Ancora aperto il caso Cap Anamur. Verso il verdetto di primo grado. Il ministro delinterno attacca i professionisti dellantirazzismo.

Mercoled 3 giugno potrebbe arrivare la sentenza di primo grado sul caso della nave tedesca Cap Anamur, che nellestate del 2004 fu oggetto di un torbido gioco diplomatico dopo avere salvato 37 naufraghi nelle acque del Canale di Sicilia. Dopo tre settimane di blocco navale, la Cap Anamur venne fatta attraccare a Porto Empedocle e tre componenti dellequipaggio, il comandante Schmidt, il suo secondo ed Elias Bierdel, inviato a bordo dallorganizzazione umanitaria di diritto tedesco Comitato Cap Anamur, vennero arrestati e poi processati con laccusa di agevolazione dellingresso di immigrati irregolari. Adesso il comandante Schmidt e Elias Bierdel rischiano quattro anni di carcere e quattrocentomila euro di multa. Si contesta loro di avere tratto un profitto indiretto dalla pubblicit derivata dalla vicenda. Prima gli arresti, poi il processo, per avere fatto entrare nelle acque territoriali italiane 37 naufraghi salvati nel  Canale di Sicilia prima che la loro imbarcazione affondasse e per avere concluso loperazione di salvataggio sbarcandoli, dopo un lungo braccio di ferro diplomatico, nellunico porto sicuro raggiungibile.

Il dibattimento, aperto nel 2006, ha visto cadere una dopo laltra le accuse che le autorit militari e di polizia avevano rivolto nei loro rapporti al comandante della Cap Anamur, ad Elias Birdel del Comitato Cap Anamur, ed al secondo di bordo per il quale si chiede adesso lassoluzione. E apparso evidente per questultimo, ma solo dopo anni di processo, che non gli potevano essere contestate le accuse sollevate nei suoi confronti per la totale mancanza di un autonomo ruolo decisionale e dunque dellelemento soggettivo. Ma lo stesso elemento soggettivo del reato di agevolazione dellimmigrazione clandestina non ricorre neppure per Bierdel e per Schmidt, i quali hanno dimostrato di avere agito non per un profitto personale, ma sulla base di finalit umanitarie con decisioni maturate nei tempi e nei contenuti nellambito del Comitato Cap Anamur.  La nave omonima non era una nave commerciale, ma una nave dotata di uno specifico status umanitario, come tale registrata al registro navale di Lubecca. Dunque le decisioni che si assumevano a bordo non erano rimesse ad un armatore commerciale o ad un  comandante ( alle sue dipendenze), ma maturavano, in un ambito pi ampio e dunque non potevano che risultare necessariamente pi lente. Ed esattamente questo che si contesta agli imputati, avere tardato ad avvertire le autorit degli stati costieri, dopo avere effettuato lintervento di salvataggio. Un ritardo che avrebbe trasformato i naufraghi in clandestini. Di fatto il processo rischia di trasformarsi in un processo alle organizzazioni umanitarie indipendenti, che non sono sovvenzionate dallo stato ma che sopravvivono tutte grazie alla diffusione tra il pubblico dei risultati della loro attivit, ed alla conseguente raccolta di fondi.

Mentre per una nave commerciale il problema sarebbe stato liberarsinel pi breve tempo possibile dei naufraghi, anche a costo di sbarcarli su un altro mezzo, nel caso della nave umanitaria Cap Anamur si trattava di garantire lo sbarco in un luogo sicuro, e dunque dopo avere verificato le condizioni di accoglienza e la stessa possibilit di inoltrare una richiesta di asilo.  Anche per questa ragione era stato necessario attendere per alcuni giorni larrivo a bordo di uno dei responsabili dellorganizzazione, a fronte delle prevedibili ( e poi confermate dai fatti) resistenze degli stati costieri ad assumere la responsabilit dei naufraghi e accettare le richieste di asilo.

