Newsletter
n. 7 del 20 giugno 2009
IN EVIDENZA
Un pool di associazione
italiane ed europee per la difesa dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti
asilo, tra cui l’ASGI, ha inviato
un esposto alla Commissione europea, al Comitato ONU per i diritti umani e al
Commissario per i diritti umani
presso il Consiglio d’Europa contro il respingimento dei profughi in Libia da
parte delle autorità italiane.
Nell’esposto
le associazioni illustrano le gravi violazioni dei diritti umani
riconosciuti a livello internazionale ed europeo determinate dalle operazioni di respingimento in Libia di imbarcazioni
di profughi intercettati nel
canale di Sicilia ed effettuate dalle autorità italiane a partire dal 7 maggio
scorso. Le associazioni si
appellano alle istituzioni
internazionali ed europee affinché condannino l’Italia e richiedano alle
autorità del nostro paese di non procedere ad ulteriori respingimenti. Viene
inoltre richiesto alla Commissione europea di intraprendere una procedura di
infrazione nei confronti dell’Italia per violazione delle norme comunitarie in
materia di protezione internazionale. Le associazioni italiane firmatarie
dell’esposto sono il Servizio
rifugiati dei Gesuiti, la Comunità di Sant’Egidio, il Consiglio Italiano per i
Rifugiati, l’ARCI, l'ASGI, Libera,
la Federazione delle Chiese evangeliche, la Casa dei diritti sociali di Roma, i
Giuristi Democratici, l’Associazione Senzaconfine, il Gruppo Abele, Progetto
Diritti. Le associazioni estere che hanno firmato l’esposto sono il GISTI,
l’ANAFE, l’Euro-Mediterranean Human Rights Network, il Jusuit Refugee Service
Europe, Migreurop e FLARE network.
Il
testo dell’esposto in lingua inglese
SEGNALAZIONI GIURISPRUDENZIALI
FLUSSI D’ INGRESSO
Per il Consiglio di
Stato possono presentare domanda di ingresso per lavoro anche gli stranieri con
permesso di soggiorno.
Il Consiglio di
Stato ha respinto il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del
Ministero dell'Interno contro il provvedimento con cui nel mese di
gennaio il TAR del Lazio ha accolto la domanda di sospensiva del Decreto
Flussi per l'anno 2008. Avanti al Consiglio di Stato sono intervenuti -
contro la richiesta del governo - INCA CGIL e l'Associazione Progetto Diritti,
assistita dagli avvocati Maria Rosaria Damizia e Arturo Salerni. Il decreto è
stato sospeso nella parte in cui non mette gli stranieri privi di carta di
soggiorno di nelle condizioni di assumere altri cittadini stranieri. L'avvocato
Mario Angellelli, presidente dell'associazione Progetto Diritti, dichiara:
"La pronunzia del Consiglio di Stato blocca un
atto discriminatorio e xenofobo voluto fortemente dal governo. La
giustizia amministrativa ristabilisce principi di equità, ragionevolezza, nel
rispetto del dettato costituzionale e delle normative europee".
Consiglio
di Stato, Sezione Sesta, ordinanza del 5 giugno 2009, n. 3765
Segnalazione di Progetto Diritti
SOGGIORNO
1. Secondo il TAR
Umbria, il famigliare del cittadino extracomunitario titolare del permesso di
soggiorno CE per lungo soggiornanti può avere accesso al medesimo
titolo di soggiorno anche qualora non abbia maturato personalmente il periodo di soggiorno quinquennale
sul territorio dello Stato. La verifica di tale requisito va fatta soltanto con riferimento al richiedente principale e non anche
ai suoi famigliari.
TAR
Umbria, sez. I, Sent. n. 263 dd. 28 maggio 2009.
Le conclusioni del TAR
Umbria si fondano su un’interpretazione letterale della norma di cui all’art. 9
del d.lgs. vo n. 286/98, così come modificata dal d.lgs. n. 3/2007: “1. Lo
straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in
corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore
all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai
familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'articolo
29, comma 3, lettera b) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri
minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale
pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria
accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio, può
chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti
di lungo periodo, per sè e per i familiari di cui all'articolo 29, comma 1”. Secondo il TAR Umbria dalla
lettura della norma emergono due concetti: a) i famigliari non hanno bisogno di
chiedere personalmente la carta di soggiorno, ma si giovano della richiesta
fatta “per sé e per i famigliari” dal soggetto legittimato; b) la verifica dei
requisiti (ed in particolare di quello della permanenza ultraquinquennale) va
fatta soltanto con riferimento al ricorrente principale, e non anche ai suoi
famigliari. Nonostante le circolari applicative del d.lgs. n. 3/2007 (circolare
Ministero dell’Interno dd. 16 febbraio 2007) confermerebbero la bontà di tale
lettura, tale modalità applicativa è contestata da molte questure italiane (si
veda in proposito quanto riportato dal sito melting pot con
riferimento alla questura di Bologna), secondo le quali il requisito della
permanenza quinquennale dello straniero sarebbe condizione ineludibile al
rilascio del permesso di soggiorno CE sulla base di quanto prescritto dalla
direttiva n. 109/2003/CE (in particolare il punto 6 del preambolo: “La
condizione principale per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo
dovrebbe essere la durata del soggiorno nel territorio dello Stato membro…”). Di conseguenza, il primato del diritto
comunitario sul diritto interno imporrebbe l’applicazione del requisito di
soggiorno quinquennale anche ai famigliari, con una sostanziale disapplicazione
del diritto interno. D’altro canto, anche qualora dovesse essere interpretata in questa direzione, la stessa
direttiva conferisce agli Stati membri la possibilità di applicare norme più
favorevoli in materia di rilascio di permessi di soggiorno permanenti o a
validità illimitata, ma in tal caso tali permessi non potrebbero conferire
autonomamente il diritto a trasferire
il soggiorno in un altro Paese membro, questione che non ha trovato
specificazione nel d.lgs. applicativo della direttiva medesima. La questione
rimane, pertanto, controversa e suscettibile di creare anche in futuro numerosi
contenzioni giudiziari.
Maggiormente controversa e
discutibile appare invece
l’affermazione del TAR Umbria nella citata sentenza, secondo il quale
“chi consegue la carta di soggiorno in quanto famigliare, rimane logicamente
esposto a perdere automaticamente il titolo qualora lo perda il capofamiglia,
oppure quando venga meno la relazione familiare (ad es. per cessazione della
convivenza, scioglimento del matrimonio e simili)”. Difatti, né la direttiva n.
109/2003, né l’art. 9 del d.lgs. n. 286/98 applicativo della direttiva menzionano la cessazione della convivenza o lo
scioglimento del matrimonio quali cause di revoca del permesso di soggiorno CE
per lungo soggiornanti . Lo stesso Ministero dell’Interno, in risposta ad un
quesito, ha recentemente evidenziato che il permesso di soggiorno CE per lungo
soggiornanti rilasciato al coniuge per motivi familiari non può essere soggetto
a revoca in caso di scioglimento del matrimonio, a meno che tale titolo di
soggiorno non sia stato acquisito a seguito di un matrimonio di comodo (circolare
n. 400/A/2009 dd. 27 maggio 2009 – Direzione centrale Immigrazione e
Polizia delle frontiere).
2. Ha diritto alla carta
di soggiorno (permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti) e non al permesso di soggiorno per
motivi di residenza elettiva anche il cittadino straniero residente in Italia
che percepisca una pensione estera di ammontare non inferiore ai limiti
previsti dalla legge per il sostentamento di sé e dei propri famigliari. In
caso di dubbio sulla natura e fonte della rendita percepita dallo straniero
ovvero sull’adeguatezza della documentazione presentata ai fini della
dimostrazione dell’effettiva titolarità della rendita straniera, la questura
non può emanare un diniego, ma ha
l’obbligo di chiedere all’istante di fornire adeguati chiarimenti ed
integrazioni, ai sensi di quanto previsto dalla norme sulla trasparenza del
procedimento amministrativo (l. 241/90).
TAR
Lazio, sez. II quarter, sentenza n. 4417 del 29 aprile 2009
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
Il d.lgs. 160/08,
entrato in vigore il 5 novembre 2008, che ha modificato l'art. 29, comma 1,
lett. d ), del d.lgs. 286/98 nel senso di permettere allo straniero di
richiedere il ricongiungimento con i genitori a carico solo ove questi non
abbiano altri figli nel Paese di origine, non può incidere sui procedimenti di
ricongiungimento familiare iniziati prima di tale data e ricadenti sotto la
disciplina previgente, nel caso in cui lo Sportello Unico abbia già
provveduto a rilasciare il nulla osta dandone comunicazione all'autorità
consolare.
