Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data del 10 giugno 2009)
Sommario
o
Dipartimento Politiche migratorie,
appuntamenti
pag. 2
o
Editoriale –
L’immigrazione ha fatto crollare la sinistra in Europa. Di Tito Boeri pag. 2
o
Politica – Csm: il
ddl sicurezza paralizza la giustizia pag. 3
o
Pag. 4 – Il caso:
Daria, clandestina e cittadina modello
pag. 4
o
Società – Eurispes, più immigrati di quanti
appaiono ufficialmente pag. 5
o
Sindacato – Allarme
Uil, 142 mila a rischio occupazionale pag. 7
o
Politica - Maroni chiede a
UE di ripartire il carico immigrazione pag. 7
o
Politica - Effetto ddl sicurezza,
studenti e malati in fuga pag. 8
o
Dai territori pag.
9
o Prensa
Extranjera - El Pais: “atrapadon en los paises de
transito”; pag. 10
o Prensa
Extranjera - El Pais: “empresarios
que contraten a “sin papeles” deberan pagar para el regrezo” pag.11
A cura del Servizio Politiche Territoriali
della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 245
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti
Giovedì 11 Giugno 2009 ore 15.00, Salone Matteotti, UIL Campania
Seminario OIL: “la valorizzazione delle rimesse degli
immigrati come leva per lo sviluppo”
(Angela Scalzo)
Martedì 16 giugno 2009, ore 15, Hotel FiuggiTerme
Seminario nazionale UILA, Progetto: “la parola agli immigrati”-
Tavola rotonda: ’impegno delle strutture UIL per gli immigrati”
(Giuseppe Casucci)
Seminario nazionale UILA, Progetto: “la parola agli immigrati”
– Conclusioni di Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL.
Editoriale
di Tito Boeri (tratto da
www.lavoce.info)
Roma,
10 giugno 2009 - Perché i partiti socialdemocratici crollano in tutta
Europa proprio in un periodo di recessione? La risposta è nei 26 milioni di
immigrati nell'Unione Europea negli ultimi anni. I cittadini sono preoccupati
per la sostenibilità del welfare state europeo. E se la soluzione sembra essere
in più rigide politiche sull'immigrazione e nelle limitazioni all'accesso allo
stato sociale, le coalizioni di destra sono decisamente più credibili. Ma sono
politiche inattuabili nel lungo periodo. Esistono alternative ben più efficaci.
Senza rinunciare alla redistribuzione.
Le recessioni di
norma favoriscono i partiti di sinistra. Il loro appoggio a politiche redistributive
è percepito dagli elettori come una forma di assicurazione: durante la crisi si
perde il lavoro o si diventa più poveri, ci sarà qualcuno “lassù, al governo”
che si preoccuperà di garantire una forma di aiuto di carattere sociale.
“Nessuno sarà lasciato indietro” è il motto dei socialdemocratici e il
contenuto dell’universalismo nelle prestazioni sociali da loro sostenute. L’età
dell’oro dei socialdemocratici nel Parlamento europeo è stata a metà anni Novanta,
quando l’Unione Europea aveva tassi di disoccupazione a due cifre e usciva da
una pesante recessione. La supremazia del gruppo socialista a Strasburgo è
finita quando la disoccupazione ha iniziato a convergere verso i livelli degli
Stati Uniti e il tasso di occupazione ad avvicinarsi agli obiettivi di Lisbona.
E invece, questa recessione, la più grave del Dopoguerra, è andata di pari
passo con l’affermazione elettorale di movimenti di destra e xenofobi in tutto
il Vecchio Continente e con la disfatta proprio di quei partiti che
storicamente hanno contribuito di più alla costruzione del welfare state
europeo.
Un'arma di esclusione
sociale di massa - Com’è potuto accadere? La risposta è l’immigrazione.
Negli ultimi venti anni più di 26 milioni di persone sono arrivate nell’Unione
Europea a 15 contro i poco più di 20 milioni di emigrati negli Stati Uniti, di
1,6 milioni in Australia e meno di un milione in Giappone. Dal 2000, paesi come
l’Irlanda e la Spagna, ora particolarmente colpiti dalla crisi, hanno visto
raddoppiare il rapporto tra popolazione straniera e indigena. Certo questi
flussi sono precedenti alla recessione e, anzi, durante la crisi l’immigrazione
tende a diminuire: approssimativamente del 2 per cento per ogni punto
percentuale di caduta del prodotto nel paese di destinazione. Ma a preoccupare
gli europei è la combinazione di una forte e recente immigrazione, della
recessione e del welfare state. I dati dell’European Social Survey rivelano un
marcato deterioramento della percezione dei migranti da parte degli europei a
partire dal 2002. Questo deterioramento è dovuto alla preoccupazione che gli
immigrati siano un peso fiscale in quanto beneficiari dei
generosi trasferimenti di carattere sociale garantiti dall’Europa, “la terra
della redistribuzione”. Paradossalmente, le politiche redistributive introdotte
con l’obiettivo di favorire l’inclusione sociale sono diventate un’arma di
esclusione sociale di massa. Ora che i deficit pubblici salgono alle stelle e
la disoccupazione torna su livelli a due cifre, gli autoctoni hanno la
legittima preoccupazione che anche i più strenui difensori delle politiche
redistributive saranno costretti a tagliare le prestazioni sociali, a
meno che non riescano a limitare l’immigrazione o almeno l’accesso degli immigrati
al welfare. Ma per motivi ideologici, i partiti di sinistra non possono
perseguire politiche che introducono barriere o un accesso asimmetrico al
welfare per gli immigrati. Le coalizioni di destra e i movimenti
xenofobi sono più credibili dei socialdemocratici nel perseguire politiche di
questo tipo. L’Italia di destra e la Spagna di sinistra ne sono un buon
esempio. In Italia, dai trasferimenti sociali ai poveri
sono esclusi a priori coloro che non hanno un passaporto italiano,
indipendentemente dal fatto che siano immigrati legali o clandestini e che
abbiano pagato le tasse. Intanto, le barche dei disperati vengono respinte
verso la Libia e nessuno sa dove saranno portate queste persone. In Spagna i
trasferimenti sociali sono estesi ai cittadini stranieri e di recente il
governo ha pubblicato un rapporto che documenta il contributo decisivo dato
dall’immigrazione nel boom economico degli ultimi dieci anni. Il Ministero del
Lavoro è stato ribattezzato Ministero del Lavoro e dell’Immigrazione. Non è il Ministero
degli Interni, come da noi, ad avere la titolarità di queste politiche.
