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Interventi e interviste

Interventi - Capo Dip. per le libertà civili e l'immigrazione - Mario Morcone

24.06.2009

Diritto d'asilo, dalla legge garanzie di equità per chi sbarca

I consigli territoriali italiani all'avanguardia nell'esame delle domande di protezione internazionale. Intervento di Mario Morcone nella rivista MedideaReview

L’argomento più innovativo degli ultimi anni nel settore della migrazione, ma che ancora non ha prodotto i risultati auspicati, è l’approccio globale verso i paesi di origine e di transito dei flussi migratori, nella consapevolezza, ormai acquisita, che senza il coinvolgimento diretto di questi Paesi non potrà esserci una efficace politica di gestione dei flussi e non potranno essere sfruttati appieno i vantaggi, in termini di sviluppo, che dalle migrazioni possono giungere a detti Paesi. La strategia del “Global approach” infatti, adottata dal Consiglio europeo del dicembre 2005 ha come obiettivo di istituire un quadro intersettoriale per gestire la migrazione in modo coerente, tramite il dialogo politico e una stretta cooperazione pratica con i Paesi terzi. Il 15 dicembre si è svolta a Parigi la II Conferenza ministeriale UE – Africa. L’Italia ha partecipato inoltre attivamente alle missioni svolte in Ghana, Senegal, Etiopia e Nigeria. L’estensione del “Global Approach” anche alle aree orientali e sudorientali dell’Unione Europea ha rappresentato anche per la Presidenza ceca una priorità. Il 27 e 28 aprile si è svolta a Praga la prima conferenza ministeriale “Building migration partnership”. Naturalmente, l’attuazione del “Global Approach” non può prescindere da un sostegno finanziario concreto e credibile, a pena di far morire sul nascere qualsiasi aspettativa sul reale impegno europeo. In Italia, come negli altri 26 paesi, la presenza stabile degli stranieri è ormai divenuta un fenomeno strutturale, che progressivamente sta modificando il tessuto della nostra società. E, d’altra parte, è lo stesso “Patto Europeo sull’immigrazione e l’asilo”, approvato dai nostri governi nell’ottobre scorso a Parigi, che nel suo preambolo chiarisce come “l’ipotesi di un’immigrazione zero sia al contempo non realistica e pericolosa”; allo stesso modo l’organizzazione dell’immigrazione deve tener conto della capacità di accoglienza sul piano del mercato del lavoro, degli alloggi, dei servizi sanitari, scolastici e sociali. E, se da un lato, chiede che i migranti siano protetti dal rischio di sfruttamento da parte di reti criminali, impone, altresì, il rispetto delle nostre regole, delle regole che ci siamo dati attraverso un percorso di democrazia e di convivenza civile che trova i suoi valori nei principi costituzionali della prima parte della nostra Carta fondamentale. Si sono quindi ampliate le differenze all’interno della nostra società e questo implica che chi ha responsabilità di governo debba poter orientare l’evoluzione della società verso modelli multiculturali, rispettosi della nostra storia e delle nostre tradizioni. Una cornice di regole condivise, quindi, all’interno della quale maturi pienamente, in chi accoglie come in chi è accolto, il rispetto della diversità ed un atteggiamento positivo nei confronti di altri modi di vivere e di sperare. Il percorso di radicamento degli immigratinella nostra penisola presuppone processi in vari campi sia nel sociale sia nel tessuto economico produttivo. Il tema, allora, dell’“integrazione” non è più come nel recente passato un modello politico, magari illuminato, che alcuni Stati hanno sperimentato, debbo dire con percorsi e risultati diversi, ma una necessità, un obbligo a cui tutti i Paesi dell’Unione Europea devono attenersi. Un obiettivo al quale devono tendere anche attraverso significativi investimenti. Noi abbiamo scommesso e stiamo scommettendo sui Consigli Territoriali. Le iniziative assunte e da sviluppare in questi ambiti, infatti, richiedono un’intensa collaborazione tra i soggetti istituzionali chiamati ad adottarle e la società civile nelle sue articolate espressioni. Oggi si sta facendo lo sforzo di strutturare attraverso i Consigli un rapporto ancora più stretto con le diverse consulte per gli immigrati presenti a livello comunale, provinciale e regionale, evitando sovrapposizione di attività e dispendio di risorse. Certo, bisogna essere disponibili ad affrontare la fatica di ascoltare, di confrontarsi; certo, c’è da accettare la sfida di essere convincenti senza per questo travolgere proposte ed opinioni di chi è intorno ad un tavolo. Nel concreto, gli strumenti disponibili su cui fa leva attraverso i Consigli Territoriali per l’Immigrazione sono costituiti dai Fondi Europei per l’Integrazione, dal PON Sicurezza nell’asse di riferimento della gestione delle pressioni migratorie, dai Fondi U.N.R.R.A.. 
1. Per quanto riguarda i Fondi per l’integrazione il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione è autorità responsabile nazionale e, per il primo biennio, sono finanziati progetti per circa 21 milioni di euro (sono pervenuti oltre 700 progetti). 
2. Lo stesso vale per il “Piano Operativo Nazionale Sicurezza per lo sviluppo” che pone a disposizione somme importanti che, nel quinquennio 2007-2013, pari a circa 180 milioni di euro. 