Tribunale di
Torino - Ordinanza del 29 maggio 2009
In proposito si segnala
anche l’ordinanza del tribunale di Savona dd. 4 maggio 2009 (vedi riquadro di
seguito)
Ricongiungimento
- Illegittimo il diniego del visto per i nulla osta rilasciati prima del 5
novembre
Una ordinanza del
Tribunale di Savona chiarisce la spinosa questione
Si ringrazia Ezio de Luca per la
segnalazione Con una ordinanza del 4 maggio 2009, il Tribunale di Savona, chiarisce
la spinosa questione, sollevata da più parti, relativa ai rilasci del visto
per ricongiungimento familiare dopo il 5 novembre 2008, data di entrata in
vigore del decreto legislativo n. 160 del 3 ottobre 2008. In molti casi infatti, nonostante il procedimento si fosse già
perfezionato con il rilascio del nulla osta, ai sensi della vecchia
normativa, al momento del ritiro del visto, se successivo al 5 novembre, le
ambasciate ritenevano di dover verificare i requisiti ai sensi della nuova
normativa introdotta, considerando quindi il rilascio del visto un atto non
consequenziale al rilascio del nulla osta. Se è vero che il procedimento per la ricongiunzione
familiare si divide in due fasi, quella del rilascio del nulla osta
(sportello unico) e quella del rilascio del visto (consolato), è vero anche
che il secondo è un atto strettamente consequenziale al primo, un atto cioè
che trae la sua legittimità dal rilascio del nulla osta che apre il
procedimento. Un procedimento aperto con il rilascio del nulla osta ai sensi
della vecchia normativa non può quindi poi prevedere il rilascio del visto ai
sensi di una normativa diversa da quella secondo la quale è stato dato il via
al procedimento. Anche la circolare
esplicativa diramata dal Ministero dell’Interno il 28 ottobre 2008
confermerebbe questa interpretazione stabilendo che solo le domande
presentate ed ancora in istruttoria e per le quali non sia stata ancora
acquisita la documentazione, all’atto della convocazione, dovrà essere
attestato dall’interessato il possesso dei requisiti prescritti dalla nuova
normativa. Il Tribunale di Savona si è occupato di questo argomento. La vicenda ha visto protagonista una signora albanese che in data 5
gennaio 2009 si è vista negare dall’ambasciata italiana di Tirana il visto di
ingresso per ricongiungimento familiare con la motivazione secondo cui, con
l’entrata in vigore del D. Lgs. 3 ottobre 2008 n. 160, erano venuti meno i
requisiti per il rilascio del visto (la signora aveva altri figli ancora
residenti in Albania). La figlia, che il 28 marzo 2008 aveva fatto richiesta di
ricongiungimento familiare in favore della madre, aveva ottenuto dalla
Prefettura di Savona l’agoniato nulla osta in data 2 ottobre 2008. Contro la
decisione dell’ambasciata ha fatto ricorso al Tribunale di Savona, che lo ha
accolto.
Tratto da : www.meltingpot.org |
3. Ai fini della
richiesta di ricongiungimento familiare non occorre la titolarità di un
contratto di lavoro della durata
di almeno un anno, ma soltanto la disponibilità di un reddito annuo derivante
da fonti leciti per l’importo previsto dalla legge. Le norme introdotte con la legge “Bossi-Fini” e con il d.lgs. n. 5/2007, per cui ai fini
del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto
anni al momento della presentazione dell’istanza, hanno una natura
interpretativa delle disposizioni originariamente contenute nella legge n.
40/1998 e, pertanto, hanno un’efficacia retroattiva. Questo anche in
ottemperanza al principio generale che la durata del procedimento non può
andare a danno dell’interessato.
Corte
di Cassazione, sez. I civ., sent. n. 11803 del 20 maggio 2009.
4. Cassazione :
ricongiungimento familiare per chi attende la cittadinanza
Lo ha chiarito la Prima Sezione
Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12680 depositata il 29
maggio 2009. Il diritto al ricongiungimento familiare previsto dall'art. 28 del
d.lgs 286/98 deve essere garantito anche a coloro che sono titolari di un
permesso di soggiorno rilasciato per attesa cittadinanza, a nulla rilevando che
tale tipo di permesso non sia espressamente contemplato nel primo
comma dell'art. 28 del d.lgs. 286/98, nell'ambito dei permessi idonei a
far sorgere il diritto all'unità familiare.
Corte
di Cassazione sezione I civile n.12680 del 28 maggio 2009 (247.3 KB)
ASILO E PROTEZIONE UMANITARIA
Dopo l’entrata in vigore
del nuovo regolamento asilo (d.P.R. n. 303/2004), applicativo delle norme in materia di asilo della legge
“Bossi-Fini”, alle Commissioni territoriali asilo sono state attribuite tutte
le competenze valutative della posizione del richiedente asilo, ivi compresa
quella di provvedere all’eventuale riconoscimento della protezione residuale o
temporanea di cui all’art. 5 c. 6 del d.lgs. n. 286/98. Pertanto, al Questore viene lasciato solo un
compito di mera attuazione dei deliberati assunti dalla Commissione
territoriale asilo. Ne discende che
il caso di contenzioso relativo al rilascio del permesso di soggiorno per
motivi umanitari, la giurisdizione sarà del giudice ordinario anziché di quello
amministrativo.
Corte
di Cassazione, sezioni unite Civili, sent. n. 11535 dd. 19 maggio 2009.
APOLIDIA
In materia di
riconoscimento giudiziario dello status di apolidia, al pari degli altri
procedimenti riguardanti lo stato delle persone, si deve adottare il rito
camerale, in base al quale la competenza territoriale del giudice si radica nel
luogo di domicilio o di residenza del soggetto che chiede l'accertamento dello
status, e non in quello dell'Amministrazione convenuta.
Corte
d'Appello di Firenze, Sezione IV Civile, sentenza dell'8 maggio 2009, n. 138
Vedere anche :
Apolidia
Scheda pratica del sito www.asgi.it a cura di
Giulia Perin e Paolo Bonetti (Aggiornata al 12.02.2009)
PENALE
Confermato
l'orientamento secondo il quale non aver potuto acquistare il biglietto aereo
per fare ritorno al proprio Paese di origine in ragione della carenza di mezzi
economici sufficienti può considerarsi un "giustificato motivo" per
non ottemperare all’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni di cui
all’art. 14 c. 5 bis del d.lgs. n. 286/98. Di conseguenza, in questi casi lo
straniero non commette il reato previsto dall’art. 14 c. 5 ter del d.lgs. n.
286/98.
Corte
di Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza del 8 maggio 2009, n. 23812
Perchè possa
configurarsi il reato di cui all'art. 12, comma 5 bis, del d.lgs. n. 286 del
1998 (che punisce chi, a titolo oneroso, dà alloggio o cede in locazione un
immobile ad uno straniero privo del permesso di soggiorno) è necessario il
requisito del dolo specifico (costituito dal fine di trarre un ingiusto
profitto) il quale non può considerarsi sussistente qualora l'equilibrio fra le
prestazioni fra titolare dell'immobile e lo straniero "irregolare" sia fortemente alterato a
favore di quest'ultimo.
Corte di Cassazione, sez. I penale, sentenza n. 19171 del 7
aprile 2009 (220.76 KB)
3. Le diverse tradizioni
etico e sociali dei coniugi e la diversa concezione dei rapporti familiari non
possono essere prese in considerazione al fine dell’attenuazione del disvalore
della condotta antigiuridica del reato di maltrattamenti in famiglia.
Pertanto, tali argomentazioni
legate alla diversità del contesto culturale di provenienza dell’imputato non
possono avere rilevanza ai fini
della concessione delle attenuanti generiche. Nel caso del reato di
maltrattamenti in famiglia, la tutela penale riguarda una materia di rilevanza
costituzionale, come la famiglia,
che la legge fondamentale riconosce quale società naturale, ordinata
sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Pertanto, argomentazioni
riferite alla “motivazione culturale” al fine di sostenere l’assenza di una
condotta anti-giuridica o la presenza di attenuanti a livello della punibilità
non possono trovare alcun accoglimento nel procedimento penale.
Corte
di Cassazione, Sez. VI Penale, sentenza n. 179/09 dd. 29 maggio 2009.
Per un approfondimento sulla materia si veda la
recente pubblicazione:
DIRITTO DI FAMIGLIA
1.
IL TRIBUNALE DI FIRENZE HA
SCIOLTO IL VINCOLO MATRIMONIALE A UN ANNO DALLA CELEBRAZIONE I GIUDICI ACCORCIANO IL DIVORZIO - APPLICATA LA
LEGGE SPAGNOLA. CHE NON PREVEDE LA SEPARAZIONE Il
divorzio breve arriva in Italia. Dalla Spagna. Con una innovativa
sentenza (n.1723/2009 depositata in cancelleria il 18 maggio) il tribunale
civile di Firenze ha per la prima volta ritenuto applicabile nel nostro
ordinamento la legge spagnola del 2005 che, tra mille polemiche, ha previsto
la possibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale su richiesta anche di
uno solo dei coniugi dopo soli tre mesi e senza passare dalla separazione. I giudici, chiamati in causa da una donna
fiorentina decisa a divorziare dal proprio marito spagnolo, non si sono
limitati ad attendere la sentenza dei loro colleghi iberici per poi recepirla
nel nostro ordinamento, ma hanno direttamente applicato in Italia la legge
straniera, considerandola l'unica normativa regolatrice del rapporto tra i
due coniugi. I fatti. La coppia si era sposata poco più di un anno fa in
Italia. Durante i pochi mesi di convivenza, gli sposi avevano abitato
prevalentemente in Spagna, ma l'unione era presto naufragata e la donna aveva
chiesto al giudice italiano subito il divorzio nella speranza di liberarsi il
prima possibile del vincolo matrimoniale. Il tribunale di Firenze si è innanzitutto chiesto
se sussistesse la giurisdizione del giudice italiano. E ha risposto di sì, perché la legge 31 maggio
1995 n.218 (la legge sul diritto internazionale privato ndr) stabilisce che
in materia di scioglimento del matrimonio la giurisdizione italiana sussiste
quando uno dei coniugi è cittadino italiano. Diverso è il discorso sulla normativa applicabile.