Le
alternative possibili - La faccia rassicurante dei
socialdemocratici si sta trasformando in un incubo proprio per quei cittadini
europei che rappresentano il loro elettorato tradizionale: operai, persone con
reddito basso o che vanno avanti grazie ai sussidi del welfare. Devono quindi i
socialdemocratici rinunciare ai loro ideali oppure rassegnarsi a scomparire?
Non necessariamente. In primo luogo, non è affatto detto che le misure volte a
rendere più rigide le politiche sull’immigrazione e a limitare l’accesso al
welfare per gli immigrati rappresentino la risposta migliore alle
preoccupazioni dell’opinione pubblica al di là del brevissimo periodo. La
recessione è destinata a durare a lungo, e non è semplice mettere in pratica le
restrizioni all’immigrazione, come dimostra l’alto numero di immigrati illegali
che vivono nell’Unione Europea. E’ difficile anche limitare l’accesso al
welfare da parte degli immigrati: l’esperienza degli Stati Uniti ci
dice che queste restrizioni possono essere ribaltate dai pronunciamenti dei
tribunali, in particolare in quei paesi dove l’immigrazione è già forte e
consolidata. Così anche le politiche oggi premiate dagli elettori possono non
dare quei risultati rassicuranti che promettono. Invece di imitare i loro
avversari, i socialdemocratici dovrebbero cercare di riformare i
loro programmi di welfare rendendoli maggiormente proattivi e rafforzandone le
basi assicurative. Questo significa che la possibilità di ricevere i sussidi
deve essere subordinata al pagamento dei contributi (gli
immigrati sono ovunque contribuenti netti) e che gli abusi debbono essere
sanzionati sia sotto il profilo sociale che amministrativo. La Danimarca e la
Svezia sono i paesi che hanno fatto i passi più importanti nella
riforma delle politiche sociali in questa direzione: è solo un caso che i
partiti di centrosinistra di questi due paesi siano le uniche formazioni
politiche pro-welfare a non essere state sconfitte in queste elezioni europee?
OBBLIGO
DI DENUNCIA - Quanto ai clandestini adulti, i consiglieri mettono in
evidenza la lesione del diritto alla salute, e di altri beni fondamentali
tutelati dalla Costituzione. Ci sarà «un'inevitabile incidenza negativa del
nuovo reato di clandestinità» sull'«accesso a servizi pubblici essenziali» che
riguardano beni fondamentali come il diritto alla salute da parte degli
immigrati non dotati di valido titolo di soggiorno. È questo perché proprio in
forza del codice di procedura penale «tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati
di un pubblico servizio hanno l'obbligo di denuncia in relazione alla
cognizione funzionale di un reato procedibile d'ufficio». Senza deroghe a
questo obbligo «il rischio concreto è che si possano creare circuiti illegali
alternativi che offrano prestazioni non più ottenibili dalle strutture
pubbliche».
PARALISI
DELLA GIUSTIZIA - Inoltre, avverte il Csm, l'introduzione del
reato di clandestinità comporterà la «totale paralisi di molti uffici
giudiziari». Oltretutto, sottolineano i consiglieri, la nuova norma «non appare
idonea a conseguire l'intento di evitare nel nostro Paese la circolazione di
stranieri entrati irregolarmente». Le conseguenze peggiori saranno per i
giudici di pace: saranno «gravati da centinaia di migliaia di nuovi processi, tali
da determinare la paralisi di molti uffici». Ma problemi si avranno anche per
gli «uffici giudiziari ordinari impegnati nel processo in primo grado e nelle
fasi di impugnazione successive». I consiglieri dubitano inoltre dell'«effetto
deterrente» della norma: «Una contravvenzione punita con pena pecuniaria non
appare prevedibilmente efficace per chi è spinto a emigrare da condizioni
disperate; senza dire che già la normativa vigente consente alle autorità
amministrative competenti di disporre l'immediata espulsione dei clandestini»;
uno strumento su cui pesano «non già carenze normative ma difficoltà di
carattere amministrativo e organizzativo». Ma non sarà solo il reato di
clandestinità a pesare sugli uffici giudiziari: anche le diverse norme del
pacchetto che prevedono inasprimenti sanzionatori o nuovi reati e su cui il
giudizio di merito «è positivo», avranno l'effetto di produrre «un ulteriore
carico per il sistema penale, già particolarmente gravato e in evidente crisi
di effettività» e per le carceri, «ormai allo stremo, avendo superato le 62mila
presenze giornaliere».