Il successivo stato di crescente tensione a bordo della Cap Anamur, subito dai naufraghi per settimane, sotto una attenzione mediatica mondiale che andava ben oltre quanto avrebbe potuto promuovere un Comitato umanitario, derivava dai gravi ritardi e dalle contraddizioni dei governi interessati che, soprattutto dopo il vertice di Sheffield del 6 luglio 2004, chiudevano la porta in faccia ad ogni tentativo di soluzione negoziata della vicenda. E questa risultava la vera causa scatenante della situazione di disperazione vissuta dai naufraghi negli ultimi giorni prima dellarrivo a Porto Empedocle, una situazione vissuta e documentata anche da alcuni giornalisti, che determin poi quello stato di necessit che costrinse  la Cap Anamur con il suo carico di migranti a varcare il limite delle acque territoriali, dopo che tutti i naufraghi avevano depositato una richiesta di asilo, circostanza ritenuta irrilevante nel corso del dibattimento. Come se la indicazione di una falsa nazionalit di appartenenza, accertata successivamente, solo dopo lo sbarco, destituisse di fondamento il convincimento dei responsabili della Cap Anamur di avere di fronte non solo naufraghi ma  richiedenti asilo. Come confermano le recenti critiche ricevute dallItalia anche dallAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dopo i respingimenti collettivi in Libia, le navi in acque internazionali non sono il luogo per lesame del merito delle domande di asilo, e lufficiale di bordo che le riceve non pu che prenderne atto, trasmettendole alle competenti autorit.

La sentenza che sar pronunciata dal Tribunale di Agrigento avr carattere interlocutorio in quanto facile prevedere che, quale che sia il suo contenuto, la Procura della Repubblica, o gli avvocati degli imputati, proporranno appello, ma assumer una importanza politica straordinaria, anche a livello internazionale, in un momento in cui il ministro Maroni si scaglia contro i professionisti dellantirazzismo. Un attacco che assume i caratteri di un avvertimento neppure tanto velato, un vero e proprio atto di indirizzo, si potrebbe osservare, che ci auguriamo il Tribunale di Agrigento sappia ignorare, attenendosi ai fatti emersi durante il dibattimento ed alle norme di diritto interno ed internazionale.

Per mantenere sotto accusa almeno due dei tre imputati, dopo la sfaldamento delloriginario impianto accusatorio, nel quale si era arrivati a parlare persino di un tentativo di speronamento da parte della Cap Anamur nei confronti di mezzi militari italiani, davanti a Porto Empedocle, circostanza subito smentita proprio dalle riprese video degli eventi, si sostenuta la tesi che la azione di salvataggio sarebbe stata gestita per farsi pubblicit sulla pelle dei migranti, allo scopo di incrementare la raccolta di fondi in favore dellorganizzazione umanitaria Cap Anamur. E in questo, secondo laccusa, si potrebbe individuare il fine di profitto indiretto che qualifica il reato di agevolazione dellingresso di clandestini, previsto dallart. 12 del Testo Unico sullimmigrazione. Come se lassociazione denominata Comitato Cap Anamur, una associazione non lucrativa per definizione, proprietaria della nave omonima, avesse potuto ricavare un lucro, diretto o indiretto, dalloperazione di salvataggio. Come se linteresse patrimoniale della associazione Comitato Cap Anamur coincidesse, o si potesse confondere con  interessi personali, sempre di natura patrimoniale, del comandante Schmidt e di Elias Birdel, allepoca dei fatti non presidente, ma responsabile della missione  della nave umanitaria Cap Anamur, che portava a bordo un ospedale da campo da consegnare in un porto africano. In realt tutti i componenti dellequipaggio a bordo della Cap Anamur ricevevano la stessa paga mensile, di poco superiore a mille euro. E questa cifra non certo aumentata per gli imputati a seguito del compimento dellazione di salvataggio.

Sorprende e desta amarezza lattacco emerso in alcune fasi del processo nei confronti di alcuni giornalisti presenti a bordo, i quali hanno fatto solo il proprio lavoro, in piena autonomia e con grande professionalit. La conclusione della recente vicenda della PINAR dimostra ancora oggi quanto sia importante la presenza di giornalisti, a fronte della sistematica tendenza degli stati di negare, a bordo delle navi che effettuano azioni di salvataggio, la ricorrenza di uno stato di necessit, in modo da sottrarsi ai doveri di accoglienza previsti dal diritto internazionale. E non sono certo i comandanti delle navi a chiamare i giornalisti per procurarsi pubblicit.

