ASGI


Newsletter n. 7 del  20 giugno 2009


 

 

IN EVIDENZA

Un pool di associazione italiane ed europee per la difesa dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, tra cui l’ASGI,  ha inviato un esposto alla Commissione europea, al Comitato ONU per i diritti umani e al Commissario  per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa contro il respingimento dei profughi in Libia da parte delle autorità italiane. 

Nell’esposto  le associazioni illustrano le gravi violazioni dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale ed europeo determinate  dalle operazioni di  respingimento in Libia di imbarcazioni di profughi  intercettati nel canale di Sicilia ed effettuate dalle autorità italiane a partire dal 7 maggio scorso.  Le associazioni si appellano  alle istituzioni internazionali ed europee affinché condannino l’Italia e richiedano alle autorità del nostro paese di non procedere ad ulteriori respingimenti. Viene inoltre richiesto alla Commissione europea di intraprendere una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione delle norme comunitarie in materia di protezione internazionale. Le associazioni italiane firmatarie dell’esposto sono  il Servizio rifugiati dei Gesuiti, la Comunità di Sant’Egidio, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, l’ARCI,  l'ASGI, Libera, la Federazione delle Chiese evangeliche, la Casa dei diritti sociali di Roma, i Giuristi Democratici, l’Associazione Senzaconfine, il Gruppo Abele, Progetto Diritti. Le associazioni estere che hanno firmato l’esposto sono il GISTI, l’ANAFE, l’Euro-Mediterranean Human Rights Network, il Jusuit Refugee Service Europe, Migreurop e FLARE network.

 

Il testo dell’esposto inoltrato alle istanze internazionali ed europee contro il respingimento  dei profughi in Libia

 

Il testo dell’esposto in lingua inglese

 

 

SEGNALAZIONI GIURISPRUDENZIALI

 

FLUSSI D’ INGRESSO

Decreto Flussi 2008: respinto il ricorso del Governo e del Ministero dell'Interno sui datori di lavoro stranieri

Per il Consiglio di Stato possono presentare domanda di ingresso per lavoro anche gli stranieri con permesso di soggiorno.

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Interno contro il provvedimento con cui nel mese di gennaio il TAR del Lazio ha accolto la domanda di sospensiva del Decreto Flussi per l'anno 2008. Avanti al Consiglio di Stato sono intervenuti - contro la richiesta del governo - INCA CGIL e l'Associazione Progetto Diritti, assistita dagli avvocati Maria Rosaria Damizia e Arturo Salerni. Il decreto è stato sospeso nella parte in cui non mette gli stranieri privi di carta di soggiorno di nelle condizioni di assumere altri cittadini stranieri. L'avvocato Mario Angellelli, presidente dell'associazione Progetto Diritti, dichiara: "La pronunzia del Consiglio di Stato blocca un atto discriminatorio e xenofobo voluto fortemente dal governo. La giustizia amministrativa ristabilisce principi di equità, ragionevolezza, nel rispetto del dettato costituzionale e delle normative europee". 

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, ordinanza del 5 giugno 2009, n. 3765


Segnalazione di  Progetto Diritti

 

 

SOGGIORNO

1. Secondo il TAR Umbria, il famigliare del cittadino extracomunitario titolare del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti può avere accesso  al medesimo  titolo di soggiorno anche qualora non abbia maturato personalmente  il periodo di soggiorno quinquennale sul territorio dello Stato. La verifica di tale requisito  va fatta soltanto con riferimento  al richiedente principale e non anche ai suoi famigliari.

TAR Umbria, sez. I, Sent. n. 263 dd. 28 maggio 2009.

Le conclusioni del TAR Umbria si fondano su un’interpretazione letterale della norma di cui all’art. 9 del d.lgs. vo n. 286/98, così come modificata dal d.lgs. n. 3/2007: “1. Lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'articolo 29, comma 3, lettera b) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio, può chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per sè e per i familiari di cui all'articolo 29, comma 1”. Secondo il TAR Umbria dalla lettura della norma emergono due concetti: a) i famigliari non hanno bisogno di chiedere personalmente la carta di soggiorno, ma si giovano della richiesta fatta “per sé e per i famigliari” dal soggetto legittimato; b) la verifica dei requisiti (ed in particolare di quello della permanenza ultraquinquennale) va fatta soltanto con riferimento al ricorrente principale, e non anche ai suoi famigliari. Nonostante le circolari applicative del d.lgs. n. 3/2007 (circolare Ministero dell’Interno dd. 16 febbraio 2007) confermerebbero la bontà di tale lettura, tale modalità applicativa è contestata da molte questure italiane (si veda in proposito quanto riportato dal sito melting pot con riferimento alla questura di Bologna), secondo le quali il requisito della permanenza quinquennale dello straniero sarebbe condizione ineludibile al rilascio del permesso di soggiorno CE sulla base di quanto prescritto dalla direttiva n. 109/2003/CE (in particolare il punto 6 del preambolo: “La condizione principale per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo dovrebbe essere la durata del soggiorno nel territorio dello Stato membro…”).  Di conseguenza, il primato del diritto comunitario sul diritto interno imporrebbe l’applicazione del requisito di soggiorno quinquennale anche ai famigliari, con una sostanziale disapplicazione del diritto interno. D’altro canto, anche qualora  dovesse essere interpretata in questa direzione, la stessa direttiva conferisce agli Stati membri la possibilità di applicare norme più favorevoli in materia di rilascio di permessi di soggiorno permanenti o a validità illimitata, ma in tal caso tali permessi non potrebbero conferire autonomamente il diritto a trasferire  il soggiorno in un altro Paese membro, questione che non ha trovato specificazione nel d.lgs. applicativo della direttiva medesima. La questione rimane, pertanto, controversa e suscettibile di creare anche in futuro numerosi contenzioni giudiziari.

Maggiormente controversa e discutibile appare invece  l’affermazione del TAR Umbria nella citata sentenza, secondo il quale “chi consegue la carta di soggiorno in quanto famigliare, rimane logicamente esposto a perdere automaticamente il titolo qualora lo perda il capofamiglia, oppure quando venga meno la relazione familiare (ad es. per cessazione della convivenza, scioglimento del matrimonio e simili)”. Difatti, né la direttiva n. 109/2003, né l’art. 9 del d.lgs. n. 286/98 applicativo della direttiva menzionano  la cessazione della convivenza o lo scioglimento del matrimonio quali cause di revoca del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti . Lo stesso Ministero dell’Interno, in risposta ad un quesito, ha recentemente evidenziato che il permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti rilasciato al coniuge per motivi familiari non può essere soggetto a revoca in caso di scioglimento del matrimonio, a meno che tale titolo di soggiorno non sia stato acquisito a seguito di un matrimonio di comodo (circolare n. 400/A/2009 dd. 27 maggio 2009 – Direzione centrale Immigrazione e Polizia delle frontiere).

 

2. Ha diritto alla carta di soggiorno (permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti)  e non al permesso di soggiorno per motivi di residenza elettiva anche il cittadino straniero residente in Italia che percepisca una pensione estera di ammontare non inferiore ai limiti previsti dalla legge per il sostentamento di sé e dei propri famigliari. In caso di dubbio sulla natura e fonte della rendita percepita dallo straniero ovvero sull’adeguatezza della documentazione presentata ai fini della dimostrazione dell’effettiva titolarità della rendita straniera, la questura non può emanare un diniego,  ma ha l’obbligo di chiedere all’istante di fornire adeguati chiarimenti ed integrazioni, ai sensi di quanto previsto dalla norme sulla trasparenza del procedimento amministrativo (l. 241/90).

TAR Lazio, sez. II quarter, sentenza n. 4417 del 29 aprile 2009

 


RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

1. Ricongiungimento familiare con i genitori. Ordinanza del Tribunale di Torino favorevole al rilascio del visto in caso di procedimenti di riunificazione familiare iniziati prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 160/08 e per i quali il nulla osta sia stato già rilasciato prima del 5 novembre 2008

 Il d.lgs. 160/08, entrato in vigore il 5 novembre 2008, che ha modificato l'art. 29, comma 1, lett. d ), del d.lgs. 286/98 nel senso di permettere allo straniero di richiedere il ricongiungimento con i genitori a carico solo ove questi non abbiano altri figli nel Paese di origine, non può incidere sui procedimenti di ricongiungimento familiare iniziati prima di tale data e ricadenti sotto la disciplina previgente, nel caso in cui lo Sportello Unico abbia già provveduto a rilasciare il nulla osta dandone comunicazione all'autorità consolare.

 

Tribunale di Torino - Ordinanza del 29 maggio 2009

 

In proposito si segnala anche l’ordinanza del tribunale di Savona dd. 4 maggio 2009 (vedi riquadro di seguito)

 

 

Ricongiungimento - Illegittimo il diniego del visto per i nulla osta rilasciati prima del 5 novembre

Una ordinanza del Tribunale di Savona chiarisce la spinosa questione

Si ringrazia Ezio de Luca per la segnalazione

Con una ordinanza del 4 maggio 2009, il Tribunale di Savona, chiarisce la spinosa questione, sollevata da più parti, relativa ai rilasci del visto per ricongiungimento familiare dopo il 5 novembre 2008, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 160 del 3 ottobre 2008.

In molti casi infatti, nonostante il procedimento si fosse già perfezionato con il rilascio del nulla osta, ai sensi della vecchia normativa, al momento del ritiro del visto, se successivo al 5 novembre, le ambasciate ritenevano di dover verificare i requisiti ai sensi della nuova normativa introdotta, considerando quindi il rilascio del visto un atto non consequenziale al rilascio del nulla osta.