La storia a lieto fine
Daria, clandestina e cittadina
modello
Di Sergio Talamo, Il Messaggero
del 10 giugno 2009
DARIA ha vent’anni e gli
occhi verdi, conosce sei lingue ed è la prima della classe. Pulisce le scale e
le case, fa la baby sitter e la badante. C’è qualcosa di più trasparente, di
più solare di una vita così? Eppure Daria è una donna in nero. E’ ucraina e
clandestina. I suoi lavori non sono regolari, i suoi genitori (mamma colf e
papà operaio) neppure. Non ha documenti né codice fiscale e quindi, fino a
pochi giorni fa, sembrava non potesse fare l’esame di maturità nella sua scuola
del centro di Napoli. Il quotidiano "Il Mattino" ha lanciato questa
storia così singolare, e di colpo il tappo è saltato. Si sono mobilitati tutti:
preside, professori, compagni di classe. Per sancire il lieto fine, è dovuto
intervenire il ministro dell’Istruzione in persona. Ora la madre piange di
gioia, mentre lei promette: “Studierò come una pazza”. Ma nel punto in cui
finisce l’agonia di Daria, inizia il paradosso dell’Italia: il paese dove si
può essere per anni “clandestini” e nel frattempo studiare, lavorare, pagare le
tasse, amare, soffrire, sognare. Tutto questo al buio, come fantasmi, senza che
nessuno ammetta ufficialmente che in realtà tu esisti. Esci per strada, saluti
il giornalaio, mangi un panino con i colleghi ma niente: sei sempre e solo
l’uomo invisibile. Daria, ad esempio, non ha mai fatto una gita scolastica. Non
può. La scoprirebbero! (lei che tutti conoscono e che conosce tutti…). Eh già.
Ogni giorno può avere la sua pena: “Ho paura di finire in carcere - dice - lo
stesso timore che ho da cinque anni ogni volta che vedo un poliziotto”.
Se ha paura Daria, ventenne finita sui giornali per i suoi occhi verdi e le sue
sei lingue, figuriamoci i tanti signor nessuno che fanno funzionare fabbriche e
botteghe, gli oscuri artefici di vite orgogliose da “nuovi italiani” senza
carta di identità. Da categoria esistenziale, il “clandestino” dovrebbe
finalmente diventare un problema della politica. Ma non nel modo affrettato e
vagamente isterico cui siamo abituati, per cui chi non ha il permesso di
soggiorno, a giorni alterni, diventa un’emergenza nazionale. Né si può
accettare l’atteggiamento opposto per cui essere o non essere in regola -
quindi violare o non violare la legge - è la stessa cosa.Dietro questi
sbandamenti concettuali, c’è soprattutto l’equazione fra clandestino e
criminale. Eppure il crimine degli stranieri in Italia non ha molta attinenza
con il possesso di quel documento. Ci sono fior di delinquenti che sono in
regola con la burocrazia o addirittura cittadini comunitari a tutti gli
effetti.
E’ la politica dei “decreti flussi” ad avere da tempo il fiato corto. Numeri di
anno in anno tirati a sorte, corse contro il tempo per entrare in graduatorie
sempre più strette, vigorose proteste delle aziende del Nord e delle famiglie
in cerca di badanti o di colf… Una reiterata finzione. Occhi che si chiudono
sulla realtà, fatta di richiedenti che sono in Italia già da tempo e molto
spesso lavorano, hanno casa, famiglia, relazioni sociali. L’unico modo per
chiudere le frontiere è… aprirle davvero a quelli come Daria. Fare lo sforzo di
conoscerli uno ad uno, questi nuovi italiani che oggi sono costretti a star
nascosti dietro la loro condizione di irregolari. Sarà un po’ stancante, ma
sempre meglio che convivere con i fantasmi...
Dice Daria: “Ho studiato in lingua originale i discorsi di Martin Luther King e
mi hanno affascinato. Il più bello? I have a dream”. Io ho un sogno. E sapete
qual è? Un regno e un principe? Gioielli e ricchezze da sogno? Macché. Che un
poliziotto la veda e la saluti.