La stessa legge 218, infatti, all'art.31 prevede che il divorzio sia regolato
dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda. Nel caso
in cui manchi una legge comune, si dovrà applicare la legge dello stato nel
quale il rapporto coniugale è stato vissuto per più tempo. La donna ha dimostrato di aver vissuto col marito
prevalentemente in Spagna, dove entrambi i coniugi avevano la residenza ei
propri interessi. Di qui la decisione del tribunale di applicare
direttamente la legge spagnola senza aspettare una sentenza straniera da
recepire in Italia. «Fino ad ora», spiega l'avvocato lacopo Tozzi
dello studio legale Cnttv di Firenze che, insieme al collega Marco Antonio
Vallini, ha difeso la donna, «sono state solamente delibate sentenze già
emesse in altri paesi: ottenuto il divorzio all'estero, ai coniugi è stato
riconosciuto anche in Italia. Stavolta invece è stata applicata una legge sul
divorzio non italiana in territorio italiano". Le motivazioni. Il tribunale di Firenze ha deciso di non applicare
la normativa italiana (che, com'è noto, non contempla il divorzio breve e
impone di aspettare tre anni dalla separazione prima di sciogliere il vincolo
tranne che in casi eccezionali) partendo dalla lettera della legge 218/1995.
Secondo cui le norme italiane vanno applicate solo se quelle straniere non
ammettono la separazione o il divorzio perché considerano indissolubile il
vincolo matrimoniale. Diversamente, va applicata la legge straniera. Laddove
questa riconosca agli individui che ne sono destinatari la possibilità di
divorziare attraverso un provvedimento giurisdizionale, scrivono i giudici,
«diviene irrilevante che esso sia conseguibile all'esito di un percorso che
prevede il meccanismo della doppia pronuncia (di separazione prima e di
divorzio poi) ovvero con un'unica pronuncia», «Quel che davvero rileva», prosegue la sentenza,
«è che le valutazioni di politica sociale operate dal legislatore straniero
siano conformi a quelle del legislatore italiano, ossia sottopongano a un
vaglio giurisdizionale, e non meramente amministrativo, la verifica delle
condizioni previste» per la pronuncia di divorzio. Visto che le condizioni
stabilite dalla legge spagnola (n.15/2005) non possono considerarsi in
contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento italiano e della
Costituzione, il tribunale ha ritenuto la normativa iberica l'unica
applicabile al caso di specie. E ha direttamente pronunciato sentenza di
divorzio, essendo trascorsi più di tre mesi dalla celebrazione del
matrimonio, come richiesto dalla legge. I due coniugi sono tornati single
dopo poco più di un anno dal sì. Fonte: ItaliaOggi |
2. Non può essere
dichiarato nuovamente lo scioglimento del matrimonio tra le parti, quando sia
già intervenuta una sentenza estera di divorzio . Ai sensi del Regolamento UE
n. 2201/2003, il provvedimento di
divorzio pronunciato da un’autorità di un altro Stato membro deve trovare
automatico riconoscimento in Italia, con le uniche eccezioni previste dall’art.
22 lett. b (decisione di divorzio resa in contumacia, domanda giudiziale non
notificata o comunicata al convenuto contumace in tempo utile per esercitare il
diritto alla difesa, salvo che il convenuto abbia inequivocabilmente accettato
la decisione).
Tribunale
di Bari, sez. I Civile, Sent. n. 1394 del 27 aprile 2009.
DIRITTI CIVILI – RISARCIMENTO DEL DANNO
Il principio di
reciprocità di cui all’art. 16 delle preleggi non può trovare applicazione nei
casi di richiesta di risarcimento del danno a carico del Fondo di garanzia per
le vittime della strada, da parte di
un cittadino straniero non comunitario in seguito al decesso di un famigliare a causa di
un incidente stradale con un veicolo non identificato. Trattandosi di un
risarcimento del danno legato alla tutela di diritti fondamentali come quelli
alla vita, all’incolumità e alla salute, esso va assicurato senza alcuna disparità di trattamento,
a tutte le persone, indipendentemente dalla cittadinanza comunitaria o
extracomunitaria.
Corte
di Cassazione, sez. III Civile, Sent. n. 10504 dd. 7 maggio 2009.
2. Respinta
anche in sede di reclamo l’azione giudiziaria anti-discriminazione promossa da
un gruppo di cittadini italiani Sinti e sostenuta da ASGI e Sucar Drom dinanzi
al tribunale di Mantova, contro l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei
Ministri concernente lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di
comunità nomadi in Lombardia e le relative previsioni in materia di identificazione
e censimento delle persone. Per il tribunale di Mantova la competenza
giurisdizionale non spetta al giudice civile, bensì a quello amministrativo e
non vi è stata discriminazione, in quanto i ricorrenti non sono stati oggetto
di identificazione e censimento.
Tribunale
di Mantova, Ordinanza dd. 21.04.2009 (n. 450/09; 4/2009 Reg. reclami)
In sede di
reclamo contro la decisione assunta in primo grado dal giudice di Mantova, il
collegio del Tribunale di Mantova ha respinto l’azione giudiziaria
anti-discriminazione promossa da un gruppo di cittadini italiani di etnia Sinti
residenti a Mantova con il
sostegno di ASGI e Sucar Drom. Le motivazioni presentate dal Tribunale di
Mantova appaiono discutibili soprattutto con riferimento al giudizio sul
riparto delle competenze giurisdizionali in materia di azioni giudiziarie
contro atti e comportamenti della Pubblica Amministrazione. Secondo il collegio
giudicante di Mantova, infatti, bisognerebbe distinguere tra atti
amministrativi e condotte esecutive che diano attuazione a comportamenti
discriminatori; soltanto le seconde potrebbero essere oggetto del sindacato del
giudice civile adito ai sensi dell’art. 44 del T.U. immigrazione, mentre la
verifica dei presupposti di legittimità degli atti amministrativi in sé alla
luce del principio di non discriminazione deve essere necessariamente demandata
al giudice amministrativo. La decisione del Tribunale di Mantova sembra contraddire
un principio consolidato dalla giurisprudenza civile, secondo cui la materia
del diritto anti-discriminatorio spetta necessariamente al giudice ordinario,
avendo a riguardo diritti soggettivi a carattere fondamentale tutelati dalla
Costituzione.
Secondo il collegio giudicante del
tribunale di Mantova, inoltre, non vi sarebbe stato nel caso concreto alcun
comportamento discriminatorio nei confronti dei ricorrenti, i quali infatti al
momento del giudizio non erano stati interessati dalle misure di censimento ed
identificazione previste dall’ordinanza n. 3677 dd. 30.05.2008 sullo stato di
emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio
della regione Lombardia. Al riguardo, la questione attiene al fatto che nell’ordinanza presidenziale n. 3677 de
qua si
prevedeva che vengano disposti l’ “identificazione e censimento delle
persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti” negli insediamenti
autorizzati così come in quelli abusivi “attraverso rilievi segnaletici”.
L’ordinamento giuridico italiano, infatti, prevede
l’acquisizione di rilievi segnaletici solo se riferiti alla singola persona e solo se questa sia
denunciata per qualche ipotesi di reato, sia pericolosa o sospetta o non sia in
grado o si rifiuti di provare la propria identità ( Art. 4 R.D. 18.06.1931, n.
773 T.U.L.P.S; Art. 7 R.D. 6.5.1940 Regolamento di esecuzione del
T.U.L.P.S.) o, per quanto riguarda
i soli cittadini extracomunitari in sede di rilascio del titolo di soggiorno.
Orbene, con la normativa di emergenza di cui al
D.P.C.M. 30.05.2008 e successive ordinanze, tra cui quella qui in esame, l’
Ordinanza P.C.M. 30 maggio 2008, n. 3677, il governo italiano aveva inteso
derogare alla normativa di cui al TULPS, prevedendo per l’intera categoria dei
“nomadi” insediati nei campi, sia autorizzati che abusivi, la sottoposizione ai rilievi
segnaletici (quindi quelli descrittivi, fotografici, dattiloscopici e
antropometrici di cui al R.D. 06.05.1940), sulla base della loro mera
condizione personale, soggettiva ed etnica e a prescindere dunque dai requisiti oggettivi del
comportamento pericoloso e sospetto, ovvero del rifiuto o dell’impossibilità di
provare la propria identità, che regolano in via generale la materia.
Così, infatti, l’art. 3 dell’ordinanza P.C.M. 30
maggio 2008 disponeva: “Per il compimento delle iniziative previste dalla
presente ordinanza il Commissario delegato, ove ritenuto indispensabile, è
autorizzato a derogare, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento
giuridico, delle direttive comunitarie, e della direttiva del P.D.C.M.
22.10.2004, alle seguenti disposizioni normative:
[…]- regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, art.
4”
A seguito delle
critiche e delle pressioni anche a livello internazionale ed europeo, il
governo italiano ha compiuto successivamente un passo indietro, approvando le “Linee
guida per l’attuazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei
Ministri”, che con specifico riferimento ai rilievi dattiloscopici, ha
espressamente richiamato il disposto di cui all’art. 4 del R.D. 18 giugno 1931 che presuppone lo stato di
pericolosità, ovvero l´incapacità o il rifiuto di provare la propria identità
da parte delle persone assoggettate alla procedura.
Proprio a seguito di tale precisazione, il Garante per la privacy
non ha ritenuto il quadro normativo relativo a tali operazioni di censimento ed
identificazione in contrasto con la normativa nazionale ed europea in materia
di protezione dei dati personali (deliberazione
del 17 luglio 2009), così come non ha trovato accoglimento l’azione giudiziaria
anti-discriminazione inoltrata dall’Associazione
Progetto Diritti di Roma (si veda provvedimento del 13 agosto 2008 del
giudice ordinario di Roma).