Se è vero che il procedimento per la ricongiunzione familiare si divide in due fasi, quella del rilascio del nulla osta (sportello unico) e quella del rilascio del visto (consolato), è vero anche che il secondo è un atto strettamente consequenziale al primo, un atto cioè che trae la sua legittimità dal rilascio del nulla osta che apre il procedimento. Un procedimento aperto con il rilascio del nulla osta ai sensi della vecchia normativa non può quindi poi prevedere il rilascio del visto ai sensi di una normativa diversa da quella secondo la quale è stato dato il via al procedimento.

Anche la circolare esplicativa diramata dal Ministero dell’Interno il 28 ottobre 2008 confermerebbe questa interpretazione stabilendo che solo le domande presentate ed ancora in istruttoria e per le quali non sia stata ancora acquisita la documentazione, all’atto della convocazione, dovrà essere attestato dall’interessato il possesso dei requisiti prescritti dalla nuova normativa.

Il Tribunale di Savona si è occupato di questo argomento.

La vicenda ha visto protagonista una signora albanese che in data 5 gennaio 2009 si è vista negare dall’ambasciata italiana di Tirana il visto di ingresso per ricongiungimento familiare con la motivazione secondo cui, con l’entrata in vigore del D. Lgs. 3 ottobre 2008 n. 160, erano venuti meno i requisiti per il rilascio del visto (la signora aveva altri figli ancora residenti in Albania).

La figlia, che il 28 marzo 2008 aveva fatto richiesta di ricongiungimento familiare in favore della madre, aveva ottenuto dalla Prefettura di Savona l’agoniato nulla osta in data 2 ottobre 2008. Contro la decisione dell’ambasciata ha fatto ricorso al Tribunale di Savona, che lo ha accolto.

-  Ordinanza del Tribunale di Savona del 4 maggio 2009

 

Tratto da : www.meltingpot.org

 

 

 

 

 

 

 

3. Ai fini della richiesta di ricongiungimento familiare non occorre la titolarità di un contratto di lavoro  della durata di almeno un anno, ma soltanto la disponibilità di un reddito annuo derivante da fonti leciti per l’importo previsto dalla legge.  Le norme introdotte con la legge “Bossi-Fini” e con  il d.lgs. n. 5/2007, per cui ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni al momento della presentazione dell’istanza, hanno una natura interpretativa delle disposizioni originariamente contenute nella legge n. 40/1998 e, pertanto, hanno un’efficacia retroattiva. Questo anche in ottemperanza al principio generale che la durata del procedimento non può andare a danno dell’interessato.

Corte di Cassazione, sez. I civ., sent. n. 11803 del 20 maggio 2009.

 

 

4. Cassazione : ricongiungimento familiare per chi attende la cittadinanza

Lo ha chiarito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12680 depositata il 29 maggio 2009. Il diritto al ricongiungimento familiare previsto dall'art. 28 del d.lgs 286/98 deve essere garantito anche a coloro che sono titolari di un permesso di soggiorno rilasciato per attesa cittadinanza, a nulla rilevando che tale tipo di permesso non sia espressamente contemplato nel primo comma dell'art. 28 del d.lgs. 286/98, nell'ambito dei permessi idonei a far sorgere il diritto all'unità familiare.

 

Corte di Cassazione sezione I civile n.12680 del 28 maggio 2009 (247.3 KB)

 

 

ASILO E PROTEZIONE UMANITARIA

Dopo l’entrata in vigore del nuovo regolamento asilo (d.P.R. n. 303/2004),  applicativo delle norme in materia di asilo della legge “Bossi-Fini”, alle Commissioni territoriali asilo sono state attribuite tutte le competenze valutative della posizione del richiedente asilo, ivi compresa quella di provvedere all’eventuale riconoscimento della protezione residuale o temporanea di cui all’art. 5 c. 6 del d.lgs. n. 286/98. Pertanto,  al Questore viene lasciato solo un compito di mera attuazione dei deliberati assunti dalla Commissione territoriale asilo.  Ne discende che il caso di contenzioso relativo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la giurisdizione sarà del giudice ordinario anziché di quello amministrativo.

Corte di Cassazione, sezioni unite Civili, sent. n. 11535 dd. 19 maggio 2009.

 

APOLIDIA

Apolidia e competenza del giudice - La Corte d'appello di Firenze si pronuncia a favore della competenza del giudice in cui e' residente o domiciliato il soggetto che chiede l'accertamento dello status.

In materia di riconoscimento giudiziario dello status di apolidia, al pari degli altri procedimenti riguardanti lo stato delle persone, si deve adottare il rito camerale, in base al quale la competenza territoriale del giudice si radica nel luogo di domicilio o di residenza del soggetto che chiede l'accertamento dello status, e non in quello dell'Amministrazione convenuta.

Corte d'Appello di Firenze, Sezione IV Civile, sentenza dell'8 maggio 2009, n. 138

Vedere anche :
Apolidia
Scheda pratica del sito www.asgi.it a cura di Giulia Perin e Paolo Bonetti (Aggiornata al 12.02.2009)

 

 

PENALE

1. Corte di Cassazione : la mancanza di mezzi economici e' giustificato motivo d'inottemperanza da parte dello straniero espulso all'ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale.

Confermato l'orientamento secondo il quale non aver potuto acquistare il biglietto aereo per fare ritorno al proprio Paese di origine in ragione della carenza di mezzi economici sufficienti può considerarsi un "giustificato motivo" per non ottemperare all’ordine del questore di  lasciare il territorio dello Stato entro  il termine di cinque giorni di cui all’art. 14 c. 5 bis del d.lgs. n. 286/98. Di conseguenza, in questi casi lo straniero non commette il reato previsto dall’art. 14 c. 5 ter del d.lgs. n. 286/98.

 

Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza del 8 maggio 2009, n. 23812

 

2. Corte di Cassazione : lecito affittare a stranieri irregolari se l'affitto risulta equo Lo chiarisce la Corte di Cassazione sezione I penale nella sentenza 19171 depositata il 7 maggio 2009.

Perchè possa configurarsi il reato di cui all'art. 12, comma 5 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 (che punisce chi, a titolo oneroso, dà alloggio o cede in locazione un immobile ad uno straniero privo del permesso di soggiorno) è necessario il requisito del dolo specifico (costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto) il quale non può considerarsi sussistente qualora l'equilibrio fra le prestazioni fra titolare dell'immobile e  lo straniero "irregolare" sia fortemente alterato a favore di quest'ultimo. 

Corte di Cassazione, sez. I penale, sentenza n. 19171 del 7 aprile 2009 (220.76 KB)

 

 

3. Le diverse tradizioni etico e sociali dei coniugi e la diversa concezione dei rapporti familiari non possono essere prese in considerazione al fine dell’attenuazione del disvalore della condotta antigiuridica del reato di maltrattamenti in famiglia. Pertanto,  tali argomentazioni legate alla diversità del contesto culturale di provenienza dell’imputato non possono avere rilevanza  ai fini della concessione delle attenuanti generiche. Nel caso del reato di maltrattamenti in famiglia, la tutela penale riguarda una materia di rilevanza costituzionale,  come la famiglia, che la legge fondamentale riconosce quale società naturale, ordinata sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Pertanto, argomentazioni riferite alla “motivazione culturale” al fine di sostenere l’assenza di una condotta anti-giuridica o la presenza di attenuanti a livello della punibilità non possono trovare alcun accoglimento nel procedimento penale.

 Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, sentenza n. 179/09 dd. 29 maggio 2009.

Per un approfondimento sulla materia si veda la recente pubblicazione:

BASILE FABIO, Immigrazione e reati «culturalmente motivati»: il diritto penale nelle società multiculturali europee, Ed. CUEM, Milano, 2008, Eur 31,00, ISBN: 9788860011923

 

 

DIRITTO DI FAMIGLIA

 

1.  IL  TRIBUNALE DI FIRENZE HA SCIOLTO IL VINCOLO MATRIMONIALE A UN ANNO DALLA CELEBRAZIONE

I GIUDICI ACCORCIANO IL DIVORZIO - APPLICATA LA LEGGE SPAGNOLA. CHE NON PREVEDE LA SEPARAZIONE

 

Il  divorzio breve arriva in Italia. Dalla Spagna. Con una innovativa sentenza (n.1723/2009 depositata in cancelleria il 18 maggio) il tribunale civile di Firenze ha per la prima volta ritenuto applicabile nel nostro ordinamento la legge spagnola del 2005 che, tra mille polemiche, ha previsto la possibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale su richiesta anche di uno solo dei coniugi dopo soli tre mesi e senza passare dalla separazione.

I giudici, chiamati in causa da una donna fiorentina decisa a divorziare dal proprio marito spagnolo, non si sono limitati ad attendere la sentenza dei loro colleghi iberici per poi recepirla nel nostro ordinamento, ma hanno direttamente applicato in Italia la legge straniera, considerandola l'unica normativa regolatrice del rapporto tra i due coniugi.

I fatti.

La coppia si era sposata poco più di un anno fa in Italia. Durante i pochi mesi di convivenza, gli sposi avevano abitato prevalentemente in Spagna, ma l'unione era presto naufragata e la donna aveva chiesto al giudice italiano subito il divorzio nella speranza di liberarsi il prima possibile del vincolo matrimoniale.

Il tribunale di Firenze si è innanzitutto chiesto se sussistesse la giurisdizione del giudice italiano.

E ha risposto di sì, perché la legge 31 maggio 1995 n.218 (la legge sul diritto internazionale privato ndr) stabilisce che in materia di scioglimento del matrimonio la giurisdizione italiana sussiste quando uno dei coniugi è cittadino italiano.

Diverso è il discorso sulla normativa applicabile. La stessa legge 218, infatti, all'art.31 prevede che il divorzio sia regolato dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda. Nel caso in cui manchi una legge comune, si dovrà applicare la legge dello stato nel quale il rapporto coniugale è stato vissuto per più tempo.