Stiamo lavorando con queste risorse al potenziamento della banca dati in materia di immigrazione ed asilo che la Bossi – Fini attribuisce alla responsabilità del mio Dipartimento, ma allo stesso tempo ci stiamo muovendo con progettualità specifiche nelle aree più esposte come Castelvolturno, in provincia di Caserta, Eboli in provincia di Salerno, in provincia di Agrigento e in alcune realtà calabresi. Nello stesso quadro di policy si pongono i finanziamenti derivanti dal Fondo U.N.R.R.A. che mentre lo scorso anno ha sostenuto progetti di integrazione per 7 milioni di euro. Una questione che ha un suo particolare valore e che si sta imponendo in maniera sempre più significativa negli ultimi anni, è quella dell’arrivo sul territorio nazionale di richiedenti asilo e rifugiati da zone di guerra o fortemente destabilizzate. Il riferimento è all’Afghanistan, all’Iraq, al Medio Oriente, ma anche alla Somalia, all’Eritrea, all’Etiopia e, in genere, ai Paesi africani fortemente instabili. Per dare un’idea del fenomeno, si pensi che, degli stranieri sbarcati sulle coste italiane nel 2008, almeno il 65% hanno manifestato la volontà di richiedere la protezione internazionale. E, infatti, le domande pervenute alle commissioni territoriali sono più che raddoppiate: 31.097 nel 2008 a fronte delle 14.053 del 2007. Il diritto di asilo è garantito dall’art. 10 della nostra Costituzione e si è molto discusso negli scorsi anni sulla necessità di dare concretezza normativa a tale principio costituzionale. Con l’emanazione dei decreti legislativi n. 251/2007 e n. 25/2008 sono state recepite le direttive comunitarie in materia (la n. 83/2004 e la n. 85/2005), l’Italia, per un verso, ha dato attuazione alla Costituzione, dall’altro, si è collocata tra i paesi più avanzati nell’ambito dell’Unione europea. Sul territorio nazionale operano 10 commissioni territoriali, alle quali sono state aggiunte 5 sezioni per un temporaneo rafforzamento dell’attività di esame delle istanze. Nel 2008 sono state esaminate 22.000 istanze. La protezione internazionale e quella umanitaria, complessivamente considerate, sono state riconosciute a 10.849 soggetti, pari al 40% in più rispetto al 2007. Mi preme solo sottolineare che, unici - a quanto mi risulta - nell’ambito dell’Unione europea, possiamo essere orgogliosi di aver previsto per le Commissioni territoriali, una composizione di piena garanzia. Di ciascuna di esse, infatti, fa parte non solo un funzionario della carriera prefettizia in veste di presidente e un rappresentante della Polizia di Stato, ma anche un rappresentante delle istituzioni locali, e un funzionario dell’Alto Commissario dell’ONU per i rifugiati. La stessa impugnativa avverso le decisioni negative delle Commissioni è affidata alla competenza del giudice ordinario. Un fiore all’occhiello è poi il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, costituito, da un lato, dalla rete dei centri per richiedenti asilo (CARA), nei quali viene assicurata una prima accoglienza, dall’altro, dal sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), deputato a gestire la seconda fase. Il rafforzamento di questo sistema punta quest’anno anche su risorse dell’UE proveniente dal FER (fondo europeo rifugiati). L’architettura dello SPRAR prevede un rapporto di forte collaborazione tra il Ministero ed i Comuni italiani rappresentati dall’ANCI; attraverso una cabina di regia nazionale, il Servizio Centrale colloca, nel limite dei posti disponibili, titolari di status di rifugiato o di protezione sussidiaria, secondo le disponibilità manifestate dai singoli Comuni attraverso progetti finanziati per l’80% dal fondo del Ministero dell’Interno. Si tratta di un “modello italiano” che ha maturato un’esperienza più che positiva sviluppando percorsi di accoglienza diretti anche alle categorie vulnerabili e ai minori non accompagnati richiedenti asilo. Nel 2009, nonostante il taglio previsto dai provvedimenti di riduzione della spesa pubblica, siamo riusciti a spostare una fetta di risorse, finanziando comunque 3.000 posti e impegnandoci, per la prima volta nell’arco temporale di un biennio; è stato così realizzato un incremento del 20%. (Nel 2008 i posti finanziati erano stati 2.500). Un’esperienza che vorrei raccontare: Riace, Caulonia e Stignano sono tre piccoli comuni della Locride. I comuni che contano meno di 5.000 mila abitanti rappresentano il 72% del territorio del nostro paese: sono borghi splendidi ancora poco conosciuti e valorizzati, dove la vita scivola in modo diverso da quella delle grandi aree metropolitane e dove si conservano ambienti, mestieri e tradizioni semplici e popolari. Lì dove una concreta possibilità di autonomia abitativa e lavorativa è realmente accessibile. I piccoli comuni possono rappresentare, quindi, una valida alternativa di accoglienza ed integrazione per i richiedenti asilo: questo è l’esperimento dei tre piccoli comuni della Locride nella regione Calabria che hanno accolto 200 eritrei. Nuove energie che possono fondersi con i saperi locali dando un futuro per tante tradizioni e antichi mestieri, contribuendo anche alla sopravvivenza stessa di tante amministrazioni e dei servizi che erogano. Un processo difficile, certo, da guidare facendo leva sulla opportunità che i comuni possono cogliere all’interno di quel concetto di leale collaborazione che deve vedere coinvolti tutti gli attori istituzionali che concorrono al governo del territorio. La globalizzazione modifica le distanze nel tempo e nello spazio. Nel mondo globale nessun luogo è lontano. L’incremento della mobilità delle persone tra Paesi diversi è parte integrante dei cambiamenti che viviamo. La migrazione, tuttavia, non è solo fuga da condizioni di sottosviluppo o dalla miseria, ma è anche uno straordinario motore di trasformazione delle società moderne e dell’economia globale. E’ con questo sguardo aperto e con la consapevolezza di essere protagonisti della costruzione del futuro, che questa sfida va affrontata





   
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