittadini dello Stato membro di destinazione, della parit di trattamento in materia di esercizio dei diritti sindacali, ivi compresi il diritto di voto, l'accesso ai posti di amministrazione o di direzione di un'organizzazione sindacale.

I diritti previsti dal presente Regolamento, tuttavia, non potevano essere invocati dai lavoratori extracomunitari impegnati in un'attivit retribuita sul territorio di uno Stato membro in base ad un accordo intervenuto tra tale Stato membro ed il loro Stato (ovvero il loro territorio di origine), essendo la libert di circolazione riconosciuta solo ai lavoratori comunitari ai sensi dellinterpretazione data allart. 48 del Trattato e a quanto espressamente previsto allart. 1 del Regolamento 1612/68, nonch essendo le autorit di ogni singolo Stato membro competenti a sancire i principi di ottenimento dello status di cittadino. Per i cittadini provenienti dai Paesi esterni alla Comunit il Regolamento del 68 prevedeva il godimento di alcuni diritti loro conferiti in qualit di familiari di un cittadino comunitario. La Comunit, infatti, al fine di garantire lesercizio delle libert sancite dal Trattato, aveva riconosciuto al lavoratore un diritto alla tutela della vita familiare che si esplicitava nel godimento, da parte dei familiari del suddetto lavoratore, indipendentemente dalla cittadinanza (sia essa di uno Stato membro o di uno Stato terzo), dello stesso trattamento riservato al loro congiunto. La nozione di familiari, secondo quanto sancito dalla direttiva n. 2004/38/CE[25] modificativa del Regolamento 1612/68 per quanto riguarda le disposizioni relative al ricongiungimento familiare, comprensiva della figura del coniuge, dei discendenti di meno di 21 anni o a carico, degli ascendenti a carico, e dei partner registrati, (nel caso in cui la legislazione dello Stato membro ospitante considera il partenariato registrato come equivalente al matrimonio). Tali soggetti, indipendentemente dalla loro provenienza, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo un periodo di soggiorno ininterrotto di cinque anni (tale diritto si perde in caso di assenza dallo Stato ospitante per un periodo di durata superiore a due anni) ed hanno parimenti diritto ad un'assistenza sociale, nonch il diritto di svolgere un'attivit economica retribuita o meno. Tuttavia, sussistono delle differenze tra il trattamento garantito ai familiari provenienti da uno Stato membro e quello previsto per i cittadini extracomunitari.

I primi godono, in qualit di cittadini comunitari, del diritto dingresso senza alcun visto n formalit equivalenti[26] e di un diritto di soggiorno che, per i periodi inferiori a tre mesi[27], pu essere esercitato liberamente sul territorio di un altro Stato membro, mentre per periodi superiori a tre mesi[28], garantito al soggetto in qualit di membro della famiglia di un lavoratore cittadino dell'Unione, senza necessitare di un permesso di soggiorno (il soggetto comunque tenuto a registrarsi presso le competenti autorit).

A differenza di questa prima categoria, i familiari provenienti da Paesi terzi non godono di un diritto di ingresso nel territorio dello Stato membro in qualit di cittadini ma sono assoggettati all'obbligo del visto d'ingresso, conformemente al regolamento (CE) n. 1932/2006[29] o, se del caso, alla legislazione nazionale. Tali visti, che hanno carattere di gratuit, devono essere rilasciati anche nei luoghi di ingresso nel territorio nazionale[30] e con ogni agevolazione da parte degli Stati, i quali non possono respingere alla frontiera un cittadino extracomunitario privo di tale documento nel caso in cui esso dimostri il legame con il cittadino comunitario (a meno che egli non rappresenti un pericolo per lordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanit pubblica). Similmente, lo Stato non potr espellere il familiare cittadino extracomunitario per irregolarit connesse allingresso nel Paese, quando il matrimonio reale ed il coniuge permette al suddetto cittadino di esercitare le libert di circolazione previste dal Trattato[31].

Il visto si configura come documento non necessario nel caso in cui detti familiari siano in possesso della carta di soggiorno in corso di validit[32]. Tale carta di soggiorno, denominata "permesso di soggiorno per familiare di un cittadino dell'Unione", deve essere richiesta nel caso in cui il periodo di soggiorno sia superiore a tre mesi, valida almeno cinque anni e non revocabile, in linea di principio. Per soggiorni inferiori a tre mesi, invece, i familiari extracomunitari beneficiano dello stesso diritto del cittadino dell'Unione che accompagnano, potendo, come abbiamo visto, essere sottoposti all'obbligo di richiedere un visto di soggiorno breve ovvero un permesso equivalente.

I diritti di tali cittadini, pertanto, non si configurano come diritti primari, bens derivano dalla compresenza di due circostanze, in assenza delle quali essi verrebbero soggetti al diritto nazionale sugli stranieri: il vincolo familiare e lesercizio, da parte del congiunto, della libera circolazione. In merito a questultimo requisito, la Corte ha precisato che solo il cittadino comunitario che si valso del diritto alla libera circolazione pu far valere nei confronti dello Stato di destinazione e dello Stato membro di origine (nel caso in cui vi abbia fatto ritorno) un diritto allingresso del proprio familiare[33]. In caso contrario, lingresso ed il soggiorno di tale soggetto, non presentando alcun collegamento con lordinamento comunitario, saranno disciplinati dalle norme interne relative agli stranieri[34].

La tutela del lavoratore extracomunitario si traduce, quindi, nellenucleazione di alcuni diritti di cui pu beneficiare il familiare cittadino di uno Paese terzo il quale, fruitore delle possibilit ad esso conferite dal Regolamento n. 1612/68 e dai successivi atti modificativi, potr esercitare unattivit lavorativa nello Stato membro di destinazione in qualit di congiunto del cittadino comunitario.

 

1.1.3      I principali atti sullimmigrazione adottati dalla Comunit e la sentenza della Corte di Giustizia del 9 luglio 1987

 

Uno dei primi tentativi da parte delle Istituzioni comunitarie di acquisire un ruolo in materia di immigrazione, rappresentato dalla Risoluzione adottata dal Consiglio il 21 gennaio del 1974[35]. Questultimo, riconoscendo i compiti rispondenti a finalit sociali attribuiti alla Comunit dai Trattati (come, ad esempio, sostenere il miglioramento del tenore di vita attraverso la promozione di uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attivit economiche), sollecitava la Commissione a presentare delle proposte in merito a diverse questioni, tra le quali figuravano quelle relative allingresso ed al soggiorno dei lavoratori migranti. In ottemperanza a tale Risoluzione, la Commissione aveva presentato al Consiglio una Comunicazione riguardante un programma dazione a favore dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie che port, nel 1976, alladozione di una successiva Risoluzione[36].

Tale Risoluzione, pur costituendo uno strumento giuridico debole in quanto non vincolante, n formalmente indicato allart. 249 del Trattato, rappresentava un documento di portata rilevante in quanto in esso venivano riconosciute due priorit fondamentali.

La prima di tali priorit era connessa alla necessit di migliorare la situazione dei lavoratori extracomunitari e dei loro familiari attraverso una concertazione sulle politiche di migrazione e la realizzazione della parit di trattamento con i lavoratori cittadini comunitari ed i loro familiari per quanto riguarda le condizioni di vita e di lavoro, di salario e di diritti economici. A tale fine, la Commissione, nella Comunicazione del 1974, aveva indicato come fondamentale lestensione ai lavoratori degli Stati terzi del regime comunitario di sicurezza sociale prevista dal Regolamento n. 1408/71/CEE. La piena estensione di tale Regolamento ai lavoratori extracomunitari, come vedremo, si realizzer solo nel 2003 con il Regolamento del Consiglio n. 859/2003.

La seconda azione rilevante, invece, riguardava il contrasto dellimmigrazione illegale da realizzarsi attraverso lintensificazione della collaborazione tra gli Stati e lintroduzione di adeguate sanzioni per reprimere il traffico e gli abusi connessi a tale fenomeno.

Le tematiche affrontate nella Risoluzione del 1976 sono state oggetto di un secondo importante documento adottato dalla Commissione, la Decisione n. 85/381/CEE[37], la quale, per le novit apportate ed il carattere giuridicamente vincolante, pu essere considerata un primo embrione di politica comunitaria in materia dimmigrazione.

Tale Decisione, avente base giuridica nellart. 118 del Trattato, introduceva una procedura di comunicazione preliminare ed un meccanismo di concertazione sulle politiche migratorie nei confronti degli Stati terzi, finalizzate, secondo quanto previsto allart. 3[38], a facilitare linformazione reciproca tra i governi ed a garantire la conformit delle misure da essi adottate alle politiche ed alle azioni comunitarie.

Per tali motivi, lart. 1 prevedeva lobbligo per gli Stati membri di informare, in tempo utile, la Commissione in merito ai progetti di provvedimenti ed alle disposizioni gi in vigore riguardanti lingresso, il soggiorno e loccupazione dei lavoratori extracomunitari e dei loro familiari, lattuazione della parit di trattamento in materia di condizioni di vita, di lavoro, di retribuzioni e di diritti economici, gli accordi di cooperazione con i Paesi terzi.

Infine, secondo quanto previsto allart. 2, la Commissione era abilitata ad avviare un procedimento di concertazione qualora, nel corso delle due settimane successive il ricevimento delle informazioni, ed entro i sei mesi successivi a tale data (immediatamente nel caso in cui un Stato avesse addotto motivi durgenza), la Commissione stessa od uno Stato membro ne avessero fatto richiesta.

La Decisione brevemente descritta, stata oggetto, nel 1987, di una controversia[39] di fronte alla Corte di Giustizia delle Comunit Europee tra, da un lato, la Commissione e, dallaltro, alcuni Stati membri (Germania, Francia, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Danimarca), i quali avevano impugnato latto e ne avevano richiesto lannullamento invocando la presenza di due vizi: un vizio di incompetenza ed una violazione delle forme sostanziali (respinta dalla Corte).

Per quanto concerne la prima questione, gli Stati hanno sostenuto che n lart. 118 n gli altri articoli del Trattato autorizzavano la Commissione ad adottare decisioni vincolanti, soprattutto in un settore quale quello delle politiche migratorie da essi adottate nei confronti degli Stati terzi. Tale materia, infatti, era riconosciuta come di esclusiva competenza nazionale e non rientrante in quel campo sociale in cui la Commissione, ai sensi del primo comma dellart. 118, avrebbe dovuto promuovere una stretta collaborazione. In particolare, gli Stati sostenevano che lobbligo, previsto allart. 1 della Decisione, di informare la Commissione in merito a progetti di provvedimenti concernenti la promozione dellintegrazione culturale dei lavoratori cittadini di Paesi terzi, non rientrasse nel suddetto campo sociale. Inoltre, essi sottolineavano un ulteriore sconfinamento dai poteri di natura procedurale della Commissione la quale, ai sensi dellart. 3 lett. b) della Decisione, non avrebbe dovuto limitarsi ad organizzare la concertazione, potendone prescrivere il risultato. Questultimo, come gi descritto nei paragrafi precedenti, consisteva nel garantire la conformit dei progetti, degli accordi e dei provvedimenti, di cui all'articolo 1 della Decisione, alle politiche e alle azioni comunitarie, ivi compresa la politica allo sviluppo.

La Corte, nellesame del caso, ha evidenziato come il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nellabito della Comunit possano risentire delle politiche adottate dagli Stati membri nei confronti dei lavoratori provenienti dai Paesi terzi. Per tale motivo, ha riconosciuto, in via del tutto innovativa, che la politica migratoria rientra nel campo sociale e che appare indispensabile un coordinamento tra politiche ed azioni condotte sul piano nazionale e quelle poste in essere a livello comunitario.

Inoltre, in merito alla questione relativa alle competenze della Commissione, la Corte ha sancito che, al fine di non privare lart. 118 di qualsiasi efficacia pratica, il secondo comma di tale articolo debba essere interpretato nel senso di attribuire alla Commissione tutti i poteri necessari per organizzare le consultazioni che esso contempla[40]. Per tanto, la Commissione, in forza dellart. 118, pu adottare nei confronti degli Stati membri una decisione vincolante che istituisca una procedura obbligatoria di informazione e di consultazione per gli Stati membri.

Nonostante tali importanti considerazioni, lorgano giurisdizionale della Comunit ha rilevato lincompetenza della Commissione ad estendere, con lart. 1, loggetto del procedimento di notifica e di concertazione ai settori relativi allintegrazione culturale dei lavoratori cittadini dei paesi terzi e dei loro familiari, la quale, a differenza dellintegrazione professionale dei lavoratori extracomunitari, non rientra strettamente nel campo sociale. Inoltre, riconoscendo allIstituzione comunitaria solo un potere di natura procedurale, ha sancito la sua non competenza ad attribuire alla concertazione, attraverso lart. 3, lett. b), lo scopo di garantire la conformit dei progetti di provvedimenti nazionali e di accordi alle politiche ed azioni comunitarie.

Per tali motivi, la Decisione del 23 luglio 1985 fu annullata e ad essa, nel 1988, fece seguito una nuova Decisione[41] contenente le opportune modifiche dettate dalla sentenza della Corte, la quale, tuttavia, non risulta abbia avuto seguito.

 

1.1.4      Le prime forme di cooperazione intergovernativa in materia di immigrazione, gli accordi di Schengen e lAtto Unico Europeo

 

Tra il 1966 e il 1985, come sostengono Keohane e Hoffmann[42], la Comunit si trov ad essere oggetto di un insieme di pressioni che avevano determinato un pesante rallentamento della costruzione sovranazionale e la trasformazione dellEuropa in una realt politicamente ed economicamente immobile. Tali pressioni erano dovute a fattori di natura diversa, primi fra tutti gli shock petroliferi del 1973 e del 1979 e lesaurirsi della funzione trainante delle attivit produttive che avevano caratterizzato la precedente fase espansiva[43], i quali rappresentavano i principi di una crisi strutturale che, fra le molte conseguenze, aveva generato una sospensione dei programmi di accoglienza dei lavoratori stranieri negli Stati del vecchio continente. La chiusura delle frontiere allimmigrazione regolare di lavoratori migranti, tuttavia, si inseriva in un contesto che caratterizzato, da una parte, da unaccelerazione delle migrazioni intercontinentali e, dallaltra, dallaumento del costo del lavoro in molti Paesi del Nord Europa (fra cui lItalia) e la conseguente domanda di manodopera flessibile e a buon mercato (soprattutto per i cosiddetti lavori delle tre d, dirty, dangerous and demanding). Per tanto, parallelamente al crescere del numero di migranti per motivi economici e politici (sono questi gli anni dei colpi di Stato in Cile ed in Argentina, delle guerre civili in America centrale, del nuovo conflitto israelo-arabo, dellinasprirsi dei conflitti etnici in Ruanda e Burundi) e alla trasformazione dei tradizionali Stati demigrazione dellEuropa meridionale in Paesi dimmigrazione, si assiste ad una pericolosa clandestinizzazione delle migrazioni.

Ai fattori di carattere socio-economico ora descritti, si aggiungevano le questioni derivanti dalla complessa situazione politica interna alla Comunit dominata da una difficile e costante mediazione tra gli interessi degli Stati membri (si pensi, ad esempio, allopposizione del presidente francese De Gaulle) e dalle problematiche relative allallargamento (il 1 gennaio del 1973 aderiranno alle Comunit Danimarca, Irlanda, Regno Unito; il 1 gennaio del 1981 la Grecia; il 1 gennaio 1986 Spagna e Portogallo).

Dalla met degli anni 80, tuttavia, inizia una graduale ripresa economica, parallelamente alla quale si sviluppano e vengono proposti nuovi progetti dintegrazione. In particolare, il rinnovato impulso al processo di costruzione sovranazionale nasce in seno alla Commissione e ai grandi gruppi industriali europei i quali vedevano nelle persistenti barriere commerciali tra gli Stati il freno a quella espansione continentale che avrebbe potuto essere la risposta alla sfida delle multinazionali americane e delle aggressive imprese giapponesi[44]. Sullo scenario europeo si delineavano, quindi, una serie di soggetti e di gruppi di pressione di diversa natura, i quali si facevano portatori di una richiesta simile nei contenuti, anche se frutto di motivazioni almeno parzialmente differenti. In ambito economico, la grande industria europea, organizzata nellEuropean Table of Industralists e il Kangaroo Group, in seno al Parlamento Europeo (appena eletto a suffragio universale), spingevano per lo smantellamento delle barriere nazionali al libero commercio; a livello politico, il commissario britannico Arthur Cockfield fu incaricato dal presidente della Commissione Europea Jacques Delors di redigere un piano per la costruzione del mercato interno, il Libro Bianco del 1985[45]. Tale documento, prevedendo lapertura della Comunit alla libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone entro il 1992, indicava come necessario il rafforzamento delle frontiere comunitarie esterne giustificato dal timore che, ove i controlli fossero stati pi deboli o le politiche migratorie nazionali pi permissive, si sarebbero creati dei facili canali dingresso al territorio comunitario. Per tale motivo, la Commissione sosteneva lesigenza di politiche comuni in materia di visti, di asilo, di status di rifugiati ed aveva predisposto un calendario per la presentazione di proposte relative anche alla condizione dei cittadini dei Paesi terzi. Tuttavia, per quanto necessario, tale programma proposto dalla Commissione non venne attuato dagli Stati i quali, volendo preservare le proprie competenze nella misura pi ampia possibile, cedettero alle istituzioni solo il minimo indispensabile, affrontando in via di cooperazione intergovernativa solo gli aspetti patologici dellimmigrazione, il cui controllo era funzionale alla creazione del mercato interno. Per tanto, solo la lotta allimmigrazione clandestina, insieme alla lotta contro la criminalit ed il terrorismo, assunsero una dimensione ed un impatto sufficiente da poter essere oggetto di considerazione tra gli Stati[46].

Nonostante la cooperazione in ambito comunitario avesse condotto a risultati non significativi, a livello intergovernativo le negoziazioni tra gli Stati condussero alla stipula di un documento che, se pur non privo di lacune, rappresenta un embrione di collaborazione tra Paesi al fine di elaborare una politica comune di immigrazione: lAccordo di Schengen.

La genesi del citato accordo risale al 13 giugno 1984, anno in cui il Presidente francese Mitterrand e il Cancelliere tedesco Kohl, in risposta alle insistenti richieste del mondo della grande industria, firmarono a Saarbrcken un accordo relativo alla graduale soppressione dei controlli alle rispettive frontiere. La necessit di adottare tali misure era gi stata indicata come una priorit nella relazione del Comitato ad hoc sullEuropa dei cittadini istituito nel giugno del 1984 dal Consiglio Europeo di Fontainebleau[47], tuttavia, sar la stipula di tale documento da parte dei due maggiori Stati membri, a rappresentare un importante impulso alla discussione politica e a condurre allavvio di una serie di consultazioni, in primis con Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, allargate poi ad altri Stati membri. Nel giugno del 1985, anno dellapertura della Conferenza Intergovernativa che avrebbe condotto alla stipula dellAtto Unico Europeo, cinque Stati membri (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi) sottoscrivevano lAccordo di Schengen, al quale aderirono in tempi diversi altri Stati[48], e che, come vedremo nei paragrafi successivi, diventer parte della normativa UE con il Trattato di Amsterdam.

LAccordo indicava una serie di misure tecniche volte a soddisfare la volont degli Stati contraenti di pervenire all'eliminazione dei controlli alle frontiere comuni in relazione alla circolazione dei cittadini degli Stati membri delle Comunit europee e di agevolare la circolazione delle merci e dei servizi a tali frontiere[49]. Per tale motivo, prevedeva delle misure applicabili a breve termine (artt. 1- 15), quali lapposizione di un disco verde sul parabrezza del veicolo dei cittadini comunitari al fine di agevolare la sorveglianza, dora in avanti semplicemente visiva, della polizia di dogana, e misure a lungo termine, consistenti nellavvio di consultazioni (art. 18) o nella futura adozione di iniziative comuni (art. 21) in materie di diversa natura (dallelaborazione di intese relative alla cooperazione tra le forze di polizia in materia di prevenzione della criminalit e di ricerca, alla organizzazione di iniziative comuni per prevenire ad un aumento delle franchigie accordate ai viaggiatori). LAccordo, per tanto, non prevedeva una disciplina dellingresso e del soggiorno dei cittadini provenienti da Paesi terzi ma, bens, indicava degli strumenti di carattere tecnico ed operativo funzionali alleliminazione dei controlli alle frontiere interne, e al loro trasferimento nei confini esterni della Comunit, problematica della quale si occuper, in maniera pi dettagliata, la Convenzione di Schengen del 1990.

Il tema dellingresso e del soggiorno dei cittadini extracomunitari, per tanto, era ancora gelosamente disciplinato dalle normative nazionali e nessuna significativa modifica relativa alla definizione di una politica comunitaria dimmigrazione stata introdotta dellAtto Unico Europeo, firmato un anno dopo gli Accordi, nel febbraio del 1986.

Il cuore del nuovo Trattato, infatti, rappresentato dallart. 8 A relativo al completamento del mercato interno, il quale, definito come uno spazio senza frontiere interne, in cui assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, del servizi e dei capitali, doveva essere istituito entro il 31 dicembre 1992. Al fine di realizzare tale obiettivo, e quindi adottare delle misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno, il nuovo art. 100 A (introdotto dallart. 18 dellAUE e operante salvo che i1 presente trattato non disponga diversamente) derogava l'articolo 100, introducendo il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio. Tuttavia, il secondo comma del suddetto articolo prevedeva esplicitamente che tale procedura non avrebbe potuto applicarsi alle disposizioni fiscali, a quelle relative alla libera circolazione delle persone e a quelle relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti.

Nel nuovo Trattato, lunico riferimento ai cittadini dei paesi terzi, rinvenibile nella Dichiarazione generale relativa agli artt. da 13 a 19, la quale specificava che nessuna delle disposizioni contenute nel Trattato pregiudicava il diritto degli Stati membri di adottare le misure ritenute necessarie in materia di controllo dellimmigrazione da paesi terzi, nonch in materia di lotta contro il terrorismo, la criminalit, il traffico di stupefacenti e il traffico delle opere darte e delle antichit.

I tempi non erano ancora maturi per una almeno parziale comunitarizzazione della materia in esame, essendo considerate quali prioritarie il rafforzamento dei confini esterni e lintensificazione della cooperazione per prevenire e reprimere eventuali fenomeni di carattere criminale. Quanto pi il nuovo Trattato apriva i confini nazionali, tanto pi gli Stati percepivano la questione sicurezza come di importanza vitale per la salute dei propri territori.

 

1.2           Il compromesso del Trattato di Maastricht

 

1.2.1      Dalla caduta del muro di Berlino ai lavori preparatori di Maastricht

 

La caduta del muro e la riunificazione della Germania rappresentano degli eventi che incidono in maniera significativa sul processo di integrazione sovranazionale, spostando lattenzione degli Stati membri, prima rivolta principalmente allabolizione dei controlli alle frontiere interne, in particolare quelle terrestri, al controllo dellimmigrazione extracomunitaria[50]. La decisione dei nuovi dirigenti comunisti ungheresi di rimuovere i controlli di polizia e le barriere di filo spinato al confine con lAustria, avevano generato una prima ondata migratoria di migliaia di cittadini della Repubblica Democratica Tedesca verso la Repubblica Federale di Germania, per lo pi attraverso lUngheria e lAustria. Tale flusso avr il proprio apice il 9 novembre 1989, quando il crollo del muro di Berlino determin un massiccio spostamento di immigrati e, soprattutto, di richiedenti asilo, verso lEuropa Unita (basti pensare che i richiedenti asilo giunti in Europa nel 1983 erano 73.700, passati a 692.685 nel 1992, anche per effetto della guerra in Jugoslavia). Un nuovo ed enorme bacino di forza lavoro si era aperto ai confini orientali di una Comunit che, nel lasso di pochi decenni rispetto alla situazione del dopoguerra, si era scoperta ricca, generando la consapevolezza che la situazione di benessere raggiunta fosse un diritto scaturito dal merito. Tale convincimento legittimava la differenza tra chi stava dentro e aveva radici ed interessi comuni, e chi si poneva al di l dei confini di tale spazio di sviluppo[51].

Per tali motivi, i cambiamenti intervenuti avevano determinato, nel difficile equilibrio tra spirito di liberalizzazione ed apertura interna e approccio di polizia, un particolare sbilanciamento verso questultimo, il quale emerge con particolare evidenza dallanalisi comparata fra Accordo di Schengen del 1985 e la Convenzione di applicazione del suddetto accordo.

La Convenzione, firmata il 19 giugno 1990, si compone di 142 articoli, che disciplinano quattro settori: la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone; la cooperazione tra polizie e la cooperazione giudiziaria in materia penale e di estradizione; la creazione di un sistema di scambio di informazioni denominato SIS (Sistema informativo Schengen) e la protezione di dati personali; il trasporto e la circolazione di merci.

In merito al primo dei quattro titoli, la Convenzione prevede che le frontiere esterne possano essere attraversate, in via di principio, soltanto ai valichi di frontiera e durante le ore stabilite (art. 3), a differenza di quelle interne, oltrepassabili in qualunque luogo senza che venga effettuato il controllo delle persone, ad eccezione del caso in cui una Parte contraente decida, per un periodo limitato, che siano effettuati controlli di frontiera per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale (art. 2). Per poter effettuare lingresso nei territori delle Parti contraenti, lo straniero (definito nel Preambolo come colui che non cittadino di uno Stato membro delle Comunit europee) dovr soddisfare le condizioni indicate allart. 5: essere in possesso di un documento o di documenti validi che consentano di attraversare la frontiera, quali determinati dal Comitato esecutivo; essere in possesso di un visto valido, se richiesto; esibire, se necessario, i documenti che giustificano lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza o per il transito verso un terzo Stato nel quale la sua ammissione garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi; non essere segnalato ai fini della non ammissione; non essere considerato pericoloso per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti. Il cittadino di un Paese Terzo che soddisfa tali requisiti, abilitato a ricevere un visto uniforme previsto per soggiorni di breve durata (massimo tre mesi), valido per linsieme del territorio delle Parti, fatto salvo il diritto di questultime di limitare la validit territoriale del visto sulla base di modalit comuni. Nel caso in cui lo straniero, invece, non soddisfi i requisiti indicati allart. 5, esso verr rifiutato o potr essere ammesso esclusivamente nel territorio di quella Parte che ritenga necessario derogare a detto principio per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virt di obblighi internazionali.

Oltre al soggiorno di breve periodo, la Convenzione, allart. 18, disciplina la concessione di visti di lunga durata, i quali, in quanto visti nazionali, sono rilasciati dalle Parti contraenti conformemente alla propria legislazione. Tale visto permette al soggetto di transitare attraverso i territori degli altri Membri al fine di recarsi nello Stato rilasciante il documento.

Tra i motivi che possono ostare alla concessione di una delle due tipologie di visto, la segnalazione ai fini della non ammissione, possibile grazie allistituzione di una banca dati, denominata Sistema di Informazione Schengen, nella quale confluiscono informazioni rilevanti per il controllo delle frontiere e la cooperazione di polizia. Gli stranieri che costituiscono una minaccia per lordine pubblico o per la sicurezza nazionale[52] potranno essere ammessi solo nel caso in cui esistano particolari interessi meritevoli di tutela e saranno esclusi dal diritto alla libera circolazione nellarea Schengen. Per quanto concerne gli stranieri non soggetti ad alcuna segnalazione, entrati regolarmente nel territorio di una delle Parti contraenti, e dotati di titolo di soggiorno o di visto uniforme od esonerati dallobbligo di questo, tale diritto alla libera circolazione nel territorio degli altri Stati aderenti alla Convenzione tuttavia limitato ad un periodo non superiore ai tre mesi.

Il sistema di controllo delle frontiere e della circolazione interna al territorio Schengen delineato nel documento di applicazione appare, quindi, particolarmente rigido e caratterizzato da una marcata impronta nazionale, prevedendo delle clausole di salvaguardia che permettevano agli Stati di derogare in via non del tutto complicata agli obblighi previsti.

Oltre allatteggiamento di chiusura che caratterizza il testo, va annoverata la mancata previsione di disposizioni che introducano un controllo giurisdizionale e democratico sul funzionamento del c.d. Laboratorio Schengen. Lart. 131, par. 2, infatti, si limita a riconoscere al Comitato esecutivo, organo composto da un ministro per ogni Parte contraente, il compito di vigilare sulla corretta applicazione della presente Convenzione, decidendo in materie che incidono in modo determinante su alcuni diritti fondamentali dellindividuo (come, ad esempio, le modalit di concessione dei visti). Il deficit giurisdizionale, pi volte denunciato in varie sedi, accentuato dalla mancanza di trasparenza e di democraticit che caratterizzava ladozione delle decisioni: esse non erano pubbliche e i Parlamenti nazionali ed europeo non erano consultati n informati[53]. Per tale motivo, alcuni Stati hanno cercato di colmare le lacune di tale prassi, attraverso il coinvolgimento dei propri Parlamenti. LItalia, ad esempio, allart. 18 della legge n. 388/93, ha previsto la creazione di un Comitato parlamentare di controllo formato da dieci deputati e dieci senatori con il compito di controllare lattuazione della Convenzione e di elaborare eventuali pareri vincolanti in merito ai progetti pendenti innanzi al Comitato esecutivo.

Nonostante i limiti menzionati, la Convenzione di applicazione rappresenta il primo esempio significativo di intervento comune da parte di un numero ristretto di Stati volto a disciplinare la gestione delle frontiere esterne, potendo, a ragione, essere considerato come una prima forma, per quanto restrittiva ed incompleta, di politica immigratoria. La cooperazione rafforzata posta in essere con Schengen verr in seguito consacrata ed istituzionalizzata in uno strumento giuridico vincolante, il Trattato di Maastricht, a pochi mesi dalla firma della Convenzione.

 

1.2.2      Il Trattato di Maastricht: il problema del deficit democratico e del deficit giurisdizionale

 

Il 14 Dicembre del 1990 il Consiglio Europeo di Roma apre le due conferenze intergovernative che porteranno alla stipula del Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1 Novembre del 1993. Sar in seno alla conferenza dedicata all'unione politica (laltra era rivolta allo studio ed alla definizione dellUnione Economica e Monetaria e della futura entrata in vigore dellEuro) che verr affrontata la questione relativa ad una nuova redistribuzione delle competenze in materia di immigrazione ed asilo. La problematica risultava di difficile soluzione in quanto i soggetti coinvolti, gli Stati, il Consiglio e la Commissione, si presentavano come portatori di interessi profondamente differenti, la cui sintesi nel compromesso appariva sempre pi complicata. La tensione esistente, ben esemplificata dallanalisi comparata di due documenti dellepoca: nel report[54] presentato al Consiglio nel Dicembre del 1991, i ministri del Comitato ad hoc per limmigrazione difendevano lapplicazione a tali materie della regola intergovernativa, mentre la Commissione, nelle due Comunicazioni[55] del 1991, proponeva un allargamento delle proprie competenze a tali settori e la loro regolazione attraverso il metodo comunitario.

Il compromesso, seppur con le lacune che analizzeremo in seguito, venne raggiunto attraverso linclusione delle materie relative allimmigrazione e allasilo in una nuova struttura, lUnione Europea, composta, secondo quanto previsto dalla bozza lussemburghese, da tre pilastri: il primo pilastro, ovvero la Comunit Europea, riuniva la Ceca, la Cee e lEuratom ed aveva natura sovranazionale; il secondo ed il terzo pilastro, relativi luno alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) e laltro alla Giustizia e agli affari interni (Gai), avevano carattere intergovernativo e, per tanto, strettamente controllati dagli Stati membri.

Allinterno di tale struttura a tempio, le politiche di asilo e dimmigrazione figuravano nellultimo pilastro ed erano annoverate tra le questioni di interesse comune elencate nellart. K.1 del nuovo Titolo VI del Trattato, il quale prevedeva lobbligo per gli Stati membri di avviare una cooperazione in alcuni settori, fra i quali: la politica di asilo; la politica d'immigrazione e la politica da seguire nei confronti dei cittadini dei paesi terzi; le condizioni di entrata e circolazione dei cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri; le condizioni di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri, compresi il ricongiungimento delle famiglie e l'accesso all'occupazione; la lotta contro l'immigrazione, il soggiorno e il lavoro irregolari di cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri.

Nei settori contemplati dallart. K. 1, i quali dovevano essere trattati nel rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali (1950) e della Convenzione relativa allo status dei rifugiati (1951)[56], il Consiglio, assistito dal Comitato di coordinamento[57], poteva adottare delle posizioni comuni, delle azioni comuni o elaborare delle Convenzioni[58] delle quali raccomandava ladozione da parte degli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali (art. K. 3).

Il potere di iniziativa era condiviso tra Commissione e Stati membri, ad eccezione dei settori relativi alla cooperazione giudiziaria in materia penale, a quella doganale e di polizia[59], nei quali liniziativa spettava unicamente agli Stati membri. Il Consiglio, inoltre, poteva ricevere interrogazioni o raccomandazioni dal Parlamento Europeo il quale, informato regolarmente sui lavori svolti da parte della Commissione e della Presidenza, doveva essere consultato da questultima sui principali aspetti dellattivit nei settori di cui al presente Titolo (art. K. 6).

Da questa prima breve analisi del Titolo VI del Trattato, emergono due problematiche rilevanti, relative alla natura giuridica delle decisioni adottate dal Consiglio e al ruolo delle Istituzioni comunitarie.

In merito alla prima questione, gli atti indicati allart. K. 3 avevano carattere atipico, rispetto agli atti comunitari, o valore giuridico incerto: le Convenzioni, pur avendo una valenza vincolante nei confronti di coloro che le ratificano, si configurano come atti tipici del diritto internazionale; mentre le posizioni comuni, a differenza delle azioni comuni, non hanno portata obbligatoria, rappresentando una sorta di dichiarazione politica attraverso cui far conoscere la valutazione dellUnione nei confronti di una determinata questione.

In secondo luogo, va osservato che il coinvolgimento delle Istituzioni nel meccanismo di cooperazione appariva particolarmente limitato. Alla Commissione, che esercitava un potere di iniziativa quasi esclusivo sulle materie del primo pilastro, tale potere era riconosciuto limitatamente ad alcuni settori e doveva essere condiviso con gli Stati. Al Parlamento, invece, era imposto un limite ratione materie, in quanto avrebbe potuto essere consultato dalla Presidenza solo sui settori principali di cui al Titolo VI, ed il Trattato nulla specificava circa gli effetti dei pareri che esso poteva emanare. A tale proposito, la dottrina ha tendenzialmente escluso la possibilit che tali pareri avessero natura vincolante anche perch, secondo quanto previsto dal secondo comma dellart. K. 6, la Presidenza avrebbe dovuto semplicemente adoperarsi affinch le opinioni del Parlamento Europeo fossero tenute in debito conto (espressione, questultima, che non creava in capo al Consiglio alcun obbligo di conformarsi ai suggerimenti del Parlamento). Per tali motivi, il Parlamento Europeo, in una Risoluzione dellottobre 1995[60], sottolineando limportanza di far rientrare le decisioni in materia di asilo e di immigrazione nelle competenze comunitarie, ha denunciato lingiustificata sottrazione delle decisioni del Consiglio al controllo parlamentare e giudiziario. Per tanto, ha chiesto, da una parte, che tali decisioni fossero sottoposte ad una sua consultazione prima della relativa adozione e, dallaltra, che venissero estese le competenze della Corte di giustizia europea alle questioni attinenti alla giustizia e agli affari interni.

Per quanto concerne la competenza della Corte, come previsto nellart. K. 3, par. 2, lett. c), 3 comma del TUE, essa era limitata allinterpretazione e alla composizione delle controversie connesse allapplicazione delle Convenzioni elaborate dal Consiglio. Tuttavia, va osservato che, dal punto di vista della prassi, nelle varie Convenzioni adottate sulla base del Titolo VI, la sottoposizione di una questione alla Corte rappresentava non gi un obbligo, ma bens una facolt, una possibilit nel caso in cui la soluzione della controversia non fosse stata raggiunta. Un compromesso relativo a tale questione era stato raggiunto nellottobre del 1996 con la ratifica del Protocollo sullinterpretazione della Convenzione EUROPOL, il quale riconosceva agli organi giurisdizionali degli Stati membri la facolt di chiedere alla Corte di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sullinterpretazione di detta Convenzione. Tuttavia, la possibilit della Corte di esercitare tale compito, era subordinata alla presentazione, da parte degli Stati membri, di una dichiarazione attraverso la quale ne accettavano la competenza.