La donna ha dimostrato di aver vissuto col marito prevalentemente in Spagna, dove entrambi i coniugi avevano la residenza ei propri interessi.

Di qui la decisione del tribunale di applicare direttamente la legge spagnola senza aspettare una sentenza straniera da recepire in Italia.

«Fino ad ora», spiega l'avvocato lacopo Tozzi dello studio legale Cnttv di Firenze che, insieme al collega Marco Antonio Vallini, ha difeso la donna, «sono state solamente delibate sentenze già emesse in altri paesi: ottenuto il divorzio all'estero, ai coniugi è stato riconosciuto anche in Italia.

Stavolta invece è stata applicata una legge sul divorzio non italiana in territorio italiano".

Le motivazioni.

Il tribunale di Firenze ha deciso di non applicare la normativa italiana (che, com'è noto, non contempla il divorzio breve e impone di aspettare tre anni dalla separazione prima di sciogliere il vincolo tranne che in casi eccezionali) partendo dalla lettera della legge 218/1995. Secondo cui le norme italiane vanno applicate solo se quelle straniere non ammettono la separazione o il divorzio perché considerano indissolubile il vincolo matrimoniale. Diversamente, va applicata la legge straniera. Laddove questa riconosca agli individui che ne sono destinatari la possibilità di divorziare attraverso un provvedimento giurisdizionale, scrivono i giudici, «diviene irrilevante che esso sia conseguibile all'esito di un percorso che prevede il meccanismo della doppia pronuncia (di separazione prima e di divorzio poi) ovvero con un'unica pronuncia»,

«Quel che davvero rileva», prosegue la sentenza, «è che le valutazioni di politica sociale operate dal legislatore straniero siano conformi a quelle del legislatore italiano, ossia sottopongano a un vaglio giurisdizionale, e non meramente amministrativo, la verifica delle condizioni previste» per la pronuncia di divorzio. Visto che le condizioni stabilite dalla legge spagnola (n.15/2005) non possono considerarsi in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento italiano e della Costituzione, il tribunale ha ritenuto la normativa iberica l'unica applicabile al caso di specie.

E ha direttamente pronunciato sentenza di divorzio, essendo trascorsi più di tre mesi dalla celebrazione del matrimonio, come richiesto dalla legge. I due coniugi sono tornati single dopo poco più di un anno dal sì.

 

Fonte: ItaliaOggi

 

 

 

 

 

2. Non può essere dichiarato nuovamente lo scioglimento del matrimonio tra le parti, quando sia già intervenuta una sentenza estera di divorzio . Ai sensi del Regolamento UE n. 2201/2003,  il provvedimento di divorzio pronunciato da un’autorità di un altro Stato membro deve trovare automatico riconoscimento in Italia, con le uniche eccezioni previste dall’art. 22 lett. b (decisione di divorzio resa in contumacia, domanda giudiziale non notificata o comunicata al convenuto contumace in tempo utile per esercitare il diritto alla difesa, salvo che il convenuto abbia inequivocabilmente accettato la decisione).

Tribunale di Bari, sez. I Civile, Sent. n. 1394 del 27 aprile 2009.  

 

 

DIRITTI CIVILI – RISARCIMENTO DEL DANNO

Il principio di reciprocità di cui all’art. 16 delle preleggi non può trovare applicazione nei casi di richiesta di risarcimento del danno a carico del Fondo di garanzia per le vittime della strada, da parte di  un cittadino straniero non comunitario in seguito  al decesso di un famigliare a causa di un incidente stradale con un veicolo non identificato. Trattandosi di un risarcimento del danno legato alla tutela di diritti fondamentali come quelli alla vita, all’incolumità e alla salute, esso va assicurato  senza alcuna disparità di trattamento, a tutte le persone, indipendentemente dalla cittadinanza comunitaria o extracomunitaria.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sent. n. 10504 dd. 7 maggio 2009.

 

2. Respinta anche in sede di reclamo l’azione giudiziaria anti-discriminazione promossa da un gruppo di cittadini italiani Sinti e sostenuta da ASGI e Sucar Drom dinanzi al tribunale di Mantova, contro l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi in Lombardia e le relative previsioni in materia di identificazione e censimento delle persone. Per il tribunale di Mantova la competenza giurisdizionale non spetta al giudice civile, bensì a quello amministrativo e non vi è stata discriminazione, in quanto i ricorrenti non sono stati oggetto di identificazione e censimento.

Tribunale di Mantova, Ordinanza dd. 21.04.2009 (n. 450/09; 4/2009 Reg. reclami)

In sede di reclamo contro la decisione assunta in primo grado dal giudice di Mantova, il collegio del Tribunale di Mantova ha respinto l’azione giudiziaria anti-discriminazione promossa da un gruppo di cittadini italiani di etnia Sinti residenti  a Mantova con il sostegno di ASGI e Sucar Drom. Le motivazioni presentate dal Tribunale di Mantova appaiono discutibili soprattutto con riferimento al giudizio sul riparto delle competenze giurisdizionali in materia di azioni giudiziarie contro atti e comportamenti della Pubblica Amministrazione. Secondo il collegio giudicante di Mantova, infatti, bisognerebbe distinguere tra atti amministrativi e condotte esecutive che diano attuazione a comportamenti discriminatori; soltanto le seconde potrebbero essere oggetto del sindacato del giudice civile adito ai sensi dell’art. 44 del T.U. immigrazione, mentre la verifica dei presupposti di legittimità degli atti amministrativi in sé alla luce del principio di non discriminazione deve essere necessariamente demandata al giudice amministrativo. La decisione del Tribunale di Mantova sembra contraddire un principio consolidato dalla giurisprudenza civile, secondo cui la materia del diritto anti-discriminatorio spetta necessariamente al giudice ordinario, avendo a riguardo diritti soggettivi a carattere fondamentale tutelati dalla Costituzione.

Secondo il collegio giudicante del tribunale di Mantova, inoltre, non vi sarebbe stato nel caso concreto alcun comportamento discriminatorio nei confronti dei ricorrenti, i quali infatti al momento del giudizio non erano stati interessati dalle misure di censimento ed identificazione previste dall’ordinanza n. 3677 dd. 30.05.2008 sullo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio della regione Lombardia. Al riguardo, la questione  attiene al fatto che nell’ordinanza presidenziale n. 3677 de qua si prevedeva che vengano disposti l’ “identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti” negli insediamenti autorizzati così come in quelli abusivi “attraverso rilievi segnaletici”.

L’ordinamento giuridico italiano, infatti, prevede l’acquisizione di rilievi segnaletici solo se riferiti alla singola persona e solo se questa sia denunciata per qualche ipotesi di reato, sia pericolosa o sospetta o non sia in grado o si rifiuti di provare la propria identità ( Art. 4 R.D. 18.06.1931, n. 773 T.U.L.P.S; Art. 7 R.D. 6.5.1940 Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S.)  o, per quanto riguarda i soli cittadini extracomunitari in sede di rilascio del titolo di soggiorno.

Orbene, con la normativa di emergenza di cui al D.P.C.M. 30.05.2008 e successive ordinanze, tra cui quella qui in esame, l’ Ordinanza P.C.M. 30 maggio 2008, n. 3677, il governo italiano aveva inteso derogare alla normativa di cui al TULPS, prevedendo per l’intera categoria dei “nomadi” insediati nei campi, sia autorizzati che abusivi,  la sottoposizione ai rilievi segnaletici (quindi quelli descrittivi, fotografici, dattiloscopici e antropometrici di cui al R.D. 06.05.1940), sulla base della loro mera condizione personale, soggettiva ed etnica e   a prescindere dunque dai requisiti oggettivi del comportamento pericoloso e sospetto, ovvero del rifiuto o dell’impossibilità di provare la propria identità, che regolano in via generale la materia.

Così, infatti, l’art. 3 dell’ordinanza P.C.M. 30 maggio 2008 disponeva: “Per il compimento delle iniziative previste dalla presente ordinanza il Commissario delegato, ove ritenuto indispensabile, è autorizzato a derogare, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, delle direttive comunitarie, e della direttiva del P.D.C.M. 22.10.2004, alle seguenti disposizioni normative:

[…]- regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, art. 4”

 A seguito delle critiche e delle pressioni anche a livello internazionale ed europeo, il governo italiano ha compiuto successivamente un passo indietro, approvando le “Linee guida per l’attuazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri”, che con specifico riferimento ai rilievi dattiloscopici, ha espressamente richiamato il disposto di cui all’art. 4 del R.D. 18 giugno 1931 che presuppone lo stato di pericolosità, ovvero l´incapacità o il rifiuto di provare la propria identità da parte delle persone assoggettate alla procedura.

Proprio a seguito di tale precisazione, il Garante per la privacy non ha ritenuto il quadro normativo relativo a tali operazioni di censimento ed identificazione in contrasto con la normativa nazionale ed europea in materia di protezione dei dati personali (deliberazione del 17 luglio 2009), così come non ha trovato accoglimento  l’azione giudiziaria anti-discriminazione inoltrata dall’Associazione Progetto Diritti di Roma (si veda provvedimento del 13 agosto 2008 del giudice ordinario di Roma).