Per quanto riguarda il diritto interno, lart. 10 del testo unico sullimmigrazione n.286 del 1998 prevede uno specifico potere di respingimento (differito) dello stato, disposto dal questore nei confronti degli stranieri temporaneamente ammessi nel territorio dello stato per necessit di pubblico soccorso. E questa norma trova un limite preciso ( quarto comma) nel caso di richiedenti asilo politico, di richiedenti lo status di rifugiato, ovvero ladozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari. Non certo possibile sostenere, come fa in questi giorni il governo italiano, che in acque internazionali non esistono richiedenti asilo, perch allora, non avrebbero pi senso quelle norme che richiamano lingresso nel territorio dello stato per necessit di pubblico soccorso e vietano i respingimenti immediati nel caso venga proposta una domanda di asilo. Ma per costringere gli stati ad applicare queste norme, sono spesso necessari testimoni indipendenti come i giornalisti o i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, come si verificato ancora una volta nel caso della nave PINAR, appena pochi mesi fa. Esattamente come si era verificato anni prima nel caso della Cap Anamur.

Il ritardo nella comunicazioni e la ricerca di un porto sicuro per lo sbarco dei naufraghi, che nel frattempo avevano manifestato la volont di chiedere asilo, non possono trasformare una azione di salvataggio in una condotta penalmente sanzionabile parificata allagevolazione dellingresso di immigrati privi di un visto. Come se in qualche giorno i naufraghi potessero diventare clandestini, prima ancora di varcare il limite delle acque territoriali, e dunque di fare ingresso nel territorio dello stato. Una accusa infamante per chi ha fatto del soccorso agli altri la ragione della sua vita. Una accusa stabilita a tavolino durante il vertice dei ministri dellinterno italiano, tedesco e inglese nellincontro di Sheffield il 6 luglio del 2004. Una accusa derivata dallesigenza del governo italiano del tempo che non voleva creare un precedente, dopo il rifiuto del governo tedesco che non intendeva pi accettare le domande si asilo, come sembrava convenuto dopo i primi giorni di trattativa.   

Fino alle ultime battute del processo di primo grado, continua a restare priva di una qualche incidenza nella valutazione della condizione soggettiva degli imputati la circostanza, che, gi prima dello sbarco a Porto Empedocle, i naufraghi avessero formulato una richiesta di asilo e che sulla nave erano saliti, mentre questa si trovava ancora in acque internazionali, numerosi rappresentanti di agenzie  umanitarie, tra cui il dott.Christopher Hein del CIR (Consorzio italiano per i rifugiati), che avevano ricevuto e formalizzato la chiara volont dei naufraghi di chiedere asilo. Lo stesso CIR, interessato gi dal 26 giugno 2004, per come si desume dalla stampa di quel periodo e da numerosi comunicati, e per quanto emerso nel corso del dibattimento, era stato al centro di una trattativa tra i governi italiano e tedesco sulla sorte della Cap Anamur e del suo carico di naufraghi. Eppure a quella trattativa, che riguardava anche lo stato che avrebbe dovuto esaminare le richieste di asilo – tema rilevante per qualificare il comportamento dei responsabili della Cap Anamur – sembra che nessuno oggi voglia dare pi importanza.

Quale che sia lesito della sentenza di primo grado. non si riuscir a chiarire il vero lato oscuro di questa vicenda, costituito dalla trattativa intercorsa per settimane tra i governi italiano, tedesco e maltese, soprattutto dopo lincontro dei tre ministri dellinterno ( italiano, inglese e tedesco) a Sheffield,in Inghilterra,  di fronte alla impossibilit concreta di applicare a casi come questo la Convenzione di Dublino, che stabilisce il paese competente ad esaminare le richieste di asilo, e di fronte alla pervicace volont degli stessi governi di criminalizzare qualsiasi forma di ingresso dei migranti, anche ai danni di naufraghi o di potenziali richiedenti asilo. Ancora in questi giorni la materia della distribuzione delle richieste di asilo tra i diversi paesi dellUnione Europea rimane un tema controverso, e persino le regole delle missioni in Mediterraneo dellAgenzia Europea per il controllo delle frontiere esterne, FRONTEX, sono su questo punto assai vaghe.

Adesso lUnione Europea, anche dopo il caso Cap Anamur, sembrerebbe finalmente orientata a superare il regolamento n. 343 del 2003, inteso come regolamento Dublino II. Le direttive comunitarie in materia di status e procedure di asilo e il decreto legislativo 25 del 2008 hanno privato intanto lautorit di polizia di frontiera del potere di giudicare manifestamente infondate le richieste di asilo, come avvenuto proprio nelle fasi finali del caso Cap Anamur, subito dopo lo sbarco dei naufraghi a Porto Empedocle.