Società
·
Eurispes: immigrati più numerosi di quanto dicono i dati ufficiali
Lo evidenziano i dati relativi alle rimesse nei paesi d'origine
·
ROMA, 4 giugno 2009 - Il numero degli stranieri residenti in
Italia è superiore a quello dei dati ufficiali. Lo evidenziano i dati relativi
alle rimesse, il denaro che gli stranieri residenti in Italia inviano alle
proprie famiglie nei Paesi di origine. Nel corso degli ultimi anni - evidenzia
l'Osservatorio Lookout immigrazione dell'Eurispes - si è registrata una
crescita sostenuta del valore delle rimesse, ovvero della quantità di denaro
che gli stranieri residenti in Italia inviano alle proprie famiglie nei Paesi
di origine. In particolare, nel 2007 i canali ufficiali di intermediazione
monetaria hanno visto transitare oltre 6 miliardi di euro dall'Italia verso i
Paesi Esteri, pari al 33,4% in più rispetto allo stesso dato del 2006 e di poco
superiore a 4,5 miliardi di euro. Il primato per valore delle rimesse spetta al
Lazio (1,5 miliardi di euro, +36,1% rispetto al 2006), alla Lombardia (1,2
miliardi di euro, +27,9% rispetto al 2006) e alla Toscana (867 milioni di euro,
+120% rispetto al 2006), mentre in tutte le altre Regioni il valore delle
rimesse e' inferiore a 500 milioni di euro, con valori compresi tra 400 milioni
di euro del Veneto (+30,7% rispetto al 2006) e 7,3 milioni di euro della Valle
d'Aosta (+5,8% rispetto al 2006). Secondo le statistiche ufficiali, nello
stesso periodo di riferimento, la popolazione straniera residente in Italia è
cresciuta del 16,8%, passando da 2,9 milioni di abitanti (2006) a 3,4 milioni
di abitanti (2007). La Regione con la maggiore presenza di stranieri è la
Lombardia (815.000 residenti, +11,9% rispetto al 2006), seguita dal Veneto
(403.000 residenti, +15,4% rispetto al 2006), dal Lazio (390.000 residenti,
e'18,4% rispetto al 2006) e dall'Emilia Romagna (365.000 residenti, +15%
rispetto al 2006). In queste prime quattro Regioni si concentra il 60% circa
della popolazione straniera, contro il 40% circa di tutte le altre Regioni, con
valori compresi tra i 310.000 stranieri residenti in Piemonte (+23,1% rispetto
al 2006) e i 6.200 stranieri residenti in Molise (+29,7% rispetto al 2006).
L'importo medio delle rimesse che ciascun straniero invia dall'Italia al
proprio Paese di origine tramite i canali ufficiali di intermediazione
monetaria (ottenuto rapportando il valore complessivo delle rimesse alla
popolazione straniera residente) è cresciuto del 14,3% tra il 2006 e il 2007,
passando da 1.541 a 1.761 euro. Lo stesso valore pro-capite delle rimesse,
calcolato a livello di singola Regione, evidenzia: importi medi superiori al
dato nazionale nel Lazio (4.024 euro nel 2007, +14,9% rispetto al 2006), in
Toscana (3.154 euro nel 2007, +87,4% rispetto al 2006), in Campania (2.446 euro
nel 2007, +6% rispetto al 2006) e in Sardegna (2.226 euro nel 2007, -5,8% rispetto
al 2006); importi compresi tra i 1.000 e i 2.000 euro in 12 Regioni,
localizzate prevalentemente nel Sud (Calabria, Puglia, Basilicata, Molise) e
Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Valle d'Aosta); importi medi pari o inferiori a
1.000 euro in Umbria, Piemonte, Marche, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia
Giulia. E' legittimo ipotizzare - afferma l'Osservatorio - che il valore
pro-capite delle rimesse piuttosto basso (140 euro circa al mese), le notevoli
differenze riscontrate a livello Regionale (con importi medi delle rimesse
pro-capite comprese tra 650 e 4.000 euro) e le forti oscillazioni registrate in
un solo anno (+87,4% in Toscana, -29,8% in Calabria) siano attribuibili sia
all'uso di canali di intermediazione informali per il trasferimento di somme dall'Italia
ai Paesi di origine sia alla presenza sul territorio di un numero di stranieri
superiore rispetto al dato ufficiale relativo ai soli residenti.
Ad avvalorare tale ipotesi, afferma ancora l'Osservatorio dell'Eurispes, è il
dato relativo all'importo medio delle rimesse per Paese di origine, che mostra,
tra il 2006 e il 2007, oscillazioni difficilmente attribuibili alla sola
crescita, per altro contenuta, del numero ufficiale di residenti stranieri. Il
valore delle rimesse destinate alla Cina è stato nel 2007 di 1,6 miliardi di
euro (+140% rispetto allo stesso dato del 2006) che, a fronte di una
popolazione residente di 156.500 cinesi (+8% rispetto allo stesso dato del
2006), equivale a un valore della rimesse pro-capite di oltre 10.000 euro
l'anno (+123% rispetto allo stesso dato del 2006 che era di 4.800 euro). Valori
di rimesse pro-capite superiori rispetto alla media si riscontrano anche per
gli stranieri con cittadinanza nelle Filippine (6.800 euro, +34,4% rispetto al
2006), in Colombia (5.183 euro, -3,4% rispetto al 2006), in Brasile (4.000 euro
circa, -8,2% rispetto al 2006), in Senegal (4.000 euro circa, +16% rispetto al
2006), nella Repubblica Domenicana, nel Bangladesh e in Peru'. Nel 2007 i Paesi
di origine con valori di rimesse pro-capite piu' bassi sono la Polonia (820
euro, -17,5% rispetto al 2006), la Moldavia (796 euro, -17,7% rispetto al
2006), l'Ucraina (769 euro, +2,5% rispetto al 2006) e l'Albania (357 euro, -3%
rispetto al 2006), per i quali, data la vicinanza relativa all'Italia, è
ipotizzabile un utilizzo piu' frequente dei canali informali di trasferimento
di denaro o il trasferimento diretto in occasione dei periodici rientri in
patria. Un secondo indicatore che mette in discussione il dato relativo alla
presenza di stranieri in Italia è dato dalla differenza riscontrata nel tasso
di imprenditorialità di italiani e stranieri, inteso come rapporto tra
popolazione residente e imprese registrate. Secondo le ultime stime, la
popolazione residente in Italia e' pari a circa 60 milioni di abitanti, dei
quali 56 milioni di italiani e 4 milioni di stranieri, mentre il numero di
imprese registrate (oltre 6 milioni tra imprese individuali, societa' di
capitali, societa' di persone e altre forme giuridiche) e' suddiviso in 5,5
milioni di imprese con titolare italiano e 575.000 imprese con titolare
straniero. Rapportando la popolazione residente alle imprese registrate, si
nota come il tasso di imprenditorialita' per gli italiani e' di una impresa
ogni 10 abitanti, notevolmente inferiore quindi rispetto a quello relativo ai
soli stranieri, che e' di una impresa ogni 7 abitanti. Ancora piu' interessante
e' il dato relativo alla popolazione cinese e alle imprese registrate in Italia
con titolare cinese: a fronte di un numero ufficiale di 174.000 residenti con
cittadinanza in Cina e 46.237 imprese registrate con titolare cinese, il tasso
di imprenditorialita' risulta essere di una impresa ogni 4 abitanti: vale a
dire quasi una impresa per famiglia residente.