 

Nei mesi scorsi,  tuttavia, ERRC, OsservAzione e Open Society Institute hanno presentato alla Commissione Europea un esposto sull'illegittimità del censimento sulle persone di etnia Rom e Sinti in Italia.  Nell'esposto si sottolinea che, sulla base del monitoraggio condotto da ERRC, OsservAzione e  Open Society Institute sull'implementazione del decreto sull'emergenza nomadi del 21 maggio 2008, le operazioni di censimento si sono di fatto discostate dalle linee guida emanate dal Ministero dell'Interno il 17 luglio 2008, ponendosi in violazione delle norme interne ed europee in particolare riguardanti la raccolta ed il trattamento dei dati personali. Si richiama infatti l'attenzione anche sul fatto che le operazioni di "censimento", sarebbero  state estese nel corso dei mesi di marzo ed aprile 2009 anche a "campi nomadi" collocati fuori dalla regioni previste dal decreto, con vere e proprie operazioni di schedatura compiute in particolare nel Veneto, che sembrano indicare la volontà del Ministero dell'interno di creare un data base della popolazione rom e sinti fondato su un criterio di pericolosità sociale  collegato alla condizione stessa di appartenente ai gruppi etnici indicati o associato ai medesimi, cioè su un sostanziale criterio di categorizzazione etnica.

  

 

DIRITTI SOCIALI

1. Indennità di invalidita' civile con il permesso di soggiorno. Nuova sentenza favorevole ad una cittadina straniera in possesso del permesso di soggiorno a cui l'INPS negava l'assegno d'invalidita' .

Il Tribunale di Bari, Sezione Lavoro, con dispositivo di sentenza del 18.05.2009 ha accolto il ricorso di una cittadina della Repubblica Federale di Jugoslavia rivolto ad ottenere l'assegno di invalidità civile di cui all'art. 13 della Legge 118/1971. La domanda della ricorrente era rivolta ad accertare il diritto all'assegno di invalidità pur in mancanza del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo. La richiesta avanzata in via amministrativa dalla cittadina straniera, infatti, era stata rigettata dai competenti organi in virtù dell'art. 80, co. 19 della Legge Finanziaria per l'anno 2001 (L. 388). Tale legge, difatti, oltre agli ordinari requisiti, per le persone non comunitarie richiede anche il possesso della Carta di soggiorno (oggi Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo). L'Inps è stato condannato alla corresponsione della relativa prestazione ed al pagamento dei ratei maturati, oltre agli interessi e al danno da svalutazione monetaria. Nonostante le precedenti sentenze della Corte costituzionale, la  n° 306/2008 - con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 80, co. 19, L. 388 del 2001 e dell'art. 9 D.Lgs. 286/2003 in quanto non consentivano di usufruire dell'indennità di accompagnamento in mancanza del Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo - e la n° 11 del 14/23 gennaio 2009 - che ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle stesse norme nella parte in cui non consentono l'attribuzione della pensione di inabilità in favore di chi abbia solo il permesso di soggiorno e non anche il su citato Permesso Ce - l'Inps continua a negare le prestazioni  sulla scorta della citata norma della legge Finanziaria per l'anno 2001. Questo comporta che, in caso di rigetto dell'istanza amministrativa, occorrerà adire il competente Magistrato e dimostrare il giusto diritto ad ottenere la prestazione richiesta.

Ricordiamo che l'assegno mensile di cui all'art. 13, L. 118/1971 costituisce un diritto in favore delle persone invalide civili di età compresa fra i diciotto ed i sessantaquattro anni. I requisiti per ottenerlo sono l'accertamento della riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 74 per cento, il mancato svolgimento di attività lavorativa per il tempo in cui tale condizione invalidante sussiste, un determinato limite di reddito annuo. Per le persone non comunitarie è necessario, altresì, un permesso di soggiorno rinnovabile (non il Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo, secondo la sentenza del Tribunale di Bari). E' da segnalare che, pur a seguito delle sentenze della Corte costituzionale su indicate, non è stato ancora chiarito se sia anche necessario dimostrare, sempre solo per i cittadini di Paesi non comunitari, la regolare residenza in Italia per i 5 anni che sarebbero, in ipotesi, serviti ad ottenere il Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo. In caso di riconoscimento del diritto alla prestazione di cui all'art. 13, Legge 118/1971, al richiedente spetterà un assegno mensile per tredici mensilità annue.

Fonte : Progetto Melting Pot Europa

Si vedano sull'argomento :

L'ordinanza del Tribunale di Genova - sez. lavoro - del 17 aprile 2009


Corte costituzionale -  sentenza n. 306 del 30 luglio 2008


Corte costituzionale  -  sentenza n. 11 del 14 gennaio 2009 

 

Sul medesimo argomento si segnala anche l’ordinanza della Corte di Appello di Torino  n. 144 dd. 27 febbraio 2009 con la quale è stata dichiarata non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000, in relazione all’art. 117, primo comma della Costituzione, e pertanto è stato disposto il rinvio degli atti alla Corte costituzionale. Il caso trattato dalla corte di merito di Torino è quello di una cittadina rumena che si era vista riconoscere dal tribunale di primo grado il diritto all’assegno di invalidità civile ex art. 13, legge n. 118/1971 solo a partire dal 1 gennaio 2007, data di ingresso della Romania nell’Unione Europea, respingendolo invece per il pregresso, in ragione della norma contenuta nella legge finanziaria 2001 che prescrive il possesso della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti).

 

2. Quinta pronuncia a Brescia sulla delibera relativa all’assegnazione dei Bonus bebe’. Il Tribunale del lavoro respinge il reclamo del Comune . Discriminazione mediante ritorsione.

 Il Tribunale di Brescia Sezione lavoro, con l'ordinanza depositata il 27 maggio 2009, ha respinto il reclamo del Comune di Brescia contro l'ordinanza del 12 marzo 2009 con cui il Tribunale ordinava all'amministrazione locale di cessare la condotta discriminatoria posta in atto con la revoca  della delibera istitutiva del c.d. bonus bebe' . Il collegio composto da Angelo Tropeano, Ignazio Onni e Giuseppe Magnoli ha confermato l'ordinanza: il bando va riaperto e l'amministrazione deve pagare anche le spese legali. Il Tribunale ha ritenuto il contenuto della delibera di revoca ritorsivo e discriminatorio, senza necessita' di ulteriori indagini in quanto "e' il contenuto stesso dell'atto a esprimere chiaramente la causa illecita : evitare in qualsiasi modo che il sostegno economico alle famiglie si estenda anche agli stranieri."Nell'ordinanza si ricorda che l'art. 4 bis del dlgs 215/03 con cui e' stata recepita la Direttiva Ue 43/2000, fa divieto di adottare comportamenti pregiudizievoli per reagire ad un'azione diretta ad ottenere parita' di trattamento. Nel caso in esame l'amministrazione comunale aveva risposto all'ordinanza del giudice del 12 marzo 2009 "con un comportamento che, pur ristabilendo una parita' di trattamento tra italiani e stranieri " e' risultato pregiudizievole sia per le vittime che per gli originari beneficiari".

 

Vedere anche

Bonus bebè: respinto il reclamo del Comune di Brescia.


Brescia - Bonus bebè a italiani e stranieri senza discriminazioni

 

 

DIRITTO EUROPEO – PROTEZIONE INTERNAZIONALE

La Corte europea di Strasburgo sospende il trasferimento in Italia di due minori richiedenti asilo dalla Finlandia. Il Centro finlandese per l'assistenza ai rifugiati aveva sostenuto che il trasferimento in Italia dei minori ai sensi del Regolamento Dublino, avrebbe leso i diritti umani fondamentali, a causa delle limitate misure di accoglienza dei minori richiedenti asilo in Italia

 La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha in due casi emesso il 12 ed il 16 giugno scorsi, provvedimenti cautelari ex art. 39 sospendendo l'invio di due minori richiedenti la protezione internazionale dalla Finlandia all'Italia. I minori  richiedenti asilo dovevano essere trasferiti in Italia sulla base delle norme del Regolamento Dublino, in quanto risulta che l'Italia sia stato il primo paese dell'Unione Europea ove sono transitati ovvero hanno depositato l'istanza di protezione internazionale, ma l'avvocato finlandese  del Centro di aiuto legale per i Rifugiati di Oulu ha sostenuto  che il loro rientro in Italia avrebbe determinato una violazione dei diritti umani fondamentali in ragione delle cattive ed insufficienti condizioni di accoglienza offerte dal nostro paese  ai minori richiedenti asilo, che spesso li costringono a vivere senza fissa dimora  ed assistenza. I provvedimenti  sono di una certa importanza perché per la prima volta la Corte di Strasburgo sospende il rinvio di richiedenti asilo verso il nostro Paese.

I provvedimenti cautelari della Corte europea dei diritti umani

Si ringrazia l’Avv. Maria Cristina Romano per la segnalazione

 

 

DIRITTO COMUNITARIO E LIBERA CIRCOLAZIONE

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, sentenza del 4 giugno 2009, A.V., J.K. – Arbeitsgemeinschaft (Germania), C 22/08 e C23/08

L’art. 39 del Trattato CE che prevede il diritto alla  libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità ed il principio di parità di trattamento tra i lavoratori degli Stati membri in materia di impiego e condizioni di lavoro garantisce ai lavoratori comunitari di godere, in condizioni di parità con i lavoratori nazionali,  delle prestazioni finanziarie previste  ai fini di facilitare l’accesso al mercato del lavoro. Poiché il diritto alla parità di trattamento nel godimento di tali prestazioni deriva direttamente dall’art. 39 del Trattato CE, e  tali prestazioni non rientrano nell’ambito dell’assistenza sociale, il lavoratore comunitario può accedervi anche per i periodi di soggiorno per i quali vale la deroga al principio di parità di trattamento in materia di assistenza sociale prevista dalla direttiva n. 2004/38 in materia di libertà di circolazione, purchè sia assicurato un legame reale tra il lavoratore comunitario ed il mercato del lavoro. Il principio di parità di trattamento ed il divieto di discriminazioni di cui all’art. 12 del  TCE non può tuttavia impedire che uno Stato membro eventualmente preveda un trattamento più favorevole  per talune categorie di cittadini di paesi terzi rispetto ai cittadini comunitari in materia di prestazioni di assistenza sociale.