Il Trattato, quindi, di fatto sanciva unesclusione della Corte di Giustizia da qualsiasi controllo giurisdizionale sullattivit e sugli atti successivamente emanati dal Consiglio GAI[61] ( in particolare sulle azioni comuni, la quali, ricordo, avevano carattere vincolante) i quali, disciplinando le materie indicate nellart. K. 1, concernevano taluni diritti fondamentali, come la libert di movimento ed il diritto di trovare asilo dalle persecuzioni.

 

1.2.3      Segue: lart. K. 9

 

Dallanalisi fino ad ora condotta emerge come le mancanza di organi competenti a vigilare sulla completa attuazione degli impegni assunti dagli Stati fosse strettamente connessa alla volont di questultimi di preservare le loro prerogative sovrane in tema di immigrazione.

Tale volont, tuttavia, avrebbe potuto trovare un limite nellart. K. 9, la cosiddetta norma passerella, la quale prevedeva che il Consiglio, deliberando allunanimit su iniziativa della Commissione, avrebbe potuto decidere di rendere applicabile lart. 100 C ad azioni pertinenti i settori contemplati dallart. K. 1 (ad eccezione dei punti 7), 8), 9)). Lart. 100 C, in particolare, aveva introdotto una nuova competenza per il Consiglio il quale, deliberando all'unanimit su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, poteva determinare quali fossero i Paesi terzi i cui cittadini dovevano essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri[62]. Lunanimit prevista nel 1 comma, a partire dal 1 gennaio 1996, sarebbe stata tuttavia sostituita dalla regola della maggioranza qualificata, secondo quanto previsto nel 3 comma della disposizione in esame.

Va tuttavia osservato che, come precisa la Corte nella sentenza n. 170 del 1996, l'art. 100 C, n. 1, del Trattato si riferisce solamente ai visti che autorizzano il soggetto ad oltrepassare il controllo di frontiera situato nella zona internazionale dellaeroporto e a circolare nel mercato interno durante il periodo e alle condizioni stabiliti in tali visti (lo Stato membro che li concede pu, ad esempio, limitare tale diritto alla circolazione nel proprio territorio)[63].

Nonostante tale precisazione, lart. K. 9 prevedeva il passaggio della politica dei visti dal terzo al primo pilastro ed apriva uno spiraglio funzionale alla realizzazione di ci che la Germania, preoccupata degli ingenti flussi migratori provenienti dai Paesi dellEst ed appoggiata dai governi italiano e belga, aveva proposto per tutta la durata della Conferenza Intergovernativa: la comunitarizzazione della materia dimmigrazione.

Tale opportunit, tuttavia, non venne mai colta, come, del resto, non trov mai applicazione lart. 2, n. 3 dellAccordo sulla politica sociale, che prevedeva la possibilit per il Consiglio, deliberando allunanimit, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo e del Comitato Economico e Sociale, di adottare delle decisioni in merito alle condizioni di impiego dei cittadini dei Paesi terzi che soggiornano regolarmente nel territorio della Comunit[64].

In conclusione, il Trattato di Maastricht aveva ridisegnato la struttura europea introducendo un nuovo spazio di discussione tra gli Stati membri, il Terzo pilastro, che permetteva la creazione, attraverso la cooperazione intergovernativa, di politiche nel campo dellimmigrazione e dellasilo. Tuttavia, gli emendamenti votati non avevano apportato dei significativi cambiamenti nei rapporti tra Unione, Stati Membri e cittadini degli Stati terzi, introducendo, invece, una divisione di competenze tra la Comunit e Terzo pilastro, che comportava lassegnazione delle regole di gestione delle pratiche Visa e di quelle di controllo delle frontiere esterne a strutture differenti. Tale decisione aveva determinato linasprimento delle tensioni tra le diverse Istituzioni comunitarie, rendendo sempre pi necessaria unulteriore evoluzione che prender la forma di una nuova conferenza intergovernativa e si concluder con la firma del Trattato di Amsterdam.

 

1.2.4      Lo status dei lavoratori extracomunitari: le Risoluzioni del 1994

 

Prima di intraprendere lanalisi delle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, necessario soffermarsi su quanto accade negli anni che precedono la sua ratifica, in particolare, sui primi atti adottati dal Consiglio in tema di immigrazione, in ottemperanza delle disposizioni previste dal TUE, e su alcune pronunce della Corte di giustizia delle Comunit europee.

In merito alla prima questione, assumono una certa rilevanza per lesame della materia oggetto di questa trattazione, tre Risoluzioni adottate dal Consiglio nel 1994 volte a disciplinare lammissione dei cittadini stranieri, rispettivamente per lo svolgimento di unattivit lavorativa in generale[65], per lesercizio di unattivit professionale autonoma[66] e per fini di studio[67].

Il criterio generale ed ispiratore dei tre documenti contenuto nella disposizione alla lettera i) della prima delle citate Risoluzioni, nella quale si afferma che gli Stati membri rifiutano laccesso sul proprio territorio ai cittadini extracomunitari per fini di occupazione. Tale rifiuto era giustificato, pur riconoscendo il contributo dei lavoratori migranti allo sviluppo economico dei rispettivi paesi ospitanti, dalla necessit degli Stati di limitare la possibilit di immigrazione legale durevole per motivi economici, sociali e politici. In particolare, consapevole degli elevati tassi di disoccupazione, il Consiglio proponeva agli Stati membri di tener conto delle richieste di accesso sul loro territorio per fini di occupazione solo qualora lofferta di posti di lavoro non potesse essere coperta dalla manodopera nazionale e comunitaria o dalla manodopera non comunitaria che risiedeva legalmente e a titolo permanente in detti Stati membri[68].

Tali principi, in via generale, non si applicavano ai beneficiari del diritto di libera circolazione, vale a dire i cittadini degli Stati membri, i cittadini dei paesi dellEFTA partecipanti allaccordo SEE, e i loro familiari, ai cittadini extracomunitari ai quali era stata concessa lammissione per fini di ricongiungimento familiare o per intraprendere unattivit economica in virt dei diritti derivanti da accordi conclusi con i Paesi terzi[69].

I cittadini dei Paesi terzi che non godevano di particolari garanzie comunitarie avrebbero potuto essere ammessi per fini occupazionali, su base temporanea e per una durata determinata, solo nei seguenti casi: se il soggetto svolgeva unattivit professionale autonoma che comportava un valore aggiunto per il Paese ospitante in termini economici (investimenti, innovazioni, ecc) o culturali (nel caso di artisti che esercitano unattivit autonoma significativa)[70]; se lofferta di lavoro riguardava un determinato lavoratore o un lavoratore dipendente di un prestatore di servizi dotato di una determinata specializzazione; se il datore di lavoro avesse offerto posti di lavoro vacanti ad extracomunitari nominativamente designati, constatando che lindisponibilit a breve termine di unofferta di manodopera sul mercato del lavoro comunitario avrebbe potuto pregiudicare seriamente il funzionamento dellimpresa[71]. I posti vacanti avrebbero dovuto essere offerti ai lavoratori stagionali, agli apprendisti, ai lavoratori transfrontalieri o alle persone temporaneamente trasferite dalla loro societ, ammessi, rispettivamente per non pi di sei mesi nellarco di un anno (con lobbligo di rimanere al di fuori del territorio dello Stato per almeno sei mesi), per un periodo massimo iniziale di un anno (con possibilit di proroga per il tempo necessario per ottenere una qualifica professionale) e, per gli altri extracomunitari ammessi a fini di occupazione, il periodo iniziale non doveva essere superiore a quattro anni. Al fine di ottenere lautorizzazione allingresso, i cittadini extracomunitari avrebbero dovuto presentare alle autorit competenti il permesso di lavoro rilasciato al datore o al lavoratore stesso, o la domanda di ammissione per svolgere unattivit professionale autonoma.

Inoltre, veniva specificato come i principi esposti non vietassero agli Stati di riservarsi il diritto di ammettere cittadini di Paesi terzi richiedenti lingresso a titolo temporaneo allo scopo di negoziare la fornitura di beni e servizi, consegnare merci o procedere al montaggio di macchinari prodotti in un Paese terzo (tali persone, tuttavia, non potevano trattare con il pubblico, ma, bens, solo con le ditte dello Stato membro ed il permesso di soggiorno non doveva superare i sei mesi)[72], ed al fine di effettuare ingenti investimenti nel settore commerciale e industriale[73].

Infine, il Consiglio sosteneva con forza la necessit di controllare levoluzione della permanenza del soggetto e le motivazioni dellingresso al fine di evitare, in linea di principio, che lammissione limitata nel tempo per motivi di studio o per esercitare unoccupazione (in qualit di lavoratori autonomi o subordinati), si tramutasse in immigrazione permanente o che le persone in cerca di unoccupazione, ottenessero lammissione in qualit di studenti. In particolare, questultimi avrebbero dovuto non solo dimostrare di godere dei mezzi economici necessari e della copertura sanitaria che necessari a non gravare sul sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (oltre che presentare la conferma dellammissione al corso di studi prescelto), ma erano tenuti ad offrire, alle autorit competenti, la garanzia che al termine degli studi avrebbero fatto ritorno nel Paese dorigine.

Pur non essendo giuridicamente vincolanti, detti principi sono lespressione di un politica migratoria fortemente improntata ad una chiusura verso i cittadini extracomunitari ed interessante rilevare come essi rappresentino la risposta dei ministri degli Stati membri riuniti nel Consiglio alle aperture che, negli stessi anni, tale Istituzione, grazie alloperato della Corte, aveva posto in essere relativamente al diritto di circolazione e soggiorno dei cittadini comunitari.

Se il Trattato CEE, in unottica funzionale alla creazione del mercato interno, garantiva tale diritto esclusivamente ai fattori produttivi, cio ai soggetti economicamente attivi individuati nei lavoratori subordinati (art. 48 CEE, attuale art. 39 CE) e nei lavoratori autonomi (i quali potevano usufruire di tale diritto sia per stabilirsi in uno Stato membro diverso da quello di residenza al fine di esercitarvi le proprie attivit non salariate[74], sia per esercitare la libert di prestazione dei servizi[75]), negli anni 90 il processo di integrazione si era intensificato.

La Corte di giustizia europea aveva promosso, attraverso il suo operato, unattenuazione del requisito economico indispensabile per la fruizione della libert di circolazione, estendendo la libert di prestazione dei servizi, non solo ai prestatori, ma anche ai destinatari del servizio, fino ad includervi anche i turisti[76]. Ci aveva determinato il riconoscimento della libert di soggiorno ed accesso praticamente a tutti coloro che fossero in grado di esibire alla frontiera una carta didentit o un passaporto valido, a prescindere dalla loro connotazione di soggetti economicamente attivi[77], ed era stato formalizzato, in seno al Consiglio, attraverso le tre Direttive del 1990. Questi tre atti di diritto derivato, garantivano il diritto di soggiorno a tutti i cittadini comunitari (ed ai loro familiari)[78], ai pensionati[79] ed agli studenti[80], alla sola condizioni che essi beneficiassero di risorse economiche sufficienti e di una copertura assicurativa contro il rischio di malattia.

Nel 1992, infine, listituzione della cittadinanza dellUnione con lart. 17 del Trattato di Maastricht, ed il conferimento ad ogni cittadino comunitario del diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri[81], rappresenter uno dei momenti salienti dellapertura dei confini interni della fortezza Europa.

 

1.2.5      Lo status dei lavoratori extracomunitari: la sentenza Vander Elst

 

Come si gi avuto modo di delineare precedentemente, al fine di completare lapertura delle frontiere interne tutelando ed agevolando la fruizione delle libert sancite dal Trattato da parte dei cittadini degli Stati membri, la Comunit aveva adottato misure e strategie di diversa natura. La libera circolazione dei lavoratori, ad esempio, era incentivata attraverso il riconoscimento di un diritto del lavoratore migrante al ricongiungimento familiare e di una gamma di diritti da conferire ai congiunti del suddetto, in qualit di familiari (secondo quanto sancito dal Regolamento del Consiglio n. 1612/68, vedi par. 1.1.2). Fra le diverse modalit di fruizione della libera prestazione di servizi, invece, la Corte aveva individuato la possibilit per le persone giuridiche di esercitare tale diritto trasferendo nello Stato membro di destinazione della prestazione il proprio personale per tutta la durata dei lavori. Tale opportunit era stata riconosciuta dalla Corte nel caso Rush Portuguesa del 1990[82], la cui analisi risulta rilevante non solo per la particolare posizione giuridica in cui vertevano i lavoratori portoghesi (il Portogallo e la Spagna erano diventati membri delle Comunit Europee il 1 gennaio del 1986 tuttavia, come vedremo, lAtto di adesione prevedeva alcune deroghe al diritto di libera circolazione), ma, soprattutto, per le conclusioni cui giunger lorgano giurisdizionale comunitario.

La societ Rush Portuguesa, impresa edile e di lavori pubblici con sede in Portogallo, aveva stipulato un contratto di subappalto con unimpresa francese al fine di costruire una linea ferroviaria nellovest della Francia. A tale scopo, in forza dellart. 2 dellAtto di adesione alla Comunit, che sanciva sin dal momento dell'adesione lapplicazione delle disposizioni dei trattati originari e degli atti adottati dalle istituzioni delle Comunit, la detta societ chiamava in Francia dei propri dipendenti portoghesi, divenendo per questo oggetto di un provvedimento dellOffice National dImmigration francese. Tale provvedimento era frutto dellequiparazione posta in essere dalle autorit francesi tra i lavoratori portoghesi e i lavoratori cittadini di Paesi terzi, ai sensi dellart. 215 dellAtto di adesione portoghese, il quale sanciva che lart. 48 del Trattato CEE relativo alla libera circolazione dei lavoratori tra il Portogallo e gli altri Stati membri fosse applicabile soltanto con riserva delle disposizioni transitorie di cui agli articoli da 216 a 219 del presente atto. Lart. 216, in particolare, prevedeva che gli articoli da 1 a 6 del Regolamento (CEE) n. 1612/68 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit potessero essere applicate soltanto dal 1 gennaio 1993 in Portogallo nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri e negli altri Stati membri nei confronti dei cittadini portoghesi. Per tali motivi, ed in forza dellart. L 341.9 del codice del lavoro francese che gli conferiva un diritto esclusivo allassunzione di cittadini di Paesi terzi, il direttore dellUfficio Immigrazione aveva richiesto alla societ di versare un contributo speciale, dovuto dal datore di lavoro che avesse occupato lavoratori stranieri senza osservare la normativa nazionale prevista.

Le questioni pregiudiziali sollevate alla Corte dal Tribunal Administratif de Versailles vertevano, per tanto, sul problematico rapporto tra gli artt. 59 e 60 del Trattato, disciplinanti il diritto alla libera prestazione dei servizi, e le deroghe alla libera circolazione dei lavoratori contemplate dallart. 215 e seguenti dellAtto di adesione portoghese.

Tale controverso rapporto stato risolto dalla Corte affermando che le condizioni restrittive poste da uno Stato membro al prestatore di servizi di un altro Stato comunitario, quali lassunzione in loco o lobbligo di permesso di lavoro, discriminavano questultimo rispetto ai suoi concorrenti stabiliti nel Paese ospitante, pregiudicandone la capacit di fornire la prestazione. La possibilit per il prestatore, in questo caso la societ Rush Portuguesa, di fruire dei diritti garantiti dagli artt. 59 e 60 del Trattato, era avvalorata dal fatto che la deroga prevista allart. 216 dellAtto di adesione, ai sensi delle sentenza Lopez da Veiga, doveva essere interpretata in funzione della propria finalit specifica, consistente nellevitare la creazione di perturbazioni sul mercato del lavoro in seguito alladesione della Repubblica Portoghese. Ci non valeva, tuttavia, per una fattispecie quale quella della causa principale, in cui si trattava di un trasferimento temporaneo di lavoratori in un altro Stato membro i quali, dopo aver svolto il loro compito, sarebbero ritornati nel loro Paese dorigine senza mai accedere al mercato del lavoro dello Stato membro ospitante. Per tali motivi la Corte aveva dichiarato che linterpretazione degli artt. 59, 60 del Trattato CEE e gli artt. 215 e 216 dellAtto di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese non doveva ostare alla libera prestazione di servizi di cui gode un' impresa stabilita in Portogallo, garantendo a tale persona giuridica il diritto di trasferirsi con il proprio personale portoghese per tutta la durata dei lavori e negando alle autorit dello Stato ospitante la possibilit di imporre condizioni restrittive.

Nel 1994, lapplicazione dei principi espressi dalla Corte nelle Conclusioni della sentenza Rush Portuguesa era stata allargata, con la causa Vander Elst[83], a quelle imprese i cui dipendenti, avendo la cittadinanza di uno Stato non membro, dovessero essere assoggettati alle norme sullimmigrazione e sullaccesso al lavoro dello Stato in cui la prestazione doveva essere resa. Nel citato procedimento il signor Vander Elst, cittadino belga, residente in Belgio e titolare, a Bruxelles, di un' impresa specializzata in attivit di demolizione, si era avvalso del diritto alla libera prestazione dei servizi eseguendo dei lavori a Reims, in Francia. Per la loro esecuzione il signor Vander Elst aveva inviato sul posto una squadra di otto persone, composta di lavoratori stabilmente occupati presso la sua impresa, di cui quattro belgi e quattro marocchini. Per questi ultimi, risiedenti legalmente in Belgio e provvisti di un permesso di lavoro belga, egli si era preliminarmente munito, facendone richiesta al consolato di Francia a Bruxelles, di un visto di entrata per un soggiorno di breve durata, valido per un mese. Tuttavia, in seguito ad unispezione, il soggetto era stato sanzionato con il versamento di un contributo speciale a favore dell'Office des migrations internationales, il quale sosteneva che esso si era avvalso sul territorio francese delle prestazioni di lavoratori di paesi terzi violando il Code du travail. La suddetta violazione riguardava la mancata informazione dell' OMI[84] e linosservanza degli obblighi imposti alle imprese che vogliano avere alle proprie dipendenze lavoratori di Paesi terzi di ottenere, oltre ai visti, un permesso di lavoro per tali lavoratori e di pagare loro dei contributi speciali.

Contrariamente allOffice des migrations internationales, la Corte rilevava il rispetto della normativa nazionale francese in materia d'immigrazione e soggiorno degli stranieri in quanto i visti per soggiorni di breve durata di cui erano muniti i lavoratori marocchini costituivano un titolo valido per soggiornare nel territorio francese durante il periodo necessario all' esecuzione dei lavori. Il permesso di lavoro invocato dallOIM, invece, sarebbe risultato necessario solo qualora il cittadino di uno Stato terzo avesse voluto esercitare un' attivit lavorativa subordinata in un' impresa stabilita in Francia. Tale previsione mancava di una corrispondenza nel caso in questione poich i dipendenti extracomunitari di Vander Elst, al pari dei lavoratori della Rush Portuguesa, terminati i lavori, sarebbero tornati nel loro paese d' origine o di residenza senza accedere al mercato del lavoro francese. A ci si aggiunge la constatazione che, ai sensi degli artt. 40 e 41 dell' accordo di cooperazione concluso tra la Comunit economica europea ed il Regno del Marocco[85], doveva essere abolita tra i lavoratori comunitari e quelli marocchini ogni discriminazione basata sulla cittadinanza per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione nonch in materia di previdenza sociale.

Proprio in relazione a questultima, la Corte, appoggiando il ricorso di annullamento del contributo speciale promosso da Vander Elst e confermando quanto gi disposto nel caso Seco e Desquenne & Giral[86], rileva come la normativa francese fosse sensibile di generare una potenziale situazione anticoncorrenziale dovuta allaggravio economico supplementare incombente sui prestatori stabiliti in uno Stato membro diverso da quello in cui posta in essere la prestazione, rispetto ai prestatori stabiliti in tale nel territorio. In particolare, laggravio in questione era conseguente al rispetto dellobbligo previsto per il datore di lavoro stabilito in un altro Stato membro ed esercitante il diritto alla libera prestazione dei servizi mediante lavoratori cittadini di Paesi terzi, di versare la parte di contributi di previdenza sociale loro spettanti, nonostante questa fosse gi stata versata, per gli stessi periodi di attivit, nel loro Stato di residenza (i contributi versati, inoltre, non davano diritto ad alcun beneficio sociale per i suddetti lavoratori).

Per tali motivi, la Corte aveva dichiarato che gli artt. 59 e 60 del Trattato dovessero essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro imponga alle imprese stabilite in un altro Stato membro, che si rechino sul territorio del primo Stato per effettuarvi una prestazione di servizi e che abbiano alle loro dipendenze, in maniera regolare e stabile, cittadini di paesi terzi, l' obbligo di ottenere, per tali lavoratori, un permesso di lavoro rilasciato da un ente nazionale per l' immigrazione, nonch quello di pagare le relative spese, comminando, in caso contrario, un' ammenda amministrativa.

Comera gi accaduto per i familiari dei lavoratori comunitari migranti, al fine di tutelare e facilitare lesercizio delle libert garantite dal Trattato da parte delle persone giuridiche che avessero la propria sede sociale in uno Stato membro, erano stati garantiti i diritti di ingresso e di soggiorno ai cittadini extracomunitari impiegati in unimpresa operante in uno Stato membro diverso da quello dorigine. I lavoratori extracomunitari, tuttavia, non divenivano soggetti di diritti in qualit di persone, ma, bens, in qualit di dipendenti dellimpresa comunitaria che fruiva del proprio diritto alla libera prestazione dei servizi, ai sensi dellart. 49 del Trattato. Al pari dei cittadini extracomunitari congiunti di un lavoratore comunitario, le cui vicende familiari incidevano sul diritto di soggiorno dei singoli, il riconoscimento dei diritti dei lavoratori cittadini di Paesi terzi era connesso alla conservazione del loro status di dipendenti, e, per tanto, alle sorti dellimpresa in cui operavano.

 

1.3           Da Amsterdam a Nizza. Verso la comunitarizzazione della politica sullimmigrazione

 

1.3.1      Il Titolo IV del Trattato di Amsterdam e gli opting out di Regno Unito, Irlanda e Danimarca

 

Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, modifica nuovamente gli equilibri e le prospettive dellUnione, comunitarizzando la materia di visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone (nuovo Titolo IV TCE) ed incorporandovi lacquis di Schengen.

Le novit introdotte dagli emendamenti apportati al TUE erano sintomo di quella esigenza di superamento del metodo intergovernativo che, emersa intorno alla met degli anni 90, era il frutto della presa di coscienza degli Stati dei limiti di tale meccanismo e della necessit di adottare un approccio comune in materia di immigrazione ed asilo.

Il nuovo Titolo IV del Trattato, infatti, prevedeva il progressivo trasferimento delle materie indicate nellart. K1 di Maastricht, ora contenute negli artt. 61-63, dal terzo al primo pilastro dellUnione, operando una separazione tra i principi di immigrazione ed asilo e le questioni di sicurezza e giustizia penale, le quali rimanevano oggetto di una cooperazione essenzialmente intergovernativa.

Tale passaggio, tuttavia, non era stato del tutto indolore, rappresentando il risultato di un compromesso tra quei Paesi che, fin dalla conferenza intergovernativa volta a modificare il Trattato di Maastricht, avevano manifestato la volont di perseguire lobiettivo della comunitarizzazione e quelli che, come ad esempio la Gran Bretagna, rifiutavano il trasferimento di materie di high domestic political sensitivity[87] dal terzo pilastro alla sfera comunitaria.

Questo complesso bilanciamento tra i diversi interessi statali aveva trovato la sua unica possibilit di equilibrio nelle clausole di opting out previste dai due Protocolli adottati ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, relativi luno alla posizione del Regno Unito e dellIrlanda (Protocollo 27) e, laltro, alla posizione della Danimarca (Protocollo 28). Tali Stati, secondo quanto sancito agli artt. 1 e 2 dei relativi Protocolli, non partecipavano alladozione da parte del Consiglio delle misure proposte a norma del Titolo IV del Trattato e nessuna misura adottata a norma di detto titolo, nessuna disposizione di accordi internazionali conclusi dalla Comunit a norma di detto titolo e nessuna decisione della Corte di giustizia sull'interpretazione di tali disposizioni o misure[88] era vincolante o applicabile ai suddetti Stati. Tuttavia, i Protocolli introducevano delle clausole che davano la possibilit a tali Paesi di scegliere le misure o le parti del Trattato alle quali vincolarsi: Gran Bretagna e Irlanda, notificando per iscritto al Presidente del Consiglio ovvero al Consiglio stesso o alla Commissione, avrebbero potuto partecipare alladozione ed allapplicazione di proposte o iniziative del Consiglio (notifica da effettuare entro tre mesi dalla presentazione delle proposte)[89] o accettare lapplicazione di misure gi adottate (notifica da effettuare in qualsiasi momento dopo ladozione di tali misure da parte del Consiglio)[90]; la Danimarca, similmente, avrebbe potuto decidere in qualunque momento di non avvalersi, in tutto o in parte, del Protocollo, informando preventivamente gli altri Stati membri. Ci nondimeno, la posizione di questultimo Paese era sensibilmente differente in quanto lart. 4 del Protocollo statuiva che la Danimarca avrebbe continuato a partecipare ai lavori del Consiglio relativi alla determinazione dei Paesi terzi i cui cittadini avrebbero dovuto munirsi di visto per lattraversamento delle frontiere esterne e alle misure volte allinstaurazione di un modello uniforme per i visti.

Il regime particolare accordato a Regno Unito, Irlanda e Danimarca, configurava una situazione di integrazione parziale che indeboliva la portata delle novit introdotte dagli emendamenti al Trattato di Maastricht, limitando loperativit del Titolo IV ed incidendo sul successivo sviluppo di una comune politica in materia di immigrazione.

 

1.3.2      Obiettivo e meccanismi decisionali del Titolo IV e le modifiche apportate dal Trattato di Nizza

 

La mancanza di un orientamento comune tra gli Stati membri sancita dalladozione di clausole di opting out da parte di alcuni di essi, non sembrava essere lunico elemento che indeboliva la portata del nuovo Titolo IV del Trattato.

Listituzione progressiva di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia, obiettivo indicato nel primo paragrafo dellart. 61 e di cui nel Trattato non rinvenibile alcuna definizione, non specificata direttamente tra i compiti della Comunit previsti allart. 2 del Trattato. Ad essa e, precisamente, al Titolo IV, viene indicato un rinvio nellart. 3 il quale, tra le azioni che lUnione deve porre in essere al fine di rafforzare lo sviluppo del mercato comune e dellunione economica e monetaria, include, al punto d), le misure riguardanti lingresso e la circolazione di persone, come previsto dal Titolo IV. Per tanto, la creazione di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia trae da tale articolo la propria legittimit, potendo essere indirettamente incluso fra i compiti che la Comunit si era riservata. Inoltre, interessante notare come, nel suddetto articolo, i soggetti beneficiari dalle azioni poste in essere dalla Comunit non siano specificati. In assenza di tale limitazione, il concetto, ad esempio, di miglioramento del tenore e della qualit della vita, potr essere interpretato come applicabile non solo ai cittadini comunitari, ma a tutte le persone residenti nei territori dellUnione Europea[91].

La creazione di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia, tuttavia, appariva come un obiettivo meno concreto del pi efficace e diretto incipit del Titolo III, il quale sanciva ed assicurava la libera circolazione dei lavoratori allinterno della Comunit. In particolare, le essenziali clausole di questultimo, lart. 39 sui lavoratori, lart. 42 sul diritto di stabilimento, lart. 49 sui servizi, erano sufficientemente chiare, precise ed incondizionate da regolare direttamente le relazioni tra gli individui e gli Stati membri senza dover essere implementate da unulteriore legislazione. La costruzione di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia, invece, poich attinente alla regolazione dei rapporti tra Stati membri e cittadini dei Paesi terzi, era stata volutamente subordinata alle volont e alloperato del Consiglio, potendo essere regolata solo attraverso lintermediazione di atti comunitari di diritto derivato. Gli atti relativi a tale materia, per tanto, dovevano essere adottati attraverso i due diversi meccanismi decisionali indicati allart. 67, i quali scandiscono il passaggio della materia migratoria dal terzo al primo pilastro.

Secondo quanto sancito dal par. 1 del suddetto articolo, nella prima fase, cio nel c.d. periodo transitorio che va dal 1999 al 2004, il Consiglio avrebbe dovuto deliberare seguendo un iter legislativo che di poco si discostava da quello previsto dal TUE per le materie di III pilastro: era introdotta lunanimit come regola di voto, e non gi la maggioranza qualificata, il potere di iniziativa era condiviso fra Commissione e Stati membri, ed era prevista una mera consultazione del Parlamento europeo. Ad eccezione di alcune materie indicate nellart. 62[92], trascorsi i cinque anni, il par. 2 dellart. 67 prevedeva, nonostante la Commissione avesse riacquisito un potere esclusivo di iniziativa (pur dovendo esaminare qualsiasi richiesta formulata da uno Stato membro affinch essa sottoponga una richiesta al Consiglio), che il Consiglio continuasse a deliberare allunanimit. Ci nonostante, esso avrebbe potuto decidere, deliberando all'unanimit previa consultazione del Parlamento europeo, di assoggettare tutti o parte dei settori contemplati dal presente titolo alla procedura di cui all'articolo 251 e di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia. Per tanto, nonostante le difficolt derivanti dalla complicata convergenza di tutti i voti degli Stati membri, veniva introdotta la previsione di un possibile utilizzo del meccanismo di codecisione attraverso il quale Parlamento e Consiglio avrebbero potuto essere posti sullo stesso piano nellambito di decisioni riguardanti materie particolarmente sensibili quali limmigrazione.

In attuazione di tale disposizione, il Consiglio ha deciso che tale regola sarebbe stata estesa, dal 1 gennaio del 2004, alladozione di atti che avessero come base giuridica l'articolo 62, punto 1 (misure volte a garantire, in conformit all'articolo 14, che non vi siano controlli sulle persone, sia cittadini dell'Unione sia cittadini di paesi terzi, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne), punto 2, lettera a) (norme e procedure cui gli Stati membri devono attenersi per l'effettuazione di controlli sulle persone alle suddette frontiere), punto 3 (misure che stabiliscono a quali condizioni i cittadini dei paesi terzi hanno libert di spostarsi all'interno del territorio degli Stati membri per un periodo non superiore a tre mesi), e l'articolo 63, punto 2, lettera b) (promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi) e punto 3, lettera b) (immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare)[93].

La decisione del Consiglio verr formalmente inclusa in una Dichiarazione[94] allegata al Trattato di Nizza[95], il quale, nonostante si fosse proposto di risolvere le questioni istituzionali lasciate in sospeso nel Trattato di Amsterdam, non apporter emendamenti particolarmente rilevanti. Riguardo il Titolo IV, lunica norma modificata sar proprio lart. 67, alla quale stato aggiunto un quinto paragrafo che allarga lapplicazione della procedura di codecisione alle misure previste allart. 63, punto 1) (misure in materia di asilo) e punto 2), lettera a) (norme minime per assicurare protezione temporanea agli sfollati di paesi terzi che non possono ritornare nel paese di origine e per le persone che altrimenti necessitano di protezione internazionale), purch il Consiglio abbia preliminarmente adottato, ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo, una normativa comunitaria che definisca le norme comuni e i principi essenziali che disciplinano tali materie, e allart. 65 (misure relative al settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, ad esclusione degli aspetti connessi con il diritto di famiglia).

Va osservato, infine, che essendo gi trascorsi i cinque anni previsti dagli art. 61, 62 e 63, senza che una politica in materia di immigrazione sia stata compiutamente formulata, il comportamento delle istituzioni comunitarie avrebbe potuto essere censurato dalla Corte di giustizia sotto il profilo omissivo mediante un ricorso in carenza. Lart. 232, infatti, conferisce agli Stati e alle istituzioni della Comunit il potere di adire la Corte qualora, in violazione del Trattato, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione si astengono dal pronunciarsi, trascorsi due mesi dalla richiesta di agire loro inviata. Affinch la carenza possa essere accertata, la Corte, in una sentenza del 1985[96], ha statuito che occorre che lomissione di cui si fa carico al Consiglio o alla Commissione riguardi provvedimenti la cui portata si sufficientemente precisa perch essi possano essere individuati a dar luogo ad esecuzione ai sensi dellart. 233. Inoltre, lazione in carenza potrebbe essere promossa con una certa probabilit di successo dagli Stati e dalle istituzioni comunitarie ma non gi dalle perone fisiche o giuridiche, le quali, in qualit di ricorrenti secondari, dovrebbero contestare a ciascuna istituzione di avere omesso di emanare un atto nei loro confronti. Tuttavia, tale accusa appare di difficile dimostrazione in un ambito come le politiche di immigrazione, le quali sono dirette ad una pluralit di soggetti[97].

 

1.3.3      Il ruolo della Corte di Giustizia delle Comunit Europee

 

Il ruolo riconosciuto alla Corte di giustizia delle Comunit Europee ed il conferimento a tale istituzione di competenze che le permettano di esercitare a pieno i propri poteri in qualit di garante del rispetto del diritto nellinterpretazione e nellapplicazione[98] dei trattati, pu essere considerato quale indice dellevoluzione del processo di integrazione sovranazionale, rappresentando, indirettamente, il grado di apertura e di disponibilit dei governi relativamente ad alcune materie disciplinate a livello comunitario.

Quanto fino ad ora affermato facilmente rinvenibile dallanalisi comparata del Trattato di Maastricht e degli emendamenti a questo apportati dal Trattato di Amsterdam.

Il Trattato dellUnione Europea segna un processo di costruzione – de-costruzione che si esplicita nella duplice volont di eliminare le barriere interne al fine di permettere ed incentivare lo sviluppo del mercato unico e di aumentare i controlli alle frontiere esterne, in un atteggiamento di chiusura verso ci che fosse extra-comunitario. Listituzione della cittadinanza europea rappresenta lemblema di questo processo di inclusione ed esclusione. Sintomo dellatteggiamento ora descritto sono le disposizioni del Trattato inerenti le questioni dellimmigrazione, dellasilo e dellattraversamento delle frontiere, le quali, escluse dalla competenza degli organismi comunitari e della Corte di giustizia europea, vengono affidate alla cooperazione intergovernativa dei Paesi membri.

Il Trattato di Amsterdam cerca di sanare tale deficit giurisdizionale garantendo, seppur con alcune lacune, il controllo giurisdizionale della Corte. Tale istituzione, secondo quanto sancito allart. 68, coinvolta nelle materie del Titolo IV attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale, il quale non si configura come uno strumento nuovo, essendo previsto allart. 234, introdotto dal TUE, che le giurisdizioni nazionali possano - nel caso esse siano di ultima istanza debbano - rivolgersi alla Corte europea qualora reputino necessaria per emanare la sentenza una sua pronuncia sulla questione[99]. Tuttavia, a differenza di quanto sancito allart. 234, lart. 68 limita la facolt di sottoporre alla Corte questioni concernenti l'interpretazione del Titolo IV oppure la validit o l'interpretazione degli atti delle istituzioni della Comunit fondati sul detto Titolo, solamente ai giudici di ultimo grado. La Corte, aveva dimostrato di interpretare in maniera rigorosa e restrittiva tale limite alla propria competenza, giudicandosi manifestamente incompetente a risolvere le questioni sottoposte dal Tribunale di Catania con ordinanza 19 gennaio 2003[100].

La ratio della scelta di esclusione operata, se potrebbe trovare un parziale fondamento nella necessit di evitare un abuso della procedura, impedendo che la Corte sia oberata di ricorsi, rischia nella realt di vanificare gli effetti dellimportante introduzione di un controllo giurisdizionale in un ambito quale quello dellimmigrazione. Tale conseguenza, tuttavia, solo una parte delle problematiche generate dalla scelta operata nel Trattato di Amsterdam. Infatti, i giudici di prima istanza, non potendo ricorrere allo strumento del rinvio pregiudiziale, sono tenuti a procedere in via autonoma allinterpretazione del Titolo IV, dovendo dare attuazione a tutti gli atti, nonostante questi ultimi siano ritenuti di dubbia validit. Tale meccanismo rimette in questione luniformit di applicazione e di interpretazione del diritto comunitario, creando una potenziale discrasia fra le pronunce degli Stati e ponendo a repentaglio lunit della giurisprudenza e leffettiva tutela giurisdizionale dei singoli[101]. Relativamente alla garanzia offerta da questultima, il limite posto ai giudici di prima istanza in materia, ad esempio, di libera circolazione delle persone, genera una situazione di discriminazione tra cittadini comunitari ed extracomunitari. I primi, i cui diritti non sono disciplinati dal titolo in esame, potranno tutelare la libert loro concessa chiedendo in qualunque grado di giudizio il rinvio alla Corte, mentre gli altri vedranno tale possibilit limitata ai giudici di ultima istanza[102]. Inoltre, il medesimo differente standard di tutela giurisdizionale potrebbe configurarsi in un ambito quale quello dellattraversamento delle frontiere esterne essendo sancita, al terzo comma dellart. 68, la non competenza della Corte a pronunciarsi sulle misure o decisioni in materia di ordine pubblico e salvaguardia della sicurezza interna, ambiti nei quali rimane pressoch totale la competenza statale. Per tanto, si delinea, in entrambi i casi, una situazione di difformit sensibile ad incidere sulla sfera di diritti soggettivi degli individui.