Allarme
Uil sui lavoratori stranieri
“A fine anno 142mila disoccupati”
(Vittorio Longhi)
Roma, 1 giugno 2009 - Tanti quanti gli abitanti della città di
Bruxelles o dell'intera provincia di Gorizia. Sono 142mila i lavoratori
immigrati presenti in Italia che rischiano di ritrovarsi senza lavoro nel 2009,
a causa della crisi economica. Le stime le ha fatte la Uil, in base alle
previsioni di nuove assunzioni per quest'anno, elaborate da Unioncamere e dal
Ministero del Welfare, e in base alla diminuzione dell'occupazione complessiva
in Italia, secondo i dati Eurostat. La cifra dei potenziali senza lavoro è
ricavata dalla sottrazione tra il numero dei disoccupati stranieri al primo
gennaio, quasi 162mila, e il numero dei nuovi contratti previsti per immigrati,
quasi 58mila (contro i 220mila del 2008). A questi 104mila che resteranno fuori
dal mercato del lavoro si devono poi aggiungere i 38mila già assunti che
potrebbero perdere il posto proprio a causa della recessione. I settori più
colpiti, è noto, saranno quello edile e quello industriale, concentrati
nell'area Centro-Nord, con lavoratori provenienti soprattutto dall'Europa
dell'Est e dal Nord e Centro Africa. Secondo i dati del 2008, in Italia
risultano occupati 1.751 milioni di lavoratrici (40%) e lavoratori immigrati,
con un aumento del 16,4% rispetto al 2007 (più femminile che maschile), a
fronte di una crescita dell'occupazione totale in Italia di appena lo 0,8%.
"L'attuale momento di crisi rischia di cambiare profondamente il nostro
mercato del lavoro -- commenta Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil
-- , e servono misure eccezionali per tutelare i livelli occupazionali".
Se per un lavoratore italiano la perdita del posto è un dramma, fa notare Loy,
per un immigrato e la sua famiglia significa il rischio di perdere il diritto a
rimanere nel nostro paese. Pertanto, il sindacato propone un uso più efficace
degli ammortizzatori sociali anche per gli immigrati, con la possibilità che il
periodo di ricerca di un nuovo lavoro, e quindi il rinnovo del permesso di
soggiorno, inizi solo al termine della durata dell'indennità di disoccupazione.
"C'è da chiedersi se sia funzionale lasciare sei mesi di tempo a un
lavoratore immigrato per la ricerca di un nuovo posto, pena il venir meno del
diritto al soggiorno in Italia -- dice anche Franco Pittau, curatore del
dossier sull'immigrazione Caritas-Migrantes -- . Non sarebbe più giusto
neutralizzare il periodo della crisi e sospendere il termine, tanto più che
molti perdono il lavoro formale e sono costretti a continuare in nero?".
Le prime risposte positive a questi interrogativi arrivano proprio dai
territori che più usufruiscono di manodopera straniera. A Treviso, dopo le
sollecitazioni e le manifestazioni dei sindacati, il questore Carmine Damiano ha
deciso di allungare i tempi della ricerca legale del lavoro, garantendo che il
permesso per l'attesa di occupazione non scadrà dopo solo sei mesi, ma potrà
essere prorogato per un anno. Una misura che allontana, o meglio ritarda il
rischio a cui sono esposti sempre più stranieri senza lavoro, costretti a
scegliere tra il ritorno in patria e il reato di clandestinità.