I cittadini comunitari  i quali si trovino alla ricerca di un lavoro in un altro Stato membro dell’Unione europea dopo essere rimasti disoccupati hanno  diritto alle prestazioni di natura finanziaria destinate a facilitare l’accesso al mercato del lavoro in condizioni di parità di trattamento con i cittadini nazionali qualora abbiano posseduto la qualità di lavoratori secondo l’interpretazione fornita del diritto comunitario. Il principio di non–discriminazione tra i lavoratori comunitari in materia di impiego di cui all’art. 39  TCE fa conseguire  il diritto a tali prestazioni nonostante la deroga al principio di parità di trattamento in materia di assistenza sociale prevista dall’art. 24 c. 2 della direttiva n. 2004/38, in quanto le  prestazioni di natura finanziaria che sono destinate a facilitare l’accesso al mercato del lavoro non possono essere considerate “prestazioni di assistenza sociale”. Tuttavia, il diritto a tali prestazioni,  a parità di condizioni con i lavoratori nazionali, richiede l’esistenza di un legame reale tra chi è alla ricerca di un lavoro ed il mercato del lavoro nel medesimo Stato, nesso che può essere rilevato dalla residenza del cittadino comunitario nell’altro Stato membro e dall’effettiva e concreta ricerca di lavoro dell’interessato.  In altri termini, le prestazioni destinate a facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro possono essere erogate  al lavoratore comunitario migrante anche durante i primi tre mesi di soggiorno  e nel periodo successivo fino al conseguimento del diritto al soggiorno permanente qualora  possa dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo, anche a prescindere dalla norma citata della direttiva n. 2004/38 che stabilisce in questi casi la deroga al  principio della parità di trattamento in materia di assistenza sociale. Il principio di non discriminazione di cui all’art. 12 del TCE tuttavia non osta ad una normativa nazionale che escluda i cittadini di uno Stato membro dalla possibilità di beneficiare di prestazioni di assistenza sociale che invece vengono concesse a immigrati di paesi terzi.  L’articolo del trattato delle Comunità europee che vieta discriminazioni fondate sulla nazionalità negli ambiti previsti dal trattato medesimo,  riguarda soltanto le situazioni, rientranti nell’ambito del diritto comunitario, nelle quali un cittadino di uno Stato membro subisce un trattamento discriminatorio rispetto ai cittadini di un altro Stato membro per la sola ragione della sua nazionalità, e non trova applicazione invece nel caso di un eventuale disparità di trattamento tra cittadini degli Stati membri e quelli di Stati terzi.

La sentenza della Corte di Giustizia europea è stata originata dal ricorso di due cittadini greci  che si erano visti esclusi dall’indennità di disoccupazione in Germania in virtù della legislazione tedesca che esclude gli stranieri il cui diritto di soggiorno sia giustificato unicamente dalla finalità di ricercare un lavoro, mentre tali prestazioni vengono concesse ai richiedenti asilo provenienti da paesi terzi una volta ottenuta l’autorizzazione a soggiornare per motivi di richiesta di asilo. Il giudice tedesco, aveva tra l’altro  richiesto alla Corte europea di chiarire se ai ricorrenti  andava riconosciuta la qualità di lavoratori subordinati beneficianti della libertà di circolazione,  avendo essi esercitato un’attività lavorativa in forma ridotta ed inidonea a garantire i mezzi di sussistenza  o per un breve periodo di tempo (poco più di un mese). A tale riguardo, la Corte di Giustizia ha ricordato la propria consolidata giurisprudenza, secondo la quale la nozione di «lavoratore» ai sensi dell’art. 39 CE ha portata comunitaria e non dev’essere interpretata restrittivamente. Per essere qualificato come «lavoratore», un soggetto deve svolgere attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da potersi definire puramente marginali e accessorie. La caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è, secondo questa giurisprudenza, il fatto che una persona fornisca per un certo periodo di tempo, in favore e sotto la direzione di un’altra persona, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione (v., in particolare, sentenze 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum, Racc. pag. 2121, punti 16 e 17, nonché 11 settembre 2008, causa C‑228/07, Petersen, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45). Né il livello limitato della retribuzione stessa, né l’origine delle risorse per quest’ultima, possono avere alcuna conseguenza sulla qualità di «lavoratore» ai sensi del diritto comunitario (v. sentenze 31 maggio 1989, causa 344/87, Bettray, Racc. pag. 1621, punto 15, nonché 30 marzo 2006, causa C‑10/05, Mattern e Cikotic, Racc. pag. I‑3145, punto 22). Il fatto che il reddito proveniente da un’attività di lavoro subordinato sia inferiore al minimo vitale non impedisce di qualificare chi la svolge come «lavoratore» ai sensi dell’art. 39 CE (v. sentenze 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punti 15 e 16, nonché 14 dicembre 1995, causa C‑317/93, Nolte, Racc. pag. I‑4625, punto 19), anche se la persona in questione cerca di integrare tali proventi con altri mezzi di sussistenza, come un aiuto finanziario a carico dello Stato di residenza (v. sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag. 1741, punto 14). Inoltre, relativamente alla durata dell’attività esercitata, la circostanza che un’attività di lavoro subordinato sia di breve durata non può, di per sé, escluderla dall’ambito di applicazione dell’art. 39 CE (v. sentenze 26 febbraio 1992, causa C‑3/90, Bernini, Racc. pag. I‑1071, punto 16, e 6 novembre 2003, causa C‑413/01, Ninni-Orasche, Racc. pag. I‑13187, punto 25). Ne consegue che, indipendentemente dal livello limitato della retribuzione e dalla breve durata dell’attività professionale, non si può escludere che le autorità nazionali reputino quest’ultima, alla luce di una valutazione complessiva del rapporto di lavoro in questione, come reale ed effettiva, e, quindi, idonea a conferire a chi la esercita lo status di «lavoratore» ai sensi dell’art. 39 CE.

In conclusione, la CGE ritiene che il giudice nazionale deve valutare secondo i richiamati criteri se i due cittadini greci ricorrenti abbiano diritto alla qualità di lavoratori e, in caso affermativo, avrebbero certamente diritto ad usufruire delle prestazioni assistenziali per i sei mesi successivi allo stato di disoccupazione, in virtù  dell’art. 24 c. 1 della direttiva n. 2004/38. Tuttavia, trattandosi nel caso in specie di prestazioni volte all’inserimento lavorativo, i lavoratori comunitari ed i loro famigliari possono beneficiarne anche nel lasso di tempo più lungo nel quale essi hanno diritto a soggiornare, fintantoché  cioè essi effettivamente e concretamente cerchino un lavoro nello Stato membro, cioè abbiano un  nesso reale con il mercato del lavoro dello Stato medesimo e non costituiscano un peso eccessivo per il sistema di stato sociale del Paese ospitante. Il principio di non discriminazione di cui all’art. 12 del Trattato tuttavia non impedisce che uno Stato membro possa prevedere  un trattamento più favorevole in materia di prestazioni di assistenza sociale  per talune categorie di stranieri di paesi terzi rispetto a cittadini comunitari, così come previsto nel caso in specie dalla legislazione tedesca con riferimento ai richiedenti asilo.

La sentenza della CGE costituisce dunque un importante sviluppo di  principi e orientamenti già precedentemente contenuti nella sentenza Collins dd. 23 marzo 2004, Causa C 138/02) .

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, sentenza del 4 giugno 2009, A.V., J.K. – Arbeitsgemeinschaft (Germania), C 22/08 e C23/08

 

 

 

 

NOVITA’ NORMATIVE

 

1. Nomadi : al via i nuovi commissari in Veneto e Piemonte

 

Prorogata ed estesa la gestione commissariale della questione nomadi . Pubblicate le ordinanze sulla Gazzetta Ufficiale del 6 giugno 2009.

 

Tra le iniziative previste, informa il Ministero dell'Interno, vi sono  il monitoraggio dei campi autorizzati e l'individuazione di quelli abusivi,  l'identificazione e il  gia' contestato censimento delle persone che vivono negli insediamenti, il ripristino dei livelli minimi delle prestazioni socio-sanitarie e i progetti a sostegno dell'integrazione sociale, soprattutto a favore dei ragazzi minorenni.


Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 giugno 2009, n. 3776

Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunita' nomadi nel territorio della regione Piemonte.

 

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 giugno 2009, n. 3777

Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunita' nomadi nel territorio della regione Veneto.

 

D.P.C.M. 28 maggio 2009

Proroga dello stato di emergenza per la prosecuzione delle iniziative inerenti agli insediamenti di comunita' nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia ed estensione della predetta situazione di emergenza anche al territorio delle regioni Piemonte e Veneto.

 

 

2. Discriminazione: il decreto Brunetta esclude stranieri e comunitari dall’accesso alla posta elettronica certificata gratuita.


Il decreto legge anticrisi del 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, contiene una misura che, nell’intento dei promotori,  dovrebbe semplificare il rapporto con la pubblica amministrazione grazie all’introduzione della posta elettronica certificata e gratuita. Certificati, domande, documentazione e simili saranno trasmessi e ricevuti tramite posta elettronica certificata che sostituirà anche la tradizionale raccomandata.
L’articolo 16 bis del decreto legge, introdotto con la legge di conversione, prevede infatti che “ai cittadini che ne fanno richiesta è attribuita una casella di posta elettronica certificata” secondo le modalità di rilascio e di utilizzo definite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione. Il decreto, stabilisce la legge, dovrà avere “particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione ai sensi dell'articolo 8 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005”.

Il decreto, a firma del Ministro Brunetta, è stato adottato il 9 maggio scorso e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 119 del  25 maggio 2009 .