Nei mesi scorsi, tuttavia, ERRC, OsservAzione e Open
Society Institute hanno presentato alla Commissione Europea un
esposto sull'illegittimità del censimento sulle persone di etnia Rom e Sinti in
Italia. Nell'esposto si
sottolinea che, sulla base del monitoraggio condotto da ERRC, OsservAzione
e Open Society Institute sull'implementazione del decreto sull'emergenza
nomadi del 21 maggio 2008, le operazioni di censimento si sono di fatto
discostate dalle linee guida emanate dal Ministero dell'Interno il 17 luglio
2008, ponendosi in violazione delle norme interne ed europee in particolare
riguardanti la raccolta ed il trattamento dei dati personali. Si richiama
infatti l'attenzione anche sul fatto che le operazioni di
"censimento", sarebbero state estese nel corso dei mesi di marzo ed aprile 2009 anche
a "campi nomadi" collocati fuori dalla regioni previste dal decreto,
con vere e proprie operazioni di schedatura compiute in particolare nel Veneto,
che sembrano indicare la volontà del Ministero dell'interno di creare un data
base della popolazione rom e sinti fondato su un criterio di pericolosità
sociale collegato alla condizione stessa di appartenente ai gruppi etnici
indicati o associato ai medesimi, cioè su un sostanziale criterio di
categorizzazione etnica.
DIRITTI SOCIALI
Il Tribunale di Bari, Sezione
Lavoro, con dispositivo di sentenza del 18.05.2009 ha accolto il ricorso di una
cittadina della Repubblica Federale di Jugoslavia rivolto ad ottenere l'assegno
di invalidità civile di cui all'art. 13 della Legge 118/1971. La domanda della
ricorrente era rivolta ad accertare il diritto all'assegno di invalidità pur in
mancanza del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo. La
richiesta avanzata in via amministrativa dalla cittadina straniera, infatti,
era stata rigettata dai competenti organi in virtù dell'art. 80, co. 19 della
Legge Finanziaria per l'anno 2001 (L. 388). Tale legge, difatti, oltre agli
ordinari requisiti, per le persone non comunitarie richiede anche il possesso
della Carta di soggiorno (oggi Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo). L'Inps
è stato condannato alla corresponsione della relativa prestazione ed al pagamento
dei ratei maturati, oltre agli interessi e al danno da svalutazione monetaria. Nonostante le precedenti sentenze della Corte
costituzionale, la n° 306/2008 -
con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 80,
co. 19, L. 388 del 2001 e dell'art. 9 D.Lgs. 286/2003 in quanto non
consentivano di usufruire dell'indennità di accompagnamento in mancanza del
Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo - e la n° 11 del 14/23 gennaio
2009 - che ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle stesse norme
nella parte in cui non consentono l'attribuzione della pensione di inabilità in
favore di chi abbia solo il permesso di soggiorno e non anche il su citato
Permesso Ce - l'Inps continua a negare le prestazioni sulla scorta della citata norma della legge Finanziaria per
l'anno 2001. Questo comporta che, in caso di rigetto dell'istanza
amministrativa, occorrerà adire il competente Magistrato e dimostrare il giusto
diritto ad ottenere la prestazione richiesta.
Ricordiamo che l'assegno mensile di cui
all'art. 13, L. 118/1971 costituisce un diritto in favore delle persone
invalide civili di età compresa fra i diciotto ed i sessantaquattro anni. I
requisiti per ottenerlo sono l'accertamento della riduzione della capacità
lavorativa in misura pari o superiore al 74 per cento, il mancato svolgimento
di attività lavorativa per il tempo in cui tale condizione invalidante
sussiste, un determinato limite di reddito annuo. Per le persone non
comunitarie è necessario, altresì, un permesso di soggiorno rinnovabile (non il
Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo, secondo la sentenza del
Tribunale di Bari). E' da segnalare che, pur a seguito delle sentenze della
Corte costituzionale su indicate, non è stato ancora chiarito se sia anche
necessario dimostrare, sempre solo per i cittadini di Paesi non comunitari, la
regolare residenza in Italia per i 5 anni che sarebbero, in ipotesi, serviti ad
ottenere il Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo. In caso di
riconoscimento del diritto alla prestazione di cui all'art. 13, Legge 118/1971,
al richiedente spetterà un assegno mensile per tredici mensilità annue.
Fonte : Progetto Melting Pot Europa
Si vedano sull'argomento :
L'ordinanza
del Tribunale di Genova - sez. lavoro - del 17 aprile 2009
Corte
costituzionale - sentenza n. 306 del 30 luglio 2008
Corte
costituzionale - sentenza n. 11 del 14 gennaio 2009
Sul medesimo
argomento si segnala anche l’ordinanza
della Corte di Appello di Torino
n. 144 dd. 27 febbraio 2009 con la quale è stata dichiarata non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
80 c. 19 della legge n. 388/2000, in relazione all’art. 117, primo comma della
Costituzione, e pertanto è stato disposto il rinvio degli atti alla Corte
costituzionale. Il caso trattato dalla corte di merito di Torino è quello di
una cittadina rumena che si era vista riconoscere dal tribunale di primo grado
il diritto all’assegno di invalidità civile ex art. 13, legge n. 118/1971 solo
a partire dal 1 gennaio 2007, data di ingresso della Romania nell’Unione
Europea, respingendolo invece per il pregresso, in ragione della norma
contenuta nella legge finanziaria 2001 che prescrive il possesso della carta di
soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti).
Il Tribunale di Brescia
Sezione lavoro, con l'ordinanza depositata il 27 maggio 2009,
ha respinto il reclamo del Comune di Brescia contro l'ordinanza del 12 marzo
2009 con cui il Tribunale ordinava all'amministrazione locale di cessare la
condotta discriminatoria posta in atto con la revoca della delibera
istitutiva del c.d. bonus bebe' . Il collegio
composto da Angelo Tropeano, Ignazio Onni e Giuseppe Magnoli ha confermato
l'ordinanza: il bando va riaperto e l'amministrazione deve pagare anche le
spese legali. Il Tribunale ha ritenuto il contenuto della delibera di revoca ritorsivo
e discriminatorio, senza necessita' di ulteriori indagini in quanto "e' il
contenuto stesso dell'atto a esprimere chiaramente la causa illecita : evitare
in qualsiasi modo che il sostegno economico alle famiglie si estenda anche agli
stranieri."Nell'ordinanza si ricorda che l'art. 4 bis del dlgs 215/03 con cui e' stata
recepita la Direttiva Ue 43/2000, fa divieto di adottare
comportamenti pregiudizievoli per reagire ad un'azione diretta ad ottenere
parita' di trattamento. Nel caso in esame l'amministrazione comunale aveva
risposto all'ordinanza del giudice del 12 marzo 2009
"con un comportamento che, pur ristabilendo una parita' di trattamento tra
italiani e stranieri " e' risultato pregiudizievole sia per le vittime che
per gli originari beneficiari".
Vedere anche
Bonus bebè: respinto il
reclamo del Comune di Brescia.
Brescia - Bonus bebè
a italiani e stranieri senza discriminazioni
DIRITTO EUROPEO – PROTEZIONE
INTERNAZIONALE
La Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo ha in due casi emesso il 12 ed il 16 giugno scorsi, provvedimenti
cautelari ex art. 39 sospendendo l'invio di due minori richiedenti la
protezione internazionale dalla Finlandia all'Italia. I
minori richiedenti asilo dovevano essere trasferiti in Italia sulla base
delle norme del Regolamento Dublino, in quanto risulta che l'Italia sia stato
il primo paese dell'Unione Europea ove sono transitati ovvero hanno depositato
l'istanza di protezione internazionale, ma l'avvocato finlandese del
Centro di aiuto legale per i Rifugiati di Oulu ha sostenuto che il loro
rientro in Italia avrebbe determinato una violazione dei diritti umani
fondamentali in ragione delle cattive ed insufficienti condizioni di
accoglienza offerte dal nostro paese ai minori richiedenti asilo, che
spesso li costringono a vivere senza fissa dimora ed assistenza. I
provvedimenti sono di una certa importanza perché per la prima volta la
Corte di Strasburgo sospende il rinvio di richiedenti asilo verso il nostro
Paese.
I
provvedimenti cautelari della Corte europea dei diritti umani
Si ringrazia l’Avv. Maria Cristina
Romano per la segnalazione
DIRITTO COMUNITARIO E LIBERA
CIRCOLAZIONE
Corte di
Giustizia delle Comunità Europee, sez. III, sentenza del 4 giugno 2009, A.V.,
J.K. – Arbeitsgemeinschaft (Germania), C 22/08 e C23/08
L’art. 39 del Trattato CE che prevede il
diritto alla libera circolazione
dei lavoratori all'interno della Comunità ed il principio di parità di
trattamento tra i lavoratori degli Stati membri in materia di impiego e
condizioni di lavoro garantisce ai lavoratori comunitari di godere, in
condizioni di parità con i lavoratori nazionali, delle prestazioni finanziarie previste ai fini di facilitare l’accesso al
mercato del lavoro. Poiché il diritto alla parità di trattamento nel godimento
di tali prestazioni deriva direttamente dall’art. 39 del Trattato CE, e tali prestazioni non rientrano nell’ambito
dell’assistenza sociale, il lavoratore comunitario può accedervi anche per i
periodi di soggiorno per i quali vale la deroga al principio di parità di
trattamento in materia di assistenza sociale prevista dalla direttiva n.
2004/38 in materia di libertà di circolazione, purchè sia assicurato un legame
reale tra il lavoratore comunitario ed il mercato del lavoro. Il principio di parità di trattamento ed il divieto di
discriminazioni di cui all’art. 12 del TCE non può tuttavia impedire che uno Stato membro
eventualmente preveda un trattamento più favorevole per talune categorie di cittadini di paesi terzi rispetto ai
cittadini comunitari in materia di prestazioni di assistenza sociale.