LUSSEMBURGO
(Reuters) - L'Italia, che è stata pesantemente criticata per il respingimento
di migranti che cercavano asilo, ha detto oggi che l'Unione europea deve
dotarsi di un sistema che obblighi gli Stati membri a farsi carico del problema
accogliendo ognuno un certo numero di immigrati. Gli stati nordici della Ue
sono riluttanti ad rispondere a simili richieste da parte di paesi meridionali
come l'Italia e Malta, dove la maggior parte dei richiedenti asilo arrivano
dall'Africa, affermando di fare già ampiamente la loro parte. Prima dell'inizio
del vertice Ue a Lussemburgo, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha detto
che la recente proposta della Commissione europea sull'asilo è
"interessante... ma non sufficiente". "Abbiamo chiesto una
ripartizione obbligatoria del carico, la proposta prevede un sistema
volontario: così chi non vuole non deve accogliere alcun rifugiato", ha
detto il capo del Viminale ai giornalisti. In un'intervista al "Financial
Times" pubblicata oggi, il primo ministro maltese Lawrence Gonzi ha
definito la proposta di Bruxelles un passo avanti, ma ha espresso delusione sul
fatto che gli stati Ue non abbiamo trovato un accordo sulla ripartizione dei
richiedenti asilo. Maroni ha detto che la Libia, paese verso cui l'Italia ha
respinto alcune centinaia di migranti intercettati nel Mediterraneo, gli ha
comunicato richieste concrete di aiuto da parte dell'Europa per combattere
l'immigrazione irregolare e che trasmetterà tali richieste al commissario
europeo alla Giustizia Jacques Barrot. Barrot ha criticato la recente decisione
dell'Italia di attuare i respingimenti in Libia , affermando che in questo modo
non si distingue tra immigrati irregolari e richiedenti asilo. Il commissario
europeo ha proposto che la Ue lavori con l'Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati (Acnur) per istituire centri per i richiedenti asilo
direttamente in Africa e impedire che finiscano nelle mani dei trafficanti di
esseri umani. Barrot ha anche invitato l'Acnur a collaborare con la Libia
per stabilire uno schema che consenta di accogliere e proteggere i richiedenti
asilo secondo gli standard internazionali. Maroni ha affermato che la politica
italiana funziona e che l'arrivo di barche di migranti dal Nord Africa è
praticamente interrotto, ma continuano le critiche da parte delle
organizzazioni non governative che si occupano del problema dei rifugiati. Ieri,
il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati, una rete di 69
organizzazioni che assistono profughi in 30 paesi, ha detto che l'Italia
dovrebbe essere sottoposta alle sanzioni Ue per "flagrante
violazione" dei principi sui diritti umani.
Almeno il 70%
delle 31.200 richieste d' asilo in Italia nel 2008 provenivano da migranti
giunti dalle coste meridionali del Paese, secondo i dati dell'Acnur.
Studenti schedati e malati in fuga
L’effetto anticipato del ddl sicurezza
Il ddl
sicurezza non è ancora legge ma ha già cambiato la vita quotidiana degli
immigrati. Il testo, ora all'esame delle Commissioni del Senato, secondo le
intenzioni del governo entrerà in vigore prima dell'estate. Ma fa già sentire i
suoi effetti per migliaia di badanti irregolari (200mila secondo le ultime
stime dell'Irs), che ora sono sotto la minaccia del reato di clandestinità. E
che, strette fra le lungaggini burocratiche di una domanda dei flussi e le
paure delle famiglie che le hanno assunte, rischiano di perdere il posto. Poi
ci sono i lavoratori senza permesso. Possono curarsi, la legge lo garantisce,
ma il can can sulla possibilità di essere segnalati alla polizia li ha
allontanati a migliaia dagli ambulatori; i casi, sia pure isolati, di medici o
poliziotti "zelanti" sono serviti di esempio per tutti. Non c'è solo
la mamma di Napoli che ha fatto scalpore per il fax dell'ospedale che segnalava
il suo parto "clandestino". A Prato, un cinese è stato arrestato per
essere andato a farsi togliere i punti; a Brescia, un senegalese è stato
espulso dopo le cure per il mal di denti; la stessa sorte è toccata a
Conegliano a una nigeriana di appena vent'anni. La norma sulla segnalazione dei
malati è scomparsa dal testo del ddl, mentre l'articolo che esonera i medici
dall'obbligo di segnalazione resta pienamente in vigore. Ma secondo molti
giuristi non basta: con l'introduzione del reato di clandestinità, chi si
imbatte in uno straniero irregolare avrà comunque il dovere di avvisare la
polizia. Un possibile futuro che molte realtà locali già anticipano. Come la
Asl 6 di Pordenone, che ha preannunciato la chiusura dell'ambulatorio per
stranieri con tesserino Stp. O come le scuole che hanno cominciato a chiedere
il permesso di soggiorno agli studenti che si preparano alla maturità. Anche su
questo punto, in realtà, la normativa è chiara: i minori stranieri "hanno
diritto all'istruzione indipendentemente dalla regolarità della loro
posizione". E il fatto che l'iscrizione avvenga con riserva "non
pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi delle scuole di ogni ordine e
grado". Insomma: per dare l'esame il permesso non serve. Eppure a Genova i
ragazzi stranieri prossimi ai 18 anni si sono ritrovati il nome scritto alla
lavagna; a Padova, su una circolare diramata in tutte le classi. Due iniziative
rientrate in pochi giorni tra le proteste, ma indicative di un clima già
cambiato. Confermano la tensione le polemiche sull'ultima novità annunciata dal
ministero dell'Istruzione: quest'anno i risultati della maturità saranno
monitorati identificando ogni alunno grazie al codice fiscale. Mariangela
Bastico, responsabile scuola del Pd, ne ha fatto materia di un'interrogazione
al ministro Gelmini: la novità, si chiede, è "un modo indiretto per
verificare il possesso del permesso di soggiorno e discriminare gli studenti
figli di irregolari?". Anche altri scenari possibili in gran parte
d'Italia sono già realtà. Servirà il permesso per sposarsi: ma molti Comuni già
lo chiedono, o mandano a casa dei promessi sposi direttamente la polizia.