Per limitare il negativo impatto che tali lacune avrebbero potuto generare, era stato previsto che le disposizioni in esame avessero carattere temporaneo, potendo il Consiglio, allo scadere dei cinque anni e deliberando all'unanimit, previa consultazione del Parlamento europeo, prendere una decisione al fine di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia[103]. Inoltre, ai sensi dellart. 68, par. 3, era introdotta una procedura contenziosa di carattere tanto astratto[104] quanto anomalo, la quale, allargando la possibilit di chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi sull'interpretazione del Titolo IV o degli atti delle istituzioni della Comunit fondati sul presente Titolo, al Consiglio, alla Commissione o ad uno Stato membro, era indipendente dallesistenza di una controversia.

Nonostante linserimento delle disposizioni citate, la cooperazione tra i giudici comunitari e quelli nazionali era ulteriormente affievolita dalle posizioni assunte da Regno Unito, Irlanda e Danimarca i quali, nei rispettivi Protocolli, avevano statuito che nessuna decisione della Corte sullinterpretazione del Titolo IV sarebbe stata vincolante o applicabile nei loro confronti.

 

1.3.4      Lacquisizione dellacquis di Schengen nellUnione Europea

 

Alla fine del 1996, durante i lavori della Conferenza Intergovernativa che avrebbe portato alla firma del Trattato di Amsterdam, i Paesi Bassi hanno proposto lintegrazione della cooperazione sancita dallAccordo ed, in seguito, dalla Convenzione di Schengen nellUnione Europea. Fin dallinizio, si era prospettata lidea che tale cooperazione fosse incorporata nel Trattato non appena i tempi fossero stati pi maturi e ci era gi parzialmente avvenuto con lentrata in vigore, nellautunno 1996, della Convenzione di Dublino relativa alla determinazione dello Stato competente per lesame della richiesta dello Status di Rifugiato, le cui disposizioni avevano sostituito le clausole relative ai richiedenti asilo previste negli Accordi di Schengen.

Tuttavia, di fronte alla riluttanza di Irlanda, Regno Unito (i quali non erano membri contraenti degli Accordi) e Danimarca a tale proposta, lunica soluzione possibile al fine di porre in essere lintegrazione di Schengen nellUnione Europea, prendeva la forma di una cooperazione rafforzata tra gli altri tredici Paesi membri, da realizzarsi attraverso un apposito Protocollo da allegare al Trattato di Amsterdam che tenesse conto della particolare posizione assunta dai tre Paesi.

Il Protocollo 25, adottato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, individuava il contenuto dellacquis di Schengen in una serie di atti attraverso i quali era stata sviluppata la cooperazione fra gli Stati, vale a dire: lAccordo firmato a Schengen il 14 giugno 1985, la Convenzione del 1990, i protocolli e gli accordi di adesione con Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia, ed, infine, le decisioni e le dichiarazioni adottate dal Comitato esecutivo e gli atti per lattuazione della Convenzione adottati dagli organi cui tale Comitato aveva conferito poteri decisionali. Le funzioni di questultimo, inoltre, ai sensi dellart. 2, primo comma del Protocollo, venivano assunte dal Consiglio, il cui Segretariato sostituiva il Segretariato di Schengen. Tuttavia, riconosciuta limportanza di definire l'acquis di Schengen al fine di poter determinare le basi giuridiche per ciascuna delle disposizioni costituenti l'acquis stesso, il Consiglio, deliberando allunanimit dei membri sulla base dellart. 2, par. 1 del Protocollo, ha parzialmente modificato il contenuto di questultimo con decisione 1999/435/CE[105]. Tale decisione si compone di due allegati i quali raggruppano, luno, le disposizioni degli accordi e gli atti per i quali individuata una base giuridica nei Trattati (Allegato A) e, laltro, le disposizioni e gli atti per i quali il Consiglio non ha ritenuto necessaria lindividuazione di una base giuridica (Allegato B). Tale non necessariet, secondo quanto sancito dal Consiglio nel Preambolo della suddetta decisione, rinvenibile quando:

a)              La disposizione non giuridicamente vincolante e una disposizione ad essa paragonabile pu essere adottata dal Consiglio soltanto sulla base di uno strumento che non rinvii ad alcuna base giuridica contemplata in uno dei trattati.

b)             Il tempo trascorso e/o i fatti intervenuti hanno reso superflua la disposizione.

c)              La disposizione riguarda regolamentazioni istituzionali che dovranno essere considerate come sostituite da procedure dell'Unione europea.

d)             L'oggetto della disposizione contemplato da una disposizione giuridica della Comunit o dell'Unione europea o da un atto adottato da tutti gli Stati membri e pertanto reso obsoleto.

e)              La disposizione resa superflua dall'accordo che sar concluso con la Repubblica di Islanda e il Regno di Norvegia ai sensi dell'articolo 6 del protocollo Schengen.

f)              La disposizione riguarda un settore che non rientra nel campo di attivit della Comunit n fa parte degli obiettivi dell'Unione europea e riguarda pertanto un settore nel quale gli Stati membri si riservano il diritto di agire singolarmente. Ci vale anche per le disposizioni che possono rivestire un'importanza soltanto ai fini del calcolo di diritti finanziari degli o fra gli Stati membri interessati.

Per quanto concerne le altre disposizioni o decisioni che costituivano l'acquis di Schengen, la determinazione di una base giuridica rappresentava una questione di estrema rilevanza poich, a seconda che queste fossero state inquadrate nellambito del Titolo IV o del Titolo VI, sarebbe stata prevista una diversa procedura decisionale ed una differente natura giuridica dei provvedimenti adottabili. Dallanalisi dellAllegato A emerge come le basi giuridiche siano prevalentemente individuate negli artt. 62 e 63 del Titolo IV (talvolta in combinato disposto) e negli artt. 30 e 31 TUE, anche se alcuni atti presentano una base giuridica plurima. Inoltre, in merito alla distribuzione fra primo e terzo pilastro, va osservato che le disposizioni concernenti i visti, lingresso e il soggiorno ed, in particolare, lintero Titolo II della Convenzione del 1990 comprendente le clausole relative al passaggio delle frontiere interne ed esterne, i visti, le condizioni di circolazione degli stranieri, i titoli di soggiorno e segnalazione ai fini di non ammissione e le misure di accompagnamento siano state incorporate nel Titolo IV. Per quanto attiene alle altre disposizioni ed, in particolare, quelle relative alla cooperazione tra forze di polizia e alla cooperazione giudiziaria in materia penale, queste sono rimaste nellambito della cooperazione intergovernativa, come, del resto, il Titolo IV della Convenzione di applicazione relativo al Sistema di Informazione Schengen[106].

Cos definito, il contenuto dellacquis di Schengen si applicava immediatamente ai tredici Stati membri che avevano firmato i protocolli di adesione agli Accordi, fatta eccezione per quegli Stati (Danimarca, Irlanda, Regno Unito, Norvegia ed Islanda) ai quali il Protocollo garantiva uno status particolare.

La posizione della Danimarca, fermamente contraria alla comunitarizzazione degli accordi di Schengen (dei quali, dal 19 dicembre 1996, era parte contraente), era disciplinata dallart. 5 del Protocollo 28 allegato al Trattato il quale prevedeva che essa avrebbe potuto decidere, entro un periodo di sei mesi dalla decisione del Consiglio su una proposta o iniziativa di sviluppare lacquis di Schengen, di recepire tale decisione nel proprio diritto interno. Se la decisione fosse stata affermativa, si sarebbe generato un obbligo a norma del diritto internazionale tra la Danimarca e gli altri Stati membri indicati all'articolo 1 del Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen; in caso contrario, questi stessi Stati avrebbero dovuto esaminare le misure appropriate da adottare. Questo status speciale accordato alla Danimarca, prevedendo che fosse il diritto internazionale, e non gi quello comunitario, a regolare le relazioni tra essa stessa e gli altri Stati, escludeva limmediata applicazione delle decisioni dellacquis nellordinamento danese, rendendo, peraltro, impossibile la loro sottoposizione al controllo della Corte di giustizia europea. Ci avrebbe potuto dare luogo ad interpretazioni differenti tra gli Stati membri e quello danese, oltre a rappresentare un serio ostacolo allo sviluppo della cooperazione nellambito degli accordi di Schengen.

Completando il quadro relativo agli Stati scandinavi, il regime particolare accordato alla Danimarca non era stato accordato a Svezia e Finlandia, le quali, membri dellUnione fin dal 1 gennaio 1995, avevano accettato integralmente gli accordi di Schengen fin dal 19 dicembre del 1996. A differenza di tali paesi, Islanda e Norvegia, non essendo membri dellUnione, si erano vincolati ad essi attraverso un accordo firmato a Lussemburgo il 19 dicembre 1996[107].

Gli Stati membri dellUE che restavano al di fuori, e tuttora non fanno parte dello spazio Schengen sono il Regno Unito e lIrlanda, i quali, potendo continuare a concludere intese reciproche in materia di libera circolazione delle persone tra i loro territori zona di libero spostamento[108], sono autorizzati ad esercitare alle rispettive frontiere con altri Stati membri, controlli sulle persone che intendono entrare nei loro territori[109]. Tuttavia, essi potranno in qualsiasi momento chiedere di partecipare, in tutto o in parte, alle disposizioni dellacquis[110].

Inoltre, il suddetto acquis, secondo quanto sancito allart. 8 del Protocollo, stato obbligatoriamente accettato integralmente dai 10 Stati che, nel 2004, sono entrati a far parte dellUE (Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia). Sin dalla data di adesione, tali Stati hanno applicato solo una parte dellacquis di Schengen, in particolare nel campo della cooperazione giudiziaria e di polizia e del controllo alle frontiere esterne, mentre le disposizioni relative ai controlli delle frontiere interne saranno applicabili solo in seguito ad una decisione del Consiglio dellUE, dopo che questultimo abbia verificato il rispetto dei requisiti necessari per lapplicazione di tutte le parti dellacquis in tale nuovo Stato membro.

Anche la Svizzera ha deciso di far parte dello spazio Schengen. Ci significa che, fra alcuni anni, scompariranno i controlli delle persone alle frontiere, venendo conferito a tale Stato lo stesso status di Paese associato della Norvegia e dellIslanda.

 

 


Conclusioni

 

Il lento processo di costruzione di una competenza e di una politica comunitaria in materia di immigrazione appare oggi come sostanzialmente cristallizzato nelle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam. Se le disposizioni di Maastricht avevano introdotto la possibilit (mai sfruttata) di trasferire alcune materie dal primo al terzo pilastro attraverso la cosiddetta norma passerella (art. 42 TUE), il Trattato di Amsterdam trasforma tale ipotesi in regola comunitarizzando alcune materie e creando un nuovo titolo IV denominato visto, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone. Trasferire tali materie dal terzo al primo pilastro significava condurle sotto la competenza comunitaria e rendere i regolamenti e le direttive (in luogo delle azioni e delle posizioni comuni previste da Maastricht) gli strumenti con cui regolare la materia dellasilo e dellimmigrazione. La comunitarizzazione, tuttavia, si inseriva in una struttura il cui funzionamento prevedeva delle anomalie rilevanti che interessavano sia i meccanismi procedurali che il ruolo della Corte di giustizia. Per quanto concerne i primi, era stabilito che durante i cinque anni successivi dallentrata in vigore del Trattato il diritto di iniziativa sarebbe stato esercitato in maniera congiunta dagli Stati membri e dalla Commissione, era introdotto il voto allunanimit in seno al Consiglio dei ministri (il che comportava e tuttora comporta la necessit di condurre dei negoziati altamente complessi) e al Parlamento europeo era conferito un ruolo meramente consultivo. Nel 2004, trascorsi i cinque anni previsti e venuto meno il potere di iniziativa degli Stati, spettante ora esclusivamente alla Commissione, sono state assoggettate alla procedura di codecisione alcune materie regolate dal titolo IV, ad eccezione di quelle maggiormente significative connesse allimmigrazione legale ed alla determinazione delle condizioni di ingresso e di soggiorno nel territorio comunitario dei cittadini di Paesi terzi[111]. A tale proposito, il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 e bocciato dal referendum irlandese, oltre a rinominare il titolo IV spazio di libert, sicurezza e giustizia, prevede allart. 63bis che il Parlamento europeo ed il Consiglio deliberino secondo la procedura legislativa ordinaria in merito alle condizioni di ingresso e soggiorno e alle norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare; alla definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libert di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri; allimmigrazione clandestina e al soggiorno irregolare, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare; alla lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori. Tuttavia, sia la decisione del 2004 che il nuovo Trattato non prevedono alcuna disposizione in relazione alle competenze della Corte di Giustizia, le quali, rispetto alla disciplina generale contenuta nellart. 234 CE, risultano particolarmente restrittive. Nellambito del titolo IV, infatti, la facolt prevista per le giurisdizioni di primo e secondo grado di porre in essere un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia nellambito di un procedimento pendente davanti ad un giudice nazionale (la quale si trasforma in un obbligo nel caso del giudice di ultima istanza) negata.

Le anomalie fino ad ora ricordate complicano e rallentano la costruzione di una competenza europea reale ed effettiva in ambito di immigrazione e sono il motivo per il quale, ad oggi, non abbiamo ancora decisioni della Corte di giustizia in tema di immigrazione. La disciplina di questultima, per tanto, rimane definita nel quadro di una politica migratoria imperfetta e a geometria variabile. Il carattere di imperfezione le derivava dalla distribuzione effettuata dellacquis di Schengen tra primo e terzo pilastro; la variabilit, invece, frutto della scelta di esclusione posta in essere da un numero ristretto di Stati i quali, tuttavia, possono decidere di partecipare ad alcuni ambiti della cooperazione rafforzata delineata dal Trattato e dai Protocolli ad esso allegati. Latteggiamento di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, si configura, tuttavia, solo come lestremizzazione di unattitudine alla chiusura che accomunava tutti gli Stati europei e la stessa Comunit. La costruzione di una cittadinanza europea non sulla base di un criterio di residenza, ovvero di appartenenza civile ad una comunit, ma bens come un attributo da conferire in aggiunta alla cittadinanza nazionale, pur avendo cancellato i confini interni, ne ha creati di nuovi, sia fisici che giuridici. Se le frontiere della Comunit si sono allargate ed, insieme ad esse, la gamma di diritti conferiti ai cittadini comunitari, gli stranieri, cio i cittadini di Paesi terzi non aventi la cittadinanza di uno Stato membro (e, quindi, dellUnione), rimangono una categoria solo apparentemente chiara e definita, allinterno della quale la disciplina sullimmigrazione si applica in maniera difforme. I lavoratori extracomunitari potranno godere di determinati diritti in ragione dalla disciplina speciale di fonte comunitaria prevista per coloro che godono di uno status particolare, quali i familiari dei lavoratori comunitari o i lavoratori di unimpresa comunitaria che fruisca della libera prestazione dei servizi, o, come vedremo, grazie alle norme incluse negli accordi internazionali conclusi dalla Comunit con i rispettivi Paesi dorigine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo II

La tutela del lavoratore extracomunitario

da Tampere ad oggi

 

2.1           Da Tampere ad oggi: gli orientamenti della Comunit relativi ad una politica comunitaria in materia di immigrazione

 

Gli anni che intercorrono dalla fine del secolo scorso ad oggi sono stati partecipi di unimportante accelerazione nella costruzione di una politica di immigrazione nel quadro dei programmi di Tampere e dellAia.

In seguito allentrata in vigore del Trattato di Amsterdam la Commissione, alla luce del pi ampio diritto di iniziativa ad essa conferitole dal Trattato (che per i successivi cinque anni sarebbe stato condiviso con gli Stati membri) e riconoscendo che gli strumenti fino a quel momento utilizzati erano sovente basati su di una legislazione debole, quali risoluzioni o raccomandazioni prive di effetti giuridicamente vincolanti e di meccanismi di controllo adeguati, aveva pi volte sottolineato lesigenza di adottare atti comunitari di portata pi incisiva al fine di definire un quadro completo volto alla gestione delle problematiche relative allimmigrazione illegale, allintegrazione dei cittadini di paesi terzi legalmente presenti nei territori dellUnione, nonch al riconoscimento di un ventaglio di diritti da garantire ai suddetti cittadini. Ladozione di tali atti avveniva in un nuovo quadro giuridico comunitarizzato, caratterizzato dal passaggio della politica di immigrazione ed asilo dal coordinamento intergovernativo previsto dal Terzo pilastro al Primo pilastro, e seguiva un programma dazione dedicato alla costruzione di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia definito dal Consiglio (vedi articoli 61-63 del Trattato).

Spicca, fra i vari programmi adottati, il Piano dazione del 1998[112], allinterno del quale Commissione e Consiglio avevano enucleato un vasto numero di misure che lUnione avrebbe dovuto adottare entro due anni (come, ad esempio, la creazione di uno strumento sullo status giuridico degli immigranti legali, listituzione di una coerente politica in materia di riammissione e rimpatrio, ladozione di norme sulla lotta allimmigrazione clandestina, definire le procedure e le condizioni di rilascio dei visti) ed entro i cinque anni successivi lentrata in vigore di Amsterdam (ad esempio, migliorare le possibilit di allontanare le persone alle quali non stato concesso il diritto di soggiorno, definire diritti e condizioni di cui godono i cittadini di paesi terzi soggiornanti in un Paese membro che intendano spostarsi in un altro Stato membro). Tali disposizioni dovevano rappresentare la base di un programma di lavoro della Commissione e degli Stati membri[113] (il quale veniva reso operativo mediante un Quadro di controllo[114]), congiuntamente ai quattro capisaldi sui quali avrebbe dovuto essere costruito il quadro giuridico comunitario in materia di immigrazione ed asilo previsti nelle conclusioni adottate dal Consiglio Europeo di Tampere: il partenariato con i paesi dorigine, un sistema comune di tutela dei richiedenti asilo, la gestione efficace e coordinata dei flussi migratori e lequo trattamento dei cittadini di Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio dellUnione. In particolare, in merito a questultimi, il Consiglio aveva espresso delle posizioni di estrema rilevanza sottolineando, ai paragrafi 18 e 21, la necessit di una politica di integrazione volta a garantire loro diritti ed obblighi assimilabili a quelli dei cittadini europei, facendo proprio lobiettivo che ai cittadini di stati terzi residenti (legalmente) di lungo periodo fosse offerta lopportunit di divenire cittadini dello Stato ospitante.

I quattro pilastri indicati a Tampere verranno ulteriormente sviluppati nellambito dei Consigli europei successivi e riesaminati dal Consiglio europeo dellAia del novembre 2004, il cui programma indica dieci priorit dell'Unione volte a rafforzare lo spazio di libert, sicurezza e giustizia nei cinque anni successivi. Da unattenta lettura del suddetto documento possibile individuare nel concetto di partenariato una chiave di volta al fine di comprendere ed interpretare la strategia adottata dalle istituzioni. Da una parte auspicato un partenariato con i paesi terzi, al fine di realizzare una gestione pi efficace dei flussi migratori, delle strategie di riammissione e rimpatrio degli immigrati, oltre che del pi vasto fenomeno dellimmigrazione illegale; dallaltra, lidea di partenariato assume le vesti della solidariet fra gli Stati membri al fine di realizzare un quadro europeo per lintegrazione degli stranieri, promuovendo lo scambio strutturale di esperienze e informazioni. Al fine di superare lostacolo posto dallampia competenza degli Stati su aspetti significativi quali lammissione dei migranti a fini economici e lattuazione della politica di integrazione, la Commissione aveva proposto di regolare tale scambio di informazioni, unito alla definizione e allo sviluppo di quegli obiettivi che richiedono una risposta comune degli Stati membri, attraverso gli strumenti offerti dal metodo di coordinamento aperto[115], cio da quel modello di soft law gi sperimentato per la politica economica e quella di occupazione.

In particolare, proprio in relazione a questultima politica, interessante rilevare come dai dati forniti dallUnione Europea, nonch dagli studi effettuati dallOIL, dal FMI e dallOSCE, emerga uno stresso nesso tra la possibilit dei migranti e dei rifugiati di accedere al mercato del lavoro dellUnione ed il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona (in generale, trasformare entro il 2010 lUnione Europea nelleconomia basata sulla conoscenza pi competitiva e dinamica del mondo, capace di una crescita economica duratura con posti di lavoro pi numerosi e migliori e una maggiore coesione sociale[116]). Tale legame emerge se si analizza landamento del mercato del lavoro in Europa alla luce di due tendenze imperative, quali il calo demografico e la carenza di manodopera e personale qualificato.

Per effetto del cambiamento delle caratteristiche demografiche registrato nei territori degli Stati membri, la popolazione in et attiva, in seguito alla riduzione dei tassi di fertilit, avrebbe gi cominciato a decrescere: il Vecchio continente, nonostante sia prevista unimmigrazione netta di 40 milioni di persone, vedr nel 2050 diminuire di 7 milioni di unit la popolazione nel suo complesso e di 52 milioni di unit la popolazione in et da lavoro[117]. Tale decrescita accompagnata da un aumento del numero di individui al di sopra dei 65 anni (da 71 milioni nel 2000 a 93 milioni nel 2020[118]) tale da comportare un incremento della pressione sulla spesa pensionistica, sul sistema sanitario e di assistenza di lunga durata, nonch un calo della crescita media potenziale annua del PIL[119]. Tali effetti saranno ancor pi accentuati se consideriamo che se potenzialmente lUnione raggiungesse e mantenesse a partire dal 2010 un tasso di occupazione pari al 70%, il rapporto tra numero di occupati e persone di et superiore a 65 anni caler da 2,7 del 2010, a circa 2,2 nel 2020, 1,8 nel 2030 e 1,5 nel 2040[120]. Il calo nel rapporto sopra indicato non pu essere invertito da aumenti, peraltro non previsti, dei tassi di fertilit, poich ci vogliono pi di due decenni prima che i nuovi nati raggiungano let lavorativa e contribuiscano alla crescita della quota generale di occupati[121] e potrebbe essere meno marcato solo se il tasso di occupazione superasse il 75%.

Tale involuzione demografica accompagnata dalle carenze di manodopera e di personale qualificato (le quali risultano aggravate dalla poca mobilit dei lavoratori nell'UE) e di lavoratori a bassa qualificazione, la cui richiesta soddisfatta, in larga misura, dai cittadini di paesi terzi. In merito a tale questione interessante rilevare che, secondo i dati forniti dallEurobarometro nel 2007, sebbene il 48% dei cittadini europei ritenga la presenza degli immigrati necessaria in determinati settori delleconomia, quasi altrettanti esprimono insicurezza circa la presenza straniera, in particolare in relazione alla disoccupazione[122]. Tuttavia, dalle analisi di impatto effettuate[123] emergono pochi elementi a sostegno della tesi secondo la quale vi sia un nesso di proporzionalit diretta tra aumento dellimmigrazione e aumento della disoccupazione. La mancata correlazione tra i due fenomeni dovuta non solo allandamento demografico sopra descritto e dalla compensazione effettuata dai migranti e dalle loro famiglie dellinsufficiente ricambio naturale, ma anche dal fatto che i cittadini extracomunitari tendono a concentrarsi in settori e impieghi che prevedono deboli barriere allingresso e scarsi requisiti relativi a competenze specifiche (settore dei servizi domestici, settore alberghiero e della ristorazione). Impiegati in mansioni manuali, soprattutto senza qualifica, i lavoratori extracomunitari, mediamente, non sostituiscono gli occupati interni (essendo questi in larga parte concentrati nelle fasce pi alte) e le loro qualifiche e competenze possono essere complementari a quelle dei cittadini dellUnione. Per tanto, gli effetti sostituitivi potrebbero, da una parte, gravare solo su talune categorie di lavoratori, quali gli operai del settore manifatturiero e sulla manodopera non qualificata nel settore dei servizi, e, dallaltra, generare dei possibili incrementi di produttivit ottenibili grazie alla complementariet tra i lavoratori altamente qualificati e i migranti stessi. Infine, necessario ricordare che, nonostante la preoccupazione di molti Stati membri delle pressioni indotte dallaumento del numero di immigrati sui sistemi di welfare nazionali (paura gi manifestatasi nel processo di apertura di confini interni allUnione), limpatto netto sulla finanza dei paesi ospitanti, ovvero sia sulla spesa pubblica che sulle entrate, si dimostrato fino ad ora contenuto[124].

In seguito a quanto affermato fino ad ora, si potrebbe quindi concludere che il tema dellintegrazione rappresenta una questione di vitale importanza non solo per la vita dei futuri e degli attuali residenti nel territorio europeo, ma si configura quale nodo essenziale per il suo stesso sviluppo economico. Tale consapevolezza, unita ad un contrastante atteggiamento di chiusura posto in essere dagli Stati membri, caratterizzano le dinamiche della vita politica europea che, come vedremo, sar il terreno di confronto per importanti proposte della Commissione, quali ad esempio quella relativa allestensione del coordinamento comunitario dei regimi di sicurezza sociale stabilito dal regolamento (CEE) n. 1408/71 ai lavoratori cittadini di Paesi terzi subordinati ed autonomi assicurati in uno Stato membro, e al riconoscimento, a suddetti lavoratori, della possibilit di fornire servizi in altri Stati membri[125].

Nei successivi paragrafi si tenter, quindi, di ricostruire il percorso giuridico, il viaggio del migrante (in particolare, del lavoratore extracomunitario) fra le possibilit, i diritti e gli obblighi ad esso conferiti dalla pluralit di provvedimenti adottati negli ultimi dieci anni di vita comunitaria che disciplinano gli aspetti indicati negli articoli 62 e 63 CE.

 

2.2           Laccesso al territorio comunitario: lobbligo di visto ed il permesso di soggiorno

 

Lingresso dei cittadini dei paesi terzi subordinato ad alcune condizioni, lassenza delle quali ne rende irregolare la presenza. Tali condizioni sono indicate negli articoli contenuti nel Protocollo di Schengen il quale, come abbiamo gi avuto modo di descrivere nel Capitolo I, prevede che i cittadini di Paesi terzi possano entrare nei territori dellUnione presentandosi, agli orari di apertura stabiliti, presso i valichi autorizzati, muniti di passaporto o di un documento di viaggio valido ed equivalente. Il soggetto, che non dovr essere segnalato ai fini della non ammissione n costituire un pericolo per lordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali degli Stati membri, deve dimostrare le ragioni e lo scopo dellingresso, nonch disporre di risorse finanziare giudicate sufficienti. In mancanza di tali requisiti lo Stato nega laccesso, ad eccezione del caso in cui sussistano motivi umanitari, di politica nazionale o obblighi internazionali che garantiscono al soggetto unammissione limitata al territorio dello Stato in questione. Inoltre, nel caso in cui il soggetto provenga da uno dei Paesi indicati in unapposita lista contenuta nel Reg. (CE) n.539/2001[126] (atto modificato dal pi recente Reg. (CE) n.1932/2006[127]) esso necessiter un visto di ingresso sia per effettuare soggiorni di breve periodo (cio di massimo tre mesi), sia per transitare nel territorio di uno Stato membro o di vari Stati membri (escluso il transito nella zona internazionale degli aeroporti e i trasferimenti tra aeroporti di uno Stato membro). Per i soggiorni di durata superiore ai tre mesi tutti gli stranieri, anche se cittadini di Paesi non soggetti ad obbligo di visto per transito o per breve soggiorno, devono ottenere il visto per soggiorno di lunga durata. Lottenimento di tale documento non rappresenta un diritto del soggetto, ma bens rilasciato da uno degli Stati membri, liberi di regolare le condizioni di ingresso nel loro territorio, conformemente alla propria legislazione e se sussistono uno dei motivi che giustificano il soggiorno. Tuttavia, poich tra il momento in cui il titolare di tale visto nazionale arriva nel territorio di questo Stato e il momento in cui esso riceve un titolo di soggiorno pu intercorrere un certo lasso di tempo, il Consiglio ha stabilito che tale tipo di visto non consentir solo il transito nel territorio degli altri Stati membri per recarsi nel territorio dello Stato che ha rilasciato detto visto, ma possa avere valore di visto uniforme per soggiorni di breve durata[128] se rilasciato nel rispetto delle condizioni e dei criteri comuni nonch se il titolare soddisfa le condizioni per lingresso.

 

 

2.3               Le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno

 

2.3.1      Le direttive n. 2004/81, n. 2004/114, n. 2005/71 e n. 2003/86/CE

 

Larmonizzazione delle condizioni di rilascio del permesso di soggiorno, a causa delle implicazioni nel diritto interno ad essa connesse, ha rappresentato una delle questioni in cui pi difficile risultata la ricerca di un compromesso tra la Comunit e gli Stati membri e tra gli Stati stessi. Di fronte alle difficolt emerse nella definizione di una disciplina unitaria e valida per tutti i soggetti a livello comunitario, si optato per una politica dei piccoli passi, per una strategia settoriale che preveda la regolamentazione del conferimento del permesso di soggiorno a specifiche categorie.

Il diritto di soggiorno, ad esempio, garantito per una durata limitata (collegata alla lunghezza delle relative procedure nazionali) e a determinate condizioni alle vittime della tratta di esseri umani o coinvolte in unazione di favoreggiamento dellimmigrazione illegale che cooperino con le autorit competenti[129]. A tali soggetti garantito un periodo di riflessione tale da metterli in grado di decidere se cooperare o meno con le autorit di polizia che, tuttavia, non conferisce loro un diritto di soggiorno[130]. Trascorso tale periodo, o ancor prima se le autorit competenti hanno ritenuto che il cittadino abbia gi soddisfatto i criteri indicati, gli Stati valutano, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, lesistenza di una chiara volont di cooperazione manifestata dellinteressato e la rottura di ogni legame con i presunti autori dei fatti che potrebbero configurarsi[131] quali reati di favoreggiamento dellimmigrazione illegale e tratta di esseri umani. Soddisfatti tali criteri, e fatti salvi i motivi attinenti alla pubblica sicurezza e alla salvaguardia della sicurezza nazionale, il titolo di soggiorno verr rilasciato e dovr avere durata di almeno 6 mesi (rinnovabili), allo scadere dei quali verr applicato il diritto ordinario riguardante gli stranieri. Inoltre, poich tale titolo di soggiorno nasce dalla volont di rendere tali soggetti indipendenti e proteggerli dalla possibilit di ricadere nella rete criminale, ad essi dovranno essere garantite le necessarie cure mediche o altra assistenza (nel caso in cui non dispongano di risorse sufficienti e abbiano particolari esigenze, come le donne incinte, i disabili, le vittime di violenza) nonch la possibilit di accedere al mercato del lavoro, alla formazione professionale e allistruzione. Alla vittima, per tanto, sono offerti degli importanti canali di integrazione il cui impatto, tuttavia, appare smorzato. Essa, infatti, potr assumere le vesti del lavoratore solo per tutta la durata del titolo di soggiorno, al termine della quale non vi alcuna certezza in merito al suo rinnovo.

Una seconda categoria alla quale garantito il permesso di soggiorno composta dai cittadini di paesi terzi i quali decidano di recarsi in uno Stato membro per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato per una durata superiore ai tre mesi[132]. A tali soggetti pu essere rilasciata unautorizzazione di soggiorno di durata diversa[133] il cui ottenimento subordinato allesistenza di alcuni requisiti quali lessere in possesso di un titolo di viaggio valido e di unassicurazione di malattia, non essere considerato una minaccia per lordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanit pubblica, nonch, se richiesto dallo Stato, esibire la prova del pagamento delle tasse dovute per lesame della domanda di soggiorno presentata. Infine, interessante notare che, nonostante nel preambolo sia sottolineata la temporaneit e lindipendenza dalle condizioni del mercato del lavoro dello Stato membro ospitante delle migrazioni per i motivi previsti dalla direttiva (unaffermazione che, per quanto parzialmente corretta, pare volta a convincere gli Stati ad adottare la direttiva), lart. 17 prevede la possibilit per gli studenti di esercitare unattivit economica in qualit di lavoratore subordinato od autonomo. Ogni Stato membro sar libero di fissare il limite massimo di ore in cui permesso esercitare tale attivit (con un limite minimo di 10 ore a settimana) e potr limitare laccesso alle attivit economiche nel primo anno di soggiorno.

Al pari degli studenti, unaltra categoria di soggetti ai quali la Comunit riconosce la possibilit di ottenere un permesso di soggiorno quella dei ricercatori dei paesi terzi i quali si recano in uno Stato membro per una durata superiore ai tre mesi al fine di svolgervi un progetto di ricerca[134]. Il suddetto ricercatore, al fine di non gravare sul sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, dovr disporre di unassicurazione di malattia e di risorse mensili sufficienti (in relazione allimporto minimo indicato dallo Stato), in assenza delle quali listituto di ricerca non potr siglare la convenzione di accoglienza[135]. Ottenuto il permesso di soggiorno, il soggetto godr della parit di trattamento con i cittadini del paese ospitante per quanto riguarda il riconoscimento dei titoli di studio, le condizioni di lavoro (comprese condizioni di retribuzione e di licenziamento), i settori di sicurezza sociale ai sensi del reg. (CEE) n. 1408/71, le agevolazioni fiscali e laccesso ai beni e ai servizi destinati al pubblico. Inoltre egli potr svolgere parte della propria ricerca in un altro Stato membro alle condizioni stabilite nellart. 13 della direttiva in esame, nonch esercitare lattivit di insegnamento (per le ore stabilite dallo Stato membro) e godere della possibilit di vedersi riconosciuto una sorta di diritto al ricongiungimento familiare, allorch lo Stato decida di rilasciare un permesso di soggiorno di validit pari a quella del ricercatore ai membri della sua famiglia.

In particolare, per quanto concerne la questione relativa al diritto di ricongiungimento familiare, la direttiva 2003/86/CE[136] stabilisce le condizioni richieste per lesercizio di tale diritto da parte del soggiornante titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da uno Stato membro per un periodo di validit pari o superiore ad un anno, il quale abbia una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile ed i cui familiari siano cittadini di paesi terzi. Lo Stato membro potr richiedere al soggiornante di dimostrare di disporre di unassicurazione contro le malattie, di risorse sufficienti e di un alloggio considerato normale per una famiglia analoga nella stessa regione, nonch esigere che egli abbia soggiornato legalmente nel suo territorio per un periodo non superiore a due anni. I familiari del soggiornante ( interessante notare come nellelenco dei familiari ammessi figuri il caso del matrimonio poligamo)[137] avranno diritto, al pari del soggiornante, allaccesso allistruzione, allorientamento, alla formazione, nonch ad unattivit lavorativa dipendente od autonoma che dovr essere esercitata secondo le condizioni indicate dalla legislazione nazionale.

2.3.2      La Proposta di direttiva relativa alle condizioni dingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendano svolgere attivit di lavoro subordinato o autonomo

 

Oltre alle direttive fino ad ora descritte, appare necessario menzionare unimportante proposta di direttiva presentata dalla Commissione nel luglio del 2001, la quale, nonostante ad oggi non sia ancora stata adottata, volta a fornire una disciplina delle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendessero svolgere nei territori dellUnione unattivit di lavoro subordinato o autonomo[138].