L’allegato A “Modalità per la richiesta, l'attivazione, l'utilizzo ed il recesso del servizio di posta elettronica certificata per i cittadini”, tuttavia, riserverebbe tale servizio ai soli cittadini italiani. In tale allegato, infatti, si legge: “Qualunque cittadino italiano maggiorenne, compresi i cittadini residenti all'estero, può chiedere l'attivazione di un'utenza personale di posta elettronica certificata accedendo al sito dedicato al servizio di posta elettronica certificata...”. Nella sua formulazione, dunque, la norma è suscettibile di fondare una discriminazione su basi di nazionalità irragionevole e, come tale, illegittima sul piano costituzionale, per violazione del principio di uguaglianza.

Qualora tale orientamento venisse confermato, sarebbe possibile la promozione di  azioni giudiziarie anti-discriminazione  ex art. 44 del T.U. immigrazione da parte di cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia che si vedano esclusi da tale servizio.



Fonte:  immigrazione oggi

 

 

 

PARERI E CIRCOLARI MINISTERIALI

 

1. Ministero dell'Interno : chiarimenti sulla durata del  permesso per attesa occupazione

 Con la circolare del 6 maggio 2009 il Ministero dell'Interno ha ribadito la durata del permesso per attesa occupazione non superiore a sei mesi, salvo casi straordinari.

 La circolare del Ministero dell'Interno del 6 maggio 2009

 

La circolare  ribadisce quanto previsto dall’art. 21 c. 11 del d.lgs. n. 286/98( “La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi”).  Resta tuttavia aperta la questione se la norma citata possa ritenersi costituzionalmente  illegittima per contrasto con le norme di diritto internazionale pattizio vincolanti per l’Italia ed in particolare con la Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143/1975 che prevede il principio di parità di trattamento tra lavoratori migranti e nazionali in materia di occupazione (art. 10: “Ogni Membro per il quale la convenzione sia in vigore s’impegna a formulare e ad attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi adatti alle circostanze ed agli usi nazionali, la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonché di libertà individuali e collettive per le persone che, in quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul suo territorio”), incluse le  garanzie relative alla sicurezza dell’occupazione, la riqualifica, i lavori di assistenza e di reinserimento (art. 8 c. 2).  Questo in ragione del fatto che la legislazione vigente in Italia in materia di misure finanziarie volte al reinserimento lavorativo  del lavoratore rimasto disoccupato prevede dei periodi di durata superiori ai sei mesi previsti dalla norma di cui all’art. 21 c. 11 del T.U. immigrazione (A partire dal 1° gennaio 2008 la durata dell’indennità di disoccupazione passa da 7 a 8 mesi, che diventano 12 per coloro che hanno superato i cinquanta anni di età; per quanto riguarda l’indennità di mobilità, la sua durata varia in funzione dell’età del lavoratore, ma è in ogni caso superiore ai sei mesi: un anno per i lavoratori fino al 39° anno di età, 24 mesi per i lavoratori dal 40° al 49° anno di età, 36 mesi per i lavoratori a partire dal 50° anno di età). La questione finora non è stata affrontata compiutamente dalla giurisprudenza, ma si segnalano due sentenze, rispettivamente del TAR Veneto (n. 606/06) e del TAR Piemonte (n. 1314/05, pubblicata in “Diritto, Immigrazione e Cittadinanza”, n. 2/2006), che hanno annullato decisioni delle questure di diniego al rinnovo del permesso di soggiorno nei confronti di stranieri rimasti disoccupati da più di sei mesi, ma che continuavano a beneficiare di misure finanziarie destinate al reinserimento lavorativo, ivi comprese borse lavoro concesse dai comuni.

 

 

 

 

2. Circolare del Ministero dell’Interno: il permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti rilasciato al famigliare non può essere revocato in caso di scioglimento del matrimonio a meno che non emerga che si sia trattato di matrimonio di comodo

 

Circolare del Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del 27 maggio 2009 n. 400/A/2009.
Prot. 0003111

 

3. Circolare sull'attuazione della direttiva per l'applicazione dell'accordo bilaterale con la Romania sulla protezione dei minori non accompagnati

 

Emanata una circolare congiunta Ministero dell'Interno e Ministero della Giustizia in materia di attuazione della Direttiva applicativa dell'Accordo bilaterale con la Romania per la protezione dei minori romeni non accompagnati presenti sul territorio italiano.

La circolare  richiede  agli uffici delle Procure per i Tribunali per i Minorenni di nominare dei referenti che,  insieme ai Prefetti e ai Sindaci dei Comuni interessati, possano costituire la rete di intervento sul territorio per l'attuazione di quanto previsto dalla direttiva n. 246 diramata il 20 gennaio 2009 in materia di protezione e rimpatrio dei minori rumeni non accompagnati presenti in Italia.

 

Circolare congiunta del Ministero dell'Interno e del Ministero della Giustizia del 9 giugno 2009, n. 2823 -Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione - Direzione Centrale per le Politiche dell'Immigrazione e dell'Asilo - Organismo Centrale di Raccordo per la Protezione dei Minori Comunitari non Accompagnati - Dipartimento per la Giustizia Minorile

 

 

4. MIUR: chiarimenti sul codice fiscale per i maturandi

 Il Ministero dell'Universita' e della Ricerca diffonde una nota in merito alla richiesta agli studenti in attesa dell'esame di maturita' del codice fiscale.

 Dopo la vicenda della studentessa straniera senza codice fiscale raccolta dalla stampa, il Miur afferma in una nota che "nel caso in cui uno studente fosse, per qualsiasi motivo, sprovvisto del codice fiscale, verrebbe semplicemente escluso dalla base informativa del Ministero, senza alcuna conseguenza per la sua privacy né per la sua possibilità di sostenere l'esame di Maturità. Quella in atto è una normale attività di gestione e manutenzione del sistema del Miur, come di qualsiasi altro sistema informativo.Per questo motivo non c'è nessun motivo di legge per cui la ragazza di Napoli non possa affrontare l'esame di maturità. Ogni altra indiscrezione su questa vicenda è priva di qualsiasi fondamento giuridico. "

Non e' dello stesso avviso l'avv. Marco Paggi che affronta la questione in un approfondimento: leggi il commento.


Fonte : Miur, Progetto Melting Pot Europa

 

 

5. Ministero dell’Interno: Riconoscimento della cittadinanza a coloro i quali ne erano stati privati per effetto delle leggi razziali ( Circolare prot. n. k33 del 15 giugno 2009 )

È stato di recente sollevato il problema del riconoscimento della cittadinanza a ex connazionali di origine ebraica, divenuti italiani con provvedimenti di concessione, che furono privati del nostro status civitatis a causa delle leggi razziali e lasciarono l’Italia.  Benché nel 1944 tali leggi furono abrogate, costoro, per evitare condizioni di apolidia, avevano nel frattempo acquistato la cittadinanza del Paese di emigrazione. Poiché non si trattò di una scelta volontaria in quanto determinata dalle tragiche vicende storiche, il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, con circolare del 15 giugno 2009, ha ritenuto che i nostri ex connazionali, salvo espressa rinuncia, non abbiano mai perso la cittadinanza italiana, trasmettendola dunque ai loro discendenti.


La circolare del dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione prot.  n. K33 del 15 giugno 2009

 

 

 

 

DOCUMENTAZIONE

 

1. Pacchetto sicurezza - Il dossier di documentazione diffuso dal Senato

In allegato la scheda di lettura e le implicazioni del ddl 733 con riguardo al T.U. sull’immigrazione

-  Testo a fronte: Il Testo unico sull’immigrazione - Le Novelle dell’A.S. n. 733-B

-  Scheda di lettura: Disegno di legge A.S. n. 733-B "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica"

Vedi anche:


-  Pacchetto sicurezza - Votata la fiducia sui maxi-emendamenti. Ecco i principali punti che andranno in votazione al Senato

Fonte: melting pot

 

2. Tabella delle Iniziative legislative, parlamentari e governative, attinenti il campo della materia ecclesiastica, della libertà religiosa, dei diritti umani, della bioetica e biotecnologie, XVI legislatura: aggiornamento al 26 maggio 2009

A cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali
Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni istituzionali


Iniziative legislative del Parlamento nelle materie di competenza - XVI Legislatura

a cura di Lucrezia De Rosa ed Eliana Minkus)


Tabella: aggiornata al 26 maggio 2009
(doc)

Le iniziative, suddivise per materia, sono presentate in forma di tabella contenente:
- numero atto parlamentare con relativo link alla scheda sul sito della Camera o Senato
- titolo della proposta di legge
- informazioni sullo stato dell'iter parlamentare

voci della tabella:

CONFESSIONI RELIGIOSE
• Rapporti con la Chiesa Cattolica
• Confessioni religiose diversa dalla cattolica
• Otto per mille
• Libertà religiosa
• Riti religiosi
• Festività religiose
• Insegnanti di religione e parità scolastica
• Tutela dalle sette

BIOETICA

• Bioetica
• Procreazione medicalmente assistita ed embrioni
• Testamento biologico ed eutanasia

BIOTECNOLOGIE


DIRITTI UMANI

• Tutela dei diritti umani
• Pena di morte
• Tortura
• Vittime di persecuzioni
• Discriminazione (razziale, etnica, di genere e di religione)
• Traffico di esseri umani e violenza sulle donne
• Mutilazioni genitali femminili

FAMIGLIA – MINORI

• Famiglia
• Unioni civili
• Affidamento
• Adozioni
• Aborto
• Tutela dei minori

IMMIGRAZIONE

Fonte: www.olir.it

 

3. Il Comitato ONU per i diritti economici, sociali e culturali adotta il commento interpreativo all'art. 2.2 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in materia di non discriminazione. Nel testo del commento adottato dal Comitato delle Nazioni Unite si precisa, tra l'altro, che sono vietate dal diritto internazionale le differenze di trattamento nel godimento dei diritti economici, sociali e culturali a danno dei cittadini stranieri, qualora non siano giustificate da obiettivi legittimi e non rispondano a criteri di ragionevolezza e proporzionalità . Le implicazioni per la legislazione italiana.