Servirà anche per qualsiasi atto pubblico, a cominciare dalla registrazione di
un figlio, come pure per inviare i risparmi in patria. Mentre l'associazione di
consumatori Aduc mette in preallarme migliaia di studenti e turisti: siano
statunitensi, svizzeri o australiani, se non fanno la dichiarazione di presenza
entro 8 giorni dall'ingresso rischieranno sanzioni fino a 10mila euro perché a
tutti gli effetti "clandestini". (31 maggio 2009)
Dai territori
Immigrati. Procedure sempre complesse,
molte richieste da parte di orientali che aspettano anche 3 o 4 anni. (di
Chiara Roverotto)
Vicenza,
5 giugno 2009 - Il sogno di
diventare cittadini italiani sta diventando sempre più ricorrente tra gli
stranieri che vivono nella nostra Provincia. Fino a qualche anno fa a bussare
alle porte della prefettura per chiedere di far parte della nostra nazione
c'erano essenzialmente marocchini e albanesi, attirati non solo da un lavoro
stabile e sicuro, ma anche da quanto il nostro paese poteva offrire in termini
culturali e sociali. Ora l'ago della bilancia si sta spostando e di fatto segue
alla lettera tutti i fenomeni migratori che hanno coinvolto il Vicentino in
questi ultimi tempi. «Quindi da un paio d'anni a questa parte - dicono negli
uffici di contrà Gazzolle - le più numerose sono le richieste che provengono da
romeni, indiani, bangladesi e pakistani». Non c'è da meravigliarsi: sono stati
loro che, nell'ultimo decennio, hanno cambiato i volti dell'immigrazione
cittadina trasformando, con comunità sempre più numerose e variopinte, i volti
di contrade e paesi sparsi nella provincia, soprattutto nell'Alto Vicentino
dove ci sono i gruppi più numerosi e inseriti nel tessuto urbano.
Ma cominciamo dai dati. Lo scorso anno la prefettura ha raccolto oltre 2 mila
richieste di cittadinanza, decisamente meno di quanto accadeva precedentemente
e la tendenza è in continuo aumento, al punto che le previsioni per quest'anno
si chiuderanno a quota 2.300-2.400.
Una mole di lavoro non indifferente per la prefettura che deve provvedere
all'istruttoria della domanda inviandola al Ministero dell'Interno e al
Ministro degli Esteri, entro 30 giorni dal ricevimento, corredata dal rapporto
informativo della questura. Poi il ministero procede a richiedere il parere al
Consiglio di Stato. Quando è favorevole quest'ultimo provvede ad emanare un Dpr
di concessione, che deve essere firmato dal presidente della Repubblica. I
tempi? Si sono abbassati notevolmente - a detta dei dipendenti del palazzo del
Governo, che seguono l'iter di queste pratiche - anche perché a Roma pare
abbiamo potenziato gli uffici per visionare richieste sempre più numerose.
Risultati? Se uno straniero o una straniera sposa un italiano o un'italiana
attende in media più di 700 giorni, per cui quasi due anni. Il discorso è
diverso quando si tratta di domande che partono dalla residenza (10 anni per i
cittadini che non appartengono alla Comunità europea e 4 per quelli targati
Ue): in questo caso i tempi si dilatano fino a raggiungere tre o quattro anni
dalla data di consegna di tutta la documentazione. «Questo non dipende da noi -
rispondono in prefettura - bensì dai controlli che devono essere eseguiti. Non
si tratta di pratiche normali, dietro ci stanno tutta una serie di
procedimenti, processi e iter che richiedono tempo, attenzione e impegni
particolari».
Intanto, solo nel Comune di Vicenza, le cittadinanze concesse nel 2008 sono
state 151: 84 per matrimonio, 61 per residenza e 6 per discendenza. L'anno
prima furono 142, nel 2006 solo 88. Ma, sulla base di quanto sostengono gli
addetti all'anagrafe, solamente fino al mese scorso erano già state accolte
circa 200 domande. Provenienti per la maggior parte da marocchini, albanesi,
bosniaci. Le etnie più rappresentate anche all'interno del Comune, dove gli
stranieri rappresentano il 10,7 per cento della popolazione residente. In
pratica sono 16.766 su 115 mila vicentini. Se il sogno di diventare italiani
rischia di trasformarsi in un'odissea, ora Itaca sembra più vicina, almeno
rispetto ai primi anni, quando accettare l'immigrazione era difficile, mentre
ora già si parla di integrazione.
Quindi possedere un documento che permetta ad uno straniero-italiano di
partecipare alla vita sociale, politica del paese dove vive e lavora è
sicuramente un passo avanti verso quell'integrazione di cui tutti parlano.
Prensa
Extranjera
Atrapados en los países "de tránsito" de camino a Europa
Los inmigrantes africanos quedan, de
media, tres años "atascados" en naciones donde se vulneran sus
derechos humanos, denuncia el Servicio Jesuita a Migrantes
CRISTINA CASTRO -
Madrid - 06/05/2009
Jugarse la vida intentando cruzar el Estrecho o
saltando la valla fronteriza de Ceuta y Melilla es tan sólo el último de los
riesgos que muchos inmigrantes subsaharianos corren en el camino a Europa.