Riconosciuta limportanza di tale questione nel processo di costruzione della politica dimmigrazione e la necessit di una sua disciplina a livello comunitario, la Commissione propone delle definizioni, dei criteri e della procedure che avrebbero potuto dare un quadro normativo comune alla discrezionalit degli Stati membri. In particolare, le disposizioni della direttiva si applicano ai cittadini di paesi terzi, ad eccezione di casi particolari, quali lesistenza di disposizioni pi favorevoli in forza di accordi bilaterali o multilaterali conclusi tra la Comunit, o la Comunit e gli Stati membri, da una parte, e uno o pi Stati membri dallaltra (ad esempio, gli accordi di associazione quale laccordo CE- Turchia) o tra uno Stato membro e uno o pi Stati terzi (ad esempio, la convenzione e il protocollo delle Nazioni Unite relativi allo status dei rifugiati)[139]. Inoltre, erano esclusi dallapplicazione della Direttiva coloro i quali svolgono attivit connesse allimportazione nella Comunit di beni o servizi provenienti da paesi terzi (ma possono dimorare nei territori comunitari solo per un massimo di tre mesi) e cinque categorie di soggetti: i cittadini di paesi terzi residenti nella Comunit e distaccati in un altro Stato membro in qualit di lavoratori subordinati per la prestazione di servizi transfrontalieri ovvero in qualit di prestatori autonomi di servizi transfrontalieri (le cui posizioni sono regolate dalle proposte di direttive del 1999 e, nel primo caso, dalla sentenza Van der Elst e dallart. 49 del Trattato); i cittadini di paesi terzi che si trovino in uno Stato membro in qualit di richiedenti asilo, o che siano tutelati da forme di protezione sussidiaria o da programmi di protezione temporanea; i cittadini di paesi terzi la cui residenza non sia legale ma la cui espulsione sia stata sospesa per motivi di diritto o di fatto; i cittadini di paesi terzi che siano familiari di cittadini dell'Unione i quali abbiano esercitato il diritto alla libera circolazione all'interno della Comunit (il memorandum della Commissione allegato al testo della direttiva fa riferimento al Reg. 1612/68 il quale, tuttavia, riguarda solo i familiari del cittadino europeo che sono immigrati per ragioni non-economiche); i cittadini di paesi terzi che soggiornino in uno Stato membro in base alle norme sul ricongiungimento famigliare[140]. I soggetti che non rientrano nelle categorie elencate, al fine di ottenere lautorizzazione degli Stati membri ad entrare e soggiornare allinterno del loro territorio per svolgere unattivit di lavoro subordinato o autonomo, devono richiedere, rispettivamente, un permesso di soggiorno-lavoratore subordinato[141] o un permesso di soggiorno-lavoratore autonomo[142], presentandone la domanda allautorit competente dello Stato membro (nel caso del lavoratore subordinato essa potr essere presentata dal futuro datore di lavoro[143]). Tuttavia, se entrambe la categorie di lavoratori sono tenute ad allegare alla domanda un passaporto valido o un documento di viaggio equivalente (o la prova del possesso di un titolo di soggiorno valido), un certificato o una prova di buona condotta e di buona salute, i documenti comprovanti il possesso delle competenze necessarie per lo svolgimento dellattivit prevista, la prova di disporre di risorse sufficienti per il sostentamento di s e dei propri familiari, nonch di unassicurazione di malattia, le altre condizioni per il rilascio del permesso cambiano sensibilmente.

Nel caso dei lavoratori subordinati essi dovranno corredare la propria domanda con il contratto di lavoro valido o unofferta vincolante di lavoro e la descrizione dellattivit prevista altres reso necessario dimostrare che, nonostante lofferta sia stata resa pubblica attraverso i servizi di collocamento, non pervenuta alcuna candidatura valida presentata dai cittadini dellUnione o dai cittadini di paesi terzi che siano familiari di un cittadino comunitario esercitante la libera circolazione, che abbiano gi accesso al mercato nazionale in forza della normativa nazionale vigente (nazionale o comunitaria) o di accordi bilaterali o multilaterali, o, infine, che risiedano o abbiano risieduto legalmente nello Stato membro svolgendovi unattivit di lavoro subordinato (per oltre tre anni o nellarco dei cinque anni precedenti)[144]. Viene, per tanto, richiesta una prova della necessit dellassunzione del soggetto senza tuttavia porre in essere una distinzione tra lavoratori skilled e unskilled. Inoltre, se gli Stati utilizzassero lopzione prevista allart. 6, par. 4, che prevede la possibilit per le autorit statali di ritenere soddisfatti i requisiti richiesti quando il reddito annuale offerto al cittadino non comunitario superi una certa soglia, verrebbe favorito principalmente lingresso di lavoratori immigrati highly skilled, i quali tuttavia rappresentano una piccola percentuale dellalto numero di migranti che giungono nei territori dellUnione.

Per quanto concerne i lavoratori autonomi, oltre ai documenti gi elencati, essi dovranno allegare alla propria richiesta di permesso di soggiorno un piano dellattivit dettagliato, la prova di disporre dei mezzi finanziari adeguati per intraprendere tale attivit nonch una prova degli effetti benefici, dimostrando che l'attivit economica autonoma costituir unopportunit di occupazione per il richiedente ed avr un effetto positivo sull'occupazione nello Stato membro interessato o sul suo sviluppo economico[145]. Al pari del principio della prova della necessit, la dimostrazione delle potenziali conseguenze positive sulloccupazione riflette le disposizioni nazionali applicabili nella maggior parte degli Stati membri e pu essere, tuttavia, considerata soddisfatta nel caso in cui gli Stati stabiliscano una lista di attivit che non necessitano di valutazione (ad esempio, la costituzione di alcuni tipi di societ innovative[146]) o fissino una soglia finanziaria dellimporto investito dal richiedente, al di sopra della quale la condizione delleffetto benefico si presume soddisfatta.

In entrambi i casi, il permesso di soggiorno rilasciato per un periodo predeterminato non superiore ai tre anni (ed rinnovabile per singoli periodi non superiori a tre anni)[147] nellarco dei quali il soggetto limitato allo svolgimento di lavori specifici o in campi specifici di attivit[148]. La ratio di tali limitazioni risiede, da una parte, nellidea che i diritti dei cittadini non comunitari aumentino in funzione della durata del soggiorno e, dallaltra, nel rispetto del principio di necessit economica. Per tanto ne risulta che i titolari di un permesso di soggiorno avranno un accesso facilitato al rinnovo e, con lentrata in vigore della direttiva sullo status dei cittadini terzi residenti di lungo periodo, essi potranno chiedere di ottenere tale status, in luogo del suddetto rinnovo. In linea con tale principio di estensione dei diritti, il soggetto potr operare in settori diversi solo dopo tre anni di attivit in ragione del fatto che se esso cambiasse lavoro immediatamente, operando in un settore od in una regione nei quali non vi carenza occupazionale, il principio secondo il quale lammissione dei lavoratori dei paesi terzi volta a colmare le carenze del mercato del lavoro dellUnione verrebbe vanificato. Per tanto, permesso un cambio di datore di lavoro ma non di settore di attivit professionale. Inoltre, sempre in considerazione della capacit complessiva di accoglienza, gli Stati potranno limitare il numero dei permessi di soggiorno attraverso delle disposizioni nazionali recanti il massimale deciso e i criteri in base ai quali verr stilata la graduatoria delle domande ritenute in eccesso[149].

Posto che lo stato di disoccupazione e le difficolt commerciali non possono di per s costituire un motivo sufficiente per la revoca del permesso (a meno che non eccedano i limiti temporali indicati[150]), lart. 11 della Proposta di Direttiva indica i diritti conferiti al titolare di tale permesso, quali:

a)              ingresso nel territorio dello Stato membro che ha rilasciato il permesso di soggiorno-lavoratore subordinato;

b)             reingresso nel territorio dello Stato membro che ha rilasciato il permesso di soggiorno-lavoratore subordinato dopo un'assenza temporanea;

c)              attraversamento di altri Stati membri ai fini dellesercizio dei diritti di cui ai punti a) e b);

d)             soggiorno nello Stato membro che ha rilasciato il permesso di soggiorno-lavoratore subordinato;

e)              svolgimento delle attivit ammesse dal permesso di soggiorno-lavoratore subordinato;

f)              parit di trattamento rispetto ai cittadini dell'Unione, almeno per quanto concerne:

i)      condizioni di lavoro, comprese quelle riguardanti il licenziamento e il trattamento economico;

ii)    accesso alla formazione professionale necessaria a completare le competenze necessarie ai fini dello svolgimento delle attivit ammesse dal permesso di soggiorno (diritto che pu essere riservato ai cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato nel loro territorio per almeno un anno[151]);

iii)   riconoscimento di diplomi, certificati e altre qualificazioni, rilasciati da un'autorit competente;

iv)   sicurezza sociale, compresa l'assistenza sanitaria;

v)    accesso ai beni e ai servizi a disposizione del pubblico ed alla fornitura di beni e servizi a disposizione del pubblico, ivi compresa lassistenza abitativa (diritto che pu essere riservato ai cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato nel loro territorio per almeno tre anni[152]);

vi)   libert d'associazione, adesione e partecipazione ad organizzazioni dei lavoratori o dei datori di lavoro nonch a qualsiasi organizzazione professionale di categoria, compresi i benefici che ne derivano.

Inoltre, affinch i migranti non perdano i contatti con il paese dorigine ed abbiano la possibilit di ritornarvi introdotta una protezione supplementare per quei cittadini che non abbiano maturato il diritto ad una pensione nellUnione n abbia la possibilit di trasferire i diritti di pensione maturati nel suo paese dorigine. Lart. 11, par. 3, per tanto, prevede la possibilit di ottenere la restituzione dei contributi versati al sistema previdenziale pubblico durante il periodo di validit del permesso di soggiorno.

Infine, le Sezione 2 della Proposta contiene una lista di categorie specifiche che attualmente ricevono un trattamento speciale dagli Stati membri, quali, ad esempio, i lavoratori stagionali, i lavoratori transfrontalieri e i lavoratori in trasferimento interno[153]. Questi ultimi, in particolare, non potranno ricoprire mansioni minori, ma dovranno essere degli specialisti, ossia possedere delle competenze particolari, o dovranno appartenere al personale di vertice. Nuovamente, le possibilit di tutela sono riconosciute ad una piccola percentuale dei lavoratori cittadini di Paesi terzi trasferiti in un Paese comunitario, allargando gli impegni assunti dagli Stati comunitari nel quadro dellaccordo GATS per le persone trasferite allinterno di una societ multinazionale ai trasferimenti allinterno di societ che operano nel settore manifatturiero, dei servizi ed, in generale, che hanno la loro sede daffari principale allinterno dellUnione.

Ad oggi, la concessione dei permessi di soggiorno disciplinata dalla legislazione nazionale ed anche nel caso in cui la direttiva venisse approvata oggetto dellarmonizzazione sarebbero le condizioni sostanziali per lingresso ed il soggiorno, permanendo la discrezionalit degli Stati di effettuare la programmazione degli ingressi.

 

2.3.3      La Proposta di direttiva sui lavoratori altamente qualificati: la Carta blu UE

 

La Proposta del Consiglio del 2001, come abbiamo descritto nel precedente paragrafo, stabiliva dei criteri comuni per lammissione dei lavoratori subordinati e autonomi cittadini di Paesi terzi, quali la prova della necessit economica e la prova degli effetti benefici, proponendo la creazione di una procedura nazionale di domanda per un unico titolo di soggiorno, comprendente il permesso di soggiorno e di lavoro in uno stesso atto amministrativo. Tale semplificazione rispondeva alle esigenze delle industrie europee, specie le piccole e le medie imprese, di porre in essere, in caso di carenze di manodopera, assunzioni rapide ed efficaci, le quali dovevano seguire un rigido principio di capienza del mercato del lavoro interno agli Stati membri.

Secondo le proiezioni Eurostat, alcuni Stati dellUnione stanno gi sperimentando gravi carenze di manodopera le quali, vista la costante diminuzione di popolazione in et lavorativa, non potranno che accentuarsi. Il dato della decrescita deve essere letto in combinato disposto con unaltra tendenza che emerge nei documenti di lavoro della Commissione che evidenzia come lUnione, in un contesto internazionale fortemente competitivo, non venga considerata una meta prediletta dai professionisti altamente qualificati, bens dai lavoratori privi di qualifiche o in possesso di qualifiche medie. Ad esempio, l87% di questi ultimi provenienti dal Maghreb sono diretti in Europa mentre il 54% degli immigrati altamente qualificati provenienti dagli stessi paesi si trova negli Stati Uniti o in Canada. In generale, si calcola che l85% della forza lavoro non qualificata approda in Europa, mentre gli USA ne accolgono solo il 5%. Al contrario, il 55% dei lavoratori qualificati vengono attratti dal sistema americano, mentre allUE resta solo un misero 5%[154].

Per tali motivi, al fine di rispondere alla domanda di personale qualificato delle imprese europee, lUnione prende esempio dalla green card nordamericana descrivendo, nella Proposta di direttiva del 23 ottobre del 2007[155], il progetto della Carta blu UE. Tale Proposta rivolta a coloro i quali vogliano svolgere nel territorio europeo e per pi di tre mesi un lavoro reale ed effettivo sotto la direzione di unaltra persona, per il quale una persona viene retribuita e per il quale sono richiesti titoli di istruzione superiore o almeno tre anni di esperienza professionale equivalente[156] (al fine di includere dirigenti affermati, professionisti che non hanno bisogno di un diploma post-secondario per esercitare la loro attivit). Per ottenere tale documento il soggetto dovr presentare, al pari dei lavoratori subordinati, oltre ad un documento di viaggio valido e allassicurazione contro le malattie, un contratto di lavoro valido o unofferta di lavoro vincolante[157] nei quali, secondo le modifiche apportate dalla Commissione occupazione e affari sociali del Parlamento europeo, il salario mensile indicato dovr essere pari non gi a tre volte la retribuzione media nazionale, ma a un importo totale di 1,7 volte lo stipendio medio. E prevista una deroga per i giovani professionisti di et inferiore ai 30 anni che, non disponendo dellesperienza professionale necessaria per ambire a salari elevati, dovranno aver completato gli studi di istruzione superiore in un campo collegato allattivit da svolgere secondo il contratto di lavoro.

I soggetti richiedenti che rispettino tali condizioni potranno ottenere lautorizzazione recante il termine Carta blu UE la quale, di validit iniziale di due anni (rinnovabile per un periodo almeno equivalente), autorizza il titolare ad entrare, rientrare e soggiornare nel territorio dello Stato membro che la rilascia, nonch a passare attraverso il territorio di altri Stati membri al fine di esercitare i diritti sovra indicati[158]. Inoltre, al soggetto verr garantita la possibilit di accesso al mercato del lavoro (eventuali cambiamenti dei rapporti di lavoro devono essere autorizzati per iscritto in via preliminare dalle autorit competenti dello Stato membro) ed un ventaglio di diritti simili a quelli gi previsti nella Proposta relativa i lavoratori subordinati e autonomi, fra i quali spicca il diritto al ricongiungimento familiare (sono previste alcune deroghe alla direttiva 2003/86/CE) e lautorizzazione per il soggetto (ed i suoi familiari) di soggiornare in altri Stati membri per esercitarvi unattivit lavorativa altamente qualificata. In tale caso, il secondo Stato membro potr anche rifiutare il rilascio della nuova Carta blu UE, obbligando il richiedente (ed, eventualmente, i suoi familiari) a lasciare il territorio pagando non solo le spese relative al rientro, ma anche quelle eventualmente sostenute dai fondi pubblici. In tale evenienza, tuttavia, il primo Stato membro dovr riammettere il soggetto immediatamente senza procedure formali[159]. Inoltre, conclusa lesperienza lavorativa, il lavoratore in possesso della Carta Blu potr avere a disposizione altri sei mesi di soggiorno per cercare un altro impiego.

Il provvedimento descritto, pur rappresentando un tentativo di risposta e di soluzione alle problematiche insite al sistema economico europeo, ha creato profonde perplessit in seno alle istituzioni europee, nazionali, nonch nellambito delle organizzazioni della societ civile e, ad ora, non ancora stato adottato. I motivi principali addotti, principalmente, da queste ultime, fanno riferimento ad una serie di meccanismi nocivi che tale direttiva potrebbe indurre a creare.

In primo luogo, essa il risultato di valutazioni di carattere utilitaristico che inducono ad una selezione-esclusione di coloro che non sono qualificati e che, per tanto, non possono rappresentare una risorsa valida, in termini economici, per lEuropa. Tale meccanismo, di per s, non ha carattere negativo ma, inserito in un contesto europeo privo di una regolamentazione uniforme dei lavoratori subordinati ed autonomi e nel quale le legislazioni degli Stati membri sono difformi e spesso carenti, prende le vesti di unenorme massa di immigrati che, necessari per leconomia comunitaria e per il sostentamento dei sistemi previdenziali (soprattutto per Stati vecchi quali la Spagna e lItalia), accedono in maniera irregolare e lavorano in nero nei nostri Paesi. Alla luce di tale fenomeno, la Carta Blu non fa che accentuare il divario tra immigrati qualificati e il pi folto bacino di coloro che non hanno potuto accedere ai sistemi di istruzione, configurandosi, paradossalmente, come strumento di impoverimento per i Paesi dorigine. Attirare personale qualificato, in luogo di una pi sana politica di cooperazione e di finanziamento che metta in grado dei Paesi in via di sviluppo di formare, trattenere e sfruttare i propri cervelli, significa rubare a tali Paesi proprio quel capitale umano di cui essi necessitano per la propria crescita.

 

2.4           Il trattamento dellammesso

 

Il trattamento del cittadino di un paese terzo che soggiorna nel territorio di uno Stato membro disciplinato dalla normativa nazionale, salvo le prescrizioni previste dal diritto comunitario e dalle Convenzioni internazionali sui diritti umani. In particolare, poich lintegrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri costituisce un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale[160], la Comunit ha adottato nel 2003 una direttiva che introduce per i cittadini extracomunitari soggiornanti legalmente ed ininterrottamente per cinque anni nel territorio di uno Stato membro[161] la possibilit di ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo. Al fine di acquisire tale status, il soggetto dovr soddisfare non solo il menzionato requisito temporale (e, quindi, la durata del soggiorno almeno quinquennale quale testimonianza del radicamento del richiedente nel paese in questione), ma deve altres dimostrare di disporre di un reddito sufficiente e di unassicurazione di malattie in modo da non diventare un onere per lo Stato membro (nonostante venga affermato che le considerazioni economiche non dovrebbero essere un motivo per negare lo status di soggiornante di lungo periodo e non sono considerate come uninterferenza con i pertinenti requisiti[162]), oltre a non rappresentare una minaccia per lordine pubblico e la sicurezza interna. Il rispetto di tali condizioni, le quali, a ben vedere sono le stesse richieste al cittadino dellUnione che voglia esercitare la libera circolazione, ed il riconoscimento dello status di soggiornante di lungo periodo sono attestati da un permesso di soggiorno (permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) valido per almeno cinque anni e, previa richiesta, automaticamente rinnovabile[163].

Lo status di soggiornante di lungo periodo, in quanto strumento di integrazione sociale dello straniero, garantisce al suo titolare la parit di trattamento con i cittadini dello Stato membro in una vasta gamma di settori economici e sociali[164], quali:

a)              lesercizio di unattivit lavorativa subordinata o autonoma, purch questa non implichi nemmeno in via occasionale la partecipazione allesercizio di poteri pubblici, nonch le condizioni di assunzione e lavoro (comprese quelle di licenziamento e di retribuzione). Gli Stati possono limitare il godimento di tale diritto fissando delle limitazioni allaccesso al lavoro nei casi in cui la legislazione nazionale o comunitaria riservino dette attivit ai cittadini dello Stato membro in questione;

b)             listruzione e la formazione professionale, comprese le borse di studio e gli assegni scolastici secondo il diritto nazionale. Gli Stati possono subordinare laccesso a tali settori al superamento di una prova del possesso di adeguate conoscenze, rimanendo tuttavia sottoposti allobbligo di concedere ai figli minori laccesso al sistema educativo a condizioni analoghe a quelle previste per i propri cittadini;

c)              il riconoscimento di diplomi, certificati, e altri titoli professionali secondo le procedure nazionali;

d)             le prestazioni sociali, la protezione sociale e lassistenza sociale ai sensi della legislazione nazionale. Esse possono essere limitate alle prestazioni essenziali, le quali tuttavia dovrebbero comprendere almeno un sostegno di reddito minimo, lassistenza in caso di malattia, di gravidanza, lassistenza parentale e a lungo termine, come determinate dalla legislazione nazionale;

e)              le agevolazioni fiscali;

f)              laccesso e lerogazione di beni e servizi a disposizione dl pubblico, nonch alla procedura per ottenere un alloggio;

g)             la libert di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro o a qualunque organizzazione professionale di categoria, compresi i vantaggi che ne derivano, fatte salve le disposizioni nazionali in materia di ordine pubblico, sicurezza interna e pubblica sicurezza[165];

h)             il libero accesso a tutto il territorio dello Stato membro (secondo i limiti che la normativa nazionale stabilisce per ragioni di sicurezza).

Affinch lesercizio del diritto di soggiorno sia effettivo, il soggiornante di lungo periodo pu recarsi in uno Stato membro diverso da quello che gli ha conferito lo status al fine di porvi in essere unattivit lavorativa subordinata o autonoma, per studio o anche per dimorarvi senza lavorare. In tale secondo Stato egli deve godere dello stesso trattamento garantitogli nello Stato concedente lo status, comprensivo del riconoscimento della possibilit di stabilimento al suo seguito dei familiari, affinch sia garantita lunit familiare e non venga ostacolato lesercizio del diritto di soggiorno. Nel caso in cui tale secondo Stato membro conferisca al soggetto lo status di soggiornante di lungo periodo, esso non avr pi diritto al primo permesso acquisito. Altri motivi di perdita (senza riacquisto) del suddetto status sono connessi alla sua acquisizione fraudolenta, alladozione di un provvedimento di allontanamento, alla costatazione di unassenza dal territorio comunitario per un periodo di dodici mesi consecutivi, o nel caso in cui il soggetto rappresenti una minaccia per lordine pubblico (tale considerazione deve essere effettuata in base allanalisi dei reati commessi e non motivo di allontanamento). Nonostante la direttiva riconosca ai singoli Stati la facolt di espellere, seppur in circostanze eccezionali, chi abbia gi ottenuto lo status, e a questi riservi la disciplina delle procedure per la sua acquisizione, essa simbolo di un importante sviluppo in direzione del riconoscimento di un legame fra processo di acquisizione dei diritti e requisito della residenza, in luogo di quello di cittadinanza. E, infatti, la residenza legale da almeno 5 anni ed il possesso di risorse stabili e regolari sufficienti per il proprio sostentamento, non gi lo strumento della naturalizzazione, a garantire al lavoratore extracomunitario (e alla sua famiglia) la possibilit di rimanere nel Paese daccoglienza per un tempo indefinito, di partecipare alla sua vita economica e di accedere ai servizi sociali negli stessi termini dei cittadini del suddetto Stato membro.

Per quanto concerne, invece, lapplicazione dei sistemi di sicurezza sociale, appare necessario ricordare che, qualche mese prima dellintroduzione dello status di soggiornante di lungo periodo, in sede di Consiglio era stato approvato il regolamento (CE) n. 859/2003[166], attraverso il quale le disposizioni previste dal regolamento (CEE) n. 1408/71[167] e dal regolamento (CEE) n. 574/72[168] erano estese ai cittadini di paesi terzi legalmente soggiornanti nella Comunit ai quali tali disposizioni non fossero gi applicabili in ragione della nazionalit.

Il regolamento (CEE) n. 1408/71, ed il relativo regolamento d'applicazione (CEE) n. 574/72 (che ne espone nei dettagli l'applicazione pratica, quali le autorit nazionali responsabili, le formalit amministrative, ecc), uno strumento volto a coordinare (non armonizzare) le legislazioni nazionali in tema di previdenza sociale al fine di proteggere ed applicare i regimi di sicurezza sociale ai lavoratori dipendenti e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunit. Tale documento, pur essendo abrogato e sostituito dal pi recente regolamento (CE) n. 883/2004[169], resta in vigore ed i suoi effetti restano validi in relazione al regolamento (CE) n. 859/2003, che, come gi premesso, allarga il campo dapplicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 ai cittadini di paesi terzi (in particolare, ai lavoratori subordinati o autonomi che siano o siano stati assicurati ai sensi della legislazione nazionale in uno o pi Stati membri, ai dipendenti pubblici, agli studenti, ai pensionati, ai familiari o superstiti qualunque sia la loro nazionalit e purch residenti in uno Stato membro). Tuttavia, per definire precisamente il campo di applicazione ratione personarum, risulta necessario stabilire quali cittadini provenienti dai paesi terzi possano godere di un certa mobilit intracomunitaria, esistendo una sostanziale differenza tra coloro che hanno ottenuto un visto di breve periodo e coloro i quali abbiano ottenuto lo status di soggiornanti di lungo periodo. I primi potranno circolare nei territori dellUnione per un massimo di tre mesi, senza poter accedere al mercato del lavoro dello Stato ospite. Al contrario, potranno spostare la propria residenza alcune categorie di persone quali, ad esempio, gli studenti ed i titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo, potendo questultimi accedere anche al mercato del lavoro di un altro Stato membro[170].

Coloro i quali rientrano nellambito di applicazione del regolamento, secondo un principio di parit di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, sono soggetti agli obblighi e sono ammessi al beneficio della legislazione di ciascun Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato[171], potendo godere, in linea di massima, di tutte le prestazioni acquisite nei vari Stati membri disciplinate nel regolamento: prestazioni di malattia, maternit, infortuni sul lavoro, pensionistiche, e prestazioni di disoccupazione (sono escluse lassistenza sociale e sanitaria). Nel caso specifico del lavoratore, il regolamento precisa che esso soggetto alla legislazione di uno Stato per volta, in particolare a quella del territorio in cui occupato e assicurato (anche se risiede nel Paese dorigine esso deve essere assicurato nel Paese in cui opera) o in cui, cessata lattivit lavorativa, risiede[172]. Inoltre, lUnione ha cercato di costruire un sistema entro il quale possa essere messa in atto una portabilit delle prestazioni sociali nel caso in cui il destinatario risieda in un Paese membro diverso, la quale riguarda sia le prestazioni in denaro (pensioni di invalidit, malattie, vecchiaia) che quelle in natura (ad esempio, lassistenza medica), anche se in tal caso esse sono erogate dal Paese competente il quale dovr essere rimborsato dallo Stato membro dorigine dellassicurato. Infine, alla luce del divieto di cumulo delle prestazioni in Stati diversi, prevista la possibilit di totalizzare i periodi nei quali si stati assicurati al fine di poter accedere a talune prestazioni.

Alla luce dei principi ora esposti, lerogazione dellindennit di malattia in denaro sar disciplinata secondo la legislazione del Paese nel quale si assicurati, a differenza di quella in natura (quale le vere e proprie cure), disciplinata dalla legislazione dello Stato membro nel quale essa conferita. Il soggetto richiedente potr accedere a tutte le prestazioni (se assicurato in un Paese diverso listituto curante sar rimborsato dallente dellassicurato), ad eccezione del caso in cui egli voglia recarsi in un altro Stato membro al fine specifico di ottenere delle cure. In tal caso, i costi sono sostenuti dallente con cui si assicurati solo previa autorizzazione statale, la quale conferita anche nel caso in cui le prestazioni, sebbene previste dalla legislazione del proprio Paese, non siano disponibili in un arco di tempo ragionevole.

Invece, per quanto concerne i diritti pensionistici, lapparato normativo europeo, basato sui regolamenti dell'Unione Europea in materia di sicurezza sociale che si fondano sui principi della parit di trattamento e della cumulabilit dei periodi contributivi previdenziali[173] (vedi sentenza Gottardo[174]), si scontra con la disomogeneit insita nei diversi sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri. Tali differenze, che riguardano soprattutto la disciplina dei criteri di accesso alle prestazioni previdenziali (pensioni di anzianit, invalidit, superstiti, ecc.), rendono pi complessa l'applicazione completa della portabilit di alcune prestazioni connesse all'esercizio di taluni diritti riconosciuti nei diversi regimi (es.: prepensionamento, previdenza complementare, pensionamento anticipato)[175]. Tali difficolt, infine, devono essere analizzate alla luce del ridimensionamento del peso del sistema previdenziale di base (obbligatorio) causato dalle riforme a favore dei sistemi di secondo e terzo pilastro poste in essere nei vari Stati membri, il quale mina leffettivit offerta dagli stessi regolamenti comunitari.

Questultimi prevedono, in merito alle pensioni di vecchiaia, che i contributi versati non vadano persi, bens, se il soggetto ha prestato la propria attivit lavorativa in Paesi diversi, maturando periodi contributivi diversi in differenti Paesi non sufficienti, da soli, a consentire il diritto al pensionamento in alcuno dei Paesi medesimi nei quali fosse richiesta un'anzianit contributiva minima[176], egli potr ricongiungere, totalizzare, i diversi contributi maturati in ogni Stato in cui stato assicurato per almeno 52 settimane. La pensione sar corrisposta indipendentemente dal luogo in cui risiede il soggetto (nellUnione o nello Spazio Economico Europeo[177]) ed in modo non oneroso, essendo prevista una riduzione della franchigia contributiva richiesta da molti sistemi previdenziali dei Paesi dell'Unione o extra comunitari, ai fini dell'accesso alle prestazioni pensionistiche di vecchiaia o di anzianit.

Il problema sorge, tuttavia, nei casi in cui lo Stato dorigine a cui faccia ritorno il lavoratore sia sito in territorio extra europeo o se in tale territorio il soggetto abbia lavorato per un periodo significativo di tempo. In tali casi di rilevanza internazionale, la totalizzazione delle carriere lavorative e previdenziali affidata ad un regime di convenzioni bilaterali abbastanza sviluppato[178] (anche se restano scoperti ancora numerosi Paesi nel mondo[179]) la cui efficacia, talvolta, rafforzata da delle clausole aperte (ad esempio, quella prevista per lArgentina) in virt delle quali i contributi previdenziali italiani e quelli del Paese contraente sono cumulabili con quelli di qualunque altro paese terzo che abbia, a sua volta, concluso accordi con l'Italia o con il Paese contraente[180]. Nel caso in cui, tuttavia, le Convenzioni siano stipulate bilateralmente solo fra alcuni dei Paesi extracomunitari nei quali il lavoratore ha operato, non sar possibile realizzare la cumulabilit totale dei diversi periodi contributivi, negando al soggetto il pieno esercizio del proprio diritto al pensionamento.

In materia di previdenza complementare, invece, la definizione di una protezione sociale sufficiente in caso di spostamento del lavoratore all'interno della Comunit risulta ancora problematica e si pi volte scontrata non solo con le posizioni degli Stati membri ma anche con le pronunce della Corte di Giustizia che ha dichiarato la non applicabilit del regolamento alle pensioni integrative anche nel caso in cui queste risultino essere di natura obbligatoria[181].

Conclusioni

 

LUnione Europea si presenta, oggi, come unarea ad alta concentrazione di immigrati la cui presenza rappresenta uno strumento indispensabile per compensare linsufficiente ricambio naturale dovuto alla lenta involuzione demografica europea e le carenze di manodopera e di personale qualificato negli Stati membri. Tale presenza, stando non solo alle esigenze demografiche ed economiche descritte, ma anche alle sempre pi tragiche condizioni in cui versano molti Stati del sud del mondo (che sono anche Stati di forte emigrazione), destinata ad aumentare.

A tale incremento, tuttavia, lUnione ed i suoi Stati membri rispondono con una strategia di governance del tutto insufficiente e carente di regole uniformi, in questioni quali laccesso dei lavoratori, e di quella coordinazione adeguata tra Stati volta ad incentivare una condivisione efficace delle informazioni sensibili. Lo sviluppo parallelo ed armonioso delle politiche nazionali e comunitarie rappresenta un traguardo fondamentale per gli stessi Stati membri non solo a causa della globalit del fenomeno migratorio, ma in ragione della caratteristica prettamente transnazionale che esso assume nei territori dellUnione. Lassenza di controlli alle frontiere nello spazio Schengen, la politica comune dei visti e lo stretto legame economico e sociale fra i Paesi dellUnione trasformano il territorio europeo in unenorme cassa di risonanza nella quale le misure adottate in uno Stato membro hanno una eco, un impatto pi che probabile negli altri Stati. Nonostante ci, lo sviluppo della politica comunitaria in materia di immigrazione ed asilo si vede ancor oggi ostacolata da fattori quali la permanenza della regola dellunanimit in sede di Consiglio, la mancanza di statistiche comunitarie comparabili, lesistenza di meccanismi di monitoraggio e valutazione inadeguati, la poca informazione reciproca, ai quali si aggiungono politiche nazionali inefficaci (ad esempio nel settore dellintegrazione degli immigrati regolari) ed una insufficiente partecipazione degli immigrati allelaborazione di quelle stesse politiche dintegrazione di cui sono i principali destinatari e fruitori.

Adottare un approccio europeo alla questione migratoria non significa concentrare i propri sforzi unicamente nellelaborazione di strumenti che hanno un impatto nel territorio comunitario, bens comporta la creazione di una rete di partenariati con i Paesi terzi realmente efficace. Al fine di ridurre limpatto del problema in questione risulta indispensabile capirne lorigine, operando quindi per arginare i diversi motivi di fuga dai Paesi di forte emigrazione: conflitti, catastrofi naturali, sistemi politici inesistenti in quanto corrotti ed instabili, mercati del lavoro compromessi.

Tuttavia, poich lo strumento della cooperazione rappresenta ancora una politica in crisi in Europa (per sprechi ed inefficacia), larma alla quale si sono aggrappate la maggior parte delle classi politiche europee stata quella dellespulsione. Questultima, pur costituendo un delicato strumento per ordinare la permanenza e gli accessi al territorio degli Stati membri e al mercato del lavoro comunitario, troppe volte stata eretta a chiave di volta per arginare definitivamente il problema immigrazione, venendo sfruttata, nonostante la sua importanza (essa incide pesantemente sulla vita di coloro che ne sono soggetti), come strumento di legittimazione politica. Per tanto, non appare casuale il fatto che essa sia ancora parzialmente affidata alla disciplina nazionale: lo Stato pu respingere il soggetto che non risponde ai requisiti necessari per entrare nellarea Schengen[182], ovvero pu decidere di allontanarlo quando esso rappresenti una minaccia grave per lordine pubblico, la sicurezza nazionale, o nel caso in cui abbia violato le normative nazionali relative allingresso ed al soggiorno. Tale decisione riconosciuta anche dagli altri Stati membri e pu essere eseguita, per volere dallo Stato membro autore della decisione di allontanamento, nello Stato membro della Comunit in cui la persona si trova (nominato, per tanto, Stato membro "di esecuzione")[183]. I limiti allapplicazione di tale procedura riguardano, in particolare, limpossibilit di espellere il soggetto verso uno Stato dove esso possa essere sottoposto a tortura o a trattamenti disumani o degradanti o al fine di tutelare lunit familiare. Sovvertire tali limiti ed utilizzare lo strumento dellespulsione in maniera univoca e senza inserirlo in un contesto di riforme e provvedimenti pi complesso, significa trasformarlo in un mero palliativo ad una questione che trae le proprie origini da un problema di dimensioni globali, dallenorme divario tra nord e sud del mondo. E nonostante lEuropa, come pi volte ribadito, necessiti di lavoratori migranti, anche se non specializzati, soprattutto nei settori dellassistenza, dellagricoltura, dellindustria e delledilizia, in mancanza di politiche comuni chiare e di direttive che disciplinino tali possibili entrate, possiamo a ragione chiederci quanti di loro entreranno ancora nei territori dellUnione illegalmente e senza alcuna forma di tutela, n per noi, n, soprattutto, per loro stessi.

 

 

 

 

Capitolo III

La tutela del lavoratore extracomunitario

e gli accordi di associazione

 

Introduzione

 

Le Comunit europee, in quanto enti dotati di una propria personalit giuridica internazionale, agiscono nella vita di relazione internazionale, intrattenendo rapporti, oltre che con gli Stati membri, anche con gli Stati che non fanno parte delle Comunit medesime.

Tali rapporti si esplicano nella prassi consistente nellinvio di missioni diplomatiche temporanee o permanenti in Stati terzi (nonch nellaccreditamento di missioni diplomatiche di tali Stati terzi presso i presidenti della Commissione e del Consiglio), nellinstaurazione di collegamenti fra le Comunit e altre organizzazioni di cooperazione europea ed internazionali (specialmente con lOrganizzazione delle Nazioni Unite), nella partecipazione a varie trattative internazionali, quali in passato i negoziati tariffari nel quadro dellAccordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT). Tuttavia, lespressione pi significativa della capacit di un ente di agire sul piano delle relazioni internazionali rappresentata dalla conclusione di Accordi con Stati terzi, competenza conferita alle Comunit dalle disposizioni del Trattato relative alla conclusione di accordi nel quadro della politica commerciale (art. 133 CE), di Accordi di associazione (art. 310 CE), nonch dellart. 300 CE, il quale stabilisce in via generale la competenza delle istituzioni in proposito[184].

Al nostro fine, rilevano in particolare gli accordi noti come Association, Co-operation, Europe Agreements, o Euro-Mediterranean Agreements, che istituiscono unassociazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari[185] e sono stipulati attraverso una particolare procedura (la quale si applica, tuttavia, anche ad altri tipi di accordi) indicata allart. 300 del Trattato, il quale prevede, in via generale, che i negoziati volti alla conclusione degli accordi siano avviati e condotti dalla Commissione (in seguito allautorizzazione del Consiglio) in consultazione con i comitati speciali designati dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle direttive che il Consiglio pu impartirle. Tuttavia, fatte salve le competenze riconosciute alla Commissione in questo settore, la firma, eventualmente accompagnata da una decisione riguardante l'applicazione provvisoria prima dell'entrata in vigore, e la conclusione degli accordi sono decise dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Il Consiglio delibera all'unanimit quando l'accordo riguarda un settore per il quale richiesta l'unanimit sul piano interno, nonch per gli accordi di cui all'articolo 310[186].