 Nel corso della sessione tenutasi tra il 4 ed il 22 maggio 2009, il Comitato ONU sui diritti economici, sociali e culturali ha adottato il testo del commento generale n. 20 riguardante l'interpretazione dell'art. 2 comma 2 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, avente per oggetto il principio di parità di trattamento e non discriminazione nell'accesso a tali diritti (" Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a garantire che i diritti in esso enunciati verranno esercitati senza discriminazione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione")

Il commento precisa che il principio di non discriminazione fonda un divieto tanto delle discriminazioni dirette, quanto di quelle indirette e che per discriminazione deve intendersi anche l'incitamento a discriminare e le molestie (paragrafo 10) .  Il Comitato ONU ribadisce, inoltre, che il principio di non discriminazione rende illegittime tutte quelle differenze di trattamento nell'accesso ai diritti sociali, economici e culturali che non siano giustificate dal perseguimento di obiettivi legittimi, e non obbediscano a principi di proporzionalità e ragionevolezza. Considerazioni legate alla limitatezza delle risorse finanziarie a disposizione non costituiscono di per sé una ragionevole e legittima giustificazione di un trattamento differenziato (paragrafo 13). Riguardo alle categorie protette dal principio di non discriminazione, il Comitato include anche i casi di discriminazione "per associazione" (ad es. i genitori di un bambino disabile ai quali non venga riconosciuto il diritto ad un equo aggiustamento degli orari e condizioni di lavoro per poter accudire ai specifici bisogni del minore, ovvero il caso di un membro di un'associazione di tutela dei diritti dei Rom cui venga negato l'accesso a prestazioni sociali in ragione della sua militanza a favore di tale gruppo etnico) o per "percezione" (ad il caso di un cittadino nazionale con caratteristiche somatiche di colore cui venga negato l'accesso alla locazione di un'abitazione da parte di un proprietario che non intende locare a cittadini stranieri).

E' importante notare che il Comitato sottolinea espressamente che uno degli ambiti protetti dalla discriminazione è quello legato alle origini nazionali, e che con tale espressione deve intendersi il divieto di discriminazione su basi di cittadinanza.  Pertanto, il Comitato specifica che  "l'ambito della cittadinanza non dovrebbe costituire un ostacolo all'acceso ai diritti previsti dal Patto" e pertanto, i diritti previsti dal Patto internazionale devono trovare applicazione anche nei confronti degli stranieri, quali ad esempio i rifugiati, i richiedenti asilo, gli apolidi, i lavoratori migranti, le vittime della tratta, a prescindere anche dal loro status legale e dalle autorizzazioni di soggiorno, quando si tratti di diritti fondamentali (paragrafo 30).

Il commento del Comitato ONU, pertanto, si rivela di grande attualità per il nostro paese ove permangono nella legislazione nazionale numerose disposizioni che fondano discriminazioni su base di nazionalità nell'accesso ai diritti sociali, anche fondamentali. Si pensi ad esempio all'art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000 (legge finanziaria 2001) che vincola l'accesso alle prestazioni assistenziali che costituiscono diritti soggettivi ai sensi della legislazione al possesso da parte dello straniero della carta di soggiorno ( o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti);  disposizione dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta con riguardo al requisito reddituale richiesto ai fini del rilascio del titolo di soggiorno ed in relazione a quelle prestazioni inerenti al diritto fondamentale alla salute (indennità di accompagnamento di cui alla legge n. 18/1980) [sentenze n. 306/2008 e 11/2009], oppure alle norme in materia di contributi per l'affitto di cui alla L. n. 431/1998, come modificata dalla L. 133/2008, che prevede per i soli cittadini extracomunitari il requisito dell'anzianità di residenza in Italia (decennale sul territorio nazionale ovvero quinquennale sul territorio regionale) al fine di accedere a tali provvidenze legate al diritto sociale all'abitazione. Per quanto concerne l'Italia, il patto internazionale ONU è stato oggetto di autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione  con legge n. 881 del 25 ottobre 1977 (Gazzetta Ufficiale n. 333 S.O. del 7 dicembre 1977) ed è entrato  in vigore il  15 dicembre 1978.

Il Comitato ONU riconosce inoltre che la natura delle discriminazioni varia a seconda dei contesti e si evolve nel tempo, richiedendo agli Stati di riconoscere la protezione offerta dal Patto internazionale a nuove categorie sociali, e di contrastare ad esempio le discriminazioni per ragioni di orientamento sessuale, per età, per status familiare, per ragioni di salute (paragrafi 32-35).

Il Comitato ONU conclude affermando che  gli Stati, per poter corrispondere agli obblighi e alle responsabilità previste con l'adesione al Patto internazionale, debbono eliminare ogni forma di discriminazione nella loro legislazione, nonché contrastare ogni forma di discriminazione da parte di soggetti pubblici e privati, mediante apposite politiche e strategie nazionali, con particolare riferimento alla rimozione delle forme di discriminazione "sistemica" (ad es. nei confronti di minoranze etniche quali i Rom), nonché prevedere strumenti volti ad offrire rimedio, anche giudiziario, alle discriminazioni, e mettere in atto meccanismi di monitoraggio e rilevamento delle discriminazioni presenti nella società.

Il testo in lingua inglese del Commento n. 20 del Comitato ONU

 

 

 

CONVEGNI

Convegno ASGI sul diritto alla protezione internazionale in programma a Genova giovedì 2 luglio 2009. Convegno accreditato per la formazione permanente degli avvocati

Genova - Convegno: "Il diritto alla protezione internazionale"

L'attuazione del diritto di asilo in Italia ad un anno dal recepimento delle direttive europee. Convegno co-organizzato dall'ASGI ed accreditato per la formazione permanente presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Genova con l'attribuzione di 7 (sette) crediti formativi.

Il convegno avrà luogo nell'intera giornata di giovedì 2 luglio 2009 presso l'Auditorium Galata Museo del Mare di Genova. Il convegno è organizzato da Asgi, Fondazione Auxilium, Ars, Comune di Genova e con il patrocinio dell'Ordine degli Avvocati e della Regione Liguria.

Per info: elena_fiorini@libero.it

 

 

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

 

1. BASILE FABIO, Immigrazione e reati «culturalmente motivati»: il diritto penale nelle società multiculturali europee

Ed. CUEM, Milano, 2008
collana: SCIENZE GIURIDICHE
Eur 31,00
ISBN: 9788860011923


Pubblicato nell’Anno Europeo del Dialogo Interculturale (2008), e nel desiderio di fornire un contributo a tale Dialogo, questo libro costituisce la conclusione di una fase di studio e di ricerca sui problemi penalmente rilevanti posti dalla trasformazione dei paesi europei in società multiculturali. La pluralità culturale delle società moderne ha inevitabili risvolti anche sul diritto penale. L’Autore si propone di analizzare le reazioni dell’ordinamento penale rispetto ai c.d. reati “culturalmente motivati”, ossia a reati commessi dagli immigrati in adesione e conformità alla loro cultura d’origine.


INDICE-SOMMARIO

CAPITOLO I
LE SOCIETÀ MULTICULTURALI EUROPEE

1. Precisazioni terminologiche e delimitazione del campo d’indagine, p. 1
1.1. I nuovi concetti di “società multiculturale”, “cultural defense” e “reato culturalmente motivato”, p. 1
1.2. La definizione etnicamente qualificata di cultura. Prima delimitazione di campo della nostra indagine, p. 3
1.3. La distinzione tra società multiculturale di tipo multinazionale e società multiculturale di tipo polietnico. Seconda delimitazione di campo della nostra indagine, p. 10
1.3.1. Fondamento della distinzione, p. 10
1.3.2. Riflessi di questa distinzione in ambito penale, p. 17

2. Come gli Stati europei gestiscono la diversità culturale ‘importata’ dagli immigrati, p. 24
2.1. Modello “assimilazionista” versus modello “multiculturalista”, p. 24
2.2. Il modello “assimilazionista” c.d. alla francese, p. 27
2.3. Il modello “multiculturalista” c.d. all’inglese, p. 31
2.4. L’Italia in bilico tra modello “assimilazionista” e modello “multiculturalista”, p. 34
2.5. Cenni sulla posizione dell’Unione europea, p. 38

3. La tolleranza ed i suoi limiti, p. 41
3.1. Ancora sui limiti alla tolleranza: la distinzione tra “restrizioni interne” e “tutele esterne”, p. 45

CAPITOLO II
LOCALISMO E NON-NEUTRALITÀ CULTURALE DEL DIRITTO PENALE ‘SOTTO TENSIONE’ PER EFFETTO DELL’IMMIGRAZIONE

Considerazioni introduttive. La definizione di reato ‘culturalmente motivato’, p. 52

1. IL ‘LOCALISMO’ DEL DIRITTO PENALE, p. 56
1.1. Vérité au deçà des Pyrénées, erreur au delà, p. 56
1.2. Origine e sviluppo storico del ‘localismo’ del diritto penale, p. 60
1.3. La recente tendenza, a livello europeo, ad uno stemperamento dell’originario ‘localismo’ del diritto penale, p. 66
1.4. Riepilogo sul ‘localismo’ del diritto penale: “paese che vai, reato che trovi”, p. 69