I cittadini comunitari i quali si trovino alla ricerca di un
lavoro in un altro Stato membro dell’Unione europea dopo essere rimasti
disoccupati hanno diritto alle
prestazioni di natura finanziaria destinate a facilitare l’accesso al mercato
del lavoro in condizioni di parità di trattamento con i cittadini nazionali qualora
abbiano posseduto la qualità di lavoratori secondo l’interpretazione fornita
del diritto comunitario. Il principio di non–discriminazione tra i
lavoratori comunitari in materia di impiego di cui all’art. 39 TCE fa conseguire il diritto a tali prestazioni
nonostante la deroga al principio di parità di trattamento in materia di
assistenza sociale prevista dall’art. 24 c. 2 della direttiva n. 2004/38, in
quanto le prestazioni di natura
finanziaria che sono destinate a facilitare l’accesso al mercato del lavoro non
possono essere considerate “prestazioni di assistenza sociale”. Tuttavia, il
diritto a tali prestazioni, a
parità di condizioni con i lavoratori nazionali, richiede l’esistenza di un
legame reale tra chi è alla ricerca di un lavoro ed il mercato del lavoro nel
medesimo Stato, nesso che può essere rilevato dalla residenza del cittadino
comunitario nell’altro Stato membro e dall’effettiva e concreta ricerca di
lavoro dell’interessato. In altri
termini, le prestazioni destinate a facilitare l’ingresso nel mercato del
lavoro possono essere erogate al
lavoratore comunitario migrante anche durante i primi tre mesi di
soggiorno e nel periodo successivo
fino al conseguimento del diritto al soggiorno permanente qualora possa dimostrare di essere alla ricerca
di un lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo, anche a prescindere
dalla norma citata della direttiva n. 2004/38 che stabilisce in questi casi la
deroga al principio della parità
di trattamento in materia di assistenza sociale. Il principio di non
discriminazione di cui all’art. 12 del TCE tuttavia non osta ad una normativa
nazionale che escluda i cittadini di uno Stato membro dalla possibilità di
beneficiare di prestazioni di assistenza sociale che invece vengono concesse a
immigrati di paesi terzi.
L’articolo del trattato delle Comunità europee che vieta discriminazioni
fondate sulla nazionalità negli ambiti previsti dal trattato medesimo, riguarda soltanto le situazioni,
rientranti nell’ambito del diritto comunitario, nelle quali un cittadino di uno
Stato membro subisce un trattamento discriminatorio rispetto ai cittadini di un
altro Stato membro per la sola ragione della sua nazionalità, e non trova
applicazione invece nel caso di un eventuale disparità di trattamento tra
cittadini degli Stati membri e quelli di Stati terzi.
La sentenza
della Corte di Giustizia europea è stata originata dal ricorso di due cittadini
greci che si erano visti esclusi
dall’indennità di disoccupazione in Germania in virtù della legislazione
tedesca che esclude gli stranieri il cui diritto di soggiorno sia giustificato
unicamente dalla finalità di ricercare un lavoro, mentre tali prestazioni
vengono concesse ai richiedenti asilo provenienti da paesi terzi una volta
ottenuta l’autorizzazione a soggiornare per motivi di richiesta di asilo. Il
giudice tedesco, aveva tra l’altro
richiesto alla Corte europea di chiarire se ai ricorrenti andava riconosciuta la qualità di
lavoratori subordinati beneficianti della libertà di circolazione, avendo essi esercitato un’attività
lavorativa in forma ridotta ed inidonea a garantire i mezzi di sussistenza o per un breve periodo di tempo (poco
più di un mese). A tale riguardo, la Corte di Giustizia ha ricordato la propria
consolidata
giurisprudenza, secondo la quale la nozione di «lavoratore» ai sensi
dell’art. 39 CE ha portata comunitaria e non dev’essere interpretata
restrittivamente. Per essere qualificato come «lavoratore», un soggetto deve
svolgere attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente
ridotte da potersi definire puramente marginali e accessorie. La caratteristica
essenziale del rapporto di lavoro è, secondo questa giurisprudenza, il fatto
che una persona fornisca per un certo periodo di tempo, in favore e sotto la
direzione di un’altra persona, prestazioni in contropartita delle quali
percepisce una retribuzione (v., in particolare, sentenze 3 luglio 1986, causa
66/85, Lawrie-Blum, Racc. pag. 2121, punti 16 e 17, nonché 11
settembre 2008, causa C‑228/07, Petersen, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 45). Né il livello limitato della retribuzione stessa, né
l’origine delle risorse per quest’ultima, possono avere alcuna conseguenza
sulla qualità di «lavoratore» ai sensi del diritto comunitario (v. sentenze 31
maggio 1989, causa 344/87, Bettray, Racc. pag. 1621, punto 15,
nonché 30 marzo 2006, causa C‑10/05, Mattern e Cikotic,
Racc. pag. I‑3145, punto 22). Il fatto che il reddito
proveniente da un’attività di lavoro subordinato sia inferiore al minimo vitale
non impedisce di qualificare chi la svolge come «lavoratore» ai sensi dell’art. 39 CE
(v. sentenze 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035,
punti 15 e 16, nonché 14 dicembre 1995, causa C‑317/93, Nolte,
Racc. pag. I‑4625, punto 19), anche se la persona in questione
cerca di integrare tali proventi con altri mezzi di sussistenza, come un aiuto
finanziario a carico dello Stato di residenza (v. sentenza 3 giugno 1986, causa
139/85, Kempf, Racc. pag. 1741, punto 14). Inoltre, relativamente
alla durata dell’attività esercitata, la circostanza che un’attività di lavoro
subordinato sia di breve durata non può, di per sé, escluderla dall’ambito di
applicazione dell’art. 39 CE (v. sentenze 26 febbraio 1992, causa C‑3/90,
Bernini, Racc. pag. I‑1071, punto 16, e 6 novembre 2003, causa
C‑413/01, Ninni-Orasche, Racc. pag. I‑13187, punto 25).
Ne consegue che, indipendentemente dal livello limitato della retribuzione e
dalla breve durata dell’attività professionale, non si può escludere che le
autorità nazionali reputino quest’ultima, alla luce di una valutazione
complessiva del rapporto di lavoro in questione, come reale ed effettiva, e,
quindi, idonea a conferire a chi la esercita lo status di «lavoratore» ai sensi
dell’art. 39 CE.
In conclusione, la CGE
ritiene che il giudice nazionale deve valutare secondo i richiamati criteri se
i due cittadini greci ricorrenti abbiano diritto alla qualità di lavoratori e,
in caso affermativo, avrebbero certamente diritto ad usufruire delle
prestazioni assistenziali per i sei mesi successivi allo stato di
disoccupazione, in virtù dell’art.
24 c. 1 della direttiva n. 2004/38. Tuttavia, trattandosi nel caso in specie di
prestazioni volte all’inserimento lavorativo, i lavoratori comunitari ed i loro
famigliari possono beneficiarne anche nel lasso di tempo più lungo nel quale
essi hanno diritto a soggiornare, fintantoché cioè essi effettivamente e concretamente cerchino un lavoro
nello Stato membro, cioè abbiano un
nesso reale con il mercato del lavoro dello Stato medesimo e non
costituiscano un peso eccessivo per il sistema di stato sociale del Paese
ospitante. Il principio di non discriminazione di cui all’art. 12 del Trattato
tuttavia non impedisce che uno Stato membro possa prevedere un trattamento più favorevole in
materia di prestazioni di assistenza sociale per talune categorie di stranieri di paesi terzi rispetto a
cittadini comunitari, così come previsto nel caso in specie dalla legislazione
tedesca con riferimento ai richiedenti asilo.
La sentenza
della CGE costituisce dunque un importante sviluppo di principi e orientamenti già precedentemente
contenuti nella sentenza
Collins dd. 23 marzo 2004, Causa C 138/02) .
NOVITA’
NORMATIVE
Prorogata ed estesa la
gestione commissariale della questione nomadi . Pubblicate le ordinanze sulla
Gazzetta Ufficiale del 6 giugno 2009.
Tra le iniziative
previste, informa il Ministero dell'Interno, vi sono il monitoraggio dei
campi autorizzati e l'individuazione di quelli abusivi, l'identificazione
e il gia' contestato censimento delle persone che vivono negli
insediamenti, il ripristino dei livelli minimi delle prestazioni
socio-sanitarie e i progetti a sostegno dell'integrazione sociale,
soprattutto a favore dei ragazzi minorenni.
Ordinanza del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 giugno 2009, n. 3776
Disposizioni urgenti di
protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in relazione
agli insediamenti di comunita' nomadi nel territorio della regione Piemonte.
Ordinanza del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 giugno 2009, n. 3777
Disposizioni urgenti di
protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in relazione
agli insediamenti di comunita' nomadi nel territorio della regione Veneto.
Proroga dello stato di
emergenza per la prosecuzione delle iniziative inerenti agli insediamenti di
comunita' nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia ed
estensione della predetta situazione di emergenza anche al territorio delle
regioni Piemonte e Veneto.
L’allegato A “Modalità per la
richiesta, l'attivazione, l'utilizzo ed il recesso del servizio di posta
elettronica certificata per i cittadini”, tuttavia, riserverebbe tale servizio
ai soli cittadini italiani. In tale allegato, infatti, si legge: “Qualunque
cittadino italiano maggiorenne, compresi i cittadini residenti all'estero, può
chiedere l'attivazione di un'utenza personale di posta elettronica certificata
accedendo al sito dedicato al servizio di posta elettronica certificata...”.
Nella sua formulazione, dunque, la norma è suscettibile di fondare una
discriminazione su basi di nazionalità irragionevole e, come tale, illegittima
sul piano costituzionale, per violazione del principio di uguaglianza.