Lesistenza di accordi stipulati con paesi differenti e la presenza in essi di un ventaglio di diritti pi o meno ampio fa emergere la necessit di individuare diverse tipologie di accordi, distinguendo: lAccordo di associazione con la Turchia[187], gli Accordi di cooperazione con i Paesi del Maghreb (oggi divenuti Euro-Mediterranean Agreements)[188], gli Accordi di partenariato con la Russia[189], gli Accordi con i Paesi ACP[190], gli Accordi di associazione conclusi con Malta e Cipro[191], gli Accordi conclusi con i Paesi dellEuropa centro-orientale[192], lAccordo bilaterale stipulato con la Svizzera[193], lAccordo istitutivo dello spazio SEE[194].

In merito ai suddetti accordi, pare significativo fare delle precisazioni.

Per quanto concerne gli accordi stipulati con lEuropa centro- orientale, necessario specificare che, se per Malta e Cipro furono ritenute immediatamente applicabili tutte le disposizioni comunitarie compreso il libero accesso al territorio comunitario, temendo un eccessivo afflusso di manodopera a basso costo proveniente dagli Stati pi poveri, lUnione ha subordinato il godimento della libera circolazione dei lavoratori delle tre repubbliche baltiche, di Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Ungheria, Slovenia, Romania e Bulgaria (le restrizioni non si applicano alla libera prestazione di servizi, alla libert di stabilimento, agli studenti, ai pensionati, ai turisti, ecc), alla conclusione di un periodo transitorio che pu raggiungere, a discrezione degli Stati, una durata massima di sette anni. Poich durante tale periodo laccesso al territorio degli altri Stati membri regolato dal diritto nazionale e dagli accordi bilaterali conclusi, i cittadini neo-comunitari che vogliono accedere ai territori dellUE-25 si vedranno garantito il diritto di ingresso per svolgere unattivit autonoma (secondo quanto previsto dagli accordi) ma dovranno ottenere un permesso di lavoro per accedere al lavoro dipendente, bench venga loro garantita una priorit di ammissione rispetto ai cittadini di Stati terzi. Nonostante questo particolare status transitorio, a decorrere dalla data di adesione, ha trovato applicazione il sistema comunitario di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale contenuto nei Regolamenti 1408/71 e 574/72, il quale tutela i contributi versati e garantisce la copertura assicurativa nel Paese in cui si opera. Per quanto concerne, invece, coloro i quali sono gi regolarmente ammessi al mercato del lavoro di uno Stato membro per un periodo di almeno 12 mesi alla data delladesione, essi ed i propri familiari[195] godranno di un accesso diretto al mercato del lavoro dello Stato interessato (ma non automaticamente a quello di un altro Stato dellUnione); nel caso in cui, invece, decidano di uscire dal mercato del lavoro di tale Stato, perderanno il diritto di accedervi liberamente fino al termine del periodo transitorio. Se le disposizioni previste sono ammorbidite attraverso la clausola di standstill, che vieta agli Stati membri dellUE-25 di rendere laccesso al mercato del lavoro pi restrittivo rispetto alla quota di lavoratori prevista precedentemente la data della firma del trattato di adesione, daltra parte stata introdotta la possibilit per uno Stato membro dellUE-25 di invocare, dopo la sospensione delle restrizioni basate sulle disposizioni nazionali e lintroduzione della libera circolazione dei lavoratori conformemente alla legislazione comunitaria, la clausola di salvaguardia. Attraverso questultima gli Stati possono chiedere a Commissione e Consiglio la possibilit di reintrodurre delle restrizioni qualora sussistano delle gravi difficolt nel mercato del lavoro nazionale o vi siano dei rischi in tale senso. Per tanto, se non saranno invocate clausole di sicurezza entro il 2011 (per gli Stati che hanno aderito nel 2004) ed entro il 2014 (per Romania e Bulgaria), il rapporto tra i nuovi Stati membri e lUnione in materia di lavoratori, oggi disciplinato in alcuni Stati dalla normativa nazionale e dalle disposizioni previste negli Accordi Europei, compier la sua definitiva europeizzazione. A dimostrazione di ci, il 27 luglio 2006 il governo italiano ha rinunciato ad invocare le disposizioni del regime transitorio regolante la libera circolazione dei lavoratori di Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, e Repubblica Ceca, del quale, tuttavia, ha continuato ad avvalersi per un anno prima di liberalizzare completamente l'accesso al lavoro subordinato dei cittadini provenienti dalla Romania e dalla Bulgaria. Nonostante tale proroga, fu sancita lapertura immediata di alcuni settori di tradizionale impiego di tali lavoratori, quali quello agricolo, quello turistico ed alberghiero, il lavoro domestico e di assistenza alla persona, il settore edilizio e metalmeccanico, nonch quello dirigenziale ed altamente qualificato.

Per quanto concerne i rapporti con la Svizzera, lUnione ha concluso con il suddetto Stato un accordo relativo alla libera circolazione che introduce una disciplina analoga a quella prevista dal diritto comunitario. In tal caso, tuttavia, il periodo transitorio ha avuto una durata di 12 anni ed stato suddiviso in tre fasi: fino al maggio del 2004 la Svizzera ha mantenuto i contingenti per i lavoratori comunitari dando priorit a quelli svizzeri e lUnione ha garantito la priorit ai cittadini comunitari; fino al maggio del 2007 la Svizzera ha rinunciato al principio di priorit del lavoratore nazionale, mantenendo tuttavia le quote di lavoratori comunitari che, ad oggi, ha abolito conservando, tuttavia, il diritto di invocare la clausola di salvataggio in caso di eccessivo flusso di lavoratori nei suoi territori.

In tema di rapporti con la Russia, invece, sono iniziati a Bruxelles il 4 luglio 2008 i negoziati fra lUnione europea e tale Stato per la conclusione di un nuovo accordo di partenariato strategico che dovrebbe sostituire quello siglato nel 1994. Questultimo, caratterizzato da una natura essenzialmente economica (lEuropa importa circa il 50% di gas e il 30% di petrolio dalla Russia) entrato in vigore nel 1997 e nel 2005 stato completato con un ulteriore accordo volto alla realizzazione di quattro spazi comuni: lo spazio economico, lo spazio di libert, sicurezza e giustizia, lo spazio di sicurezza esterna e lo spazio dedicato alla ricerca e allistruzione. Ad oggi, tuttavia, tali negoziati sono stati sospesi in seguito al conflitto scoppiato nellagosto del 2008 tra Russia e Georgia per il controllo dellOssezia del Sud, formalmente una provincia autonoma provvisoria della Georgia autoproclamatasi Repubblica indipendente e riconosciuta da Nicaragua e Russia, la quale ne garantisce anche la tutela militare.

Nei paragrafi successivi oggetto di analisi non saranno tutti gli accordi indicati, bens uno in particolare, cio quello che nel 1964 ha sancito la nascita di unassociazione tra la Comunit economica europea e la Turchia. Tale scelta stata determinata, in primis, dal fatto che laccordo sancente tale associazione, quale quello che legava la Grecia alla CEE[196] prima del suo passaggio allo status di Stato membro, fu uno dei primi ad includere disposizioni specificamente dedicate allo svolgimento di unattivit lavorativa. Tali disposizioni, inoltre, sono state sviluppate in maniera pi estesa che in qualsiasi altro accordo ed, unitamente alla legislazione derivata[197], sono state oggetto di numerose sentenze interpretative della Corte di giustizia europea estensive della disciplina prevista applicabile ai lavoratori turchi. Il fine di tale analisi porre in essere una valutazione della tutela prevista per i lavoratori turchi alla luce dellordinamento comunitario e delle norme di diritto derivato attraverso la ricostruzione delle relazioni che intercorrono fra i vari attori presi in considerazione: gli individui (nel caso di specie, i cittadini di nazionalit turca), gli Stati membri, gli Stati dorigine (nel nostro caso, la Turchia), la Comunit.

 

3.1          I lavoratori turchi, le disposizioni dellAccordo di Ankara e le Decisioni del Consiglio di associazione

 

Fin da prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, le attivit lavorative poste in essere in Europa dagli immigrati, percepite dagli Stati quali beneficio per le proprie industrie, sono state regolate attraverso accordi bilaterali e multilaterali. Nel 1958, anno in cui entra in vigore il Trattato CEE, tale forma di regolazione viene (parzialmente) innovata attraverso la previsione della costruzione di un mercato comune fondato sulle quattro libert: libera circolazione dei lavoratori, delle merci, dei servizi e dei capitali. La creazione di tale spazio comune avrebbe dovuto essere supportata dalloperato del Consiglio il cui compito, secondo quanto previsto dallart. 40 CE, sarebbe stato quello di adottare le misure necessarie per attuare la libera circolazione dei lavoratori. Al fine di ottemperare a tale compito, dopo un periodo di transizione caratterizzato da due regimi provvisori (i Regolamenti e le direttive del 1961 e del 1964), il Consiglio mette in atto il regime definitivo in materia di libera circolazione attraverso il Regolamento (CE) n. 1612/68 del 15 ottobre 1968 e la direttiva 68/360.

Nel medesimo periodo in cui la Comunit stava attraversando la fase di transizione verso la libera circolazione, la Repubblica federale tedesca stava sperimentando un decremento nellafflusso di manodopera proveniente dalla Germania dellest dovuto allinasprirsi della Guerra Fredda e alla costruzione del muro di Berlino[198]. E di fronte allampia disponibilit di posti di lavoro che i cittadini turchi (oltre a quelli italiani) iniziano ad essere reclutati in uno dei maggiori bacini di assorbimento di manodopera immigrata del territorio europeo. Secondo le stime, tra il 1960 e il 1968 il numero di stranieri nella Germania dellovest passa da 686.000 a quota 1.924.000, fino a raggiungere i 4.127.400 nel 1974 e i 4.453.300 nel 1980, la cui maggioranza composta da cittadini turchi[199]. Non appare strano, quindi, che, oltre alle prospettive di una futura adesione (la Turchia aveva presentato domanda di adesione il 31 luglio del 1959), anche il fenomeno migratorio influenzi la scelta delle disposizioni da inserire nellAccordo di Ankara entrato in vigore il 1 gennaio del 1964. Lart. 12 di tale Accordo, infatti, sancisce che le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli 48, 49 e 50 del Trattato che istituisce la Comunit per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori, mentre lart. 36 del Protocollo addizionale prevede la possibilit di usufruire di tale libert tra la fine del dodicesimo e del ventiduesimo anno dallentrata in vigore di detto Accordo. A differenza delle disposizioni del Trattato CE, per, gli articoli si limitano ad enunciare in maniera programmatica tale libert, non conferendo ai lavoratori turchi alcun diritto di entrare liberamente nel territorio comunitario per cercare il primo impiego, rientrando nella discrezionalit degli Stati membri regolare il loro accesso sul proprio territorio[200]. Listituzione di tale libert era funzionale, come accade nella storia della Comunit, alla progressiva realizzazione, in una prospettiva di allargamento, di ununione doganale finalizzata a promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le Parti[201]. Tale costruzione, secondo quanto previsto dallAccordo, articolata in tre fasi: una fase preparatoria, di durata quinquennale (salvo proroga), durante la quale la Turchia rafforza la propria economia con laiuto della Comunit; una fase transitoria, che non potr superare dodici anni e durante la quale sar attuato il ravvicinamento delle politiche economiche per assicurare il buon funzionamento dellAssociazione; una fase definitiva, caratterizzata dallistituzione e dal funzionamento dellunione doganale, la quale stata raggiunta il 31 dicembre 1995[202].

Nonostante la libera circolazione fosse stata concepita in una prospettiva di lungo periodo, ai lavoratori turchi era, ed tuttora, garantita la parit di trattamento sul lavoro con i cittadini degli Stati membri. A tale proposito, lart. 9 dellAccordo sancisce, in conformit al principio enunciato nellart. 7 del Trattato CE, il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalit nel campo di applicazione dellAccordo e senza pregiudizio delle disposizioni particolari eventualmente fissate in applicazione dellart. 8[203]. Tale divieto ulteriormente specificato allart. 37 del Protocollo addizionale, il quale sancisce che ciascuno Stato membro accorda ai lavoratori di nazionalit turca occupati nella Comunit un regime caratterizzato dall'assenza di discriminazioni fondate sulla nazionalit nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri della Comunit, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e la retribuzione.

In particolare, per quanto concerne i regimi di sicurezza sociale, lart. 39 del Protocollo addizionale[204] investe il Consiglio di associazione del compito di adottare, prima della fine del primo anno dallentrata in vigore del citato Protocollo, delle disposizioni in materia di sicurezza sociale a favore dei lavoratori di nazionalit turca che si spostano all'interno della Comunit e delle loro famiglie residenti nella Comunit. Tali disposizioni, ai sensi del secondo comma, dovranno permettere ai lavoratori di nazionalit turca, secondo modalit da fissare:

a)              il cumulo di periodi di assicurazione o di occupazione trascorsi nei vari Stati membri per quanto riguarda le pensioni e le rendite di vecchiaia, di decesso e d'invalidit, senza che ci comporti un obbligo per gli Stati membri della Comunit di prendere in considerazione i periodi trascorsi in Turchia;

b)             l'assistenza sanitaria del lavoratore e della sua famiglia residenti nella Comunit;

c)              il pagamento degli assegni familiari quando la famiglia del lavoratore risiede nella Comunit;

d)             lesportabilit in Turchia delle pensioni e delle rendite di vecchiaia, di decesso e di invalidit acquisite in virt delle disposizioni di tale articolo.

Al pari del Consiglio dellUnione europea, il quale aveva adottato tre successivi Regolamenti volti ad attuare la libera circolazione dei lavoratori prevista dal Trattato CE, il Consiglio di associazione, sulla scorta dellart. 39 citato, aveva adottato nel 1976 la Decisione n. 2, sostituita dalla Decisione n. 3/80 relativa allapplicazione dei regimi di sicurezza sociale degli Stati membri della Comunit, i cui destinatari sono i lavoratori turchi soggetti, ora come allora, alla legislazione di uno o pi Stati membri, i familiari di tali lavoratori residenti in uno Stato comunitario ed i loro superstiti[205].

Prestando attenzione ai dati riportati nella Tabella 1, la quale fornisce una visione comparata dellentrata in vigore delle diverse misure adottate, ci accorgeremo che le Decisioni del Consiglio di associazione sono tutte successive alla met degli anni 70. Tale scelta, la quale potrebbe apparire tardiva vista la precoce e consistente presenza nonch emigrazione di lavoratori turchi in Europa continentale, stata determinata dalla necessit di adottare nuove politiche pubbliche in seguito alla grande inversione di rotta del 1973-74, anni nei quali gli Stati chiudono le proprie frontiere ai lavoratori migranti in seguito alle ripercussioni negative della crisi economica internazionale sullandamento della crescita economica e sul tasso di disoccupazione.

 

Tab. 1 – Un raffronto: la legislazione della Comunit relativa ai lavoratori cittadini comunitari e turchi.[206]

Consiglio europeo

Consiglio di associazione

Libera circolazione dei lavoratori

1961 – Reg. (CEE) n. 51/61

1976 - Decisione n. 2/76

1964 – Reg. (CEE) n. 38/64

1980 – Decisione n. 1/80

1968 – Reg. (CEE) n. 1612/68

 

Regimi di sicurezza sociale

1971 – Reg. (CEE) n. 1408/71

1980 – Decisione n. 3/80

2004 – Reg. (CE) n. 883/2004

2003 – Reg. (CE) n. 859/2003

[Estensione del reg. (CEE) n. 1408/71 a tutti i lavoratori extracomunitari]

 

Sulla scia di quanto detto fino ad ora, nei paragrafi successivi parso significativo condurre unanalisi comparata dei Regolamenti e delle Decisioni indicate relative alla libera circolazione dei lavoratori (e dei loro familiari) e allapplicazione dei regimi di sicurezza sociale, la quale sar arricchita da costanti riferimenti alle sentenze attraverso cui la Corte di giustizia ha esteso ai lavoratori turchi ed ai loro familiari alcuni benefici non direttamente previsti, ma comunque necessari al godimento dei diritti garantiti. Il fine quello di creare, in conclusione della ricerca svolta, un quadro completo attraverso il quale leggere la differente tutela garantita ai lavoratori migranti cittadini comunitari, cittadini extracomunitari e cittadini della Repubblica turca.

La suddetta analisi sar preceduta dallesame di tre questioni preliminari la cui soluzione incide sulla struttura relazionare che caratterizza i legami tra cittadini turchi, Stati membri, Repubblica turca e Comunit. Tali questioni concernono il come ed il perch gli Accordi siano parte dellordinamento comunitario ed, in particolare, la redistribuzione delle competenze tra Comunit e Stati membri, la competenza della Corte di giustizia europea in materia di interpretazione dei suddetti Accordi nonch lefficacia delle Decisioni adottate dal Consiglio di associazione.

 

3.2          Il rapporto tra gli Accordi di associazione e lordinamento comunitario

 

3.2.1      La redistribuzione delle competenze fra Comunit e Stati membri

 

Gli effetti di carattere giuridico degli accordi internazionali conclusi dalla Comunit sono stati descritti da alcuni illustri giuristi attraverso il riferimento a due principi: gli accordi sono atti vincolanti secondo il diritto internazionale e devono essere rispettati secondo un principio di buona fede (pacta sunt servanda)[207]; gli accordi sono parte integrante dellordinamento comunitario[208].

In particolare, accordi quale quello che lega la Turchia allUnione Europea hanno carattere misto, indicando con tale aggettivo il fatto che parti dellaccordo, oltre allo Stato terzo, sono sia la Comunit che gli Stati membri, ai quali attribuito ladempimento degli obblighi assunti. Generalmente, in tipologie di accordi quali quelli di associazione e di cooperazione, la questione relativa alla redistribuzione delle competenze e delle responsabilit non ha ununica soluzione applicabile a tutte le situazioni, ma pu variare in relazione a come laccordo e le sue disposizioni sono interpretati. Ad esempio, potr esserci una naturale redistribuzione di competenze tra la Comunit e gli Stati membri qualora alcune materie degli accordi ricadano al di fuori della competenza comunitaria, ovvero potrebbe delinearsi una potenziale competenza esclusiva della Comunit.

Un esempio esplicativo di tale questione rinvenibile in una sentenza della Corte di giustizia europea del 1987 relativa allannullamento della Decisione di espulsione con minaccia di accompagnamento alla frontiera adottata dal Comune di Schwaebisch Gmuend nei confronti della signora Meryem Demirel[209]. Questultima, cittadina turca e moglie di un cittadino turco residente e impiegato nella Repubblica federale di Germania dal 1979, era in possesso di un visto valido solo a scopo di visita (escludente il ricongiungimento familiare) allo scadere del quale la signora non faceva ritorno al paese dorigine sostenendo di essere incita e di non avere in Turchia la possibilit n di alloggio n di risorse economiche proprie. Per tale motivo, la signora Demirel proponeva un ricorso al Verwaltungsgericht di Stoccarda mirante a fare annullare il procedimento di espulsione, nel quale risulta che le condizioni per il ricongiungimento familiare per i cittadini di paesi terzi introdotte dalla legge sugli stranieri fossero state inasprite nel 1982 e nel 1984, prevedendo un soggiorno ininterrotto nel territorio federale pari a 8 anni, condizione non soddisfatta dal marito della signora Demirel. Per tale motivo, il tribunale di Stoccarda sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: se il combinato disposto dellart. 12 dellAccordo di associazione CEE- Turchia e dellart. 36 del Protocollo addizionale con lart. 7 dellAccordo di associazione contenga un divieto, direttamente efficace, in forza del diritto comunitario negli ordinamenti nazionali, dimporre, tramite la modifica di una prassi amministrativa in vigore, nuove limitazioni alla libert di circolazione nei confronti dei lavoratori turchi legittimamente abitanti in uno Stato membro; se la nozione di libera circolazione quale risulta dallaccordo comprenda anche il ricongiungimento del coniuge e dei figli minori presso i lavoratori turchi abitanti in uno Stato della Comunit.

Per quanto concerne la prima questione pregiudiziale, relativa a stabilire se lart. 12 dellAccordo e lart. 36 del Protocollo, in correlazione con lart. 7 dellAccordo, costituiscano norme direttamente efficaci nellordinamento comunitario, essa risolta in termini negativi, non trovando applicazione il principio secondo il quale una disposizione di un Accordo stipulato dalla Comunit con i paesi terzi va considerata direttamente efficace qualora, tenuto conto del suo tenore letterale, nonch delloggetto e della natura dellAccordo, implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati alladozione di alcun atto ulteriore. Al fine di esaminare lesistenza di una corrispondenza tra la definizione ora esposta e le disposizioni dellAccordo di associazione CEE- Turchia, necessario premettere che, in merito al suo contenuto, questultimo enuncia gli scopi dellassociazione (rafforzare leconomia turca e riavvicinare le politiche economiche al fine di realizzare gradatamente ununione doganale) senza fissare direttamente norme precise per giungere a questa realizzazione (solo talune questioni specifiche sono disciplinate nel Protocollo addizionale e statuiscono norme dettagliate). Ad esempio, lart. 12 dellaccordo stabilisce che le Parti contraenti convengono di ispirarsi agli articoli 48, 49 e 50 del Trattato che istituisce la Comunit per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori. La definizione delle modalit di realizzazione di tali principi, secondo quanto previsto dallart. 36 del Protocollo addizionale, di competenza esclusiva del Consiglio di associazione il quale, ad oggi, ha adottato ununica Decisione, la n. 1/80, che vieta qualsiasi nuova restrizione nelle condizioni di accesso al lavoro nei confronti dei lavoratori turchi gi regolarmente inseriti nel mercato del lavoro comunitario. Per tanto, non solo non stata adottata alcuna Decisione in merito al ricongiungimento del nucleo familiare, ma, dallanalisi degli artt. 12 e 36, emerge che tali norme hanno portata essenzialmente programmatica e non costituiscono disposizioni sufficientemente precise ed incondizionate per poter disciplinare direttamente la circolazione dei lavoratori. Al pari di tali articoli, lart. 7 stabilisce un obbligo generale di cooperazione per il raggiungimento degli scopi dellaccordo, non potendo configurarsi quale fonte di un divieto di imporre nuove restrizioni per quanto riguarda il ricongiungimento familiare. Per tali motivi, entrambe le questioni vanno risolte in senso negativo. In particolare, in merito alla seconda questione pregiudiziale, interessante notare come la Corte abbia sancito che, dovendo essa vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali nella sfera del diritto comunitario, non pu sindacare la compatibilit di una disciplina nazionale che non rientra nellambito del diritto comunitario con lart. 8 della Convenzione europea dei diritti delluomo relativo al diritto al rispetto della vita privata e familiare[210].

In tema di rapporti tra la Comunit e degli Stati membri, il caso Demirel risulta emblematico poich dimostra come la competenza dellUnione in relazione agli Accordi di associazione con i paesi terzi cambi in relazione a quanto la stessa estesa internamente: quanto pi essa sviluppata allinterno (nel nostro caso, in relazione alle norme relative al ricongiungimento familiare), tanto pi essa si estender allesterno, cio nel rapporto con i Paesi terzi. Nella storia del diritto comunitario, come illustrato nel Capitolo 1, lo sviluppo della competenza interna della Comunit stato segnato, nel 1997, dallintroduzione dellart. 63 del Trattato di Amsterdam, il quale prevedeva che il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 67, entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam avrebbe dovuto adottare misure in materia di politica dell'immigrazione relative, ad esempio, alle condizioni di ingresso e soggiorno, alle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare. Tale articolo delinea, per tanto, una potenziale competenza esclusiva della Comunit che, ad oggi, stata faticosamente utilizzata generando parte delle direttive attuali relative al ricongiungimento familiare e alla disciplina dello status di soggiornante di lungo periodo.

Nonostante, come vedremo, la Corte abbia sancito che gli Accordi di associazione fanno parte integrante dellordinamento comunitario, la responsabilit per lattuazione degli impegni in essi contenuti dipende quindi dalla divisione di competenze posta in essere tra Comunit e Stati membri: se alla Comunit riconosciuta una competenza esclusiva in un determinato ambito previsto anche dagli accordi, essa potr esercitare una competenza esterna esclusiva; se essa non ha esercitato tale competenza questultima avr, nel migliore dei casi, carattere misto; infine, nel caso in cui la competenza sia riservata agli Stati membri, essi saranno gli unici responsabili dellattuazione degli impegni assunti. La risoluzione di tale questione rappresenta, ancor oggi, un nodo cruciale per lo sviluppo del diritto comunitario in materia di immigrazione.

 

3.2.2      La competenza in via pregiudiziale della Corte di giustizia delle Comunit europee

 

Nel corso del procedimento Demirel lAvvocato generale Darmon e la Corte, prima di affrontare e rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Verwaltungsgericht di Stoccarda, avevano esaminato le osservazioni proposte dal governo tedesco e da quello britannico i quali avevano sollevato un quesito preliminare relativo alla competenza della Corte. A tale proposito, essi sostenevano che la natura mista dellAccordo incidesse sulla natura comunitaria dello stesso, trasformando un atto delle istituzioni della Comunit in un atto di diritto internazionale pubblico. Per tanto, le disposizioni relative alla circolazione dei lavoratori venivano fatte rientrare nella competenza esclusiva degli Stati membri e la competenza della Corte veniva esclusa, non trovando applicazione lart. 177[211] (attuale art. 234 CE). Premesso ci, secondo i due Stati membri, il rispetto degli impegni assunti e la risoluzione delle controversie relative agli Accordi spettava unicamente al Consiglio di associazione il quale, secondo quanto previsto dallAccordo, dispone di un potere decisionale[212] attraverso il quale formula delle misure idonee al raggiungimento degli scopi dellassociazione e dirime le controversie, potendo decidere di sottoporle alla Corte di giustizia delle Comunit europee o ad ogni altro organo giurisdizionale esistente[213].

La questione preliminare posta dai due Stati membri trova una risposta chiaramente argomentata dall Avvocato generale Darmon e dalla Corte i quali, anzitutto, ricordano come questultima abbia affermato nella sentenza Haegeman[214], relativa allinterpretazione dellAccordo di Atene, anchesso un Accordo di carattere misto, che: LAccordo dAtene stato concluso dal Consiglio in conformit agli artt. 228[215] e 238[216] del Trattato []. Esso costituisce quindi, per quanto riguarda la Comunit, un atto compiuto da una delle istituzioni della Comunit nel senso di cui allart. 177, 1 comma, lett. b). [] Le sue disposizioni formano, dal momento della sua entrata in vigore, parte integrante dellordinamento comunitario []. La Corte perci competente, nellambito del suddetto ordinamento, a pronunciarsi in via pregiudiziale sullinterpretazione dellAccordo stesso.

Inoltre, per quanto concerne la competenza esclusiva degli Stati membri, necessario osservare che le disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori rientrano in un Accordo di associazione il cui scopo riavvicinare sempre pi gli ordinamenti economici e giuridici onde giungere ad una futura adesione della Turchia alla Comunit. Per tanto, se lo scopo realizzare unaccettazione integrale degli obblighi previsti dal Trattato, necessario che tutte le materie oggetto di tale accettazione (quali le libert fondamentali necessarie alla instaurazione del mercato comune) siano incluse nellAccordo in una prospettiva comunitaria, che esse siano comprese nella sfera di competenza comunitaria (alla quale, in previsione di una futura adesione, devono essere attribuiti i poteri convenzionali esterni pi estesi) ed, in particolare, in quella interpretativa della Corte, al fine di garantirne unapplicazione uniforme. Tale tesi avvalorata da fatto che, pur avendo gli atti in questione una natura convenzionale e potendo le parti inserirvi delle clausole di carattere esclusivamente bilaterale - tra uno Stato membro e lo Stato terzo in questione, riguardanti materie che non rientrano nelle competenze comunitarie - nellAccordo non vi alcuna riserva che escluda tale competenza.

Le problematiche relative alla competenza della Corte di giustizia saranno oggetto di una seconda importante sentenza del 1990, il caso Sevince[217], nella cui prima questione pregiudiziale il Raad van State chiede alla Corte di pronunciarsi nuovamente in merito alla propria competenza interpretativa. In particolare, il proponente collegio intende essere messo in grado di stabilire se lart. 177 del Trattato CE debba essere interpretato nel senso che il giudice di uno Stato membro possa (e, nel presente caso, debba) sottoporre alla Corte di giustizia una questione sullinterpretazione delle Decisioni del Consiglio di associazione di cui trattasi (). Se nel caso Demirel, in seguito ai dubbi formulati dai governi tedesco e britannico circa la competenza interpretativa della Corte in relazione allAccordo (ed, in particolare alla libera circolazione), era stata ribadita lappartenenza dellAccordo di associazione allordinamento comunitario e la possibilit della Corte di renderlo oggetto di una propria sentenza, nel caso Sevince lanalisi verte sul rapporto tra la Corte e le Decisioni emanate dal Consiglio di associazione (in particolare, le Decisioni n. 2/76 e n. 1/80). A tale proposito, lAvvocato generale Darmon e la Corte concludono che la competenza della Corte ad interpretare le controverse disposizioni delle Decisioni n. 2/76 e n. 1/80 pu parimenti desumersi dalla circostanza della loro appartenenza, sin dalla loro entrata in vigore, allordinamento giuridico comunitario. Tale appartenenza frutto del collegamento diretto che sussiste tra le suddette disposizioni e lAccordo di associazione sul quale, come pi volte ribadito, la Corte competente a pronunciarsi in via pregiudiziale. Tale competenza estesa alle disposizioni delle Decisioni del Consiglio di associazione anche al fine di garantire lapplicazione uniforme di tali disposizioni attraverso loperato della Corte stessa.

 

3.2.3      Lefficacia diretta delle Decisioni emanate dal Consiglio di associazione

 

Come descritto nel precedente paragrafo, la funzione della Corte e limportanza della possibilit conferita a questultima di pronunciarsi in merito agli Accordi di associazione ed alla legislazione da essi derivata risiede nella necessit di garantire luniforme applicazione nella Comunit di tutte le norme dellordinamento giuridico comunitario, onde evitare che i loro effetti varino a seconda dellinterpretazione datane dai vari Stati membri (v. le sentenze 26 ottobre 1982, Kupferberg, causa 104/81, Racc. pag . 3641, e 16 marzo 1983, SPI e SAMI, cause riunite 267-269/81, Racc. pag . 801 )[218]. Per tanto, sia in relazione alle norme del Trattato, sia in riferimento alle disposizioni oggetto di questa analisi, lo scopo della Corte non varia, dovendo questultima garantire in entrambi i casi la non interferenza nel godimento dei diritti sanciti da parte degli ordinamenti giuridici nazionali. Tuttavia, nonostante il fine della competenza interpretativa sia il medesimo, ci non comporta che simili o identiche disposizioni presenti nel Trattato e nelle disposizioni degli accordi di associazione (e nelle Decisioni ad essi connesse) debbano essere interpretate allo stesso modo. A tal punto, la domanda che sorge quale sia lo status degli accordi e della relativa legislazione derivata e se essi possano essere assimilati alla posizione rivestita dalle disposizioni del Trattato. Al fine di rispondere a tale domanda, necessario porsi unulteriore quesito concernente una questione che maggiormente rileva ai fini della fruizione dei diritti previsti negli accordi e nelle Decisioni da parte degli individui: essi producono effetti diretti allinterno degli ordinamenti giuridici nazionali?

Nel contesto dellAccordo di Ankara, tale problema trova la sua soluzione nelle conclusioni della Corte in merito alla seconda questione pregiudiziale del gi menzionato caso Sevince.

Il signor Sevince nel febbraio 1979 aveva ottenuto un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi per motivo di matrimonio con una connazionale ivi residente. Nel settembre 1980, in seguito alla separazione dalla moglie e al conseguente rigetto del prolungamento della validit del suo permesso di soggiorno, il sig. Sevince proponeva un ricorso che comportava come conseguenza la sospensione degli effetti del mancato prolungamento del permesso fino a pronuncia definitiva del giudice in merito a tale ricorso. In seguito al rigetto di questultimo avvenuto con sentenza nel giugno del 1986, nellaprile del 1987 Sevince richiedeva un permesso di soggiorno, motivando tale richiesta con lesercizio di unattivit lavorativa subordinata effettuata nel periodo di sospensione. In particolare, egli invocava lart. 2, n. 1, lett. b) della Decisione n. 2/76, ai cui termini il lavoratore turco regolarmente occupato da cinque anni in uno Stato membro della Comunit gode in esso del libero accesso a qualsiasi attivit lavorativa subordinata di sua scelta, nonch l' art . 6, n . 1, terzo trattino, della Decisione n. 1/80, in forza del quale il lavoratore turco inserito nel mercato regolare del lavoro di uno Stato membro fruisce in detto Stato membro, dopo quattro anni di regolare occupazione, del libero accesso a qualsiasi attivit lavorativa subordinata di sua scelta, chiedendo che per il computo della durata delloccupazione regolare venissero presi in considerazione i periodi lavorativi compiuti prima della pronuncia definitiva sul suo ricorso.

Risolta in modo affermativo la questione pregiudiziale relativa alla competenza della Corte di pronunciarsi in merito alle Decisioni del Consiglio di associazione, la seconda questione posta era se gli artt. 2, n. 1, lett. b) della Decisione n. 2/76 e/o lart. 6, n. 1 della Decisione n. 1/80 e lart. 7 della Decisione n. 2/76 e/o lart. 13 della Decisione n. 1/80 (i quali introducono una clausola di standstill) vadano considerati come norme direttamente efficaci nei paesi della Comunit.

A tale proposito lAvvocato generale e la Corte rilevano che, per poter essere considerate direttamente efficaci, le disposizioni di una Decisione del Consiglio di associazione devono soddisfare le medesime condizioni che valgono per le disposizioni dello stesso Accordo. Tali condizioni sono state formulate dalla Corte nella citata sentenza Demirel, nelle cui conclusioni stato sancito che una disposizione di un accordo stipulato dalla Comunit con paesi terzi va considerata direttamente efficace qualora, tenuto conto del suo tenore letterale, nonch delloggetto e della natura dellAccordo, implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati alladozione di alcun atto ulteriore. Non vi motivo che neghi la possibilit di applicare gli stessi criteri indicati alle disposizioni oggetto della controversia al fine di verificarne lefficacia.

Per quanto concerne il tenore letterale degli articoli indicati, esso pare sufficientemente chiaro e preciso: lart. 2, lett. b), della Decisione n. 2/76 e lart. 6, n. 1, terzo trattino della Decisione n. 1/80 indicano gli anni lavorativi necessari al cittadino turco per accedere liberamente a qualsiasi attivit di lavoro salariata nello Stato ospite (la seconda disposizione differisce dalla prima perch riduce tale periodo da cinque a quattro anni); lart. 7 della Decisione n. 2/76 e lart. 13 della Decisione n. 1/80 stabiliscono senza equivoci che gli Stati membri della Comunit non possono introdurre nuove restrizioni concernenti le condizioni di accesso alloccupazione dei lavoratori (e dei loro familiari, secondo quanto previsto dalla Decisione del 1980) regolarmente soggiornanti ed impiegati nei rispettivi territori. Tuttavia, onde stabilire se le disposizioni in esame soddisfano i criteri elencati, necessario verificare se lo scopo e la natura dellAccordo o la struttura delle due Decisioni in questione escludano che si possa ravvisare lesistenza di obblighi chiari, precisi e incondizionati.

In unanalisi comparata tra gli Accordi di associazione con i paesi del Maghreb e quello con la Turchia emergono delle differenze non solo in relazione al tenore letterale delle disposizioni, ma anche negli scopi che esse si prefiggono di raggiungere. Nonostante siano stati recentemente sostituiti dagli Accordi Euromediterranei di associazione, ora come allora tali accordi erano stati stipulati non in prospettiva di una futura adesione allUnione, bens al fine di sostenere leconomia di tali Stati e di creare una corona di sicurezza ai confini dellEuropa unita. A differenza di questultimi, le disposizioni dellAccordo di Ankara e delle Decisioni del Consiglio di associazione sono volte a preparare il terreno ad futura adesione della Turchia, attraverso la graduale realizzazione degli obiettivi da esse enunciati.

