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Immigrazione, le nuove norme e il silenzio dei parroci

Valerio Petrarca
 
Sarebbe un errore considerare questo silenzio delle parrocchie semplicemente come un improvviso risveglio di zelo nel rispetto della linea si separazione tra ambito politico e ambito religioso (tra Cesare e Dio). E sarebbe un errore anche interpretarlo come resa al clima collettivo di chiusura egoistica nei confronti degli stranieri. Esso è piuttosto sintomo di una sofferenza interna alla Chiesa, simile a quella riscontrabile anche negli ambienti laici che pure tentano di opporsi al prevalere degli egoismi della maggioranza degli italiani.
Nel mondo cristiano ha cittadinanza il discorso profetico, la parola di chi senza timore grida che la giustizia e la verità non sono fatti di maggioranza, che nel Vangelo c´è scritto che chi accoglie gli stranieri e i bisognosi accoglie Cristo e chi li respinge respinge Cristo in persona. Queste voci della "Chiesa profetica", che anche in questa occasione si sono levate con la chiarezza evangelica del «parlare sì sì, no no», raggiungono in un certo senso chi è già sensibile al dettato del Vangelo e al suo spirito di giustizia universale. Non raggiungono la maggioranza dei cristiani che frequenta la maggioranza delle parrocchie, in cui si può essere praticanti e insieme ostili o indifferenti nei confronti degli stranieri e contrari all´idea della giustizia universale.
Non diversamente accade negli ambienti laici. Anche qui si levano voci profetiche che rafforzano reti di consenso basate sull´idea di inviolabilità della persona indipendentemente dal suo luogo di provenienza, ma non bucano la coltre dell´indifferenza e degli egoismi di una maggioranza forse addirittura più estesa di quella maggioranza politica blandita e costruita, con discorsi mitologici di opposto segno, dal governo italiano e dal suo capo.
La "Chiesa politica" (per dirla impropriamente ma con chiarezza) ha però ben altre risorse rispetto alle forze laiche che pure si oppongono alla legalizzazione degli egoismi. Anche perché, mentre le seconde sono obbligate a misurare l´efficacia dei loro discorsi sul consenso della base cui si rivolgono, la prima deve o dovrebbe dar conto prima al Vangelo di Cristo e poi alla base sociale cui lo predica.
La crisi economica metterà a dura prova la convivenza sociale e la vita degli emarginati innanzitutto nei territori deboli delle aree forti, in Italia rispetto all´Europa del nord e nel Mezzogiorno rispetto al nord d´Italia. La mal denominata legge della "sicurezza" produce non solo drammi nella vita di migliaia di persone, ma getta anche benzina sul fuoco di quel tipo di aggressività sociale che produce capri espiatori. Dobbiamo dunque prepararci a difendere con ogni mezzo un´idea di umanità non basata sull´arbitrio e la convenienza dei più forti, anche se i più forti sono maggioranza in un piccolo lembo di terra del mondo. E non potremo fare a meno in Italia e particolarmente nel Mezzogiorno dell´azione della Chiesa, di tutta la Chiesa. Perché si tratta, tra le altre cose, della più antica istituzione, capillarmente organizzata e disciplinata sul territorio, capace di guardare nello stesso tempo alle realtà locali e alle realtà universali. Essa può suggerire, come spesso ha suggerito, una visione del fenomeno delle migrazioni che va nella direzione opposta a quella dei governi nazionali e in fondo dell´Europa del trattato di Schengen. Le migrazioni umane dalle periferie ai centri del mondo sono il più grande fenomeno sociale contemporaneo, il risultato di secoli di storia in cui l´Occidente ha provato a risolvere le contraddizioni dei suoi territori interni spostandole nei territori esterni. Il governo italiano affronta invece questo fenomeno di portata mondiale all´interno del problema della sicurezza interna, come problema di polizia o "pulizia" come si diceva più anticamente, quando non era lo Stato, ma ronde di privati cittadini, ad occuparsi dell´ordine nelle grandi città.
 
 
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