Qualora tale orientamento venisse
confermato, sarebbe possibile la promozione di azioni giudiziarie anti-discriminazione ex art. 44 del T.U. immigrazione da
parte di cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia che si vedano
esclusi da tale servizio.
PARERI E CIRCOLARI MINISTERIALI
Con la circolare
del 6 maggio 2009 il Ministero dell'Interno ha ribadito la durata del permesso
per attesa occupazione non superiore a sei mesi, salvo casi straordinari.
La
circolare del Ministero dell'Interno del 6 maggio 2009
La circolare ribadisce quanto previsto dall’art. 21
c. 11 del d.lgs. n. 286/98( “La perdita del posto di lavoro non costituisce
motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai
suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del
permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro,
anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il
periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si
tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non
inferiore a sei mesi”). Resta tuttavia aperta
la questione se la norma citata possa ritenersi costituzionalmente illegittima per contrasto con le norme
di diritto internazionale pattizio vincolanti per l’Italia ed in particolare
con la Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143/1975
che prevede il principio di parità di trattamento tra lavoratori migranti e
nazionali in materia di occupazione (art. 10: “Ogni Membro per il quale la
convenzione sia in vigore s’impegna a formulare e ad attuare una politica
nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi adatti alle circostanze
ed agli usi nazionali, la parità di opportunità e di trattamento in materia di
occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e
culturali, nonché di libertà individuali e collettive per le persone che, in
quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul
suo territorio”),
incluse le garanzie relative alla
sicurezza dell’occupazione, la riqualifica, i lavori di assistenza e di
reinserimento (art. 8 c. 2).
Questo in ragione del fatto che la legislazione vigente in Italia in
materia di misure finanziarie volte al reinserimento lavorativo del lavoratore rimasto disoccupato
prevede dei periodi di durata superiori ai sei mesi previsti dalla norma di cui
all’art. 21 c. 11 del T.U. immigrazione (A partire dal 1° gennaio 2008 la
durata dell’indennità di disoccupazione passa da 7 a 8 mesi, che diventano 12
per coloro che hanno superato i cinquanta anni di età; per quanto riguarda
l’indennità di mobilità, la sua durata varia in funzione dell’età del
lavoratore, ma è in ogni caso superiore ai sei mesi: un anno per i lavoratori
fino al 39° anno di età, 24 mesi per i lavoratori dal 40° al 49° anno di età,
36 mesi per i lavoratori a partire dal 50° anno di età). La questione finora
non è stata affrontata compiutamente dalla giurisprudenza, ma si segnalano due
sentenze, rispettivamente del TAR Veneto (n.
606/06) e del TAR
Piemonte (n. 1314/05, pubblicata in “Diritto, Immigrazione e Cittadinanza”,
n. 2/2006), che hanno annullato decisioni delle questure di diniego al rinnovo
del permesso di soggiorno nei confronti di stranieri rimasti disoccupati da più
di sei mesi, ma che continuavano a beneficiare di misure finanziarie destinate
al reinserimento lavorativo, ivi comprese borse lavoro concesse dai comuni.
2. Circolare del Ministero dell’Interno: il
permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti rilasciato al famigliare non
può essere revocato in caso di scioglimento del matrimonio a meno che non
emerga che si sia trattato di matrimonio di comodo
Emanata una circolare
congiunta Ministero dell'Interno e Ministero della Giustizia in materia di
attuazione della Direttiva applicativa dell'Accordo bilaterale con la Romania
per la protezione dei minori romeni non accompagnati presenti sul territorio
italiano.
La circolare
richiede agli uffici delle Procure per i Tribunali per i Minorenni di
nominare dei referenti che, insieme ai Prefetti e ai Sindaci dei Comuni
interessati, possano costituire la rete di intervento sul territorio per
l'attuazione di quanto previsto dalla direttiva n. 246 diramata il 20 gennaio
2009 in materia di protezione e rimpatrio dei minori rumeni non accompagnati
presenti in Italia.
Circolare
congiunta del Ministero dell'Interno e del Ministero della Giustizia del 9
giugno 2009, n. 2823 -Dipartimento per le
Libertà Civili e l'Immigrazione - Direzione Centrale per le Politiche
dell'Immigrazione e dell'Asilo - Organismo Centrale di Raccordo per la Protezione
dei Minori Comunitari non Accompagnati - Dipartimento per la Giustizia Minorile
Il Ministero
dell'Universita' e della Ricerca diffonde una nota in merito alla richiesta
agli studenti in attesa dell'esame di maturita' del codice fiscale.
Dopo la vicenda
della studentessa straniera senza codice fiscale raccolta
dalla stampa, il Miur afferma in una
nota che "nel caso in cui uno studente fosse, per qualsiasi motivo,
sprovvisto del codice fiscale, verrebbe semplicemente escluso dalla base
informativa del Ministero, senza alcuna conseguenza per la sua privacy né per
la sua possibilità di sostenere l'esame di Maturità. Quella in atto è una
normale attività di gestione e manutenzione del sistema del Miur, come di qualsiasi
altro sistema informativo.Per questo motivo non c'è nessun motivo di legge per
cui la ragazza di Napoli non possa affrontare l'esame di maturità. Ogni altra
indiscrezione su questa vicenda è priva di qualsiasi fondamento giuridico.
"
Non e' dello stesso avviso l'avv. Marco Paggi che affronta la questione in un
approfondimento: leggi il commento.
Fonte : Miur, Progetto Melting Pot Europa
5. Ministero dell’Interno:
Riconoscimento della cittadinanza a coloro i quali ne erano stati privati per
effetto delle leggi razziali ( Circolare prot. n. k33 del 15 giugno 2009 )
È stato di recente
sollevato il problema del riconoscimento della cittadinanza a ex connazionali
di origine ebraica, divenuti italiani con provvedimenti di concessione, che
furono privati del nostro status civitatis a causa delle leggi razziali e
lasciarono l’Italia. Benché nel
1944 tali leggi furono abrogate, costoro, per evitare condizioni di apolidia,
avevano nel frattempo acquistato la cittadinanza del Paese di emigrazione.
Poiché non si trattò di una scelta volontaria in quanto determinata dalle
tragiche vicende storiche, il Dipartimento per le Libertà Civili e
l’Immigrazione, con circolare del 15 giugno 2009, ha ritenuto che i nostri ex
connazionali, salvo espressa rinuncia, non abbiano mai perso la cittadinanza
italiana, trasmettendola dunque ai loro discendenti.
La circolare del
dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione prot. n. K33 del 15 giugno 2009
DOCUMENTAZIONE
In allegato la scheda di lettura e le implicazioni del ddl 733 con
riguardo al T.U. sull’immigrazione
Testo a fronte: Il Testo
unico sull’immigrazione - Le Novelle dell’A.S. n. 733-B
Scheda di lettura: Disegno
di legge A.S. n. 733-B "Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica"
Vedi anche:
Fonte: melting pot
2.
Tabella delle Iniziative legislative, parlamentari e governative, attinenti il
campo della materia ecclesiastica, della libertà religiosa, dei diritti umani,
della bioetica e biotecnologie, XVI legislatura: aggiornamento al 26 maggio
2009
A cura della
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali
Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni
istituzionali
Iniziative legislative del Parlamento nelle materie di competenza - XVI
Legislatura
a cura di Lucrezia De Rosa ed Eliana Minkus)
Tabella:
aggiornata al 26 maggio 2009 (doc)
Le iniziative, suddivise per materia, sono presentate in forma di tabella
contenente:
- numero atto parlamentare con relativo link alla scheda sul sito della Camera
o Senato
- titolo della proposta di legge
- informazioni sullo stato dell'iter parlamentare
voci della tabella:
CONFESSIONI
RELIGIOSE
• Rapporti con la Chiesa Cattolica
• Confessioni religiose diversa dalla cattolica
• Otto per mille
• Libertà religiosa
• Riti religiosi
• Festività religiose
• Insegnanti di religione e parità scolastica
• Tutela dalle sette
BIOETICA
• Bioetica
• Procreazione medicalmente assistita ed embrioni
• Testamento biologico ed eutanasia
BIOTECNOLOGIE
DIRITTI UMANI
• Tutela dei diritti umani
• Pena di morte
• Tortura
• Vittime di persecuzioni
• Discriminazione (razziale, etnica, di genere e di religione)
• Traffico di esseri umani e violenza sulle donne
• Mutilazioni genitali femminili
FAMIGLIA – MINORI
• Famiglia
• Unioni civili
• Affidamento
• Adozioni
• Aborto
• Tutela dei minori
IMMIGRAZIONE
Fonte: www.olir.it
Nel corso della sessione
tenutasi tra il 4 ed il 22 maggio 2009, il Comitato ONU sui diritti economici,
sociali e culturali ha adottato il testo del commento generale n. 20
riguardante l'interpretazione dell'art. 2 comma 2 del Patto internazionale sui
diritti economici, sociali e culturali, avente per oggetto il principio di
parità di trattamento e non discriminazione nell'accesso a tali diritti (" Gli Stati parti del presente Patto si
impegnano a garantire che i diritti in esso enunciati verranno esercitati senza
discriminazione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la
lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine
nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra
condizione")
Il commento precisa che il principio di
non discriminazione fonda un divieto tanto delle discriminazioni dirette,
quanto di quelle indirette e che per discriminazione deve intendersi anche
l'incitamento a discriminare e le molestie (paragrafo 10) . Il Comitato
ONU ribadisce, inoltre, che il principio di non discriminazione rende
illegittime tutte quelle differenze di trattamento nell'accesso ai diritti
sociali, economici e culturali che non siano giustificate dal perseguimento di
obiettivi legittimi, e non obbediscano a principi di proporzionalità e
ragionevolezza. Considerazioni legate alla limitatezza delle risorse
finanziarie a disposizione non costituiscono di per sé una ragionevole e
legittima giustificazione di un trattamento differenziato (paragrafo 13).