Dalla sentenza Sevince ad oggi, la Corte ha riconosciuto lefficacia diretta dei seguenti articoli della Decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione:

Articolo 6: Fatte salve le disposizioni dell' articolo 7, relativo al libero accesso dei familiari all' occupazione, il lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro ha i seguenti diritti:

a)              rinnovo, in tale Stato membro, dopo un anno di regolare impiego, del permesso di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, se dispone di un impiego;

b)             candidatura in tale Stato membro a un altro posto di lavoro, la cui regolare offerta sia registrata presso gli uffici di collocamento dello Stato membro, nella stessa professione, presso un datore di lavoro di suo gradimento, dopo tre anni di regolare impiego, fatta salva la precedenza da accordare ai lavoratori degli Stati membri della Comunit;

c)              libero accesso, in tale Stato membro, a qualsiasi attivit salariata di suo gradimento, dopo quattro anni di regolare impiego[219]

1.             Le ferie annuali e le assenze per maternit, infortunio sul lavoro, o malattia di breve durata sono assimilate ai periodi di regolare impiego. I periodi di involontaria disoccupazione, debitamente constatati dalle autorit competenti, e le assenze provocate da malattie di lunga durata, pur senza essere assimilate a periodi di regolare impiego, non pregiudicano i diritti acquisiti in virt del periodo di impiego anteriore[220].

2.             Le modalit applicative dei diritti attribuiti ai lavoratori turchi ai par. 1 e 2 sono stabilite da norme nazionali.

Articolo 7: I familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro:

a)              hanno il diritto di rispondere, fatta salva la precedenza ai lavoratori degli Stati membri della Comunit, a qualsiasi offerta di impiego, se vi risiedono regolarmente da almeno tre anni;

b)             beneficiano del libero accesso a qualsiasi attivit dipendente di loro scelta se vi risiedono regolarmente da almeno cinque anni.[221]

I figli dei lavoratori turchi che hanno conseguito una formazione professionale nel paese ospitante potranno, indipendentemente dal periodo di residenza in tale Stato membro e purch uno dei genitori abbia legalmente esercitato un'attivit nello Stato membro interessato da almeno tre anni, rispondere a qualsiasi offerta d'impiego in tale Stato membro.[222]

Articolo 13: Gli Stati membri della Comunit e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni alle condizioni di accesso al mercato del lavoro dei lavoratori e delle loro famiglie legalmente residenti ed impiegati nei rispettivi territori.[223]

Articolo 14: 1. Le disposizioni della presente sezione vengono applicate fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di sicurezza e di sanit pubbliche.

2. Esse non possono pregiudicare i diritti e gli obblighi derivanti dagli ordinamenti nazionali o da accordi bilaterali tra la Turchia e gli Stati membri della Comunit, qualora tali ordinamenti o tali accordi prevedano un trattamento pi favorevole per i propri cittadini.[224]

Lefficacia diretta stata riconosciuta dalla Corte anche per larticolo 3, n. 1 della Decisione n. 3/80, titolato Parit di trattamento, il quale, ricalcando il tenore dell'art. 3, n. 1, del Regolamento n. 1408/71, dispone che: Le persone che risiedono nel territorio di uno degli Stati membri ed alle quali sono applicabili le disposizioni della presente Decisione, sono soggette agli obblighi e sono ammesse al beneficio della legislazione di ciascuno Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato, fatte salve le disposizioni particolari della presente Decisione.[225]

 

In sintesi, possiamo concludere che sia gli Stati, sia la Comunit esercitano la propria competenza in relazione agli accordi di associazione e alle Decisioni del Consiglio di associazione e che tale competenza esterna varia nella misura in cui essa si esprime in ambito interno. Secondo tale ragionamento, quanto pi la competenza della Comunit sar sviluppata internamente, cio nellambito del rapporto tra Stati membri ed Unione Europea, tanto pi essa si estender nellimmaginario piano che descrive il legame tra questultima e gli Stati non membri. Le disposizioni degli accordi e delle Decisioni citate sono parte dellordinamento comunitario (e, per tanto, oggetto della competenza della Corte di giustizia europea) e risultano direttamente efficaci negli ordinamenti giuridici degli Stati membri qualora siano chiare, precise ed incondizionate.

 

 

 

 

Fig. 1 – Accordi di associazione e Decisioni del Consiglio di associazione: relazioni che intercorrono tra Comunit, Stati membri e Corte di giustizia europea.

 

 

 

3.3         La nozione di lavoratore[226]

 

Unaccurata analisi della tutela prevista dal diritto comunitario per i lavoratori di nazionalit turca non pu prescindere dalla ricerca del significato che la Comunit stessa e la sua Corte di giustizia conferiscono al termine lavoratore. Poich la portata di tale nozione, qualora essa possa essere rinvenuta anche in relazione ai cittadini extracomunitari, pu essere pienamente compresa solo alla luce della definizione di lavoratore comunitario, una comparazione pare necessaria.

Al fine di individuare in maniera chiara i destinatari del Capo I del Titolo III del Trattato CE dedicato alla libera circolazione dei lavoratori la nozione di lavoratore deve essere definita secondo criteri obiettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro. Tali criteri possono essere rinvenuti nella sentenza Lawrie-Blum[227], nella quale la Corte ha sancito che la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro che una persona fornisca prestazioni di indiscusso valore economico ad unaltra persona e sotto la direzione della stessa, ricevendo come contropartita una retribuzione. A titolo di esempio, nel caso in questione considerata lavoratrice uninsegnate in prova che compie sotto la direzione e la sorveglianza delle pubbliche autorit scolastiche un tirocinio preparatorio alla professione dinsegnante durante il quale fornisce prestazioni dando lezioni, ricevendo a tal fine una retribuzione.

In aggiunta alle caratteristiche individuate, lesercizio di tale attivit deve essere reale ed effettivo e n la produttivit pi o meno elevata, n l' origine delle risorse che consentono la retribuzione, n la natura del vincolo giuridico che unisce il lavoratore al datore di lavoro possono avere conseguenze per quanto riguarda la qualifica di lavoratore[228].

Al pari dei lavoratori comunitari, il cittadino turco ottiene la qualifica di lavoratore qualora esso sia vincolato da un rapporto di lavoro che implica l'esercizio, nell'interesse di un'altra persona e sotto la direzione di quest'ultima, di un'attivit economica reale ed effettiva, in contropartita della quale egli percepisce una retribuzione[229]. Tale attivit non pu essere considerata marginale ed accessoria n pu avere ripercussioni sul riconoscimento della qualit di lavoratore il fatto che la retribuzione della persona interessata sia versata per mezzo di fondi pubblici. In particolare, la definizione di retribuzione deve essere considerata comune ai lavoratori cittadini comunitari e turchi sussistendo nella Decisione n. 1/80 lart. 10, il quale prevede il diritto alla parit di trattamento tra le due categorie di lavoratori in merito alle condizioni di remunerazione e alle altre condizioni di lavoro.

Inoltre, per quanto riguarda la verifica dellessenza reale ed effettiva dellattivit ed il riconoscimento della qualifica di lavoratore, pare interessante citare due sentenze attraverso le quali la Corte giunge a conclusioni differenti. Nella sentenza Bettray la Corte statuisce che non possono considerarsi reali ed effettive attivit che costituiscono solo uno strumento di rieducazione o reinserimento delle persone che le esercitano desumendone che queste ultime non possono considerarsi lavoratori ai sensi del diritto comunitario. Tuttavia, necessario specificare che soggetta a tale pronuncia fosse una persona che, a causa della propria tossicodipendenza, era stata assunta in base ad una normativa nazionale mirante a procurare lavoro a coloro i quali, per un tempo indeterminato, non fossero in grado, per via di circostanze connesse al loro stato, di lavorare in condizioni normali; inoltre, la persona in questione non era stata selezionata in funzione della sua capacit di svolgere una determinata attivit, ma aveva al contrario esercitato attivit concepite in base alle sue attitudini psicofisiche, nell'ambito di imprese o associazioni di lavoro specificamente create in vista della realizzazione di un obiettivo di carattere sociale. Si tratta, quindi, di una fattispecie particolare non trasponibile ad una situazione quale quella delineata nella causa Birden, in cui il soggetto aveva stipulato un contratto come operaio specializzato nel quadro di unattivit promossa dalle pubbliche autorit tedesche al fine di aiutare coloro che richiedevano il sussidio di sostentamento e di assistenza allo Stato. In tale caso, poich la nozione di lavoratore riveste una portata comunitaria e non deve essere interpretata in modo restrittivo, la natura del vincolo tra lavoratore e datore e lorigine delle risorse attraverso le quali il lavoratore retribuito sono irrilevanti, il signor Birden deve essere considerato un lavoratore e, per tanto, pu fruire dei diritti ad esso accordati dalla Decisione n. 1/80. Per tanto, al pari dei cittadini comunitari, il rapporto giuridico e lorigine delle risorse che determinano la remunerazione non sono rilevanti al fine di qualificare il suddetto quale lavoratore. Tuttavia, potrebbero sorgere delle differenze in merito alla portata della produttivit di tale lavoro essendo statuito dalla sentenza Gnaydin che il cittadino turco va considerato come vincolato da un regolare rapporto di lavoro (e, per tanto, pu essere considerato un lavoratore) quando fruisce delle medesime condizioni lavorative e retributive di quelle spettanti ai lavoratori che esercitano, nell'impresa di cui trattasi, attivit economiche identiche o simili e quando, di conseguenza, la sua situazione non si differenzia oggettivamente da quella di questi ultimi lavoratori[230].

Oltre alle caratteristiche elencate la Corte, al fine di delineare al meglio la figura del lavoratore, ha individuato nella sua attivit interpretativa ulteriori elementi distintivi che possono essere riassunti come segue.

a.              Le motivazioni dellingresso. Se il motivo trainante che conduce il cittadino di uno Stato membro a cercare unoccupazione in un altro Stato membro irrilevanti nel determinare se il soggetto si configuri o meno come un lavoratore[231], in relazione ai cittadini turchi ci si chiesto pi volte quale fosse il vero motivo sottostante, ad esempio, la stipula di un contratto matrimoniale con un cittadino od una cittadina europea. A tale proposito, gli Stati membri osservano nella causa Kus[232] che al cittadino turco entrato in territorio tedesco per contrarre matrimonio con una cittadina tedesca dalla quale divorzia dopo un anno, non debba essere concesso il rinnovo del permesso di soggiorno ai sensi dellart. 6, n. 1 della Decisione n. 1/80 poich le sue intenzioni erano altre rispetto allentrare in uno Stato comunitario in qualit di lavoratore. La Corte, invece, seguir nella sua Decisione il medesimo approccio adottato per i lavoratori comunitari, statuendo che il cittadino turco che abbia ottenuto un permesso di soggiorno nel territorio di uno Stato membro per contrarvi matrimonio con una cittadina del detto Stato membro e vi abbia lavorato da oltre un anno alle dipendenze dello stesso datore di lavoro con regolare permesso di lavoro abbia diritto al rinnovo del permesso di lavoro in forza dellart. 6, n. 1 della Decisione n. 1/80 anche se, al momento della Decisione sulla domanda di rinnovo, il suo matrimonio stato sciolto.

b.             Lavoro Part- time. E considerato lavoratore anche colui il quale svolge unattivit part-time di durata pari almeno a 10 ore settimanali[233]. Nonostante la richiesta di alcuni Stati membri di differenziare la nozione di lavoratore sulla base dei soggetti ai quali esso di volta in volta riferito, lo status di lavoratore conferito anche al cittadino turco, nonostante lorario ridotto di lavoro.

c.              Fonti della disciplina del rapporto di lavoro e provenienza della retribuzione. E irrilevante che lattivit svolta non sia disciplinata dal diritto nazionale (ci, ad esempio, rinvenibile quando il soggetto svolge la propria attivit in uno Stato membro alle dipendenze di un'organizzazione internazionale, ed per questo disciplinata da uno speciale statuto di diritto internazionale). Ci che rileva lesistenza di una relazione di subordinazione nonch leffettivit e la realt della suddetta attivit[234]. Per quanto concerne la provenienza di carattere pubblico o privato dei fondi che costituiscono la retribuzione, tale origine non comporta alcuna differenziazione in merito al conferimento dello status di lavoratore a detto soggetto. A tale proposito, nella gi citata sentenza Birden, la Corte ha statuito che la retribuzione versata per mezzo di fondi pubblici ed, in generale, l'origine delle risorse a partire dalle quali versata la retribuzione, come del resto anche la natura giuridica sui generis del rapporto di lavoro alla luce del diritto nazionale o la produttivit pi o meno elevata dell'interessato, non possono avere alcuna conseguenza sul riconoscimento o no della qualit di lavoratore[235].

d.             I tirocinanti. Ai cittadini comunitari e turchi che svolgono unattivit di tirocinio o di apprendistato garantito lo status di lavoratore alla luce dellapplicazione dei principi individuati dalla Corte in casi Lawrie– Blum del 1986 e Le Manoir del 1991. In tali sentenze, relative a cittadini comunitari esercitanti la libera circolazione, la Corte aveva esteso la nozione di lavoratore ai tirocinanti statuendo che il fatto che una persona fornisse tali prestazioni sulla base di un contratto di tirocinio non impediva di considerarla un lavoratore, qualora le caratteristiche essenziali del rapporto di lavoro sussistessero anche in relazione a tale attivit. Per tanto il tirocinio poteva essere considerato lavoro solo nel caso in cui il soggetto fosse impegnato a prestare servizi, contro retribuzione, ad unaltra parte, nei cui confronti la prima si trova in un rapporto di subordinazione per quanto riguarda le condizioni di esecuzione del lavoro. Tale interpretazione era stata confermata in una sentenza del 1994[236] disciplinante la posizione della cittadina turca Hayriye Eroglu, laureata allUniversit di Amburgo in economia e commercio dove aveva conseguito, grazie alla concessione di vari permessi di soggiorno solo a fini di studio, un dottorato di ricerca. Terminati gli studi ad essa venivano rilasciati dei permessi di soggiorno di durata limitata che le hanno consentito di svolgere unattivit lavorativa dal febbraio del 1990 al gennaio del 1991 presso una societ di Hardheim, unattivit di praticantato (permesso di soggiorno per attivit di praticante) ed in seguito di lavoro presso una societ di Tauberbischofsheim. Tale attivit di praticantato, ai sensi della pronuncia della Corte, non consente di escludere il soggetto dalla nozione di lavoratore prevista dalla Decisione n. 1/80.

e.              Periodi di disoccupazione. Terminato il rapporto di lavoro, il cittadino comunitario perde solo in linea di principio la qualifica di lavoratore, in quanto essa pu produrre taluni effetti dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Ai sensi dellart. 7 della direttiva 2004/38/CE, la qualit di lavoratore subordinato o autonomo conservata qualora subentri: una temporanea inabilit al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; uno stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un'attivit per oltre un anno, in seguito al quale il soggetto si registrato presso lufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro; uno stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, in seguito al quale il soggetto si registrato presso lufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro (in tal caso, linteressato conserva la qualit di lavoratore subordinato per un periodo che non pu essere inferiore a sei mesi); la frequenza di un corso di formazione professionale collegato allattivit professionale precedentemente svolta (salvo in caso di disoccupazione involontaria). Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte, anche la persona all'effettiva ricerca di un impiego deve essere qualificata lavoratore.[237]

Al pari del lavoratore comunitario la Corte ha statuito che il lavoratore turco che sia stato regolarmente occupato per pi di quattro anni nel territorio di uno Stato membro e decida di sua iniziativa di cessare l'attivit lavorativa per cercare nello stesso Stato membro un nuovo lavoro e non riesca ad impegnarsi immediatamente in un altro rapporto di lavoro fruisce in tale Stato, per un periodo ragionevole, del diritto di soggiorno al fine di cercarvi una nuova attivit lavorativa subordinata, purch continui ad essere inserito nel regolare mercato del lavoro dello Stato membro interessato conformandosi eventualmente ai precetti della disciplina in vigore in questo Stato, ad esempio iscrivendosi all'ufficio di collocamento e rimanendo a disposizione di quest'ultimo. Spetta allo Stato membro interessato e, in mancanza di normativa in tal senso, al giudice nazionale adito prevedere un ragionevole periodo di tempo, che deve per essere sufficiente per non compromettere le concrete possibilit dell'interessato di trovare un nuovo posto di lavoro[238]. Nel caso Tetik la decisione della Corte si opponeva a quella degli Stati membri (in particolare alla posizione del governo tedesco e di quello del Regno Unito) i quali sostenevano che, nonostante il cittadino turco oggetto della sentenza avesse per otto anni svolto unattivit lavorativa regolare come marittimo su diverse navi tedesche, esso non poteva invocare i diritti derivanti dallart. 6, terzo trattino, della Decisione n. 1/80 in quanto aveva volontariamente interrotto tale attivit recandosi a Berlino e chiedendo un titolo di soggiorno a tempo illimitato al fine di svolgervi unattivit lavorativa retribuita a terra (il quale permesso non gli era stato concesso). I governi, in particolare, sostenevano che nessun diritto previsto dallart. 6 della Decisione n. 1/80 poteva essere invocato dal suddetto in quanto la disoccupazione non era involontaria e, per tanto, la fattispecie non rientrava in quella descritta nellart. 6, n. 2, statuendo questultimo che: I periodi di involontaria disoccupazione, debitamente constatati dalle autorit competenti, e le assenze provocate da malattie di lunga durata, pur senza essere assimilate a periodi di regolare impiego, non pregiudicano i diritti acquisiti in virt del periodo di impiego anteriore. La Corte, invece, sulla scia delle osservazioni della Commissione europea, sancisce che il ricorrente deve poter cercare un nuovo lavoro nello Stato membro ospite e contestualmente disporre di un diritto di soggiorno la cui durata, definita dalle autorit nazionali, deve essere ragionevolmente sufficiente alla ricerca della nuova occupazione. La negazione di tale possibilit si pone in contrasto con lart. 6, terzo trattino, il quale prevede il diritto di lasciare per motivi personali lattivit svolta e di accedere liberamente a qualunque attivit lavorativa subordinata per i cittadini turchi impiegati per pi di quattro anni nel territorio di uno Stato membro.

Di diverso orientamento, tuttavia, la soluzione della quarta questione pregiudiziale della sentenza Bozkurt nella quale il Raad van State si chiede se il signor Bozkurt, lavoratore inserito grazie alla sua attivit di autista internazionale nel regolare mercato del lavoro dei Paesi Bassi, abbia diritto a rimanere nel territorio di tale Stato ai sensi dellart. 6, n. 2, della Decisione n. 1/80 anche dopo aver subito un infortunio sul lavoro che gli ha comportato uninabilit permanente. Nonostante la Commissione sostenga la tesi secondo la quale un periodo di inabilit permanente al lavoro in conseguenza di un infortunio sul lavoro debba essere equiparato a unoccupazione regolare permanente implicando un diritto di soggiorno in capo all' interessato, i governi olandese, tedesco, ellenico e del Regno Unito ritengono che i lavoratori turchi non possano avvalersi di tale diritto in mancanza di disposizioni espresse. La Corte accoglie questultima posizione argomentando che l art. 6, n. 2, unicamente volto a disciplinare le conseguenze di talune interruzioni del lavoro sull' applicazione dell' art. 6, n. 1. A tale fine le ferie annuali e le assenze per maternit, infortunio sul lavoro o malattia di breve durata sono equiparate a periodi di occupazione, in particolare per il computo della durata del periodo di occupazione regolare necessario per aver diritto al libero accesso a qualsiasi attivit lavorativa subordinata. Quanto ai periodi di disoccupazione o di assenza per malattia di lunga durata, che non sono equiparati a periodi di occupazione, essi sono presi in considerazione solo al fine di garantire la conservazione di diritti che il lavoratore avrebbe acquisito in forza dei periodi di occupazione precedenti. Per tanto, la Decisione n. 1/80 riguarda tutti i lavoratori in attivit o provvisoriamente inabili al lavoro ma la sua applicazione deve essere esclusa nel caso in cui i suddetti abbiano abbandonato definitivamente il mercato del lavoro in seguito al raggiungimento dellet di pensionamento o, come nel caso di specie, a causa di uninabilit totale e permanente al lavoro. Conservare il diritto di soggiorno in tale caso corrisponderebbe, secondo il governo tedesco, a considerarlo un diritto autonomo in contrasto con la finalit della Decisione n. 1/80. Alla luce di quanto detto, la Corte ha disposto che: Allo stato attuale delle disposizioni emanate dal Consiglio d' associazione istituito dall' accordo d' associazione CEE- Turchia per la graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori fra gli Stati membri e la Turchia, e in mancanza di una norma specifica che attribuisca ai lavoratori turchi il diritto di rimanere nel territorio di uno Stato membro dopo avervi svolto un' attivit lavorativa, l' art. 6, n. 2, della Decisione n. 1/80 del detto Consiglio, che riguarda unicamente la situazione dei lavoratori turchi in attivit o temporaneamente inabili, non pu essere interpretato nel senso che conferisce a un lavoratore turco, che sia stato inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro, il diritto di rimanere nel territorio del detto Stato dopo aver subito un infortunio sul lavoro che abbia comportato un' inabilit permanente al lavoro.

Alla luce degli elementi rinvenuti attraverso la breve analisi effettuata, appare opportuno osservare la mancanza di una definizione univoca di lavoratore, applicabile sia ai lavoratori comunitari quanto a quelli provenienti da Stati terzi, nonostante la presenza di caratteristiche comuni. Lanalisi delle sentenze della Corte ci conduce, invece, a delineare una definizione di lavoratore elastica che estende i propri confini in relazione a quanto il Trattato CE e la legislazione comunitaria derivata (nel caso dei lavoratori comunitari) o gli Accordi di associazione e le Decisioni del Consiglio di associazione ne arricchiscano i contenuti. Per tanto, possibile affermare che, pur tendendo lo status accordato ai lavoratori cittadini turchi ad avvicinarsi a quello conferito ai lavoratori cittadini di uno Stato membro, non si pu sostenere, a priori, che, per semplice analogia, un lavoratore ai sensi dell' Accordo di associazione sia colui che risponde alla definizione comunitaria di tale nozione[239].

 

3.4          Laccesso al mercato del lavoro: la Decisione n. 1/80 e la giurisprudenza della Corte di giustizia europea

 

A differenza del lavoratore comunitario, i requisiti richiesti ai cittadini turchi al fine di accedere sul territorio di uno Stato membro sono stabiliti unicamente dalla legge nazionale, sulla quale la Decisione n. 1/80 non incide. Tali soggetti, inoltre, non godono della libera circolazione nel territorio comunitario al pari dei cittadini comunitari, nonostante lart. 12 dellAccordo preveda che le Parti Contraenti si ispirino agli articoli 48, 49 e 50 del Trattato che istituisce la Comunit per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori, ed il loro diritto di soggiorno limitato al territorio dello Stato membro nel quale svolgono lattivit lavorativa. Infine, per quanto concerne il diritto al rinnovo del permesso di lavoro e al libero accesso a qualsiasi attivit di lavoro dipendente, esso, ai sensi dellart. 6 della Decisione n. 1/80, strettamente subordinato alla sussistenza di tre requisiti: il soggetto deve essere inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro, deve avere unoccupazione regolare e deve rispettare il decorso di determinati periodi di tempo indicati (uno, tre, quattro anni).

Ma cosa si intende con il termine regolare?

Al fine di stabilire se un lavoratore vada considerato inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro ai sensi dell'art. 6, n. 1, della Decisione n. 1/80, pare opportuno fare riferimento alla sentenza Bozkurt, la quale ben chiarisce i termini del problema. Nel suddetto caso la Corte, chiedendosi quali siano i criteri per accertare se un lavoratore turco che svolge lattivit di autista internazionale sia regolarmente inserito nel mercato del lavoro ai sensi della Decisione n. 1/80, analizza quale precedente il caso Lopes da Veiga, relativo ad un lavoratore cittadino di uno Stato membro che svolgeva in via permanente un' attivit lavorativa subordinata su una nave battente bandiera di un altro Stato membro, i Paesi Bassi[240]. Al fine di poter applicare al suddetto le disposizioni del Regolamento (CEE) n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all' interno della Comunit, la Corte sostiene la necessit di accertare un collegamento tra il soggetto e il territorio della Comunit. Tale nesso deve essere dimostrato, secondo quanto disposto dalla Corte, attraverso loperato del giudice nazionale, il quale deve prendere in considerazione varie circostanze che si ricavavano dagli atti di causa trasmessi alla Corte, e cio che il ricorrente nella causa principale lavorava su una nave immatricolata nei Paesi Bassi, alle dipendenze di una societ armatrice di diritto olandese con sede nei Paesi Bassi, che era stato assunto nei Paesi Bassi e che il rapporto di lavoro che lo legava al suo datore di lavoro era soggetto alla legge olandese e infine che l' interessato era assicurato ai sensi del regime previdenziale olandese ed era soggetto all' imposta sul reddito nei Paesi Bassi. Secondo il signor Bozkurt e la Commissione, i medesimi criteri individuati nella causa or ora citata devono essere utilizzati nel caso di specie, nonostante esso abbia come soggetto un cittadino extracomunitario. Per tanto, al fine di considerare un soggetto regolarmente inserito nel mercato del lavoro, come ribadito in seguito nella sentenza Gnaydin, occorre accertare innanzi tutto se il rapporto giuridico di lavoro dell'interessato possa essere ubicato nel territorio di uno Stato membro o se conservi un nesso abbastanza stretto col detto territorio, prendendo in considerazione in particolare il luogo di assunzione del cittadino turco, il territorio nel quale o dal quale viene svolta l'attivit lavorativa subordinata e la normativa nazionale vigente in materia di diritto del lavoro e di previdenza sociale.

Per quanto concerne, invece, la regolarit delloccupazione, essa sussiste quando la situazione del soggetto nel mercato del lavoro sia stabile e non precaria, implicando ci lesistenza di un diritto di soggiorno non controverso. A tale proposito, nella sentenza Sevince la Corte ha considerato non stabile e precaria la situazione di un lavoratore turco durante il periodo nel corso del quale esercitava unattivit lavorativa fruendo del periodo di sospensione degli effetti del mancato prolungamento del suo permesso di soggiorno concessogli fino alla pronuncia definita sul suo ricorso. Parimenti, nella sentenza Kus, la Corte ha dichiarato che non soddisfa tali requisiti il lavoratore turco che ha svolto unattivit lavorativa in forza di un diritto di soggiorno concessogli solo per effetto di una normativa nazionale che permette di risiedere nel paese ospitante nelle more del procedimento per la concessione del permesso di soggiorno, in quanto l'interessato aveva ottenuto il diritto di soggiornare e di lavorare in tale paese solo in via provvisoria, in attesa di una Decisione definitiva sul suo diritto di soggiorno. Si pu, pertanto, concludere che in entrambi i casi i periodi lavorativi non possono essere considerati ai fini previsti dallart. 6 in quanto gli interessati non avevano legalmente fruito del diritto di soggiorno provvisorio concesso. Nel caso Gnaydin, invece, la Corte sancisce la regolarit delloccupazione del lavoratore turco che esercita da pi di tre anni unattivit di lavoro subordinato reale ed effettiva alle dipendenze di un solo datore di lavoro, avendo quindi diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.

Infine, in merito al terzo requisito, e cio il rispetto delle scadenze temporali indicate allart. 6, necessario rilevare che lultimo comma dellart. 7 della Decisione accorda un regime privilegiato ai figli di quei lavoratori turchi legalmente impiegati in uno Stato membro da almeno tre anni. In particolare, coloro i quali, raggiunto il genitore lavoratore, hanno conseguito una formazione professionale nel paese ospitante possono, indipendentemente dal periodo di residenza in tale Stato membro, rispondere a qualsiasi offerta d'impiego in tale Stato membro. Tale articolo stato oggetto di una sentenza gi parzialmente analizzata precedentemente, la sentenza Eroglu, avente ad oggetto la negazione del rinnovo del permesso di soggiorno ad una signora turca avente esercitato per un anno lattivit di assistente di direzione commerciale presso la societ B. ed, in seguito, per un altro anno essa aveva espletato il ruolo di assistente commerciale presso la societ F. Avendo ricevuto una nuova offerta di lavoro da parte della societ B., la signora Eroglu chiedeva la proroga del proprio permesso di lavoro al fine di svolgere nuovamente lattivit lavorativa presso limpresa del primo datore di lavoro. Tale richiesta gli era stata negata ed essa, adito il Verwaltungsgericht di Karlsruhe, sosteneva dinanzi al giudice che il diritto di soggiorno le spettava ai sensi degli artt. 6, n. 1, primo trattino, e 7, secondo comma, della Decisione n. 1/80. Al fine di rispondere alle questioni pregiudiziali, la Corte rileva che la suddetta Decisione non incide sul potere degli Stati membri di disciplinare lingresso sul proprio territorio dei cittadini turchi quanto le condizioni della loro prima occupazione, bens si limita a disciplinare [] la posizione dei lavoratori turchi gi regolarmente inseriti nel mercato del lavoro. Nonostante la signora possa considerarsi una lavoratrice regolarmente inserita nel mercato del lavoro, il suo caso non rientra nella fattispecie descritta allart. 6, n. 1, primo trattino, mirando questo a garantire la continuit dellimpiego presso il medesimo datore di lavoro dopo un anno di attivit. Nel caso della signora Eroglu, invece, non si tratterebbe di riconfermare unattivit presso il corrente datore, bens, di fare ritorno al primo e, quindi, cambiare datore di lavoro prima della scadenza dei tre anni prevista dallart. 6, n. 1, secondo trattino. Il caso verr, invece, risolto ai sensi dellart. 7, essendo la signora figlia di un lavoratore turco che viveva e svolgeva nella Repubblica federale tedesca una regolare attivit lavorativa senza soluzione di continuit dal 1976. Per tanto, rispettando i requisiti fissati dall' art. 7, secondo comma, della Decisione n. 1/80 essa pu rispondere a qualsiasi offerta di lavoro nello Stato membro interessato facendo valere tale disposizione al fine di ottenere la proroga del proprio permesso di soggiorno.

In sintesi, la nozione di lavoratore come intesa in relazione ai cittadini comunitari, e per tanto arricchita delle libert e dei diritti loro concessi alla luce del disposizioni del Trattato CE, non pu essere applicata ai cittadini turchi la cui possibilit di accesso al territorio comunitario non deriva da un diritto di cittadinanza dovendo, bens, essere conforme ai requisiti richiesti da ciascun Stato membro. Essi, inoltre, non godono della libera circolazione nel territorio comunitario, il loro diritto di soggiorno limitato al territorio dello Stato membro nel quale svolgono lattivit lavorativa ed il rinnovo del permesso di soggiorno, nonch laccesso a qualsiasi attivit di lavoro subordinato alla sussistenza dei tre requisiti analizzati: essere inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro, avere unoccupazione regolare e rispettare le limitazioni temporali indicate. Inoltre, come vedremo meglio in seguito, la posizione rivestita dai lavoratori extracomunitari non del tutto paragonabile a quella goduta dai lavoratori turchi, beneficiando questultimi di una priorit loro concessa ai sensi dell' art. 8 della Decisione n. 1/80. In particolare, se lart. 8, n. 1 statuisce che ai lavoratori comunitari vada accordata precedenza rispetto ai lavoratori turchi nel caso in cui le autorit dello Stato membro autorizzino cittadini non comunitari ad accogliere un'offerta di lavoro che non possa essere accolta ricorrendo alla forza lavoro disponibile sul mercato del lavoro dello Stato membro, l'art. 8, n. 2, prevede che gli uffici di collocamento degli Stati membri si impegnano a coprire i posti di lavoro vacanti registrati, che la forza lavoro comunitaria regolarmente iscritta non ha potuto coprire, mediante lavoratori turchi iscritti al collocamento regolarmente residenti nel territorio del detto Stato membro. Questultimi godono, per tanto, della possibilit di accedere in una potenziale graduatoria volta ad assegnare posti di lavoro non ricoperti da personale comunitario ad una posizione privilegiata rispetto ai lavoratori provenienti da altri Stati extracomunitari.

3.5           I familiari dei lavoratori turchi

 

Al fine di delineare quali siano i diritti conferiti ai familiari del lavoratore turco pare necessario affrontare una questione preliminare volta a stabilire i soggetti che rientrano in tale categoria.

La Decisione n. 1/80, la quale non regola in maniera programmatica laccesso dei familiari dei lavoratori turchi, non dispone alcuna definizione della nozione di familiari, prevedendo solo che: I familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro:

a)              hanno il diritto di rispondere, fatta salva la precedenza ai lavoratori degli Stati membri della Comunit, a qualsiasi offerta di impiego, se vi risiedono regolarmente da almeno tre anni;

b)             beneficiano del libero accesso a qualsiasi attivit dipendente di loro scelta se vi risiedono regolarmente da almeno cinque anni.

Negli anni precedenti ladozione della direttiva 2003/86/CE del Consiglio[241], la quale stabilisce le condizioni alle quali pu essere esercitato il diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini dei paesi terzi legittimamente residenti nell'Unione, ci si chiedeva se tale definizione potesse essere rinvenuta attraverso il riferimento ai soggetti indicati quali familiari nel Regolamento (CEE) n. 1612/68, il che avrebbe comportato ununiformazione di alcuni diritti dei lavoratori impiegati nel territorio comunitario in linea con gli scopi dellAccordo di associazione, mediante lapplicazione delle disposizioni nazionali in merito o a discrezione degli Stati membri.

La suddetta questione affrontata, ad esempio, in una causa del 1998[242], nella quale si chiedeva alla Corte se il concetto di "familiare", ai sensi dell'art. 7, primo comma, della Decisione n. 1/80, debba essere interpretato nel senso che anche il convivente (more uxorio, senza formale vincolo matrimoniale) di un lavoratore turco pu soddisfare le condizioni di fatto poste da tale disposizione. Nel caso di specie, la signora Eyp era una cittadina turca alla quale era stato conferito un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare in seguito al matrimonio avvenuto in Austria con un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di tale Stato membro dal 1975. In seguito al divorzio, avvenuto nel 1985, i coniugi continuavano a convivere more uxorio e quattro dei sette figli della coppia nascevano nel periodo durante tale convivenza. Questultima ha termine con un secondo matrimonio della coppia e con il riconoscimento dei quattro figli della coppia nati nel periodo di convivenza extramatrimoniale. Nonostante il periodo continuativo di convivenza, pur privo di un vincolo formale di matrimonio, alla ricorrente veniva negato un permesso di lavoro, ritenendo le autorit austriache che, da un lato, solo il coniuge - e non il convivente more uxorio - del lavoratore turco dovesse essere considerato familiare ai sensi dell'art. 7, primo comma, della Decisione n. 1/80 e che la convivenza more uxorio del signore e della signora Eyp avesse fatto perdere a quest'ultima il beneficio del periodo di matrimonio maturato tra il 23 settembre 1983 e il 13 novembre 1985. D'altro lato, considerando come punto di partenza la data del secondo matrimonio, la ricorrente nella causa principale non soddisfaceva il requisito temporale previsto al secondo trattino di tale disposizione, poich non risiedeva in Austria da almeno cinque anni in qualit di familiare di un lavoratore turco. A differenza di tali autorit, la Corte ha sancito che l'art. 7, primo comma, della Decisione del Consiglio d'associazione 19 settembre 1980, n. 1/80 [], deve essere interpretato nel senso che comprende la situazione di una cittadina turca che stata autorizzata, in qualit di coniuge di un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro dello Stato membro ospitante, a ricongiungersi a tale lavoratore quando, dopo aver divorziato prima della fine del periodo di tre anni previsto dal primo trattino di detta disposizione, ha tuttavia continuato di fatto a convivere ininterrottamente con l'ex marito fino alla data in cui i due ex coniugi si sono risposati. Tale cittadina turca deve pertanto essere considerata regolarmente residente in detto Stato membro, ai sensi della predetta disposizione, di modo che pu ivi avvalersi direttamente del diritto, dopo tre anni, di rispondere a qualsiasi offerta di lavoro e, dopo cinque anni, di accedere liberamente a qualsiasi attivit lavorativa subordinata di sua scelta.

Oggi, alla luce delle disposizioni previste dalla direttiva del 2003, la questione relativa alla signora Eyp avrebbe potuto essere risolta facendo riferimento allart. 4 del Capo II della suddetta direttiva la quale annovera fra i familiari a cui gli Stati membri autorizzano lingresso e il soggiorno:

a)              il coniuge del soggiornante;

b)             i figli minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati;

c)              i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante o del coniuge quando essi siano titolari dell'affidamento e responsabili del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l'altro titolare dell'affidamento abbia dato il suo consenso.

Inoltre, gli Stati membri possono autorizzare l'ingresso e il soggiorno ad altri familiari, quali:

a)              gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d'origine;

b)             i figli adulti non coniugati del soggiornante o del suo coniuge, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessit in ragione del loro stato di salute;

c)              il partner non coniugato cittadino di un paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante o una relazione formalmente registrata, ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, nonch dei figli minori non coniugati, anche adottati, di tali persone, come pure i figli adulti non coniugati di tali persone, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessit in ragione del loro stato di salute.