Le associazioni ed i movimenti, i giornalisti e le singole persone, che erano stati accanto ai migranti salvati della Cap Anamur ed ai loro soccorritori, non certo per fare pubblicit sulla vicenda, approfondiranno le motivazioni della sentenza del Tribunale di Agrigento, che diventer comunque un vero caso di scuola. In tanti continueranno a seguire tutte le fasi del processo di appello dal quale si spera  possano emergere, in ogni caso, le gravissime responsabilit, anche a livello politico ed istituzionale, nella gestione del controllo delle frontiere e delle espulsioni nel Canale di Sicilia. Quelle stesse responsabilit nei respingimenti collettivi praticate a partire dal 7 maggio scorso da unit della Marina militare e della Guardia di Finanza, che sono state denunciate da 24 migranti consegnati, a Tripoli , dalle autorit italiane al ministero dellinterno libico, ed attualmente detenuti in prigioni riverniciate con i fondi dellUnione Europea ma senza alcuna garanzia di poter esercitare i loro diritti pi elementari, come di fare valere una richiesta di protezione internazionale. E quando saranno esaurite le vie di ricorso interne sulla vicenda potr essere chiamata a pronunciarsi anche la Corte Europea dei diritti delluomo.

Chiediamo giustizia per i componenti dellequipaggio della Cap Anamur, colpevoli solo di una azione di salvataggio e sottoposti da anni ad un processo disonorevole e ad un danno esistenziale incalcolabile. Ma chiediamo giustizia anche, per gli autori di azioni di salvataggio ed assistenza in favore di immigrati irregolari, per tutti i potenziali destinatari del reato di solidariet, che sembra auspicare adesso il ministro dellinterno Maroni per ridurre al silenzio i professionisti dellantirazzismo.

Ci auguriamo che la magistratura giudicante assolva al suo ruolo istituzionale nel pieno rispetto dei valori di indipendenza ed imparzialit affermati dalla Carta Costituzionale. E speriamo anche che i giudici del Tribunale di Roma dedichino la stessa attenzione che stata dedicata al caso Cap Anamur, alla denuncia presentata da alcuni deputati radicali contro i respingimenti in Libia ordinati nelle scorse settimane da Maroni.  Siamo veramente curiosi di conoscere quale la base giuridica degli ordini impartiti dal Ministero dellinterno alle unit della marina militare e della Guardia di Finanza che nel mese scorso hanno riportato in Libia i migranti soccorsi nelle acque del Canale di Sicilia.

I ricorrenti attacchi allautonomia della magistratura e la sottrazione dei poteri di indagine, prima assegnati allordine giudiziario, ed affidati adesso allautorit di polizia, rischiano di assegnare alle autorit amministrative la conformazione dei fatti penalmente rilevanti, ben oltre il rispetto del principio di legalit, in modo da diminuire larea del controllo giurisdizionale garantito dalla Costituzione sui provvedimenti amministrativi che limitano diritti e libert fondamentali come il diritto di asilo e di protezione internazionale ( e persino il diritto di cronaca) . Il soccorso umanitario, imposto dalle leggi internazionali al di fuori dei confini delle acque territoriali, escluso da qualsiasi sanzione penale in forza del dettato dellart. 12 comma secondo del Testo Unico sullimmigrazione n.286 del 1998, secondo il quale , fermo restando quanto previsto dallart. 54 del codice penale ( stato di necessit), non costituiscono reato le attivit di soccorso e di assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello stato.

Sarebbe davvero singolare, e costituirebbe un segnale assai preoccupante per il futuro, sanzionare penalmente una azione di salvataggio, che ha avuto inizio in acque internazionali, ma che si svolta per settimane, come ampiamente documentato dai mezzi di informazione, sotto il potere di respingimento, e dunque sotto la giurisdizione, delle autorit italiane, prima nelle acque  della zona contigua e poi nelle acque territoriali, fino allattracco in un porto italiano. Una vicenda che si sarebbe potuta concludere in pochi giorni e senza il coinvolgimento dei media di tutto il mondo, se i governi interessati, piuttosto che preoccuparsi del rischio di creare un precedente, avessero rispettato fino in fondo i doveri di salvataggio e lobbligo di accogliere i richiedenti asilo, sanciti dalle Convenzioni internazionali e dalle norme interne di recepimento.

 

Fulvio Vassallo Paleologo

Universit di Palermo