Riguardo alle categorie protette dal principio di non discriminazione, il
Comitato include anche i casi di discriminazione "per associazione"
(ad es. i genitori di un bambino disabile ai quali non venga riconosciuto il
diritto ad un equo aggiustamento degli orari e condizioni di lavoro per poter
accudire ai specifici bisogni del minore, ovvero il caso di un membro di
un'associazione di tutela dei diritti dei Rom cui venga negato l'accesso a
prestazioni sociali in ragione della sua militanza a favore di tale gruppo
etnico) o per "percezione" (ad il caso di un cittadino nazionale con
caratteristiche somatiche di colore cui venga negato l'accesso alla locazione
di un'abitazione da parte di un proprietario che non intende locare a cittadini
stranieri).
E' importante notare che il Comitato
sottolinea espressamente che uno degli ambiti protetti dalla discriminazione è
quello legato alle origini nazionali, e che con tale espressione deve
intendersi il divieto di discriminazione su basi di cittadinanza.
Pertanto, il Comitato specifica che "l'ambito della
cittadinanza non dovrebbe costituire un ostacolo all'acceso ai diritti previsti
dal Patto" e pertanto, i diritti previsti dal Patto internazionale devono
trovare applicazione anche nei confronti degli stranieri, quali ad esempio i
rifugiati, i richiedenti asilo, gli apolidi, i lavoratori migranti, le vittime
della tratta, a prescindere anche dal loro status legale e dalle autorizzazioni
di soggiorno, quando si tratti di diritti fondamentali (paragrafo 30).
Il commento del Comitato ONU, pertanto,
si rivela di grande attualità per il nostro paese ove permangono nella
legislazione nazionale numerose disposizioni che fondano discriminazioni su
base di nazionalità nell'accesso ai diritti sociali, anche fondamentali. Si
pensi ad esempio all'art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000 (legge finanziaria
2001) che vincola l'accesso alle prestazioni assistenziali che costituiscono
diritti soggettivi ai sensi della legislazione al possesso da parte dello
straniero della carta di soggiorno ( o permesso di soggiorno CE per lungo
soggiornanti); disposizione dichiarata parzialmente incostituzionale
dalla Consulta con riguardo al requisito reddituale richiesto ai fini del
rilascio del titolo di soggiorno ed in relazione a quelle prestazioni inerenti
al diritto fondamentale alla salute (indennità di accompagnamento di cui alla
legge n. 18/1980) [sentenze n. 306/2008 e 11/2009], oppure alle norme in
materia di contributi per l'affitto di cui alla L. n. 431/1998, come modificata
dalla L. 133/2008, che prevede per i soli cittadini extracomunitari il
requisito dell'anzianità di residenza in Italia (decennale sul territorio
nazionale ovvero quinquennale sul territorio regionale) al fine di accedere a
tali provvidenze legate al diritto sociale all'abitazione. Per quanto concerne
l'Italia, il patto internazionale ONU è stato oggetto di autorizzazione
alla ratifica e ordine di esecuzione con legge n. 881 del 25 ottobre 1977
(Gazzetta Ufficiale n. 333 S.O. del 7 dicembre 1977) ed è entrato in
vigore il 15 dicembre 1978.
Il Comitato ONU riconosce inoltre che la
natura delle discriminazioni varia a seconda dei contesti e si evolve nel
tempo, richiedendo agli Stati di riconoscere la protezione offerta dal Patto
internazionale a nuove categorie sociali, e di contrastare ad esempio le discriminazioni
per ragioni di orientamento sessuale, per età, per status familiare, per
ragioni di salute (paragrafi 32-35).
Il Comitato ONU conclude affermando che
gli Stati, per poter corrispondere agli obblighi e alle
responsabilità previste con l'adesione al Patto internazionale, debbono
eliminare ogni forma di discriminazione nella loro legislazione, nonché
contrastare ogni forma di discriminazione da parte di soggetti pubblici e
privati, mediante apposite politiche e strategie nazionali, con particolare
riferimento alla rimozione delle forme di discriminazione "sistemica"
(ad es. nei confronti di minoranze etniche quali i Rom), nonché prevedere
strumenti volti ad offrire rimedio, anche giudiziario, alle discriminazioni, e
mettere in atto meccanismi di monitoraggio e rilevamento delle discriminazioni
presenti nella società.
Il
testo in lingua inglese del Commento n. 20 del Comitato ONU
CONVEGNI
Genova - Convegno:
"Il diritto alla protezione internazionale"
L'attuazione del diritto di asilo
in Italia ad un anno dal recepimento delle direttive europee. Convegno
co-organizzato dall'ASGI ed accreditato per la formazione permanente presso il
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Genova con l'attribuzione di 7 (sette)
crediti formativi.
Il convegno avrà luogo nell'intera
giornata di giovedì 2 luglio 2009 presso l'Auditorium Galata Museo del Mare di
Genova. Il convegno è organizzato da Asgi, Fondazione Auxilium, Ars, Comune di
Genova e con il patrocinio dell'Ordine degli Avvocati e della Regione Liguria.
Per info:
elena_fiorini@libero.it
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
1. BASILE
FABIO, Immigrazione e reati «culturalmente motivati»: il diritto penale
nelle società multiculturali europee
Ed. CUEM, Milano, 2008
collana: SCIENZE GIURIDICHE
Eur 31,00
ISBN: 9788860011923
Pubblicato nell’Anno Europeo del Dialogo Interculturale (2008), e nel desiderio
di fornire un contributo a tale Dialogo, questo libro costituisce la
conclusione di una fase di studio e di ricerca sui problemi penalmente
rilevanti posti dalla trasformazione dei paesi europei in società
multiculturali. La pluralità culturale delle società moderne ha inevitabili
risvolti anche sul diritto penale. L’Autore si propone di analizzare le
reazioni dell’ordinamento penale rispetto ai c.d. reati “culturalmente
motivati”, ossia a reati commessi dagli immigrati in adesione e conformità alla
loro cultura d’origine.
INDICE-SOMMARIO
CAPITOLO I
LE SOCIETÀ MULTICULTURALI EUROPEE
1. Precisazioni terminologiche e delimitazione del campo d’indagine, p. 1
1.1. I nuovi concetti di “società multiculturale”, “cultural defense” e “reato
culturalmente motivato”, p. 1
1.2. La definizione etnicamente qualificata di cultura. Prima delimitazione di
campo della nostra indagine, p. 3
1.3. La distinzione tra società multiculturale di tipo multinazionale e società
multiculturale di tipo polietnico. Seconda delimitazione di campo della nostra
indagine, p. 10
1.3.1. Fondamento della distinzione, p. 10
1.3.2. Riflessi di questa distinzione in ambito penale, p. 17
2. Come gli Stati europei gestiscono la diversità culturale ‘importata’ dagli
immigrati, p. 24
2.1. Modello “assimilazionista” versus modello “multiculturalista”, p. 24
2.2. Il modello “assimilazionista” c.d. alla francese, p. 27
2.3. Il modello “multiculturalista” c.d. all’inglese, p. 31
2.4. L’Italia in bilico tra modello “assimilazionista” e modello
“multiculturalista”, p. 34
2.5. Cenni sulla posizione dell’Unione europea, p. 38
3. La tolleranza ed i suoi limiti, p. 41
3.1. Ancora sui limiti alla tolleranza: la distinzione tra “restrizioni
interne” e “tutele esterne”, p. 45
CAPITOLO II
LOCALISMO E NON-NEUTRALITÀ CULTURALE DEL DIRITTO PENALE ‘SOTTO TENSIONE’ PER
EFFETTO DELL’IMMIGRAZIONE
Considerazioni introduttive. La definizione di reato ‘culturalmente motivato’,
p. 52
1. IL ‘LOCALISMO’ DEL DIRITTO PENALE, p. 56
1.1. Vérité au deçà des Pyrénées, erreur au delà, p. 56
1.2. Origine e sviluppo storico del ‘localismo’ del diritto penale, p. 60
1.3. La recente tendenza, a livello europeo, ad uno stemperamento
dell’originario ‘localismo’ del diritto penale, p. 66
1.4. Riepilogo sul ‘localismo’ del diritto penale: “paese che vai, reato che
trovi”, p. 69
2. LA ‘NON-NEUTRALITÀ CULTURALE’ DEL DIRITTO PENALE, p. 72
2.1. Precisazioni preliminari. L’omogeneità culturale italiana secondo Alfredo
Rocco, p. 72
2.2. Recht ist Kulturerscheinung. Primi rilievi sui nessi tra cultura e
diritto, e in particolare tra cultura e diritto penale, p. 76
2.3. Le tre teorie formulate per illustrare i nessi tra cultura e diritto
penale, p. 80
2.3.1. La teoria della coincidenza, o dei cerchi concentrici: esposizione e
critica, p. 84
2.3.1.1. Una variante della teoria della coincidenza: la teoria del minimo
etico: esposizione e critica, p. 95
2.3.2. La teoria della separazione, o dei cerchi distinti: esposizione e
critica, p. 101
2.3.3. La teoria del rapporto di implicazione, o dei cerchi intersecantisi:
esposizione e dimostrazione del suo fondamento, p. 104
2.4. I “punti di vista” dai quali emerge che le interseca-zioni tra norme
penali e norme culturali contri-buiscono ad un maggior ‘successo’ del diritto
penale, p. 108
2.4.1. La prevenzione generale c.d. positiva, p. 111
2.4.2. La prevenzione speciale intesa come rieducazione, p. 114
2.4.3. La possibilità di conoscere la norma penale violata, p. 116
2.4.4. Cenni su alcune esperienze di ‘insuccesso’ di codici penali che non
presentavano alcuna significativa intersecazione con le norme culturali dei
soggetti cui erano destinati, p. 119
2.5. I “settori” all’interno dei quali le norme penali si intersecano con le
norme culturali, p. 123
2.5.1. Le norme penali all’interno delle quali compaiono elementi normativi
c.d. culturali, p. 125
2.5.2. Altre norme penali ‘impregnate’ di cultura, p. 140
2.6. Riepilogo sulla ‘non-neutralità’ culturale del diritto penale: “il diritto
penale è fortemente impregnato di cultura”, p. 149
3. Conclusioni: le implicazioni di ‘localismo’ e ‘non-neutralità culturale’ del
diritto penale in ordine al fenomeno dei reati ‘culturalmente motivati’
commessi dagli immigrati, p. 150
CAPITOLO III
PANORAMA DI GIURISPRUDENZA EUROPEA SUI REATI ‘CULTURALMENTE MOTIVATI’