Nonostante le suddette categorie rispecchino quelle indicate nella direttiva 2004/58/CE, modificativa del reg. 1612/68, sussistono delle differenze. Volendo perseguire una rapida analisi del testo, la prima delle suddette differenze concerne i titolari del diritto al ricongiungimento familiare i quali non sono i lavoratori che hanno fruito della libert di circolazione, bens i lavoratori turchi che siano titolari di un permesso di soggiorno rilasciato dallo Stato membro per un periodo di validit pari o superiore a un anno e che abbiano una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile. Inoltre, al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, potranno essere richiesti requisiti simili a quelli che lo stesso lavoratore comunitario deve dimostrare di possedere nel caso in cui voglia soggiornare in uno Stato per pi di tre mesi, quali:

a)              un alloggio considerato normale per una famiglia analoga nella stessa regione e che corrisponda alle norme generali di sicurezza e di salubrit in vigore nello Stato membro interessato;

b)             un'assicurazione contro le malattie che copra tutti i rischi di norma coperti per i cittadini dello Stato membro interessato, per se stesso e per i suoi familiari;

c)              di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato.

Inoltre, fra i tanti elementi che possono essere individuati, alcune sostanziali differenze che intercorrono tra le due categorie di lavoratori risiedono nella possibilit concessa agli Stati membri dalla direttiva del 2003 di esigere, in riferimento ai minori, che coloro i quali hanno unet superiore a 12 anni debbano dimostrare una capacit di integrazione per potersi ricongiungere alla famiglia del soggiornante, ovvero che le loro domande di ricongiungimento vengano presentate prima del compimento dei 15 anni. Le autorit statali potranno imporre, in aggiunta alle disposizioni citate, che il lavoratore debba effettuare un soggiorno legale di due anni prima che possa essere raggiunto dai suoi familiari o, infine, o un periodo di attesa di tre anni tra la presentazione della domanda di ricongiungimento ed il rilascio del permesso di soggiorno ai familiari, se gli Stati membri interessati tengono conto della loro capacit di accoglienza. Tutte le disposizioni or ora citate sono state oggetto di una richiesta di annullamento formulata dal Parlamento europeo, ritenendole questultimo incompatibili con diritti fondamentali quali il diritto alla vita familiare e alla non discriminazione. Tali argomenti sono, tuttavia, stati respinti dalla Corte con una sentenza del giugno 2006[243].

 

3.6          Il regime di sicurezza sociale

 

In merito allapplicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori turchi, i diritti ad essi conferiti sono disciplinati dalla Decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione la quale fu adottata in ottemperanza allart. 39 del Protocollo addizionale, il quale individua, fra i compiti del Consiglio di associazione, quello di adottare delle disposizioni che dovranno permettere ai lavoratori di nazionalit turca il cumulo di periodi di assicurazione o di occupazione trascorsi nei vari Stati membri per quanto riguarda le pensioni e le rendite di vecchiaia, di decesso e dinvalidit, nonch lassistenza sanitaria del lavoratore e della sua famiglia residenti nella Comunit. Queste disposizioni non potranno creare un obbligo per gli Stati membri della Comunit di prendere in considerazione i periodi trascorsi in Turchia. A tal fine, le disposizioni della Decisione n. 3/80 rinviano sostanzialmente a talune disposizioni del Regolamento n. 1408/71 e, pi raramente, del Regolamento (CEE) del Consiglio 21 marzo 1972, n. 574, che stabilisce le modalit di applicazione del Regolamento n. 1408/71.

Tuttavia, come descritto nei capitoli precedenti, con lentrata in vigore del Regolamento (CEE) n. 859/03 lapplicazione del reg. 1408/71 stata estesa a tutti i cittadini extracomunitari regolarmente residenti nel territorio di uno Stato membro che si spostano in un altro Stato comunitario, rientrando, in tale categoria di soggetti anche i lavoratori turchi. Per tanto, questultimi, in caso di ricorso in giudizio, potranno invocare, al pari degli altri cittadini extracomunitari, la protezione prevista dal Regolamento 1408.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conclusioni

 

Lidea di parlare di Europa, intesa come Unione Europea, nasce dalla volont di indagare le dinamiche connesse alla progressiva costruzione di tale entit sovranazionale e studiare limpatto che tale creazione ha avuto sulla libert di movimento degli individui che ne percorrono i territori. A tale proposito, guardando al progressivo raffinamento del meccanismo di coordinamento interno e di gestione dei confini comunitari, appare chiaro il motivo per cui fosse considerata necessaria una nuova etichetta, la cittadinanza europea, volta ad identificare i membri della Comunit e densa di contenuti tali da adattare la vecchia cittadinanza nazionale al nascente mercato unico. La cittadinanza europea, quindi, come passaporto per una nuova libert garantita ai gi cittadini degli Stati membri ma come ulteriore frontiera per coloro che provengono da Stati esterni ai confini dellUnione, in una dinamica nella quale il rapporto tra la volont di Monnet di unire gli uomini oltre i confini statali, ma entro quelli europei, e lidea di cui si fanno portavoce molti esponenti della societ civile e del mondo dellassociazionismo italiano secondo cui nessun uomo clandestino si trasforma in un incontro-scontro che paralizza la dinamica stessa. I nuovi confini, anche se allargati, generano nuove barriere, nuovi ostacoli o nuove possibilit di accesso, nuove regole pi o meno permissive, nuovi clandestini o futuri cittadini. Daltra parte, regole, controlli e discipline adeguati risultano parti essenziali di una politica che vuole affrontare la questione migratoria in maniera organica, guardando alle capacit e alla velocit di assorbimento dei nuovi lavoratori nel mercato occupazionale comunitario e costruendo un adeguato sistema di integrazione.

Ma esiste un diritto dellindividuo allimmigrazione? Pu qualsiasi soggetto muoversi seguendo la propria volont e le proprie aspirazioni nello spazio mondiale?

Dallanalisi condotta, seppur di carattere prettamente giuridico, emerge un carattere di forte asimmetria nella possibilit di esercizio di tale libert.

Il cittadino comunitario, cio colui che ai sensi dellart. 17 del Trattato CE ha la cittadinanza di uno degli Stati membri, gode, secondo quanto sancito dalla direttiva 2004/58/CE, modificativa del Reg. (CEE) n. 1612/68, del diritto dingresso, di uscita, e di soggiorno in uno Stato dellUnione diverso da quello dorigine senza che nessun visto di entrata o di uscita n alcuna formalit equivalente possa essergli prescritta (lunico elemento necessario lessere muniti di una carta di identit o di un passaporto in corso di validit). Nel caso in cui il soggiorno sia superiore ai 3 mesi, non risulta pi obbligatorio richiedere la carta di soggiorno, ma sar necessario dimostrare la disponibilit di risorse economiche sufficienti per s e per i propri familiari a carico nonch lessere titolari di unassicurazione sanitaria. Lo Stato, inoltre, potr richiedere l'iscrizione presso le autorit competenti e, ad esempio, la presentazione della documentazione che attesta lo svolgimento di unattivit lavorativa, di studio o di formazione professionale. In seguito a cinque anni di soggiorno legale e continuativo nello Stato membro ospitante il soggetto acquista un diritto di soggiorno permanente.

Al pari del cittadino comunitario, il lavoratore subordinato od autonomo proveniente da uno Stato terzo e la sua famiglia hanno la possibilit di ottenere, in seguito ad una residenza legale di almeno cinque anni e alla dimostrazione di possedere risorse stabili e sufficienti per il proprio sostentamento, lo status di soggiornante di lungo periodo, istituito con la direttiva n. 2003/109/CE. Nonostante tale importante novit, a differenza dei cittadini dellUnione, lentrata ed il soggiorno in uno Stato membro appaiono molto pi complessi e subordinati al rispetto dei requisiti descritti nelle pagine precedenti: presentarsi ad un valico di frontiera; essere in possesso di un passaporto o di un altro documento di viaggio equivalente riconosciuto valido per lattraversamento delle frontiere; disporre di documenti che giustifichino lo scopo e le condizioni del soggiorno e dimostrare di detenere i mezzi finanziari sufficienti in relazione alla natura, alla durata prevista del soggiorno, ed alle spese per il ritorno nel Paese di provenienza (o per il transito verso uno Stato terzo); essere muniti, ove prescritto, di un valido visto di ingresso o di transito; non essere segnalato ai fini della non ammissione nel Sistema Informativo Schengen; non essere considerato pericoloso per lordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti, da disposizioni nazionali o di altri Stati Schengen. In particolare, per quanto concerne il visto di ingresso, previsto un Visto Schengen uniforme che permette il transito o soggiorni di breve periodo negli Stati che applicano la Convenzione, ed un Visto nazionale (ne esistono di varie tipologie connesse allo scopo del soggiorno), richiesto per soggiorni superiori ai tre mesi, il quale consente laccesso (e la possibilit di transito attraverso gli altri Paesi Schengen) al solo territorio dello Stato che ha rilasciato il suddetto visto. Inoltre, a differenza dei cittadini comunitari, essi dovranno dotarsi di un permesso di soggiorno le cui modalit di rilascio variano in relazione allo scopo per il quale il suddetto stato richiesto. In particolare, se le condizioni di rilascio dei permessi di soggiorno per le vittime della tratta di esseri umani o coinvolte in unazione di favoreggiamento dellimmigrazione illegale che cooperino con le autorit competenti, per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito e volontariato per pi di tre mesi, per i ricercatori ed, infine, nel caso di ricongiungimento familiare sono state armonizzate a livello comunitario, tale meccanismo non ha riguardato anche le politiche di ingresso per lavoro (esistono solo delle proposte di direttive) a causa delle differenti situazioni demografiche e dei mercati occupazionali nazionali. Gran Bretagna, Spagna ed Italia, ad esempio, sono Stati con un basso tasso di disoccupazione ed in grado di accogliere immigrati nei propri territori ma, se il primo paese indirizza i propri interessi principalmente verso i flussi di migranti con un grado di qualifica medio- alta, i secondi due soffrono di carenza di manodopera a causa del basso tasso di natalit. A differenza di tali Stati, Germania e Francia, pur presentando tassi di natalit differenti (bassi nel primo, alti nel secondo), sono paesi caratterizzati da unelevata disoccupazione strutturale e pi difficilmente aprono i propri mercati del lavoro (i canali daccesso rimangono quelli dellasilo e del ricongiungimento familiare). Tuttavia, al di l delle specificit nazionali, possibile affermare che lUnione necessit di nuovi lavoratori per sostenere la propria crescita economica ed i sistemi di welfare in essa sviluppati. Le statistiche che forniscono un quadro generale della situazione della popolazione europea, pi volte riconoscono lesistenza di un motore demografico che, in generale, stenta a funzionare persistendo tassi di fecondit molto bassi (in Italia il numero medio di figli per donna nel 2005 era pari a 1,34, ben al di sotto della soglia che permette il ricambio generazionale) nonch aspettative di vita sempre pi lunghe che conducono ad un generale invecchiamento della popolazione e ad un indice di dipendenza sempre pi elevato (in soli 15 anni, tra il 1990 e il 2005 il numero dei cittadini europei con meno di 20 anni passato da 26,5 al 22,3% della popolazione totale – circa 13 milioni di persone in meno - mentre il numero di coloro che hanno almeno 65 anni aumentato da 84 a 101 milioni, cio il 21,9%; tale fenomeno, in Italia, devier la transizione demografica verso un vero e proprio squilibrio generazionale)[244].

Da quanto detto fino ad ora in merito alle condizioni di accesso al territorio comunitario non appare una sostanziale differenza tra tutela garantita ai cittadini extracomunitari e quella prevista, in particolare, per i cittadini turchi. Tali differenze non emergono nemmeno nellambito della libert di circolazione, diritto conferito ai cittadini comunitari ed inserito in una prospettiva di lungo periodo e con una formula particolare nellAccordo di Ankara, n tantomeno nei diritti concessi ai familiari nellambito di un ricongiungimento familiare. In tale ambito, infatti, nonostante lapprovazione da parte del Consiglio di associazione della Decisione n. 1/80, questultima non regolava in maniera programmatica laccesso dei familiari dei lavoratori turchi, risultando anche per essi innovativa lentrata in vigore della direttiva 2003/86/CE che stabiliva le condizioni di esercizio del diritto di ricongiungimento familiare per tutti gli extracomunitari regolarmente residenti. Tuttavia, a differenza degli altri cittadini provenienti da Stati terzi, i lavoratori turchi, fin dai primi anni di vita della Comunit, godevano di una rete di garanzie loro concesse dallAccordo di associazione e dal diritto da esso derivato. Pensiamo, ad esempio, alla Decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione la quale, ventanni prima dellestensione a tutti i lavoratori extracomunitari delle disposizioni relative alla sicurezza sociale avvenuta con lentrata in vigore del Reg. (CEE) n. 859/03, gi rinviava ad alcuni articoli del Reg. (CEE) 1408/71.

Ci nondimeno, la differenza pi rilevante pu essere individuata nellambito della tutela giurisdizionale, la quale risulta particolarmente ristretta per i cittadini di Stati terzi. Come descritto nel Capitolo I, infatti, in merito al trattamento dei lavoratori stranieri provenienti da paesi con i quali l'Unione non ha concluso accordi non possibile rinvenire alcuna giurisprudenza della Corte di giustizia poich, in questa materia, da una parte la competenza normativa dell'Unione limitata e non si ancora tradotta in atti significativi (con l'eccezione della direttiva sui soggiornanti di lungo periodo), dall'altra la competenza interpretativa della Corte pu essere invocata solo dai giudici di ultima istanza (vedi art. 68 TCE), circostanza che limita le opportunit della Corte di contribuire al chiarimento delle eventuali norme in materia. Nellambito del Titolo IV del Trattato CE titolato Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone, , infatti, negata la facolt prevista per le giurisdizioni di primo e di secondo grado di porre in essere un rinvio pregiudiziale alla Corte nellambito di un procedimento pendente davanti ad un giudice nazionale.

Di pi ampio respiro e di pi antica pratica la tutela prevista per i lavoratori turchi, dimostrata dallalto numero di sentenze della Corte di cui essi sono protagonisti. Questultima, in particolare, esercita la propria competenza nellambito degli Accordi di associazione e delle Decisioni del Consiglio di associazione, rientrando questi nellordinamento comunitario, ed ha riconosciuto lefficacia diretta di alcuni articoli delle suddette Decisioni.

Volendo tradurre i legami che sussistono tra cittadini turchi, Stati membri, Stato dorigine e Comunit in una figura esplicativa, potremmo idealizzare nella nostra mente la forma di una piramide i cui spigoli rappresentano i legami che intercorrono tra gli attori indicati[245].

I cittadini turchi sono individuati nel vertice della nostra ipotetica piramide (V), rappresentando un elemento di congiunzione tra la Comunit (C), i suoi Stati membri (M) e lo Stato dorigine, ovvero la Repubblica turca (O). Essi sono destinatari di diritti (CV) ai quali possono appellarsi direttamente, se necessario, contro le decisioni di uno Stato membro (MV); attraverso la legislazione nazionale, acquisiscono i diritti derivanti dal diritto comunitario (VM - MC) e lo Stato dorigine, nel rispetto delle condizioni previste dallAccordo, detiene un potere residuo di proteggere i diritti dei suoi cittadini attraverso il meccanismo di risoluzione delle controversie previsto dallAccordo stesso (VO).

La Comunit, parte dellAccordo insieme agli Stati che la compongono, la responsabile ultima degli obblighi assunti nei confronti degli Stati dorigine attraverso gli Accordi (CM), sussistendo, tra la Comunit e gli Stati terzi, degli obblighi e dei doveri che entrambe le parti devono rispettare (CO). Tuttavia, alcuni di questi, di parte comunitaria, possono essere realizzati solo attraverso le capacit statali, creandosi quindi un rapporto, attraverso la legislazione comunitaria, tra i paesi terzi e gli Stati membri (OM).

Se provassimo a riformulare tale figura ponendo quale nuovo vertice i cittadini extracomunitari provenienti da Stati che non hanno stretto con la Comunit accordi di associazione, ci accorgeremo come il significato di alcuni spigoli muterebbe o, addirittura, alcuni si essi potrebbero scomparire. Se viene meno il legame Comunit e Stati dorigine, quello tra individui, Stati membri e Comunit rimarrebbe intatto, prevedendo lUnione una tutela per coloro che si recano nei suoi territori. Il rapporto tra Stati dorigine e Stati membri potrebbe, invece, sussistere nel caso in cui il paese ospitante abbia stipulato con quello di emigrazione degli accordi relativi, ad esempio, la tutela dei contributi maturati dal lavoratore migrante attraverso lo svolgimento di una o pi attivit lavorative nel suo territorio.

Nonostante gli accordi stipulati in maniera unilaterale dagli Stati o promossi a livello comunitario rappresentino uno strumento importante di gestione ed organizzazione del fenomeno migratorio, essi, tuttavia, si rivelano incompleti in quanto non in grado di elaborare politiche che efficacemente ed in maniera organica creino delle alternative alla migrazione. Poich nella possibilit di scelta delle persone che risiede la vera forza e la reale indipendenza, appare sempre pi necessario (in una situazione nella quale pare non si voglia incidere realmente nellormai consolidata e sempre pi critica distribuzione della ricchezza a livello mondiale) ridurre i push factors che spingono gli individui a lasciare i propri Stati (guerre, carestie, sistemi politici fragili e corrotti) attraverso delle azioni che vadano ad incidere a pi livelli, dal rafforzamento di strutture politiche democratiche, al sostegno della societ civile e delle capacit di scelta delle donne[246], riconosciute quali motore di trasformazione positiva.

Il meccanismo da porre in essere, quindi, quello di ricondurre al centro luomo, come in un nuovo Rinascimento, rovesciando il paradosso della contemporaneit che lo ha reso schiavo, con intensit e modalit diverse, dei sistemi (quale quello economico) da esso stesso creati per incrementare il proprio benessere.

Luomo come individuo dotato di capacit e diritti.

Lo sviluppo come libert[247].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Indice della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunit europee

 

Sentenza del 3 febbraio 1982, cause riunite 62/81 e 63/81, Seco e Desquenne & Giral, in Racc., pag. 00223.

Sentenza del 23 marzo 1982, C-53/81, D.M. Levin vs. Segretario di Stato per la giustizia, in Racc., p. 1035.

Sentenza del 27 ottobre 1982, C- 35 e 36/82, Morson, in Racc., p. 3723 ss.

Sentenza del 22 maggio 1985, C-13/83, Parlamento europeo vs. Consiglio, in Racc., p. 1513 ss.

Sentenza della Corte del 3 luglio 1986, C-66/85, Deborah Lawrie-Blum vs. Land Baden-Wrttemberg, in Racc., p. 2121.

Sentenza del 9 luglio 1987, Cause riunite 281, 283, 284, 285, 287, Rep. Fed. di Germania ed altri vs. Commissione, in Racc., p. 3203 ss.

Sentenza del 30 settembre 1987, C-12/86, Meryem Demirel vs. Comune di Schwbisch Gmnd, in Racc., p. 3719 ss.

Sentenza del 2 febbraio 1989, 186/87, Cowan, in Racc., p. 195.

Sentenza del 15 marzo 1989, Cause riunite 389/87 e 390/87, G. B. C. Echternach e A. Moritz contro Ministro olandese dell'istruzione e delle scienze, Domande di pronuncia pregiudiziale: Commissie van Beroep Studiefinanciering (Paesi Bassi), in Racc., p. 00723.

Sentenza del 13 luglio 1989, C-171/88, Ingrid Rinner-Khn vs. FWW Spezial-Gebudereinigung GmbH & Co. KG., in Racc., p. 2743.

Sentenza del 27 settembre 1989, C- 9/88, Lopes da Veiga vs. Staatssecretaris van justitie, in Racc., p. 2989.

Sentenza del 5 ottobre 1994, C-355/93, Hayriye Eroglu vs. Land Baden-Wrttemberg, in Racc., p. I-05113.

Sentenza del 31 maggio 1989, C-344/87, I. Bettray vs. Staatssecretaris van Justitie, in Racc., p. 1621.

Sentenza del 20 settembre 1990, C-192/89, S. Z. Sevince vs. Staatssecretaris van Justitie, in Racc., p. I-03461.

Sentenza del 27 marzo 1990, C-113/89, Rush Portuguesa, in Racc., p. I-01417 ss.

Sentenza del 7 luglio 1992, C-370/90, Surinder Singh, in Racc., p. I-6591 ss.

Sentenza del 16 dicembre 1992, C-237/91, Kazim Kus contro Landeshauptstadt Wiesbaden, in Racc., p. I-06781.

Sentenza del 5 ottobre 1994, C-355/93, Hayriye Eroglu vs. Land Baden-Wrttemberg, in Racc., p. I-05113.

Sentenza del 9 agosto 1994, C-43/93, Vander Elst, in Racc., p. I-3803 ss.

Sentenza del 6 giugno 1995, C-434/93, Ahmet Bozkurt vs. Staatssecretaris van Justitie, in Racc., p. I-01475.

Sentenza del 23 gennaio 1997, C-171/95, Recep Tetik vs. Land Berlin, in Racc., p. I-00329.

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Sentenza del 30 settembre 1997, C-36/96, Faik Gnaydin, Hatice Gnaydin, Gnes Gnaydin e Seda Gnaydin contro Freistaat Bayern, in Racc., p. I-05143.

Sentenza del 12 maggio 1998, C-85/96, Mara Martnez Sala contro Freistaat Bayern, in Racc., p.I-02691.

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Sentenza del 25 luglio 2002, C-459/99, MRAX, in Racc., p. 35 ss.

Sentenza del 31 gennaio 2006, C-503/03, Commissione delle Comunit europee vs. Regno di Spagna, in Racc., pag. I-01097.

Sentenza del 27 giugno 2006, C-540/03, Parlamento europeo contro Consiglio dell'Unione europea, in Racc. p. I-05769.

Sentenza dell11 dicembre 2007, C-291/05, Minister voor Vreemdelingenzaken en Integratie vs. R. N. G. Eind, in Racc., p. I-10719.





[1] D. Liakopoulos, La condizione giuridica dello straniero: evoluzione del concetto di cittadinanza alla luce delle norme internazionali, in www.immigrazionelavoro.it.

[2] Approvata e proclamata dallAssemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

[3] Art. 12 del Patto ONU sui diritti civili e politici del 1966.

[4] Art. 2 della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

[5] Art. 43 della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

[6] United Nations Trends in Total Migrant Stock: The 2005 Revision, http://esa.un.org/migration.

[7] Convenzione aperta alla firma dei Paesi membri del Consiglio dEuropa a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 3 settembre 1953.

[8] Art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali.

[9] L. Einaudi, Le politiche dellimmigrazione in Italia dallUnit ad oggi, Bari, 2007, p. 283. Da tale libro tratta la ricostruzione storica dello sviluppo della politica europea dimmigrazione proposta nellIntroduzione.

[10] L. Einaudi, Le politiche dellimmigrazione in Italia dallUnit ad oggi, op. cit., p. 293.

[11] Idem.

[12] Idem.

[13] Cfr. Caritas di Roma, Dossier Statistico Immigrazione 2003, Anterem Roma 2003, p. 29. I flussi si riferiscono al continente europeo nel suo complesso, inclusi i Paesi dellEuropa orientale.

[14] Trattato che istituisce la Comunit Economica Europea (CEE), firmato a Roma il 25 marzo 1957 contemporaneamente al trattato che istituisce la Comunit europea dellenergia atomica (Euratom) ed entrato in vigore il 1 gennaio 1958.

[15] Cfr. M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006, p. 249.

[16] Ivi, p. 250.

[17] Art. 117: Gli Stati membri convengono sulla necessit di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano dopra che consenta la loro parificazione nel progresso.

Gli Stati membri ritengono che una tale evoluzione risulter sia dal funzionamento del mercato comune, che favorir larmonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dal presente Trattato e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative.

Art. 118: Senza pregiudizio delle altre disposizioni del presente Trattato, e conformemente agli obiettivi generali di questo, la Commissione ha il compito di promuovere una stretta collaborazione tra gli Stati membri nel campo sociale, in particolare per le materie riguardanti: loccupazione, la formazione e il perfezionamento professionale, la sicurezza sociale, la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali, ligiene del lavoro, il diritto sindacale e le trattative collettive tra datori di lavoro e lavoratori.

A tal fine la Commissione opera a stretto contatto con gli Stati membri mediante studi e pareri e organizzando consultazioni, sia per problemi che si presentano sul piano nazionale, che per quelli che interessano le organizzazioni internazionali.

Prima di formulare i pareri previsti dal presente articolo, la Commissione consulta il Comitato economico e sociale.

[18] Cfr. L. Manca, Limmigrazione nel diritto dellUnione Europea, Milano, 2003, p. 13.

[19] Cfr. Commissione delle Comunit Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio su La consultazione relativa alle politiche di migrazione nei confronti degli Stati terzi, COM (79) 155 def. del 27 marzo 1979, p. 7.

[20] Cfr. Corte di Giustizia delle Comunit Europee, sentenza del 9 luglio 1987, Rep. Fed. di Germania ed altri c. Commissione, cause riunite 281, 283, 284, 285, 287, in Racc., 1987, p. 3203 ss.

[21] Cfr. L. Manca, Limmigrazione nel diritto dellUnione Europea, op. cit., p. 15.

[22] G. Gaja, Le due velocit in tema di circolazione delle persone, in RDI, 1989, p. 640.

[23] Ivi, p. 18. Secondo il citato autore la necessariet stata pi volte oggetto di discussione in quanto si presta facilmente ad interpretazioni discrezionali []. La prassi ha evidenziato un ampio ricorso a tale disposizione sia per estendere e sviluppare molte competenze comunitarie (in materia regionale, di relazioni esterne, ecc) sia per introdurre settori non ancora oggetto di disciplina del Trattato Si pensi, in questultimo caso, agli interventi della Comunit in tema di ambiente.

[24] Regolamento n. 1612/68/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit, in GUCE, L 257 del 15 ottobre 1968.

[25] Direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, GUCE L 229 del 29 giugno 2004.

[26] Cfr. art. 5, par. 1 della direttiva 2004/38/CE.

[27] Ivi, Cfr. art. 6, par. 1

[28] Ivi, Cfr. art. 7, par. 1

[29] Il Consiglio, secondo quando previsto dal Regolamento (CE) n. 1932/2006 del 21 dicembre 2006, che modifica il regolamento (CE) n. 539/2001, adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo, GU L 405 del 30.12.2006.

[30] Sentenza del 25 luglio 2002, C-459/99, MRAX, in Racc., p. 35 ss.

[31] Sentenza dell11 luglio 2002, C-60/00, Carpenter, in Racc., p. I-6279, sentenza dell11 dicembre 2007, Minister voor Vreemdelingenzaken en Integratie contro R. N. G. Eind, C-291/05, in Racc., p. I-10719, Sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione delle Comunit europee contro Regno di Spagna, Causa C-503/03, in Racc., pag. I-01097. Cfr. M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone op. cit., p. 283.

[32] Cfr. art. 5, par. 2 della direttiva 2004/38/CE.

[33] Sentenza del 7 luglio 1992, C-370/90, Surinder Singh, in Racc., p. I-6591 ss.

[34] Cfr. sentenza del 27 ottobre 1982,C- 35 e 36/82, Morson, in Racc., p. 3723 ss; 5 giugno 1997, C-64 e 65/96, ecker e Jacques, in Racc., p. I-3171 ss.

[35] Risoluzione del Consiglio del 21 gennaio 1974, relativa ad un programma di azione sociale, in GUCE C13 del 12 febbraio 1974.

[36] Risoluzione del Consiglio del 9 febbraio 1976, relativa ad un programma di azione a favore dei lavoratori migranti e dei loro familiari, in GUCE C34/2 del 14 febbraio 1976.

 

[37] Decisione dell8 luglio 1985, in GUCE, L 217 del 14 agosto 1985.

[38] Art. 3: La concertazione di cui allarticolo 2 finalizzata in particolare a: a) facilitare l'informazione reciproca e l'individuazione dei problemi d'interesse comune e, in funzione di quest'ultimi, agevolare l'adozione di una posizione comune da parte degli stati membri, in particolare per quanto concerne atti internazionali relativi alle migrazioni; b) garantire che i progetti, gli accordi e i provvedimenti di cui all'articolo siano conformi alle politiche e azioni comunitarie in tali campi, incluse quelle relative all'aiuto allo sviluppo e non ne compromettano i risultati, in particolare per quanto concerne la politica comunitaria del mercato del lavoro; c) esaminare l'opportunit di misure che potrebbero essere prese o dalla Comunit o dagli stati membri nei settori di cui all'articolo 1, in particolare allo scopo di progredire verso l'armonizzazione delle legislazioni nazionali sugli stranieri, promuovere l'inclusione negli accordi bilaterali del maggior numero di disposizioni comuni e migliorare la protezione dei cittadini degli stati membri che lavorano e risiedono negli stati terzi.

[39] Sentenza del 9 luglio del 1987, 281, 283-285, 287/85, Germania, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Regno Unito c. Commissione, in Racc., p. 3203 ss.

[40] Cfr. Racc. 1987, p. 3253.

[41] Decisione della Commissione dell8 giugno 1988, che istituisce una procedura di comunicazione preliminare e di concertazione sulle politiche migratorie nei confronti dei paesi terzi, in GUCE L. 183 del 14 luglio 1988.

[42] R. Keohane, S. Hoffmann, The New European Community Decision-Making and Institutional Change, Westview Press, Boulder, 1991.

[43] M. Delle Donne, U. Melotti, Immigrazione in Europa, Roma, 2004, p. 27.

[44] G. Natalicchi, F. Attin, LUnione Europea. Governo, Istituzioni, Politiche, Bologna, 2007, p. 33.

[45] Ivi, p. 35-36.

[46] M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone op. cit., p. 255.

[47] Il Comitato istituito dal Consiglio europeo di Fontainebleau (25-26 giugno 1984) era formato dai rappresentanti dei capi di Stato e di governo degli Stati membri. Il Comitato, nella relazione presentata al Consiglio europeo di Bruxelles (29-30 marzo 1985), aveva invitato questultimo a definire una politica comune in tema di ingresso, circolazione, espulsione di stranieri, al fine di realizzare, entro il 1992, la c.d. Europa senza frontiere.

[48] Successivamente vi aderirono altri stati dell'Unione europea: l'Italia (il 27 novembre 1990), il Portogallo e la Spagna (entrambi il 25 giugno 1992), la Grecia (il 6 novembre 1992), l'Austria (il 28 aprile 1995). Dal 19 dicembre 1996 i contenuti degli accordi vengono applicati anche a due Stati (Norvegia e Islanda) non facente parte dell'Unione europea, in quanto questi facevano parte dell'Unione nordica che prevedeva norme simili per i paesi scandinavi, tre dei quali facevano ormai parte dell'Unione europea. Con l'approvazione del referendum del 5 giugno 2005, anche la Svizzera, che non fa parte dell'Unione europea, entra a far parte dell'area Schengen.

Il Regno Unito e la Repubblica d'Irlanda non hanno aderito al Trattato di Schengen.

[49] Terzo considerando dellAccordo di Schengen fra i Governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese
relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, 14 giugno 1985.

 

[50] L. S. Rossi, E. Bergamini, Gli stranieri, in A. Tizzano (a cura di), Il diritto privato dellUnione europea, Torino, 2006.

 

[51] M. Delle Donne, U. Melotti, Immigrazione in Europa. Strategie di inclusione-esclusione, op. cit., p. 13-15.

[52] Art. 96: I dati relativi agli stranieri segnalati ai fini della non ammissione sono inseriti in base ad una segnalazione nazionale risultante da decisioni prese nel rispetto delle norme procedurali previste dalla legislazione nazionale, dalle autorit amministrative o dai competenti organi giurisdizionali.

Le decisioni possono essere fondate sulla circostanza che la presenza di uno straniero nel territorio nazionale costituisce una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale. In particolare ci pu verificarsi nel caso:

a. di uno straniero condannato per un reato passibile di una pena privativa della libert di almeno un anno.

b. di uno straniero nei cui confronti vi sono seri motivi di ritenere che abbia commesso fatti punibili gravi, inclusi quelli di cui all' articolo 71, o nei cui confronti esistano indizi reali che intenda commettere fatti simili nel territorio di una Parte contraente.

3. Le decisioni possono inoltre essere fondate sul fatto che lo straniero stato oggetto di una misura di allontanamento, di respingimento o di espulsione non revocata n sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto d`ingresso o eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri.

[53] M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone, op. cit., p. 257.

[54] Report of the Ministers of Immigration to the Council 3 December 1991. Cfr. E. Guild, Immigration law in the European Community, Londra, 2001, p. 247.

[55] Communication on Asylum, COM (91) Final, European Commission, Brussels, 1991; Communication on Immigration, COM (91) Final, European Commission, Brussels, 1991.

[56] Rinvio contenuto nellart. K. 2, la cui natura appare riduttiva ed indebolita da quanto sancito nel secondo comma del suddetto articolo: Il presente Titolo non osta all'esercizio delle responsabilit incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.

[57] Organo composto da alti funzionari, istituito con lart. K. 4. Svolgeva un ruolo di coordinamento, formulava pareri per il Consiglio a richiesta di questultimo o di propria iniziativa, e contribuiva alla preparazione dei lavori di tale organo nei settori contemplati dallart. K. 1.

[58] Un esempio di Convenzione basata sullart. K. 3 del Trattato sullUnione Europea la Convenzione Europol, che istituisce un ufficio europeo di Polizia, in GUCE n. C 316 del 27 novembre 1995.

[59] Punti 7), 8), 9) dellart. K. 1.

[60] Risoluzione sulla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle politiche di immigrazione e di asilo, in GUCE C 269 del 16 ottobre 1995.

[61] L. Manca, Limmigrazione nel diritto dellUnione Europea, op. cit., p. 71.

[62] Tuttavia, il secondo comma dellart. 100 C prevede che nel caso in cui una situazione di emergenza insorta in un paese terzo minacci un improvviso afflusso nella Comunit di cittadini di detto paese, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione, pu imporre, per un periodo non superiore a sei mesi, l'obbligo del visto per i cittadini provenienti dal paese in questione. L'obbligo del visto fissato ai sensi del presente paragrafo pu essere prorogato secondo la procedura di cui al paragrafo 1.

[63] Sentenza del 12 maggio 1998, C-170/96, Commissione c. Consiglio, in Racc., I-2763.

[64] Accordo sulla politica sociale concluso tra gli Stati membri della Comunit (ad eccezione del Regno Unito, il quale aveva imposto la clausola dellopt-out) ed allegato al Protocollo sulla politica sociale allegato al Trattato di Maastricht.

 

[65] Risoluzione del Consiglio, del 20 giugno 1994, sulle limitazioni allammissione di cittadini extracomunitari nel territorio degli Stati membri per fini di occupazione, in GUCE C 274 del 19 settembre 1996.

[66] Risoluzione del Consiglio, del 30 novembre 1994, sulle limitazioni allammissione di cittadini extracomunitari nel territorio degli Stati membri ai fini dellesercizio di unattivit professionale autonoma, in GUCE C 274 del 19 settembre 1996.

[67] Risoluzione del Consiglio, del 30 novembre 1994, sulle limitazioni allammissione di cittadini extracomunitari nel territorio degli Stati membri per fini di studio, in GUCE C 274 del 19 settembre 1996.

[68] Cfr. Par i) del Punto C della Risoluzione del Consiglio, del 20 giugno 1994.

[69] Cfr. Punto B di ogni Risoluzione. Nellelencazione fornita sono stati inclusi solo i soggetti comuni ai tre documenti. Le categorie di persone cui non si applicano le Risoluzioni in esame sono ulteriormente specificate in ogni Risoluzione.

[70] Cfr. Par. 4, Punto A della Risoluzione del Consiglio, del 30 novembre 1994.

[71] Cfr. Par i) del Punto C della Risoluzione del Consiglio, del 20 giugno 1994.

[72] Par vi) Punto 7 della Risoluzione del Consiglio, del 20 giugno 1994.

[73] Punto 11 della Risoluzione del Consiglio, del 30 novembre 1994.

[74] Art. 52 CEE, attuale art. 43 CE.

[75] Art. 59 CEE, attuale art. 49 CE.

[76] Sentenza del 2 febbraio 1989, 186/87, Cowan, in Racc.,p. 195.

[77] M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone, op. cit., p. 28.

[78] Direttiva del Cosiglio del 28 giugno 1990, n. 90/364/CEE relativa al diritto di soggiorno, in GUCE, L 180 del 13 luglio 1990.