Marruecos, Libia o Mauritania se han convertido en países "de
tránsito" en los que los inmigrantes se quedan atascados y normalmente faltos
de toda garantía jurídica. Joseph Buades, coordinador del Servicio Jesuitas a
Migrantes de España (SJM-E), ha afirmado este miércoles que los inmigrantes
permanecen en estos países una media de tres años antes de acceder a Europa,
donde algunos son automáticamente deportados después de años de viaje. Control
democrático para la gestión de la frontera sur es el resultado de un estudio elaborado por el SJM-E, que cuenta con
la colaboración de la Universidad Pontificia de Comillas y que se ha realizado ante
las próximas elecciones europeas, en junio. El texto reivindica la falta de
garantías democráticas para los inmigrantes por el "desplazamiento cada
vez más al sur" de las fronteras con África. Lo corroboran las historias
de Adama o Fasco, que escaparon de la República Democrática del Congo por la
guerra de su país y tardaron aproximadamente cinco años en llegar a la
península. "Traté de saltar la valla cuatro veces", relata Fasco,
"y cuando conseguí llegar a Ceuta me comunicaron que me habían concedido
el asilo político y una semana después estaba denegado". Las historias
personales son muchas. El grupo calcula (aunque "no se pueden hacer
estimaciones ajustadas") que puede haber entre 6.000 y 8.000 personas
atrapadas en estos países. El estudio realizado por el SJM-E concluye que la
inmigración africana está "mal entendida". "Tenemos una imagen
de avalancha de cayucos, de invasión, cuando en la península apenas representan
un 6% donde más hay, y su peso respecto a la población inmigrante ha bajado
cinco puntos desde 1996", ha señalado Cristina Manzanedo, coordinadora del
estudio. Por esta fallida interpretación del fenómeno creen que se está
produciendo un endurecimiento de las políticas encaminadas a controlar las
fronteras sin tener en cuenta otros aspectos. "Desde 2005 la Unión Europea
viene proclamando un enfoque global de la inmigración, que combine aspectos de
control de inmigración ilegal con integración y medidas para atacar las causas
de la inmigración en su origen, pero en la práctica las últimas acciones sólo
se dirigen a controlar los flujos migratorios y difuminan los demás
aspectos", ha manifestado Manzanedo. "La cooperación internacional
está vinculándose a acuerdos comerciales o de control de migraciones", ha
alertado Buades. "Europa se define como un espacio de libertad y justicia
pero, en nuestra opinión, los países de tránsito no lo son". Según el
estudio, los pactos realizados con terceros países para controlar la
inmigración (financiándoles para que sean ellos quien ejerzan los controles) no
están siendo sino una estrategia del tipo "ojos que no ven, corazón que no
siente". Manzanedo agrega: "Nos preocupa la política de
externalización de fronteras, porque se trata de una operación invisible para
la sociedad española y de la que los políticos no se hacen responsables. Todo
ello está provocando una vulneración de los derechos humanos". El
documento será enviado a los diferentes grupos políticos de la Eurocámara con
unas peticiones claras: comprobar que se están respetando los derechos humanos
en los controles de la frontera sur. Además, el SJM-E quiere que los políticos
se embarquen con las patrullas marítimas conjuntas, visiten centros de
internamiento de extranjeros y los dedicados a la gestión de la inmigración.
Los
empresarios que contraten a 'sin papeles' deberán pagar la repatriación
Una directiva de la UE
endurece el castigo contra la explotación de inmigrantes
TOMÁS BÁRBULO - Madrid - 23/05/2009
La Unión Europea aprobará el lunes en Consejo de
Ministros una directiva, inspirada por el Gobierno español, que endurece las
sanciones a los empresarios que contraten a inmigrantes en situación irregular.
Además de establecer una batería de multas y penas mínimas, el texto obliga a
los patronos explotadores a pagar el viaje de retorno de sus empleados sin
papeles que sean repatriados. Hasta ahora, ese gasto recaía sobre los
contribuyentes, a través de los Presupuestos Generales del Estado.La directiva,
que viene siendo negociada desde hace más de dos años, establece unas normas
mínimas, por lo que los Estados quedan en libertad para adoptar medidas aún más
estrictas contra los explotadores. Además de obligarles a pagar la repatriación
de sus empleados en situación irregular, algo que ya aparece recogido en varios
artículos del anteproyecto español de reforma de la Ley de Extranjería, les
exige que abonen a los inmigrantes el dinero pendiente por el trabajo que hayan
realizado y que paguen los correspondientes impuestos y cotizaciones sociales.
En caso de que sea imposible establecer la remuneración de los extranjeros,
"se debe presumir que es al menos el salario previsto en la legislación
aplicable sobre el salario mínimo, los convenios colectivos o la práctica
establecida del sector de actividad de que se trate". Si el inmigrante ha
retornado o ha sido repatriado a su país, los empresarios deberán abonar los
costes del envío de la remuneración que tuvieran pendiente con él. El texto
anima a los Estados a incrementar las inspecciones laborales y les obliga a
establecer sanciones penales en los que denomina "casos graves"; a
este respecto, ofrece varios ejemplos: las infracciones reiteradas, el empleo
ilegal de un número considerable de inmigrantes, las condiciones laborales
especialmente abusivas, el empleo de menores y el conocimiento por parte del
empresario de que el trabajador es víctima de la trata de seres humanos. La
directiva también obliga a los empleadores, antes de contratar a un extranjero
extracomunitario, a solicitar su permiso de residencia y a conservar una copia
del mismo al menos durante el periodo en que trabaje para él. Y aún va más
allá: establece la responsabilidad del contratista principal en el caso de que
sea un subcontratista quien emplee al extranjero en situación irregular. De
esta forma, las empresas que utilicen subcontratas (algo muy común) podrán ser
obligadas como responsables solidarios o subsidiarios a pagar las multas y
salarios pendientes en lugar de los subcontratistas que hayan contratado a los sin
papeles.