Introduzione: la rilevanza prasseologica dei reati ‘culturalmente motivati’ in
Europa, p. 155
1. Violenze in famiglia: a) maltrattamenti e sequestri di persona a danno di
familiari, p. 163
2. Violenze in famiglia (segue): b) sequestri di giovani donne, finalizzati ad
imporre un matrimonio combinato, p. 174
3. Violenze in famiglia (segue): c) ‘soppressione’ dei familiari che si
ribellano alle regole e al codice etico della famiglia d’origine, p. 180
4. Reati a difesa dell’onore: a) la vendetta di sangue, p. 190
5. Reati a difesa dell’onore (segue): b) omicidi a difesa dell’onore sessuale,
p. 194
6. Reati a difesa dell’onore (segue): c) reati a difesa dell’onore personale
(autostima), p. 205
7. Reati di riduzione in schiavitù, p. 208
8. Reati contro la libertà sessuale: a) violenze sessuali su ragazze minorenni,
p. 211
9. Reati contro la libertà sessuale (segue): b) violenze sessuali su donne
maggiorenni, p. 215
10. Mutilazioni genitali femminili e tatuaggi ornamentali ‘a cicatrici’ (c.d.
scarificazioni), p. 222
11. Reati in materia di sostanze stupefacenti, p. 225
12. Inadempimento dell’obbligo scolastico, p. 231
13. Reati di terrorismo internazionale, p. 232
14. Altri reati commessi dall’immigrato in una situazione di errore sul fatto
che costituisce il reato ovvero di errore sulla legge che prevede il fatto come
reato, p. 239
15. “Pane e cioccolata”: quando l’imputato è un immigrato italiano, p. 251
16. Alla ricerca di una soluzione per i problemi posti dai reati ‘culturalmente
motivati’, p. 260
CAPITOLO IV
QUALE RILEVANZA PENALE PER LA ‘MOTIVAZIONE CULTURALE’?
Considerazioni preliminari
1. L’esperienza europea: assenza di apposite disposizioni legislative di parte
generale, p. 266
2. L’esperienza statunitense: cenni sulle cultural defenses, p. 270
3. Le linee dell’indagine ancora da compiere, p. 274
Sezione I - De iure condito.
1. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di fatto tipico? p. 277
1.1. Principio di territorialità, p. 277
1.2. Gli elementi normativi culturali del fatto tipico, p. 278
2. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di antigiuridicità? p. 280
2.1. Esercizio di un diritto (art. 51 c.p.): a) diritto previsto
nell’ordinamento giuridico di provenienza dell’immigrato, p. 281
2.2. Esercizio di un diritto (art. 51 c.p.): b) diritto ‘alla propria cultura’,
p. 283
2.3. Concezione gradualistica dell’antigiuridicità e “cause di attenuazione
dell’antigiuridicità”, p. 288
3. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di colpevolezza? p. 290
3.1. ‘Motivazione culturale’ e imputabilità, p. 295
3.2. ‘Motivazione culturale’ e possibilità di conoscere la norma penale
violata, p. 301
3.2.1. L’ignoranza inevitabile della norma penale violata nella giurisprudenza
in tema di reati ‘culturalmente motivati’, p. 301
3.2.2. I fattori da cui può dipendere la valutazione di in-evitabilità
dell’ignoranza della norma penale violata, p. 304
3.2.2.1. Naturalità o artificialità del reato, p. 304
3.2.2.2. Grado di eterogeneità tra cultura italiana e cultura d’origine, p. 306
3.2.2.3. Durata del soggiorno nel paese d’arrivo, p. 310
3.2.2.4. Esistenza, nel paese d’origine, di una norma penale dal contenuto
analogo alla norma penale violata (con un breve excursus sul ‘pluralismo
giuridico di tipo soggettivistico’), p. 311
3.2.2.5. Pluralità di fattori p. 316
3.2.3. L’error de comprensión culturalmente condi- cionado nell’esperienza
sud-americana (cenni), p. 316
3.2.4. Osservazioni conclusive su ‘motivazione culturale’ e possibilità di
conoscere la norma penale violata, p. 319
3.3. ‘Motivazione culturale’ e dolo o colpa, p. 322
3.3.1. Dolo ed errore sul fatto, p. 322
3.3.1.1. In particolare, errore sugli elementi normativi culturali, p. 325
3.3.2. Colpa e parametro dell’agente-modello (in particolare, il reasonable man
nella provocation), p. 326
3.4. ‘Motivazione culturale’ e normalità delle circostanze concomitanti alla commissione
del fatto, p. 331
4. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ a livello di punibilità? p. 335
5. Rilevanza della ‘motivazione culturale’ in sede di commisurazione della
pena? p. 336
5.1. Commisurazione della pena in senso stretto, p. 337
5.1.1. Motivi a delinquere, p. 337
5.1.2. Le condizioni di vita individuale, famigliare e sociale del reo, p.338
5.2. Circostanze attenuanti ed aggravanti comuni, p. 342
5.2.1. Circostanza attenuante dell’aver agito per motivi di particolare valore
morale o sociale, p. 343
5.2.2. Circostanza attenuante c.d. della provocazione, p. 344
5.2.3. Circostanze attenuanti generiche, p. 346
5.2.4. Circostanza aggravante dell’aver agito per motivi abietti o futili, p.
347
Sezione II - De iure condendo.
1. Proposte dottrinali e legislative per dare rilevanza alla ‘motivazione
culturale’, p. 351
A mo’ di conclusione, p. 354
Bibliografia, p. 359
2. Razzismo democratico: La persecuzione degli stranieri in
Europa (a cura di Salvatore Palidda), Agenzia X, Milano, 2009.
La
copertina ed il sommario del volume curato da S. Palidda
3.
Rivista “Studi sulla questione criminale”. Fascicolo dedicato al tema:
“Subordinazione informale e criminalizzazione dei migranti”, Carocci editore,
n. 3/2008.
Il fascicolo esplora diversi aspetti dei processi
sociali e giuridici di “criminalizzazione” dei migranti oggi in Italia.
L’accento è posto in particolare
sui nessi esistenti tra gli aspetti più informali della subordinazione
dei migranti ed i processi di criminalizzazione. I vari contributi
spaziano quindi dall’analisi delle vicissitudini legate alla formazione e
all’implementazione della normativa sull’ottenimento dei permessi di soggiorno,
al mondo della marginalità lavorativa, a quello del rapporto tra immigrazione,
economia informale e organizzazioni criminali. Dal punto di vista
socio-criminologico, si sottolinea come una gestione del fenomeno migratorio
basata assai più su di un preteso “contrasto della c.d. “immigrazione
clandestina” che sulla programmazione e gestione dei processi migratori, abbia
prodotto risultati profondamente criminogeni, rischiando quindi di
compromettere pesantemente il buon esito di uno dei processi sociali più importanti
e significativi che si sia verificato in Italia dalla fine della seconda guerra
mondiale ad oggi.
Dario Melossi Il giurista, il sociologo e la
“criminalizzazione? dei migranti: che cosa significa “etichettamento"
oggi?
Valeria Ferraris L’obbligata illegalità:
l’impervio cammino verso un permesso di soggiorno
Pietro Saitta Il lavoro integra? Alcune note su
immigrati, reputazione e crimine
Stefano Becucci Immigrazione cinese e mercato
del lavoro in Italia. Un caso di interconnessione funzionale fra economia
formale e informale
Vincenzo Ruggiero Economie marginali e azione
collettiva
Marian Fitzgerald L’uso penale delle statistiche
etniche: alcune lezioni dall’Inghilterra
Recensioni
Valeria Ferraris
Marzio Barbagli, Immigrazione e sicurezza in Italia,
il Mulino, Bologna 2008; Marzio Barbagli, Immigrazione e reati in Italia, il
Mulino, Bologna 2002; Marzio Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, il
Mulino, Bologna 1998
Francesca Vianello
Realino Marra (a cura di), Filosofia e sociologia
del diritto penale. Atti del Convegno in ricordo di Alessandro Baratta (Genova,
6 maggio 2005), Giappichelli, Torino 2006
Newsletter a cura di Walter Citti e Silvia
Canciani – Segreteria ASGI
Per contatti : Sedi organizzative :Udine, via S. Francesco, 39 33100 - Tel. Fax:
0432 /50715 info@asgi.it
Trieste, via
Fabio Severo, 31 34100 - Tel/Fax: 040/368463 walter.citti@asgi.it
ASGI
- Sede legale e Amministrazione : Torino, via Gerdil n.7 10100 - Tel. /Fax 011/4369158 segreteria@asgi.it
Sito
internet : www.asgi.it