[79] Direttiva del Cosiglio del 28 giugno 1990, n. 90/365/CEE relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attivit professionale, in GUCE, L 180 del 13 luglio 1990.

[80] Direttiva del Cosiglio del 29 ottobre 1993, n. 93/96/CEE relativa al diritto di soggiorno, in GUCE, L 317 del 18 dicembre 1993.

[81] Art. 8A del Trattato di Maastricht, attuale art. 18.

[82] Sentenza del 27 marzo 1990, C-113/89, Rush Portuguesa, in Racc., p. I-01417 ss.

[83] Sentenza del 9 agosto 1994, C-43/93, Vander Elst, in Racc., p. I-3803 ss.

[84] LOffice des migrations internationales, come visto nel caso Rush Portuguesa, ai sensi del Code du travail ha competenza esclusiva relativamente al collocamento e all' ingresso in Francia dei lavoratori stranieri.

[85] Accordo di cooperazione concluso tra la Comunit economica europea ed il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e approvato a nome della Comunit con il regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211, GU L 264, pag. 1.

[86] Sentenza 3 febbraio 1982, cause riunite 62/81 e 63/81, Seco e Desquenne & Giral, in Racc., pag. 00223.

[87] The British approach to European Union intergovernamental Conference 1996, in RDE, 1997, p. 148.

[88] Art. 2 del Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dellIrlanda (1997) e del Protocollo sulla posizione della Danimarca (1997).

[89] Art. 3 del Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dellIrlanda.

[90] Art. 4 del Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dellIrlanda.

[91] E. Guild, Immigration law in European Community, op. cit., p. 297.

[92] Lart. 67, par 3, statuisce che In deroga ai paragrafi 1 e 2, le misure di cui all'articolo 62, punto 2, lettera b), punti i) e iii), e, quindi, ladozione di un elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e di quelli i cui cittadini sono esenti da tale obbligo e di un modello uniforme di visto, successivamente all'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, sono adottate dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo.

Lart. 67, par. 4, sancisce che In deroga al paragrafo 2, le misure di cui all'articolo 62, punto 2, lettera b), punti ii) e iv) e, cio, le procedure e condizioni per il rilascio dei visti da parte degli Stati membri e le norme relative a un visto uniforme, trascorso un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, sono adottate dal Consiglio, che delibera secondo la procedura di cui all'articolo 251.

[93] Decisione del Consiglio n. 2004/927/CE del 22 dicembre 2004 che assoggetta taluni settori contemplati dal titolo IV, parte terza del trattato che istituisce la Comunit europea alla procedura di cui all'articolo 251 di detto trattato, in GUCE, L 396 del 31 dicembre 2004.

[94] Dichiarazione relativa allart. 67 del trattato che istituisce la Comunit europea, adottata a Nizza il 26 febbraio 2001.

[95] Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1 febbraio 2003.

[96] Sentenza del 22 maggio 1985, C-13/83, Parlamento europeo c. Consiglio, in Racc., p. 1513 ss.

[97] Cfr. M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone, op. cit., p. 265.

[98] Art. 220 del Trattato CE.

[99] La pronuncia, secondo quanto sancito allart. 234, deve riguardare linterpretazione del Trattato, la validit e linterpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunit e della BCE, linterpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi.

[100] Ordinanza del 18 marzo 2004, C-45/03, Dem Yanenko, non pubblicata.

[101] Cfr. Corte di Giustizia, Relazione su taluni aspetti dellapplicazione del Trattato sullUnione Europea, Bruxelles 10 maggio 1995, in RDE, 1996.

[102] Cfr. L. S. Rossi, E. Bergamini, Gli stranieri, op. cit.

[103] Art. 67, par. 2, secondo trattino.

[104] G. Curti, Schengen e il terzo pilastro: il controllo giurisdizionale secondo il Trattato di Amsterdam, in Rivista di Diritto Europeo, n.1/98, p. 62.

[105] Decisione del Consiglio 99/435/CE, in GUCE L 176 del 10 luglio 1999.

[106] Cfr. L. Manca, Limmigrazione nel diritto dellUnione Europea, op. cit., p 192-193.

[107] Decisione del Consiglio n. 1999/439/CE del 17 maggio 1999, relativa alla conclusione dell'accordo con la Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia sulla loro associazione all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, in GUCE, L 176 del 10 luglio 1999.

[108] Art. 2 del Protocollo sullapplicazione di alcuni aspetti dellart. 14 del Trattato che istituisce la Comunit Europea al Regno Unito e allIrlanda.

[109] Art. 1 del Protocollo sullapplicazione di alcuni aspetti dellart. 14 del Trattato che istituisce la Comunit Europea al Regno Unito e allIrlanda.

[110] Art. 4 del Protocollo sullintegrazione dellacquis di Schengen nellambito dellUnione Europea.

[111] Decisione del Consiglio 2004/927/CE del 22 dicembre 2004, che assoggetta taluni settori contemplati dal titolo IV, parte terza del trattato che istituisce la Comunit europea alla procedura di cui all'articolo 251 di detto trattato, in GU, L 396 del 31.12.04.

[112] Piano dazione del Consiglio e della Commissione sul modo migliore per attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libert, sicurezza e giustizia, del 23 gennaio 1999, 19/01.

[113] Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo su una politica comunitaria in materia di immigrazione, 22 novembre 2000, COM (2000) 757 def., p. 5.

[114] Cfr. Quadro di controllo per lesame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia nellUnione Europea, COM (2000) 167.

[115] Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo relativa ad un metodo di coordinamento della politica comunitaria in materia di immigrazione, COM(2001) 387, def.

[116] Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione, Bruxelles, 3 giugno 2003, COM(2003) 336 def.

[117] Caritas/Migrantes, Dossier Statistico

[118] Eurostat, Tasso annuale di crescita demografica et 65+ e 15-64, EU 25, periodo 2000-2040.

[119] Queste proiezioni di lungo periodo per lUnione non tengono conto di alcune potenziali variazioni come lingresso nellUnione della Turchia. Cfr. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione, cit.

[120] Ibidem, p. 13.

[121] Idem.

[122] Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, Roma, 2007.

[123] Cfr. J. Coppel, Trends in immigration and economic consequences, ECO/WKP (2001)10.

[124] Idem.

[125] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di trasferta dei lavoratori dipendenti cittadini di un paese terzo nell'ambito di una prestazione di servizi oltrefrontiera, Proposta di direttiva del Consiglio che estende ai cittadini di un paese terzo stabiliti all'interno della Comunit la libert di prestare servizi oltrefrontiera, GUCE C-067 del 10 marzo 1999. Proposte modificate in seguito ai pareri del CES e del Parlamento Europeo dalla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di trasferta dei lavoratori dipendenti cittadini di un paese terzo nell'ambito di una prestazione di servizi oltrefrontiera e dalla Proposta modificata di direttiva del Consiglio che estende ai cittadini di un paese terzo stabiliti all'interno della Comunit la libert di prestare servizi oltrefrontiera, COM(2000) 271 def.

[126] Regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo, in GUCE, L 081 del 21 marzo 2001. Latto modifica loriginale Regolamento (CE)574/99 e contiene una duplice lista relativa ai cittadini dei Paesi terzi che devono essere in possesso di visto e quelli esenti da tale obbligo. Per quanto concerne i criteri utilizzati al fine di stilare le suddette liste, il punto (5) del Preambolo indica che nel compilare gli elenchi dei paesi terzi i cui cittadini sono soggetti all'obbligo del visto e di quelli i cui cittadini ne sono esenti, occorre procedere ponderando, caso per caso, i vari criteri attinenti in particolare all'immigrazione clandestina, all'ordine pubblico e alla sicurezza, alle relazioni esterne dell'Unione europea con i paesi terzi, pur tenendo conto anche delle implicazioni di coerenza regionale e di reciprocit. Occorre prevedere un meccanismo comunitario che consenta di attuare tale principio di reciprocit nel caso in cui uno dei paesi terzi figuranti nell'allegato II del presente regolamento decidesse di imporre l'obbligo del visto ai cittadini di uno o pi Stati membri.

[127] Regolamento (CE) n. 1932/2006 del Consiglio, che modifica il regolamento (CE) n. 539/2001 che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo, in GUCE, L 405/18 del 30 dicembre 2006. LArt. 2 prevede nuovi obblighi e nuove esenzioni introducendo l'obbligo del visto per i cittadini boliviani a partire dal 1 aprile 2007 ed esentando da tale obbligo i cittadini di Antigua e Barbuda, delle Bahamas, delle Barbados, di Maurizio, di Saint Christopher (Saint Kitts) e Nevis e delle Seychelles a partire dalla data di entrata in vigore dell'accordo di esenzione dal visto tra la Comunit europea e il paese terzo interessato.

[128] Cfr. Art. 1 del Regolamento (CE) n. 1091/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla libera circolazione dei titolari di un visto per soggiorno di lunga durata, in GUCE, L 150/4 del 6 giugno del 2001. LArt. 1 modifica il testo dellart. 18 della Convenzione di applicazione dellAccordo di Schengen.

[129] Direttiva n. 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare alle vittime della tratta di esseri umani o coinvolte in unazione di favoreggiamento dellimmigrazione illegale che cooperino con le autorit competenti, in GUCE, L 261/19 del 6 agosto 2004.

[130] Il punto 4 dellart. 6 della direttiva 2004/81/CE, cit., precisa che Lo Stato membro interessato pu porre fine in qualsiasi momento al periodo di riflessione se le autorit competenti hanno accertato che l'interessato ha attivamente, volontariamente e di propria iniziativa ristabilito un legame con gli autori dei reati di cui all'articolo 2, lettere b) e c), oppure per motivi attinenti alla pubblica sicurezza e alla salvaguardia della sicurezza nazionale.

[131] Art. 8, lett. b) e c) della direttiva 2004/81/CE, cit.

[132] Direttiva n. 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontario, in GUCE, L 375 del 23 dicembre 2004.

[133] Secondo quanto previsto dallart. 12 della direttiva 114, il permesso di soggiorno rilasciato allo studente per un periodo pari ad almeno un anno e rinnovabile, agli alunni e ai volontari per una durata massima di un anno, per i tirocinanti per la durata del tirocinio o per un periodo massimo di un anno.

[134] Direttiva n. 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per lammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, in GUCE, L 289/15 del 3 novembre 2005.

[135] Art. 6 della direttiva 2005/71/CE.

[136] Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto di ricongiungimento familiare, in GUCE, L 251/12 del 3 ottobre 2003.

[137] Cfr. art. 6 della direttiva n. 2003/86/CE.

[138] Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni dingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono volgere attivit di lavoro subordinato o autonomo, COM(2001) 386 def.

[139] Art. 3 della Proposta di direttiva.

[140] Ibidem, art. 3, par. 3 della Proposta di direttiva.

[141] Ibidem, art. 4, par. 1.

[142] Ibidem, art. 17, par. 1.

[143] Ibidem, art. 5, par. 1 e art. 18, par. 1.

[144] Art. 6 della Proposta di direttiva.

[145] Art. 19 della Proposta di direttiva.

[146] Nota allart. 19 del Memorandum della Commissione sulla Proposta di direttiva.

[147] Ibidem, artt. 7 e 20.

[148] Ibidem, artt. 8 e 21.

[149] Art. 26 della Proposta di direttiva.

[150] Ibidem, artt. 10, par. 3 e 23, par. 3.

[151] Art. 11, par. 2 della Proposta di direttiva.

[152] Idem.

[153] Larticolo 2 della Proposta di direttiva sancisce che s'intende per: f) lavoratore stagionale, il cittadino di un paese terzo che conserva la propria residenza legale in un paese terzo, ma occupato nel territorio di uno Stato membro in un settore d'attivit che dipende dallalternanza delle stagioni, con un contratto a tempo determinato per un lavoro specifico; g) per lavoratore transfrontaliero, il cittadino di un paese terzo residente nella zona di frontiera di un paese limitrofo che occupato nella zona di frontiera di uno Stato membro adiacente e che fa ritorno nella zona di frontiera del paese limitrofo ogni giorno o almeno una volta a settimana; h) lavoratore in trasferimento interno, il cittadino di un paese terzo che lavora nellambito di una stessa persona giuridica e che viene temporaneamente trasferito nel territorio di uno Stato membro presso la sede principale o una sede secondaria della stessa, purch abbia lavorato per la persona giuridica di cui trattasi quanto meno durante i dodici mesi immediatamente precedenti il trasferimento.

 

[154] V. Agnoletto, Carta Blu, lEuropa dice s solo ai migranti che ci servono, da Lavori in corso. Europa in movimento, n. 58 del 29 ottobre 2007.

[155] Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, COM(2007) 637 def.

[156] Definizione di lavoro altamente qualificato previsto allart. 2, lett. b), della Proposta di direttiva.

[157] Art. 5 della Proposta di direttiva.

[158] Ibidem, Art. 8.

[159] Art. 19 della Proposta di direttiva.

[160] Par. (4) del Preambolo della direttiva n. 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, in GUCE, L 16/44 del 23 gennaio 2004.

[161] Ai fini del calcolo del periodo di soggiorno non si tiene conto dei periodi di soggiorno per motivi di carattere temporaneo (ad esempio, in qualit di persone alla pari, lavoratori stagionali, lavoratori distaccati da una societ di servizi, ecc) o nel caso in cui il soggetto goda di uno status giuridico particolare (ad esempio, quello previsto dalla convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, dalla convenzione del 1969 sulle missioni speciali o dalla convenzione di Vienna del 1975 sulla rappresentanza degli Stati nelle loro relazioni con organizzazioni internazionali di carattere universale); i soggiorni per motivi di studio o di formazione professionale possono essere computati soltanto per met; le assenze interrompono la durata del periodo solo se superiori a sei mesi consecutivi o a dieci mesi complessivi nellarco dei cinque anni stabiliti. Gli Stati possono prevedere delle deroghe per specifiche o eccezionali ragioni di carattere temporaneo.

[162] Par. (9) del Preambolo della direttiva n. 2003/109/CE del Consiglio, cit.

[163] Ibidem, art. 8, par. 2.

[164] Cfr. art. 11, direttiva n. 2003/109/CE del Consiglio, cit.

[165] Cfr. art 11, par. 2, direttiva n. 2003/109/CE del Consiglio, cit Nei settori indicati nelle lettere b), d), e), f) e g) lo Stato pu limitare la parit di trattamento ai casi in cui il soggiornante (o il familiare per il quale la prestazione richiesta) abbia eletto dimora o risieda nel suo territorio.

[166] Regolamento (CE) n. 859/2003 del Consiglio, del 14 maggio 2003, che estende le disposizioni del regolamento (CEE) n. 1408/71 e del regolamento (CEE) n. 574/72 ai cittadini di paesi terzi cui tali disposizioni non siano gi applicabili unicamente a causa della nazionalit, in GUCE, L 124/1 del 20 maggio 2003.

[167] Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori dipendenti e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunit, in GUCE, L 149 del 5 luglio 1971.

[168] Regolamento (CE) n. 742/72 del Consiglio, che stabilisce le modalit di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71, in GUCE, L 74 del 27 marzo del 1972.

[169] Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, in GUCE, L 166/1 del 30 aprile 2004.

[170] Art. 14, direttiva n. 2003/109/CE, cit.

[171] Art. 3, regolamento (CEE) n. 1408/71, cit.

[172] Ibidem, art. 13. Nel testo dellarticolo sono enucleati dei casi particolari, quale quello dei lavoratori impiegati sulle navi o gli impiegati pubblici, i quali sono soggetti alla legislazione dello Stato membro da cui dipende l'amministrazione nella quale lavorano. Nel caso di lavoratori operanti in unimpresa distaccata allestero per un tempo massimo di 12 mesi (con possibile proroga di altri 12 mesi), essi rimangono assicurati nel Paese dorigine.

[173] A. Marinelli, Le pensioni dei lavoratori transfrontalieri. Il difficile cammino verso la costruzione di una pensione europea, Rapallo, Convegno CSI – Eures, 8 - 9 marzo 2004, p. 2.

[174] La signora Gottardo aveva svolto lattivit di insegnamento lavorando in Svizzera, Francia ed Italia, e, in seguito al matrimonio con un cittadino francese, aveva acquisito la nazionalit di tale Stato, perdendo quella italiana. Avendo la suddetta versato contributi assicurativi in tutti e tre i Paesi indicati e percependo una pensione di vecchiaia svizzera e una francese, essa aveva richiesto allINPS di poter ricongiungere i periodi contributivi italiani e francesi con quelli maturati in Svizzera, ai sensi della Convenzione italo- svizzera del 1962 relativa alla sicurezza sociale, al fine di poter accedere alla pensione di vecchiaia italiana. La totalizzazione richiesta era stata respinta dallINPS in ragione del fatto che la signora Gottardo era cittadina francese e che, per tanto, Convenzione non fosse applicabile, concernente i soli cittadini dei due Paesi (Svizzera ed Italia). Nella sua pronuncia, la Corte di Giustizia ha dichiarato che lesclusione operata dallINPS si configura come una discriminazione fondata sulla cittadinanza e viola il principio di parit di trattamento previsto dallart. 39 del Trattato, che sancisce lobbligo per ciascuno Stato membro di applicare la tutela previdenziale prevista per i lavoratori cittadini di quel Paese anche ai lavoratori degli altri Stati membri. In base a tale principio, la Corte ha sancito che i vantaggi derivanti da una convenzione bilaterale fra uno Stato membro (in questo caso lItalia) e un Paese terzo (in questo caso la Svizzera) devono essere accordati ai lavoratori di altri Stati membri che non fanno parte della convenzione (quali i cittadini francesi), concludendo che: "Gli enti previdenziali competenti di un primo Stato membro sono tenuti, conformemente agli obblighi comunitari loro incombenti in virt dell'articolo 39 del Trattato CE, a prendere in considerazione, ai fini dell'acquisizione del diritto a prestazioni di vecchiaia, i periodi contributivi maturati in un paese terzo da un cittadino di un secondo Stato membro quando, a parit di situazioni contributive, i detti enti, in applicazione di una convenzione internazionale bilaterale conclusa tra il primo Stato membro e il paese terzo, computano i periodi di tale natura maturati dai loro stessi cittadini". Sentenza del 15 gennaio 2002, C-55/00, Gottardo v. INPS.

[175] A. Marinelli, Le pensioni dei lavoratori transfrontalieri. Il difficile cammino verso la costruzione di una pensione europea, op. cit., p. 3.

[176] Idem.

[177] Il SEE composto da 25 Stati membri dellUnione Europea (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Ungheria) e da tre dei quattro membri dellEFTA (Islanda, Liechtenstein, Norvegia, ad eccezione della Svizzera).

[178] A. Marinelli, Le pensioni dei lavoratori transfrontalieri. Il difficile cammino verso la costruzione di una pensione europea, op. cit., p. 3.

[179] L'Italia, ad esempio, ha stipulato convenzioni con: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Isole di Capo Verde, Jersey ed isole del canale, Isola di Man, Croazia, Slovenia, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Repubblica Federale di Jugoslavia, Principato di Monaco, Repubblica di San marino, Stati Uniti d'America, Svizzera, Tunisia, Uruguay, Venezuela.

[180] A. Marinelli, Le pensioni dei lavoratori transfrontalieri. Il difficile cammino verso la costruzione di una pensione europea, op. cit. , p. 4.

[181] Ibidem, p. 7.

[182] Art. 5 della Convenzione di applicazione degli accordi di Schengen, cit.

[183] Direttiva n. 2001/40/CE, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di Paesi terzi, in GUCE, L 149 del 2 giugno 2001, p. 34 ss.

[184] Cfr. F. POCAR, Diritto dellUnione e delle Comunit europee, Milano, 2006, pp. 68, 69.

[185] Art. 310 CE, base giuridica degli Accordi citati.

[186] Art. 300 del Trattato CE: 1. Quando le disposizioni del presente trattato prevedano la conclusione di accordi tra la Comunit e uno o pi Stati ovvero un'organizzazione internazionale, la Commissione sottopone raccomandazioni al Consiglio, che la autorizza ad avviare i necessari negoziati. I negoziati sono condotti dalla Commissione, in consultazione con i comitati speciali designati dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle direttive che il Consiglio pu impartirle.

Nell'esercizio delle competenze attribuitegli dal presente paragrafo, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui il primo comma del paragrafo 2 richiede l'unanimit.

2. Fatte salve le competenze riconosciute alla Commissione in questo settore, la firma, eventualmente accompagnata da una decisione riguardante l'applicazione provvisoria prima dell'entrata in vigore, e la conclusione degli accordi sono decise dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Il Consiglio delibera all'unanimit quando l'accordo riguarda un settore per il quale richiesta l'unanimit sul piano interno, nonch per gli accordi di cui all'articolo 310.

In deroga alle norme previste dal paragrafo 3, si applicano le stesse procedure alle decisioni volte a sospendere l'applicazione di un accordo e allo scopo di stabilire le posizioni da adottare a nome della Comunit in un organismo istituito da un accordo, se tale organismo deve adottare decisioni che hanno effetti giuridici, fatta eccezione per le decisioni che integrano o modificano il quadro istituzionale dell'accordo.

Il Parlamento europeo immediatamente e pienamente informato di qualsiasi decisione, adottata a norma del presente paragrafo, relativa all'applicazione provvisoria o alla sospensione di accordi, ovvero alla definizione della posizione della Comunit nell'ambito di un organismo istituito da un accordo.

3. Il Consiglio conclude gli accordi previa consultazione del Parlamento europeo, salvo per gli accordi di cui all'articolo 133, paragrafo 3, inclusi i casi in cui l'accordo riguarda un settore per il quale richiesta sul piano interno la procedura di cui all'articolo 251 o quella di cui all'articolo 252. Il Parlamento europeo formula il suo parere nel termine che il Consiglio pu fissare in funzione dell'urgenza.

In mancanza di parere entro detto termine il Consiglio pu deliberare.

In deroga al comma precedente, gli accordi di cui all'articolo 310, nonch gli altri accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione, gli accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per la Comunit e gli accordi che implicano la modifica di un atto adottato secondo la procedura di cui all'articolo 251 sono conclusi previo parere conforme del Parlamento europeo.

In caso d'urgenza, il Consiglio e il Parlamento europeo possono concordare un termine per il parere conforme.

4. All'atto della conclusione di un accordo, il Consiglio, in deroga al paragrafo 2, pu abilitare la Commissione ad approvare a nome della Comunit gli adattamenti di cui l'accordo in questione prevede l'adozione con una procedura semplificata o da parte di un organo istituito dall'accordo stesso, corredando eventualmente questa abilitazione di condizioni specifiche.

5. Quando il Consiglio prevede di concludere accordi che implicano emendamenti del presente trattato, questi ultimi devono essere precedentemente adottati secondo la procedura prevista nell'articolo 48 del trattato sull'Unione europea.

6. Il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono domandare il parere della Corte di giustizia circa la compatibilit di un accordo previsto con le disposizioni del presente trattato. Quando la Corte di giustizia abbia espresso parere negativo, l'accordo pu entrare in vigore soltanto alle condizioni stabilite dall'articolo 48 del trattato sull'Unione europea.

7. Gli accordi conclusi alle condizioni indicate nel presente articolo sono vincolanti per le istituzioni della Comunit e per gli Stati membri.

[187] Accordo di associazione firmato ad Ankara il 12 settembre 1963, in vigore dal 1 dicembre 1964, in GUCE n. 217 del 29 dicembre 1964.

[188] Accordo di associazione con lAlgeria, firmato ad Algeri il 27 aprile 1976, in GUCE, L 263 del 27 settembre 1978; Accordo di associazione con il Marocco, firmato a Rabat, il 27 aprile del 1976, in GUCE, L 264 del 27 settembre 1978, ora sostituito dallAccordo euromediterraneo, firmato a Bruxelles, il 26 febbraio 1996, in GUCE, L 70 del 18 marzo 2000, in vigore dal 1 marzo 2000; Accordo di associazione con la Tunisia, firmato a Tunisi, il 25 aprile 1976, in GUCE, L 265 del 27 settembre 1978, ora sostituito dallAccordo euromediterraneo, firmato a Bruxelles il 17 luglio 1995, in GUCE, L 97 del 30 marzo 1998, in vigore dal 1 marzo 1998.

[189] Accordo di partenariato f

[190] Convenzione firmata a Cotonou, il 23 giugno 2000, in GUCE, L 317 del 15 dicembre 2000, in vigore dal 1 aprile 2003 (GUUE, L 83 del 1 aprile 2003).

[191] Accordo di associazione con Malta, firmato a La Vallette il 5 dicembre del 1970, in GUCE L 61, del 14 marzo 1971, in vigore dal 1 aprile 1971; Accordo di associazione con Cipro, firmato a Bruxelles il 19 dicembre 1972, in GUCE, L 143/73, in vigore dal 1 giugno del 1973.

[192] Accordi con Ungheria e Polonia, firmati a Bruxelles, il 16 dicembre 1991, rispettivamente in GUCE, L 347 del 31 dicembre 1993 e L 348 del 31 dicembre 1993; Accordo con la Romania, firmato a Bruxelles, il 1 febbraio 1993, in GUCE, L 357 del 31 dicembre 1994; Accordo con la Bulgaria, firmato a bruxelles, l8 marzo 1993, in GUCE, L 358 del 31 dicembre 1994: Accordi con Slovacchia e Repubblica ceca, firmati a Lussemburgo, il 4 ottobre 1993, rispettivamente in GUCE, L 359 del 31 dicembre 1994 e L 360 del 31 dicembre 1994; gli Accordi con i tre paesi baltici, firmati a Lussemburgo, il 12 giugno 1995, in GUCE, L 26 del 2 febbraio 1998, Lettonia; L 51 del 20 febbraio 1998, Lituania; L 68 del 9 marzo 1998, Estonia; Accordo con la Slovenia, firmato a Lussemburgo, il 10 giugno 1996, in GUCE, L 51 del 26 febbraio 1999.

[193] LAccordo fa parte di un pacchetto di sette Accordi firmati a Lussemburgo, il 26 giugno 1999, in GUCE, L 114 del 30 aprile 2002, entrati in vigore il 1 giugno 2002. Tali Accordi dovranno essere rinnovati, tacitamente da parte dellUnione, espressamente dalla Svizzera. Se anche uno solo di essi non fosse rinnovato, tutti e sette dovrebbero considerarsi estinti.

[194] Accordo che lega allUnione Islanda, Liechtenstein e Norvegia, firmato a Oporto, il 2 maggio 1992, in GUCE, L 1 del 3 gennaio 1994.

[195] Per familiari si intendono il coniuge del lavoratore e i figli di et inferiore ai 21 anni o a carico. Nel caso in cui i familiari si siano ricongiunti in seguito alladesione essi avranno accesso al mercato del lavoro ospitante dopo un periodo di residenza di 18 mesi o a partire dal terzo anno successivo alladesione.

[196] Nel 1959, pochi mesi prima della richiesta della Turchia, la Grecia presenta richiesta per lAccordo di associazione con la CEE. Questultimo entrer in vigore nel 1962, venendo sospeso il 21 aprile 1967 a causa del colpo di Stato dei colonnelli greci.

[197] Protocollo addizionale e Protocollo finanziario, firmati il 23 novembre 1970 e allegati allAccordo che crea unAssociazione tra la Comunit Economica Europea e la Turchia, e relativo ai provvedimenti da prendere per la loro entrata in vigore; Decisione n. n. n. 3/80 del Consiglio di Associazione del 19 settembre 1980 sullapplicazione dei sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri delle Comunit europee ai lavoratori turchi e ai membri delle loro famiglie.

[198] La cui costruzione inizia il 13 agosto del 1961 e il cui smantellamento avviene il 9 novembre 1989.

[199] E. Guild, Immigration law in the European Community, op. cit., p. 126.

[200] L. S. Rossi, E. Bergamini, Gli stranieri, op. cit.

[201] Art. 2, Accordo di associazione CEE- Turchia, cit.

[202] Cfr. Decisione del Consiglio di associazione CE-Turchia, del 22 dicembre 1995, n. 1/95, relativa allattuazione della fase finale dellunione doganale, in GU, L 35 del 1996, pag. 1.

[203] Art. 8 dellAccordo di associazione CEE-Turchia: Per realizzare gli obiettivi enunciati nell'articolo 4, il Consiglio di Associazione stabilisce, prima che abbia inizio la fase transitoria e secondo la procedura prevista dall'articolo 1 del Protocollo provvisorio, le condizioni, le modalit e il ritmo di applicazione delle disposizioni riguardanti i settori contemplati nel Trattato istitutivo della Comunit che dovranno essere presi in considerazione, e in particolare quelli menzionati nel presente Titolo, nonch ogni clausola di salvaguardia che risultasse utile.

[204] Art. 39, n. 5: Le disposizioni di cui al presente articolo non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti dagli Accordi bilaterali esistenti tra la Turchia e gli Stati membri della Comunit se essi prevedono un regime pi favorevole ai cittadini turchi.

[205] Decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione del 19 settembre 1980, On the application of the social security schemes of the member states of the European communities to Turkish workers and members of their families, non pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

[206] Cfr. E. Guild, Immigration law in the European Community, op. cit., p. 127.

 

[207] Articolo 10 (ex articolo 5): Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunit. Essi facilitano quest'ultima nell'adempimento dei propri compiti. Essi si astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del presente trattato.

[208] I. Macleod, I. Hendry, S. Hyett, The external relations of the European Communities, Oxford, 1996.

[209] Sentenza della Corte del 30 settembre 1987, Meryem Demirel vs. Comune di Schwbisch Gmnd, C-12/86, in Racc., p. 3719 ss.

[210] Articolo 8 – Diritto al rispetto della vita privata e familiare:

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domi­cilio e della sua corrispondenza.

2. Non pu esservi ingerenza della pubblica autorit nellesercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una mi­sura che, in una societ democratica, necessaria per la sicurezza nazionale, lordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libert altrui.

 

[211] Articolo 234 (ex articolo 177): La Corte di giustizia competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

a) sull'interpretazione del presente trattato,

b) sulla validit e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunit e della BCE,

c) sull'interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi.

Quando una questione del genere sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione pu, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una Decisione su questo punto, domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione.

Quando una questione del genere sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui Decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione tenuta a rivolgersi alla Corte di giustizia.

[212] Accordo di associazione CEE-Turchia, art. 22: Per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Accordo e nei casi da questo previsti, il Consiglio di Associazione dispone di un potere di Decisione. Ognuna delle due parti tenuta a prendere le misure necessarie all'esecuzione delle Decisioni adottate. Il Consiglio di Associazione pu inoltre formulare le raccomandazioni che ritenga utili.

[213] Accordo di associazione CEE-Turchia, art. 25: 1. Ciascuna Parte Contraente pu ricorrere al Consiglio di Associazione per ogni controversia relativa all'applicazione o all'interpretazione dell'Accordo e concernente la Comunit, uno Stato membro della Comunit o la Turchia.

2. Il Consiglio di Associazione pu dirimere la controversia mediante Decisione ; esso pu ugualmente decidere di sottoporre la controversia alla Corte di Giustizia delle Comunit Europee o ad ogni altro organo giurisdizionale esistente.

3. Ciascuna Parte tenuta a prendere i provvedimenti necessari all'esecuzione della Decisione o della sentenza.

4. In conformit dell'articolo 8 dell'Accordo, il Consiglio di Associazione stabilisce le modalit di una procedura di arbitrato o di qualsiasi altra procedura giurisdizionale cui le Parti Contraenti potranno ricorrere durante le fasi transitoria e definitiva dell'Accordo, nel caso in cui la controversia non avesse potuto essere regolata conformemente al paragrafo 2 del presente articolo.

[214] Sentenza del 30 aprile 1974, R. & V. Haegeman vs Stato Belga, C-181/73, in Racc., p. 449.

[215] Articolo 300 (ex articolo 228): 1. Quando le disposizioni del presente trattato prevedano la conclusione di Accordi tra la Comunit e uno o pi Stati ovvero un'organizzazione internazionale, la Commissione sottopone raccomandazioni al Consiglio, che la autorizza ad avviare i necessari negoziati. I negoziati sono condotti dalla Commissione, in consultazione con i comitati speciali designati dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle direttive che il Consiglio pu impartirle. Nell'esercizio delle competenze attribuitegli dal presente paragrafo, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui il primo comma del paragrafo 2 richiede l'unanimit.

[216] Articolo 310 (ex articolo 238): La Comunit pu concludere con uno o pi Stati o organizzazioni internazionali Accordi che istituiscono un'associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari.

[217] Sentenza della Corte di giustizia del 20 settembre 1990, S. Z. Sevince vs. Staatssecretaris van Justitie,C-192/89, in Racc., p. I-03461.

[218] Sentenza Sevince, cit.

[219] Sentenza Sevince, cit.

[220] Sentenza della Corte del 6 giugno 1995, Ahmet Bozkurt vs. Staatssecretaris van Justitie, C-434/93, in Racc., p. I-01475.

[221] Sentenza della Corte del 17 aprile 1997, Selma Kadiman vs. Freistaat Bayern, C-351/95, in Racc., p. I-02133.

[222] Sentenza della Corte del 5 ottobre 1994, Hayriye Eroglu vs. Land Baden-Wrttemberg, C-355/93, in Racc., p. I-05113.

[223] Sentenza Sevince, cit.

[224] Sentenza della Corte del 10 febbraio 2000, mer Nazli, Caglar Nazli e Melike Nazli vs. Stadt Nrnberg, C-340/97, in Racc., p. I-00957.

[225] Sentenza della Corte del 4 maggio 1999, Sema Srl vs. Bundesanstalt fr Arbeit, C-262/96, in Racc., p. I-02685.

[226] Cfr. M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dellUnione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006; E. Guild, Immigration law in the European Community, op. cit.; E. Guild, The Legal Elements of European Identity: EU Citizenship and Migration Law, The Netherlands, 2004; L. S. Rossi, E. Bergamini, Gli stranieri, op. cit.

[227] Sentenza della Corte del 3 luglio 1986, Deborah Lawrie-Blum vs. Land Baden-Wrttemberg, C-66/85, in Racc., p. 2121.

[228] Sentenza della Corte del 31 maggio 1989, I. Bettray vs. Staatssecretaris van Justitie, C-344/87, in Racc., p. 1621.

[229] Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 30 settembre 1997, Faik Gnaydin, Hatice Gnaydin, Gnes Gnaydin e Seda Gnaydin contro Freistaat Bayern, C-36/96, in Racc., p. I-05143.

[230] Sentenza Gnaydin, cit.

[231] Sentenza della Corte del 23 marzo 1982, D.M. Levin vs. Segretario di Stato per la giustizia, C-53/81, in Racc., p. 1035.

[232] Sentenza della Corte del 16 dicembre 1992, Kazim Kus contro Landeshauptstadt Wiesbaden, C-237/91, in Racc., p. I-06781.

[233] Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 13 luglio 1989, Ingrid Rinner-Khn vs. FWW Spezial-Gebudereinigung GmbH & Co. KG., C-171/88, in Racc., p. 2743.

[234] Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 15 marzo 1989, G. B. C. Echternach e A. Moritz contro Ministro olandese dell'istruzione e delle scienze, Domande di pronuncia pregiudiziale: Commissie van Beroep Studiefinanciering (Paesi Bassi), Cause riunite 389/87 e 390/87, in Racc., p. 00723.

[235] Sentenza Birden, cit.

[236] Sentenza della Corte del 5 ottobre 1994, Hayriye Eroglu vs. Land Baden-Wrttemberg,C-355/93, in Racc., p. I-05113.

[237] Sentenza della Corte del 12 maggio 1998, Mara Martnez Sala contro Freistaat Bayern, C-85/96, in Racc., p.I-02691.

[238] Sentenza della Corte del 23 gennaio 1997, Recep Tetik vs. Land Berlin, C-171/95, in Racc., p. I-00329.

[239] Sentenza Eroglu, cit.

[240] Sentenza del 27 settembre 1989, Lopes da Veiga vs. Staatssecretaris van justitie, C- 9/88, in Racc., p. 2989.

[241] Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, G.U. n. L 251 del 03/10/2003.

[242] Sentenza della Corte del 22 giugno 2000, Safet Eyp contro Landesgeschftsstelle des Arbeitsmarktservice Vorarlberg, C-65/98, in Racc., p. I-04747.

 

[243] Sentenza della Corte del 27 giugno 2006, Parlamento europeo contro Consiglio dell'Unione europea, C-540/03, in Racc. p. I-05769.

 

[244] I dati indicati sono tutti tratti dal testo di A. Angeli, S. Salvini, Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo, Bologna, 2007.

[245] Cfr. E. Guild, Immigration law in the European Community, op. cit., p. 121.

[246] A. Sen, Development as freedom, Oxford, 1999; traduzione italiana, Lo sviluppo libert, Milano, 2000.

[247] Idem.