2. LA ‘NON-NEUTRALITÀ CULTURALE’ DEL DIRITTO PENALE, p. 72
2.1. Precisazioni preliminari. L’omogeneità culturale italiana secondo Alfredo Rocco, p. 72
2.2. Recht ist Kulturerscheinung. Primi rilievi sui nessi tra cultura e diritto, e in particolare tra cultura e diritto penale, p. 76
2.3. Le tre teorie formulate per illustrare i nessi tra cultura e diritto penale, p. 80
2.3.1. La teoria della coincidenza, o dei cerchi concentrici: esposizione e critica, p. 84
2.3.1.1. Una variante della teoria della coincidenza: la teoria del minimo etico: esposizione e critica, p. 95
2.3.2. La teoria della separazione, o dei cerchi distinti: esposizione e critica, p. 101
2.3.3. La teoria del rapporto di implicazione, o dei cerchi intersecantisi: esposizione e dimostrazione del suo fondamento, p. 104
2.4. I “punti di vista” dai quali emerge che le interseca-zioni tra norme penali e norme culturali contri-buiscono ad un maggior ‘successo’ del diritto penale, p. 108
2.4.1. La prevenzione generale c.d. positiva, p. 111
2.4.2. La prevenzione speciale intesa come rieducazione, p. 114
2.4.3. La possibilità di conoscere la norma penale violata, p. 116
2.4.4. Cenni su alcune esperienze di ‘insuccesso’ di codici penali che non presentavano alcuna significativa intersecazione con le norme culturali dei soggetti cui erano destinati, p. 119
2.5. I “settori” all’interno dei quali le norme penali si intersecano con le norme culturali, p. 123
2.5.1. Le norme penali all’interno delle quali compaiono elementi normativi c.d. culturali, p. 125
2.5.2. Altre norme penali ‘impregnate’ di cultura, p. 140
2.6. Riepilogo sulla ‘non-neutralità’ culturale del diritto penale: “il diritto penale è fortemente impregnato di cultura”, p. 149

3. Conclusioni: le implicazioni di ‘localismo’ e ‘non-neutralità culturale’ del diritto penale in ordine al fenomeno dei reati ‘culturalmente motivati’ commessi dagli immigrati, p. 150

CAPITOLO III
PANORAMA DI GIURISPRUDENZA EUROPEA SUI REATI ‘CULTURALMENTE MOTIVATI’

Introduzione: la rilevanza prasseologica dei reati ‘culturalmente motivati’ in Europa, p. 155

1. Violenze in famiglia: a) maltrattamenti e sequestri di persona a danno di familiari, p. 163
2. Violenze in famiglia (segue): b) sequestri di giovani donne, finalizzati ad imporre un matrimonio combinato, p. 174
3. Violenze in famiglia (segue): c) ‘soppressione’ dei familiari che si ribellano alle regole e al codice etico della famiglia d’origine, p. 180
4. Reati a difesa dell’onore: a) la vendetta di sangue, p. 190
5. Reati a difesa dell’onore (segue): b) omicidi a difesa dell’onore sessuale, p. 194
6. Reati a difesa dell’onore (segue): c) reati a difesa dell’onore personale (autostima), p. 205
7. Reati di riduzione in schiavitù, p. 208
8. Reati contro la libertà sessuale: a) violenze sessuali su ragazze minorenni, p. 211
9. Reati contro la libertà sessuale (segue): b) violenze sessuali su donne maggiorenni, p. 215
10. Mutilazioni genitali femminili e tatuaggi ornamentali ‘a cicatrici’ (c.d. scarificazioni), p. 222
11. Reati in materia di sostanze stupefacenti, p. 225
12. Inadempimento dell’obbligo scolastico, p. 231
13. Reati di terrorismo internazionale, p. 232
14. Altri reati commessi dall’immigrato in una situazione di errore sul fatto che costituisce il reato ovvero di errore sulla legge che prevede il fatto come reato, p. 239
15. “Pane e cioccolata”: quando l’imputato è un immigrato italiano, p. 251
16. Alla ricerca di una soluzione per i problemi posti dai reati ‘culturalmente motivati’, p. 260

CAPITOLO IV
QUALE RILEVANZA PENALE PER LA ‘MOTIVAZIONE CULTURALE’?

Considerazioni preliminari

1. L’esperienza europea: assenza di apposite disposizioni legislative di parte generale, p. 266
2. L’esperienza statunitense: cenni sulle cultural defenses, p. 270
3. Le linee dell’indagine ancora da compiere, p. 274

Sezione I - De iure condito.

1. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di fatto tipico? p. 277
1.1. Principio di territorialità, p. 277
1.2. Gli elementi normativi culturali del fatto tipico, p. 278

2. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di antigiuridicità? p. 280
2.1. Esercizio di un diritto (art. 51 c.p.): a) diritto previsto nell’ordinamento giuridico di provenienza dell’immigrato, p. 281
2.2. Esercizio di un diritto (art. 51 c.p.): b) diritto ‘alla propria cultura’, p. 283
2.3. Concezione gradualistica dell’antigiuridicità e “cause di attenuazione dell’antigiuridicità”, p. 288

3. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di colpevolezza? p. 290
3.1. ‘Motivazione culturale’ e imputabilità, p. 295
3.2. ‘Motivazione culturale’ e possibilità di conoscere la norma penale violata, p. 301
3.2.1. L’ignoranza inevitabile della norma penale violata nella giurisprudenza in tema di reati ‘culturalmente motivati’, p. 301
3.2.2. I fattori da cui può dipendere la valutazione di in-evitabilità dell’ignoranza della norma penale violata, p. 304
3.2.2.1. Naturalità o artificialità del reato, p. 304
3.2.2.2. Grado di eterogeneità tra cultura italiana e cultura d’origine, p. 306
3.2.2.3. Durata del soggiorno nel paese d’arrivo, p. 310
3.2.2.4. Esistenza, nel paese d’origine, di una norma penale dal contenuto analogo alla norma penale violata (con un breve excursus sul ‘pluralismo giuridico di tipo soggettivistico’), p. 311
3.2.2.5. Pluralità di fattori p. 316
3.2.3. L’error de comprensión culturalmente condi- cionado nell’esperienza sud-americana (cenni), p. 316
3.2.4. Osservazioni conclusive su ‘motivazione culturale’ e possibilità di conoscere la norma penale violata, p. 319
3.3. ‘Motivazione culturale’ e dolo o colpa, p. 322
3.3.1. Dolo ed errore sul fatto, p. 322
3.3.1.1. In particolare, errore sugli elementi normativi culturali, p. 325
3.3.2. Colpa e parametro dell’agente-modello (in particolare, il reasonable man nella provocation), p. 326
3.4. ‘Motivazione culturale’ e normalità delle circostanze concomitanti alla commissione del fatto, p. 331

4. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di punibilità? p. 335

5. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ in sede di commisurazione della pena? p. 336
5.1. Commisurazione della pena in senso stretto, p. 337
5.1.1. Motivi a delinquere, p. 337
5.1.2. Le condizioni di vita individuale, famigliare e sociale del reo, p.338
5.2. Circostanze attenuanti ed aggravanti comuni, p. 342
5.2.1. Circostanza attenuante dell’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, p. 343
5.2.2. Circostanza attenuante c.d. della provocazione, p. 344
5.2.3. Circostanze attenuanti generiche, p. 346
5.2.4. Circostanza aggravante dell’aver agito per motivi abietti o futili, p. 347

Sezione II - De iure condendo.

1. Proposte dottrinali e legislative per dare rilevanza alla ‘motivazione culturale’, p. 351

A mo’ di conclusione, p. 354

Bibliografia, p. 359

 


 

 

2. Razzismo democratico: La persecuzione degli stranieri in Europa  (a cura di Salvatore Palidda), Agenzia X, Milano, 2009.  

La copertina ed il sommario del volume curato da S. Palidda   

 

 

 

 

3. Rivista “Studi sulla questione criminale”. Fascicolo dedicato al tema: “Subordinazione informale e criminalizzazione dei migranti”, Carocci editore, n. 3/2008.

 

Il fascicolo esplora diversi aspetti dei processi sociali e giuridici di “criminalizzazione” dei migranti oggi in Italia. L’accento  è posto in particolare sui nessi esistenti tra gli aspetti più informali  della subordinazione  dei migranti ed i processi di criminalizzazione. I vari contributi spaziano quindi dall’analisi delle vicissitudini legate alla formazione e all’implementazione della normativa sull’ottenimento dei permessi di soggiorno, al mondo della marginalità lavorativa, a quello del rapporto tra immigrazione, economia informale e organizzazioni criminali. Dal punto di vista socio-criminologico, si sottolinea come una gestione del fenomeno migratorio basata assai più su di un preteso “contrasto della c.d. “immigrazione clandestina” che sulla programmazione e gestione dei processi migratori, abbia prodotto risultati profondamente criminogeni, rischiando quindi di compromettere pesantemente il buon esito di uno dei processi sociali più importanti e significativi che si sia verificato in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.

 

Sommario del fascicolo

 

Dario Melossi Il giurista, il sociologo e la “criminalizzazione? dei migranti: che cosa significa “etichettamento" oggi?

Valeria Ferraris L’obbligata illegalità: l’impervio cammino verso un permesso di soggiorno

Pietro Saitta Il lavoro integra? Alcune note su immigrati, reputazione e crimine

Stefano Becucci Immigrazione cinese e mercato del lavoro in Italia. Un caso di interconnessione funzionale fra economia formale e informale

Vincenzo Ruggiero Economie marginali e azione collettiva

Marian Fitzgerald L’uso penale delle statistiche etniche: alcune lezioni dall’Inghilterra

Recensioni

Valeria Ferraris

Marzio Barbagli, Immigrazione e sicurezza in Italia, il Mulino, Bologna 2008; Marzio Barbagli, Immigrazione e reati in Italia, il Mulino, Bologna 2002; Marzio Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 1998

Francesca Vianello

Realino Marra (a cura di), Filosofia e sociologia del diritto penale. Atti del Convegno in ricordo di Alessandro Baratta (Genova, 6 maggio 2005), Giappichelli, Torino 2006

 

 

 

 

 

Newsletter a cura di Walter Citti e Silvia Canciani – Segreteria ASGI

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